BOLOGNA E LIVORNO: COMPAGNI ADDIO
IL PD AZZERATO DA RENZI… EMILIA E TOSCANA PERDONO ISCRITTI
Cambiano gli uomini, cambia la geografia e i colori.
Quando si diceva delle città rosse: oggi sono di un color pastello non più identificabile, uccise dalla loro storia. Livorno e Bologna sono due casi diversi, ma emblematici di quella curva che porta a crescere la popolarità di Matteo Renzi e a crollare quella del partito.
In tempi recentissimi Livorno aveva ancora un compagno segretario. Lo chiamavano così.
Fatti a pezzi i numeri, le falci e i martelli che i portuali si facevano montare dall’orefice e portavano al collo come qualcosa da esibire, il nome compagno ha resistito oltre misura. Compagne e compagni addio.
Oggi Livorno, dopo la batosta presa alle elezioni comunali vinte dal candidato del Movimento 5 stelle, Filippo Nogarin, non ha più un partito.
Il Pd, nei suoi vertici, è stato completamente azzerato e dio fatto commissariato dalla segreteria regionale. Non c’è un segretario, l’ordinaria amministrazione non è più di potere, dunque non merita di essere seguita.
Le sezioni erano già barcollanti da tempo, oggi sono semivuote. Anche i nostalgici se ne vergognano.
Prima erano circoli. Nella sezione di Antignano, quartiere che mescolava piccoli arricchiti e inquilini di case popolari, il circolo funzionava come punto di ritrovo.
Se non altro organizzavano cene e partite a carte.
L’ultimo compagno segretario degno di cotanto nome è stato Raldo Ferretti, professione barbiere. Quando è morto lui la sezione ha iniziato a perdere i pezzi
Non meglio è andata a quella centrale.
Era in piazza della Repubblica, voleva dire il potere. Oggi in quelle stanze c’è lo studio di un fisioterapista.
Una metamorfosi che ha portato all’intero azzeramento. Testa china e andare avanti.
Segno di cattiva amministrazione, anche: l’ultimo sindaco del Pd, Alessandro Cosimi, non ha brillato per dinamismo.
Se lo chiedete ai livornesi ve lo racconteranno in altri termini, molto più feroci.
Eppure in quella città il Partito comunista era nato. E non fu assolutamente un caso che la scissione si consumò lì, al vecchio teatro San Marco: Livorno non era rossa, era comunista più di ogni altra città .
Anche negli anni di massima espansione, anche quando i portuali guadagnavano quanto gli ingegneri e lavoravano la metà . Altri tempi. Oggi ansima.
Nogarin si è trovato a governare le briciole rimaste dal passato.
Ci mette del suo, fino a oggi ha chiacchierato molto e risolto poco, ma non ha nessun tipo di opposizione.
Il Pd a fare l’opposizione della città che si erano tramandati di padre in figlio non si sporca. Ricostruire vorrebbe dire scavare nuove fondamenta e lo sconforto della sconfitta è ancora lontano.
La situazione non va meglio a Bologna.
Il loro Nogarin c’è già stato, si chiamava Giorgio Guazzaloca, ma i risultati delle primarie per il governo della Regione non sono confortanti.
Sono andati a votare l’86 per cento in meno delle passate consultazioni. E, come dice il professor Romano Prodi, questo non promette nulla di buono.
Tanto è che il vincitore assoluto, Stefano Bonaccini, consapevole di aver incassato una vittoria alla buona, ha chiesto aiuto allo sfidante, Roberto Balzani. “Anche lui deve aiutarmi adesso, altrimenti gli astenuti saranno più della metà degli aventi diritto al voto”.
Piacerebbe sapere per colpa di chi, visto che Bologna era Bologna, rossa e papale, accogliente e godereccia, ferita, ma capace di rialzarsi. Passato remoto.
Oggi il partito in provincia è in mano a Raffaele Donini, uno della generazione post comunista. Non ha battuto ciglio di fronte alla mancanza della sua gente.
Alla Bolognina, la sezione storica dove il partito smise di essere comunista, la frattura si era già consumata quando Prodi venne tradito sulle scale del Quirinale.
La loro storia finì già lì, il segretario si dimise, il resto è stata una resa al renzismo dilagante. Consapevoli tutti che il partito avrebbe decretato la propria fine.
“Accettammo di perdere il comunismo, faremo a meno anche di questa cosa strana che si chiama Pd”, dicono.
“Ce l’aspettavamo. Quando il Pd nacque i valori erano già renziani prima che Renzi spegnesse le candeline: la sinistra era già morta”.
Emiliano Liuzzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
Leave a Reply