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BOSSI E “CERCHIO MAGICO” PRONTI ALLE ELEZIONI: STILATA GIA’ LA LISTA DEI MARONIANI DA EPURARE

Ottobre 25th, 2011 Riccardo Fucile

LA BADANTE ROSY MAURO TIENE LA NOTA DEGLI EPURANDI DALLA CASA DI CURA PADANA: DA GIACOMO STUCCHI A GIANCARLO GIORGETTI, DA CAPRINI A GRIMOLDI, DA VOLPI A RAINIERI, DA PINI A BRAGANTINI, DA CONSIGLIO A FAVA LA LISTA E’ LUNGA… I MARONIANI   PUNTANO A UN GOVERNO DI TRANSIZIONE PER AVERE TEMPO DI SPODESTARE IL CERCHIO MAGICO E SI RIUNISCONO A LENDINARA

Umberto Bossi ha confermato la linea della fermezza contro i ritocchi alle pensioni d’anzianità  proposti da Silvio Berlusconi, determinando di fatto lo stallo totale dell’esecutivo.
Ma qualcosa, comunque, sembra muoversi.
Una sorta di “accordo” si sarebbe comunque trovato, quel tanto per far vedere all’Europa che l’intenzione di lavorare nel senso indicato c’è, solo che i tempi, in qualche modo, li vuole dettare l’Italia.
Il dato politico, dopo una giornata che è stata solo un lungo vertice di maggioranza, è però sempre più chiaro: le sorti del governo, oggi più che mai, sono nelle mani del leader del Carroccio.
Eppure, per quanto il Senatùr sia tentato di staccare la spina, di fatto è costretto a temporeggiare: ha bisogno della garanzia che si vada a elezioni anticipate senza passare per un esecutivo tecnico o di transizione.
Per un semplice motivo: anche lui, come il Cavaliere, vuole presentarsi alle urne con l’attuale legge elettorale così da poter epurare i maroniani.
La lista già  esiste da tempo.
E’ custodita da Rosy Mauro, asse portante del cerchio magico, nonchè unica interlocutrice della moglie del Senatùr, Manuela Marrone.
Un elenco di parlamentari, per lo più deputati, che in questi mesi si sono macchiati della grave colpa di aver criticato il Capo e si sono schierati con Roberto Maroni, il ministro dell’Interno che la base del partito vuole leader e lo invoca come presidente del Consiglio.
In cima alla lista c’è Giacomo Stucchi, che poche settimane fa era candidato a sfilare la carica di capogruppo a Montecitorio del bossiano Marco Reguzzoni.
E anche Giancarlo Giorgetti, segretario del Carroccio in Lombardia, è finito nella lista nera, colpevole di aver candidato sul territorio troppi maroniani.
C’è poi Davide Caparini, che con il padre Bruno si sono contrapposti al cerchio magico in ogni modo, fino a staccarsi dalla segreteria provinciale di Brescia e istituire una sorta di feudo in val Camonica, a Ponte di Legno.
Da epurare anche Paolo Grimoldi, monzese fautore della diffusione del movimento dei giovani padani in molte regioni del nord e centro Italia, considerato l’uomo di Maroni tra i giovani del Carroccio.
Altro da cancellare dalle liste è Raffaele Volpi. Bresciano, braccio destro di Fabio Rolfi, il maroniano che a Brescia ha sconfitto il candidato del cerchio magico, Mattina Capitanio (sostenuto dall’ assessore regionale allo Sport e giovani Monica Rizzi, “tutor” di Renzo Bossi in Lombardia), conquistando la poltrona di segretario provinciale.
Poi ci sono gli emiliani: Fabio Rainieri, Gianluca Pini ed Emanuela Munerato.
Tutti “scoperti” e lanciati da Maroni.
Il ministro dell’Interno venerdì prossimo arriverà  fino a Lendinara, un paesino sperduto in provincia di Rovigo, per partecipare a un convegno sul federalismo organizzato da Munerato.
E con Maroni hanno garantito la loro presenza il governatore del Piemonte, Roberto Cota, e il sindaco di Venezia, Flavio Tosi.
Altro frondista che il cerchio magico sta cercando di cacciare da settimane, ma ha dovuto rinunciare: “Se cacciano Tosi viene giù tutto”, aveva detto l’altro sindaco maroniano Attilio Fontana, primo cittadino di Varese.
Ma per colpire Tosi, Rosy Mauro ha inserito due deputati considerati a lui vicini: Matteo Bragantini e Giovanna Negro.
Ovviamente anche loro maroniani.
C’è poi Nunziante Consiglio, storico organizzatore della Berghem fest, dove Maroni è preferito al Capo.
E ancora: Giovanni Fava e il giovanissimo Maurizio Fugatti, segretario trentino da sempre distante da posizioni cerchiste.
Per questo la Lega vuole elezioni anticipate.
Lo ha detto a chiare lettere anche Bossi oggi, dopo giorni di silenzio: “Nessun governo tecnico”.
Di diverso avviso, ovviamente, i maroniani.
Che non sono rimasti a guardare. Anzi, alla Camera, dove sono la maggioranza del Carroccio, si sono riuniti in serata per valutare l’ipotesi di una fine anticipata del governo e prepararsi alla scalata del partito e al dopo Berlusconi.
Ma i fedeli del ministro dell’Interno vogliono un esecutivo di transizione che cancelli il porcellum e ritorni alla preferenza secca.
Un esecutivo a cui potrebbero dare il sostegno esterno su alcuni punti necessari, a partire dalle misure a favore del rilancio economico del Paese.
Ma basta leggi ad personam per il premier, basta mafiosi salvati con il voto di fiducia, basta lasciare inascoltata la base e i militanti che nell’ultimo anno sono diminuiti notevolmente: l’ultimo sondaggio che gira in via Bellerio assegna al Carroccio appena il 5,3%.
Così facendo, ragionano i maroniani, si potrebbe riprendere in mano la guida del movimento recuperando così parte del consenso perso.
Ovviamente Bossi non si tocca: è il cerchio magico che va annientato, è il “tumore” da estirpare.
Sul territorio l’esercito è già  pronto, finora è mancato il generale.
Riuscirà  Maroni a rappresentarli?

Sara Nicoli e Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LA LEGA DIFENDE I BABY PENSIONATI DEL NORD (COME LA MOGLIE DEL SENATUR, ANDATA IN PENSIONE A 39 ANNI)

Ottobre 25th, 2011 Riccardo Fucile

COME NEL 1994 BOSSI CAVALCA GLI INTERESSI DEI   SUOI SEMPRE MENO LAVORATORI-ELETTORI, DEGLI ALTRI SE NE FOTTE

Roma ladrona vuole i soldi dei lavoratori del Nord per tenere viva la vecchia pratica assistenzialista. Ad ogni giro ritornano, come nel gioco della roulette…», disse una sera all’Ansa Umberto Bossi, correva l’anno 2003.
La riforma Maroni (2004) doveva ancora venire.
Nove anni prima, nel ’94, il Carroccio ruppe con Berlusconi proprio sulle pensioni.
Le barricate leghiste sono dunque un marchio di fabbrica.
Soprattutto su quelle di anzianità , tipiche del lavoro dipendente nel settore privato, diffusissimo nelle province industriali del Nord, dove migliaia di lavoratori sono entrati in fabbrica a 18-20 anni e vorrebbero continuare a pensionarsi a 58-59, dopo 40 di contributi.
Più ancora del tam tam politico è la geografia a spiegare l’ultima trincea leghista.
L’Italia previdenziale è spaccata come una mela: pensioni di anzianità  al Nord, con il 65% degli assegni Inps che si concentrano tra Piemonte (100 assegni ogni 1000 abitanti), Emilia Romagna (92), Lombardia (91) e Veneto (80); invalidità  e assegni sociali al Sud.
Di qui la battaglia a difesa di una rappresentanza sempre più nervo scoperto: una riforma previdenziale come vorrebbe Bruxelles colpirebbe quell’esercito di lavoratori padani ormai vicini all’età  di uscita dal lavoro, che si vedrebbe imporre i tempi supplementari.
L’attuale crisi del Carroccio ha caratteri più profondi della faida interna «maroniani-cerchisti» proprio perchè coinvolge quel blocco sociale che nel ciclo 2008- 2010 lo ha gonfiato di voti come nei primi Anni 90 dello strappo pensionistico, usandolo come taxi per denunciare il male del Nord.
Per il politologo Roberto Biorcio, infatti, «la crisi economica ha colpito duramente quel bacino interclassista fatto di partite Iva e lavoro dipendente, operai, professionisti e ceto impiegatizio tipicamente nordista che imputa ad un governo a trazione leghista la scarsa protezione nella tempesta e un vuoto di riformismo».
Per capire il cortocircuito di queste ore bisogna tornare ai tre cicli elettorali leghisti.
La prima ondata culmina nel ’92, quando il partito di Bossi diventa il secondo nel Nord raccogliendo il 17,3% di consensi (8,7% nazionale con 3,4 milioni di voti).
La seconda si registra nel ’96: 10,1% nazionale con 3,7 milioni di italiani che salgono sul Carroccio, record storico.
Un pieno che si sgonfierà  subito: la corsa solitaria lo lascia ai margini del gioco politico e l’ingresso dell’Italia in Europa azzera le ragioni economiche della secessione.
Non a caso al voto 2001 il Carroccio lascia per strada 2,3 milioni di consensi: 3,9% nazionale.
Rispetto al ’96 crolla la preferenza operaia (dal 17 al 9% dell’intero elettorato verde), di artigiani e commercianti (dal 23 all’8%) e di impiegati e insegnanti (dal 30 al 10%), finiti tutti nell’orbita patinata del Cavaliere.
La terza ondata è invece quella scoccata col voto 2008, quando la Lega passa da 1,7 milioni di consensi 2006 (4,3%) a 3 (8,3%), con il voto di imprenditori e professionisti che cresce dal 7 al 12% dell’elettorato, sdoganando il partito di Bossi nel voto di opinione dei centri urbani, quello dei lavoratori dipendenti dall’8 al 19%, degli operai dall’8 all’11% e di artigiani e commercianti dall’15 al 20%.
Cos’è successo nel biennio da giustificare un exploit che esonda dai bastioni pedemontani per mietere successi sulla via Emilia?
Il Carroccio cavalca la faccia brutta della globalizzazione: l’anti islamismo e il vade retro immigrazione, la protezione della «roba» contro l’invasione cinese, le critiche alla finanza apolide.
L’innesco della crisi mondiale spinge il blocco dei produttori sulla stessa barca, padroncini e salariati che rischiano di impoverirsi.
In questo frangente la Lega cresce nei territori tipici di piccola impresa ma anche nei quartieri operai delle grandi città  (rubando voti a sinistra).
Nel ciclo elettorale 2009-2010 consolida questa ondata, saldando dimensione economica e sociale di cui le pensioni sono uno dei simboli: imprenditori e professionisti salgono dal 12 al 14% dell’elettorato, gli operai dall’11 al 14%, impiegati e insegnanti dal 19 al 25%.
Poi il giochino si rompe.
Già  alle Regionali 2010 la fine dell’espansione viene nascosta dalla vittoria in Piemonte e Veneto e dall’effetto cestino sui voti Pdl.
Alle amministrative 2011 viene meno anche questa finzione. I
l Carroccio nelle sue capitali rivince ma crolla: alle provinciali a Treviso passa da 190 mila voti del 2010 a 98 mila! Tenere insieme promesse e risultati è impossibile nella grande crisi. Specie se i più colpiti sono proprio quei settori come legno-arredo, tessile, macchinari e apparecchiature elettriche tipici delle grandi province manifatturiere dove la Lega spopola.
Se aggiungiamo i comuni strozzati dai tagli proprio mentre il Carroccio ne governa quasi 400, le tasse che aumentano e i redditi scivolati al livello del 1999, si capisce come i miasmi leghisti siano anche figli del modo in cui il Nord resta impigliato nella crisi.
Enfatizzando la crisi di rappresentanza.

Marco Alfieri
(da “La Stampa”)

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I MARONIANI SI RITROVANO A BUGUGGIATE PER IL “PRANZO DEGLI ERETICI”

Ottobre 23rd, 2011 Riccardo Fucile

I DISSIDENTI DEL CARROCCIO, VICINI AL MINISTRO DEGLI INTERNI, SI SONO DATI APPUNTAMENTO SULLE RIVE DEL LAGO DI VARESE…ALLA RICERCA DI UNA STRATEGIA PER ROMPERE IL CERCHIO MAGICO STRETTO INTORNO A BOSSI

Un pranzo di eretici sulle rive del lago di Varese per contarsi e decidere una linea condivisa.
Circa duecento militanti del Carroccio di fede maroniani si sono trovati (a porte chiuse) per affrontare la difficile situazione interna al partito.
Quelle appena trascorse sono state settimane difficili per i leghisti, giorni in cui il livello dello scontro tra le varie fazioni ha raggiunto picchi prima inimmaginabili.
I mal di pancia esplosi lo scorso 9 ottobre dopo la nomina di Maurilio Canton, nuovo segretario provinciale di Varese imposto direttamente da Umberto Bossi, stanno contagiando anche altre province padane.
C’è stata un’accesissima riunione della circoscrizione di Dalmine (Bergamo) durante la quale lo stesso deputato maroniano Giacomo Stucchi (candidato come capogruppo alla Camera al posto del bossiano Marco Reguzzoni) avrebbe faticato non poco a tenere a bada la rabbia e la foga dei militanti, che hanno chiesto a gran voce di passare all’azione e rovesciare il gruppo di potere che sta controllando il partito.
Il clima, al pranzo di domenica, per chi conosce gli eventi e la liturgia leghista, è stato surreale.
Dentro e fuori dalla sala non c’era nessuna bandiera di partito.
Niente corna nè gadget.
Nella grande struttura dell’area feste di Buguggiate c’era un unico simbolo: la foto di Jim Morrison, appesa alla porta e incollata sul banchetto delle sottoscrizioni.
Diventata a simbolo degli eretici da quando Alessandro Vedani ha usato una frase del leader dei Doors davanti alla platea del congresso provinciale di due settimane fa: “È meglio alzare la testa e morire che vivere strisciando”. Vedani a Buguggiate è il padrone di casa.
È lui a riassumere i contenuti e il senso del pranzo maroniano: “È stata una giornata goliardica — ha detto — il pranzo degli eretici, dei nominati, una cosa simpatica. Sono stati fatti interventi concilianti, dicendo che in questo momento c’è bisogno di abbassare i toni e di fare blocco perchè prevalga la ragionevolezza”.
Vedani è poi tornato a battere il chiodo sul gruppo di potere che ruota attorno al Senatùr e che ne determinerebbe le decisioni. “C’è una lobby interna, una corrente, quella che fa capo al capogruppo alla Camera che oggettivamente racconta tutta una serie di cose che lasciano veramente esterrefatti, che non corrispondono alla realtà ”.
Il gruppo degli eretici ha poi rinnovato l’assoluta fiducia nel segretario federale, confidando che “la si smetta con questo clima di caccia alle streghe” perchè “oggi noi vogliamo abbassare i toni e non raccogliere provocazioni”. Le provocazioni, in effetti, non sono mancate e probabilmente non mancheranno anche nei prossimi mesi: “Reagire darebbe solo man forte a chi vuol far passare l’immagine di un gruppo di persone che vogliono male al Capo. E invece noi sosteniamo che chi sta intorno a Bossi non vuole il suo bene. Tutto lì, non vuole il suo bene e lo sovraespone, come ne ha sovraesposto i figli (di Umberto Bossi, ndr)”.
Insomma in discussione non è il Capo.
Ma Reguzzoni, Rosy Mauro, Manuela Marrone e gli uomini del fantomatico cerchio magico.
I maroniani vogliono scardinare questo assedio al Senatùr.
“È arrivato il tempo dell’azione contro l’arroganza — sostengono alcuni militanti ai tavoli del pranzo degli eretici — non ce la facciamo veramente più, è ora di andare a congresso”.
Perchè adesso, dopo la nomina dei segretari provinciali, tocca al regionale.
In Lombardia la carica è oggi affidata a Giancarlo Giorgetti.
Ma l’obiettivo del marchio magico è sostituirlo con qualcuno di più fedele al Capo e controllabile da Mauro e Reguzzoni.
Il congresso regionale potrebbe già  svolgersi ma via Bellerio rimanda la convocazione.
Oggi il rischio è troppo alto, in gioco c’è la tenuta del partito.
Ma le elezioni sono sempre più vicine e la Lega deve presentarsi unita. Almeno in apparenza.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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LEGA, SPUNTA L’ELENCO DEI DEPUTATI “ERETICI’ E TOSI SFIDA BOSSI: “RIFARO’ LA MIA LISTA CIVICA”

Ottobre 23rd, 2011 Riccardo Fucile

REGUZZONI SOSPETTATO DI AVER INDICATO 12 DEPUTATI DELL’AREA MARONI DA NON RICANDIDARE…IN ATTO ESPULSIONI A RAFFICA AD OPERA DEL CERCHIO MAGICO: 30 SOLO IN VENETO

Espulsioni a raffica nella Lega. Gìà  decretate come in Veneto, almeno una trentina. O in via di perfezionamento come in Brianza, dove contro il sindaco di Macherio Giancarlo Porta, colpevole di aver di aver criticato Berlusconi e i vertici del Carroccio («la tenaglia ricattatrice del premier ci sta portando alla deriva»), il direttivo della sezione ha chiesto di prendere «provvedimenti disciplinari».
E poi liste di proscrizione per far fuori, quando sarà  il momento delle elezioni, ì più “visibili” tra i parlamentari filo-Maroni.
L`ultima indiscrezione mette sotto accusa il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, che avrebbe stilato un elenco di dodici deputati “eretici”.
In testa i lombardi Giacomo Stucchi, Davide Capanni, Gianni Fava, poi qualche veneto tra cui Matteo Bragantini, vicino al sindaco di Verona Flavio Tosi.
Secondo voci ne fa   parte pure il segretario della Lega lombarda Giancarlo Giorgetti e il romagnolo Gianluca Pini. Tutti “amici” del titolare del Viminale.
Un altro snodo del sempre più aspro confronto interno resta Verona.
Qui in primavera si vota per il sindaco.
L`uscente Flavio Tosi, il maroniano che nonostante i divieti continua a sostenere la linea del «molliamo Silvio prima di andare a fondo», è sempre più nel mirino dei super-bossiani.
Vorrebbero impedirgli con tutti i mezzi di presentare alle comunali di Verona una lista con il suo nome: alleata, ma distinta dal Carroccio.
Lo aveva già  fatto nel 2007, e con risultati più che discreti: oltre il 16 per cento, qualcosina in più di Forza Italia e parecchio più della Lega, che si era fermata al 12.
Nei giorni scorsi Bossi, cedendo alle pressioni deifedelissimi, lo aveva pesantemente insultato, salvo poi concedere che non l`avrebbe buttato fuori: Anzi lo aspettava lunedi: il sindaco ribelle è a New York, trasferta istituzionale, e rientrerà  solo mercoledì prossimo.
Ma sulla lista non ha alcun dubbio: la farà , e non importa quel che pensa il Capo.
«È una decìsìone non negoziabile-spiegano i collaboratori di Tosi – e neppure la minaccia di espulsione può fargli cambiare idea».
Cedere, come vogliono quelli del cosiddetto “Cerchio magico” attorno a Bossi, significherebbe rinunciare a raccogliere i voti di chi, anche a sinistra, sarebbe disposto a votare per il sindaco, ma mai per un partito della coalizione. E anche a fare un bel dispetto al Pdl, a cui Tosi è sicuro di sottrarre non pochi consensi con la sua lista.
Questo il clima incandescente che precede l`atteso incontro tra Bossi e il sindaco di Verona.
Clima da resa dei conti, come indica l`ondata di espulsioni che sta interessando soprattutto il Veneto, dove il segretario Gianpaolo Gobbo è ai ferri corti con Tosi, che ha già  vinto vinciali e si prepara a scalare la segreteria della Liga Veneta.
Ad Arzignano, nel Vicentino, sono già  stati cacciati l`assessore all`urbanistica e un consigliere comunale, Umberto Zanella e Guglielmo Dal Ceredo, considerati uomini di Tosi.
Come l`ex assessore provinciale di Venezia Massimiliano Malaspina, il primo a essere espulso.
Che proprio ieri ha denunciato altre 17 «epurazioni» nella sezione di Chioggia.
In alcuni casi di tratta di espulsione, in altri dì declassamento degli “eretici” da militanti a semplici sostenitori.
«La sostanza non cambia-taglia corto Malaspina-il declassamento impedisce di votare ai congressi, è chiaro che Gobbo in questo modo tenta di falsare i risultati».

(da “La Repubblica“)

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“SE LA LEGA VOTA LA PRESCRIZIONE BREVE SARA’ RIVOLTA”: LA BASE PADANA SI ORGANIZZA SU FACEBOOK

Ottobre 23rd, 2011 Riccardo Fucile

I MILITANTI PRONTI A RIUNIRSI A VERONA SE LA LEGA DOVESSE RENDERSI COMPLICE DELL’ENNESIMA LEGGE AD PERSONAM… UNA PAGINA APERTA DA MARTINA FIORE ATTACCA FRONTALMENTE BOSSI, MA DIETRO POTREBBE ESSERCI UN NOME DI PESO, PRONTO A GUIDARE LA FRONDA: FLAVIO TOSI

Se la Lega dovesse votare in parlamento a favore della “prescrizione breve”, i dissidenti del Carroccio sarebbero pronti a venire allo scoperto.
C’è già  un luogo per la riunione, “se lo scempio dovesse essere portato a compimento”: l’hotel Holiday Inn di San Martino Buon Albergo, in provincia di Verona.
Manca solo la data, dettata appunto dall’eventuale voto sul provvedimento che la Commissione giustizia del Senato ha appena dovuto accantonare per l’ostruzionismo dell’opposizione.
Ora il testo potrebbe approdare direttamente in aula.
L’ennesima legge ad personam per salvare Silvio Berlusconi dai suoi guai giudiziari, ma questa volta un sì del Carroccio potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso del malcontento della base.
La rivolta corre su Facebook, nella pagina di Martina Fiore: viso nascosto da maschera in stile Casanova, dito sulle labbra a simulare il silenzio imposto dai vertici del partito a qualunque dissidenza interna.
Ma un rapido giro tra qualche fonte bene informata conferma che dietro lo schermo virtuale c’è una fronda reale.
Che sarebbe ispirata proprio dal sindaco di Verona, Flavio Tosi, portabandiera della rottura con Berlusconi. Il quale tra l’altro non avrebbe alcuna intenzione di dimenticare l’insulto che gli ha rivolto Umberto Bossi (“stronzo”).
“No all’alleanza con Berlusconi”, scrive Martina Fiore in una nota su Facebook, “è un movimento spontaneo che nasce all’interno della Lega nord e che riunisce tutti i leghisti che ne hanno i maroni pieni” di accompagnarsi al Cavaliere.
E il termine “maroni” non può non far pensare al ministro dell’Interno Roberto Maroni, che tra l’altro ieri ha ammesso che sulle divisioni interne alla Lega “qualcosa di vero c’è”.
Continua Martina: “Siamo in maggioranza, siamo tantissimi, ma vogliamo arrivare fino in fondo, quindi onde evitare purghe ed epurazioni da questo momento comunicherò solo attraverso messaggi Facebook”, quelli privati per intenderci.
Infine l’appello: “Tenetevi pronti, qualora fossimo trascinati in ulteriori situazioni che nuociono al futuro della Lega Nord” scatterebbe l’appuntamento all’Holiday Inn.
In primo luogo “se la Lega dovesse votare al Senato a favore della prescrizione breve per salvare Berlusconi dai suoi processi”.
La pagina conta 193 amici e molti commenti favorevoli da diverse città  venete.
Gli ultimi post toccano nel vivo i fallimenti del Grande Capo.
Una foto di Umberto Bossi in cannottiera correda la notizia sulla nomina di Ignazio Visco al vertice di Bankitalia: “Bossi vuole Grilli di Milano, gli rifilano Visco napoletano verace. Che figura, non ne indovina più una”.
E giù riferimenti ad altre vicende imbarazzanti, come i presunti “ministeri” aperti a Monza.
Non ne esce meglio Silvio Berlusconi, quando Martina ironizza sui “valori” espressi dai leghisti che in parlamento hanno votato “per darci a intendere che Berlusconi ha telefonato alla questura di Milano per aiutare Ruby Rubacuori nipote di Mubarak ?”.
O forse di quei valori “egregiamente espressi” salvando Marco Milanese o “Saverio Romano, ministro accusato di collusione con la mafia, dalla sfiducia”.
Infine, un post che prende energicamente le difese di Tosi offeso da Bossi: “Bossi non sopporta più Flavio Tosi, sindaco di Verona,   perchè è apertamente contrario all’alleanza con Berlusconi. Ha ragione Tosi oppure Bossi ? E se continuando di questo passo Tosi se ne va e si porta dietro mezzo Veneto, che fina farà  la Lega di Bossi ? Perchè Bossi si ostina a tenere in piedi questa schifosa alleanza con B. contro la volontà  della stragrande maggioranza della base leghista? Cosa c’è sotto? Affari? Denaro? Cos’è che ci viene nascosto? Che parte ha il cerchio magico in tutto questo?”.

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MANICOMIO LEGA: IL DEPUTATO PADANO POLLEDRI VIENE DEFINITO OMOFOBO DA FERRARI (PD): PENSA CHE GLI ABBIA DATO DELL’OMOSESSUALE E SI SFIORA LA RISSA ALLA CAMERA

Ottobre 21st, 2011 Riccardo Fucile

IL LEGHISTA DIVENTA LO ZIMBELLO DEL WEB… POLLEDRI DIVENTA MITICO QUANDO URLA: “VIGLIACCO, IO NON SONO MALATO”…E SE IL MALATO FOSSE LUI?

Rissa sfiorata, alla Camera, per colpa di Twitter.
Il social network irrompe nell’aula di Montecitorio: il leghista Massimo Polledri, offeso da un tweet del deputato democratico Pierangelo Ferrari, che gli dava dell'”omofobo”, arriva quasi ad aggredire il parlamentare dell’opposizione.
“Io non sono malato”, gli ha urlato contro Polledri.
Una vera e propria esplosione di rabbia, che, però, potrebbe essere frutto di un fraintendimento.
O di ignoranza, secondo le voci del web.
Per alcuni, infatti, Polledri avrebbe scambiato il termine di “omofobo” con quello di “omosessuale”: quanto è bastato per farlo sentire “malato” (secondo un’errata e, per fortuna, superata concezione dell’omosessualità ).
La frase incriminata viene lanciata in rete poco dopo le dodici di ieri, mentre alla Camera si discute la ratifica di un trattato internazionale.
Il tweet è accompagnato dall’hashtag “opencamera”, creato nello scorso mese di luglio dal democratico Andrea Sarubbi, insieme all’utente Tigella, per raccontare, seduta per seduta, le attività  della Camera.
Polledri aveva appena finito, nel suo intervento, di attaccare la Bce, quando Ferrari scrive: “L’on Polledri, Lega, ultracattolico e omofobo, interviene attaccando la Bce. Nel nome di CrediNord, la banca leghista fallita”.
“Una critica legittima – osserva Ferrari, interpellato telefonicamente – che, sinceramente, mi è sembrata doverosa, ricordando anche la sua posizione imbarazzante contro la legge sull’omofobia”.
Poco dopo aver terminato il suo intervento, però, Polledri si alza dal suo scranno, e si dirige a passo spedito verso i banchi dell’opposizione.
“Vigliacco, io non sono malato, tu non puoi dire quelle cose”, inizia ad urlare, mentre Emanuele Fiano (Pd) si alza e cerca subito di bloccarlo.
Impresa che gli riesce, grazie anche al suo metro e 94 centimetri di altezza.
Giovanna Melandri assiste alla scena, sorpresa per una reazione che, anche a distanza di ore dai fatti, appare ancora incomprensibile ai più.
Il tutto viene raccontato, in diretta, da Sarubbi ai suoi quasi cinquemila follower, che rilanciano immediatamente la notizia.
Chi assiste alla scena parla di una persona “fuori controllo, che ha perso la testa”.
Su Twitter partono le congetture su quello che potrebbe aver capito Polledri, anche se il giudizio della maggior parte degli utenti sul comportamento del leghista è spietato. Mariop89 non ha dubbi: “E’ scandaloso che Polledri pensa che omofobo significa omosessuale. Quanta ignoranza in parlamento”.
Simontemplar84 si chiede se “Polledri abbia fatto almeno le elementari”.
Jane_lane è meravigliata: “Sono perplessa più dal fatto che per Polledri omosessualità =malattia, piuttosto che per la sua confusione omofobo=omosessuale”. “Polledri non è omofobo, è omologo di un ignorante”, attacca Byebyepapi.
Interviene anche il deputato Guido Melis, sempre del Pd: “Omofobia: paura irrazionale nei confronti dell’omosessualità . Non coincide con omosessuale, spiegatelo all’on Polledri”.
Un’ipotesi che circola tra gli utenti dei sito è che Polledri, che non usa Twitter, sia stato male informato dal suo ufficio stampa o da qualche altro collega leghista. “Qualcuno deve avergli riferito, magari in maniera non corretta, il tweet di Ferrari”, suggerisce il 39enne romano Sarubbi che, intanto, su Twitter, continua a spiegare in inglese la lite ai colleghi politici stranieri, stupiti dalla reazione del leghista.
La sua creatura, “opencamera”, dopo una partenza quasi in solitaria, è riuscita a far entrare in maniera dirompente Twitter a Montecitorio e, subito dopo, a trasferire quella quasi-rissa sulle pagine virtuali del sito di microblogging.
“Questa è una notizia. Lite in Aula per un tweet di #opencamera . L’Italia cambia, ragazzi”, scrive fiero nel pomeriggio.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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CARABINIERI, PROTESTA SENZA PRECEDENTI: ” BASTA BELLE PAROLE E RINGRAZIAMENTI IPOCRITI”

Ottobre 20th, 2011 Riccardo Fucile

IL COCER: “SIAMO STANCHI DI SUBIRE LE IMPOSIZIONI DI UN GOVERNO CHE CONTINUA A PENALIZZARCI ECONOMICAMENTE PER GIUSTIFICARE I PROPRI SPRECHI”… CI VOLEVA IL GOVERNO PATACCA FORZA-LEGHISTA PER SPUTTANARE LA VERA DESTRA SOCIALE ANCHE CON LE FORZE DELL’ORDINE

Tagli e botte in piazza: dopo la protesta di piazza dei poliziotti alla quale s’erano associati i militari dell’esercito, arriva quella, a sorpresa, dei carabinieri, che in un comunicato del Cocer attaccano la casta, il governo e il premier.
Non era mai successo a un esecutivo di suscitare la contemporanea protesta di polizia, carabinieri ed esercito per i tagli a sicurezza e difesa.
Anche l’Arma ora non ci sta più, i militari sono “stufi”.
Rompono il loro consueto silenzio.
E, soprattutto, la tradizione che li vuole non solo nei secoli fedeli, ma sempre rispettosi soprattutto nei toni nei confronti del governo che, di recente, li ha elevati a rango di quarta Forza Armata.
Va detto che l’Arma dipende un po’ dalla Difesa (polizia militare), un po’ dall’Interno (ordine pubblico), un po’ dalla Salute (Nas), un po’ dall’Ambiente (Noe), un po’ dai Beni culturali (Nucleo patrimonio artistico), un po’ da Palazzo Chigi.
Senza contare che dai loro ranghi proviene uno dei tre direttori dei servizi segreti, il generale Giorgio Piccirillo (Aisi).
Ma il combinato disposto dei tagli alle risorse della sicurezza e del lavoro massacrante al quale sono stati sottoposti a Roma sabato scorso, li ha esasperati.
La preoccupazione per la manifestazione No-Tav di domenica in Val di Susa (“auspichiamo – dicono – che sia garantita “in primis” l’incolumità  del personale in divisa”), ha fatto esplodere tutta la loro rabbia finora compressa nelle caserme.
E hanno deciso di uscire allo scoperto per “urlare”, per usare le parole di un alto ufficiale dell’Arma, il loro “grido di allarme”.
I militari, si sa, non hanno facoltà  di esprimere dissenso, nè, tantomeno, di protestare pubblicamente.
Questo compito è demandato dunque al loro unico organo di rappresentanza, il Cocer, una sorta di sindacato democraticamente eletto.
È questo organo di rappresentanza a esprimere “umore e preoccupazione” per quanto sta avvenendo.
Lo fa, forse per la prima volta nella storia dell’Arma, con un linguaggio forte e con toni antipolitici e antigovernativi stile sindacati di polizia, forse anche per appagare in qualche modo la protesta che proviene dal basso da una base di carabinieri e sottufficiali che non sono più disposti a incassare botte “per sette euro all’ora”.
“Il governo – accusa il Cocer carabinieri in polemica, senza però mai citarlo, con il ministro della Difesa Ignazio La Russa – taglia sulla sicurezza, ma non si dimentica di finanziare la festa delle Forze Armate del prossimo 4 novembre”.
“È questo – continua – un governo impegnato a salvaguardare l’apparenza più che la sostanza: si sa, le foto ricordo durante queste manifestazioni possono valere più di cento parole, facendo percepire agli ignari cittadini una vicinanza al comparto sicurezza e difesa, di fatto inesistente! Con i tagli alle spese dell’ordine e sicurezza pubblica, il governo ha infatti dimostrato tutti i limiti della sua azione”.
Ecco il j’accuse alla casta.
“Alla nostra classe politica – sostiene la rappresentaza militare – non interessa che durante questi servizi il Carabiniere il più delle volte non mangi, oppure lavori dodici ore continuative senza percepire straordinario e in condizioni a dir poco aberranti come ampiamente hanno dimostrato le immagini dei violenti scontri di piazza. A loro interessa solo tagliare le spese per questi servizi. Siamo nel pieno ciclone alimentato da una classe politica che pensa più che a salvaguardare, ad aumentare i propri privilegi”.
“Ci chiediamo – è l’affondo rivolto polemicamente in questo caso al ministro dell’Economia Giulio Tremonti – quali spese verranno tolte dal bilancio statale, visto che siamo già  altamente maltrattati”.
Ed ecco l’attacco frontale al governo. “I Carabinieri sono stanchi di sottacere e di subire le imposizioni di un governo che continua imperterrito a penalizzarli economicamente per giustificare i propri sprechi (auto blu con scorta, autisti/maggiordomi, segretari, vigilanze) e che continua a chieder loro sacrifici economici”.
“Oggi – continua la protesta – abbiamo un dato di fatto oggettivo: la sicurezza per l’italiano è gravemente compromessa. Garantire sicurezza, per i Carabinieri vuol dire lavorare gratis, per i nostri amabili parlamentari vuol dire aumento di servizi di esclusiva utilità  gratuiti perchè pagati con i sacrifici dei cittadini tutti e con i tagli ai servitori dello Stato garanti dell’ordine e della sicurezza pubblica”.
Ce n’è anche per il premier: “Qualcuno – attacca il Cocer – spieghi al presidente del Consiglio il significato dei sacrifici che il Carabiniere fa per garantire la giustizia sociale ed i diritti del cittadino. I Carabinieri rimandano al governo le belle parole ed i ringraziamenti ipocriti”.
Il malessere serpeggia fra le forze dell’ordine.
Martedì i sindacati di polizia di tutto l’arco costituzionale hanno protestato in piazza contro il ministro dell’Interno Roberto Maroni che riferiva al Senato sulla guerriglia di sabato.
Nella stessa giornata il Cocer Esercito solidarizzava (anche questo, senza quasi precendenti), con la manifestazione dei poliziotti.
“I tagli all’Esercito – denuncia il suo Cocer – la componente più impegnata nelle missioni all’estero, incidono sulla protezione e sulla sicurezza del personale. E stanno facendo vertiginosamente decadere la qualità  della vita nelle caserme”.

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CHI E “STRONZO” E CHI NO: “FLAVIO HA UN GRANDE SEGUITO NEL PARTITO SE LO BUTTANO FUORI VIENE GIU’ IL MONDO”

Ottobre 20th, 2011 Riccardo Fucile

IL SINDACO LEGHISTA DI VARESE, ATTILIO FONTANA, DIFENDE TOSI E RILANCIA: “HO IL DIRITTO DI DIRE COME LA PENSO SULLE MISURE DEL GOVERNO”

In mattinata Attilio Fontana, sindaco leghista di Varese e “fratello gemello” di quel Tosi sul quale è piombato l`anatema di Bossi, ha sfidato il suo partito facendosi rieleggere presidente lombardo dell`Anci, l`organismo che raggruppa i Comuni e dal quale Fontana era stato costretto a dimettersi per ordine degli stati maggiori del Carroccio.
E in serata scuote la testa di fronte alla fatva del Capo.
Il suo collega di Verona, maroniano come lei, ora rischia davvero l`espulsione…
«Sono sicuro che i giornalisti hanno sbagliato a riportare le parole di Bossi».
Suvvia, sindaco…
«Va bene, e allora le dico esattamente quel che penso: Tosi è uno dei nostri uomini migliori, non posso che esprimergli tutta la mia solidarietà ».
Lo butteranno fuori davvero?
«Sembra di sì. Ma se succede una cosa del genere, vien giù il mondo».
Immagina una rivolta nella Lega?
«L`ho detto: Flavio ha un grande seguito nel movimento, tra l`altro è tra i sindaci più apprezzati».
Se lo espellessero lei che cosa farebbe?
«Valuterei con grande attenzione il da farsi. Mi sembra impossibile che possa accadere».
A lanciare scomuniche adesso ci si mette pure Renzo Bossi…
«Non mi sento minimamente coinvolto dalle sue parole. Non ho mai pensato di criticare ciò che dice il segretario federale. Dunque l`invito ad andare in un altro partito non vale per me».
Sicuro?
«Al cento per cento».
Certo che per l a Lega non è un bel momento…
«Bisognerebbe chiederlo a chi dice di andare via. In ogni caso, da sindaco, io rivendico il diritto di dire come la penso sui provvedimenti che riguardano i miei amministrati. Sarebbe offensivo, innanzitutto per la Lega, avere degli eletti nelle istituzioni che non esprimono pareri su questioni fondamentali».
Lei lo ha fatto sulla manovra targata Tremonti, l`hanno costretta a disertare la manifestazione di settembre dell`Anci e quindi a dimettersi dalla presidenza lombarda…
«I motivi di quelle dimissioni li ho appena spiegati ai miei colleghi: era per evitare che in qualche modo si potesse comprimere l`autonomia dell`Anci. Se fosso rimasto, e avessi preso decisioni difformi da quelle già  espresse dall`associazione sulla manovra, avrei fatto un grande errore».
Acqua passata…
«Già . Ieri, l`assemblea lombarda dell`Anci mi ha ribadito la sua fiducia, e io ho dato la mia disponibilità  a riassumere l`incarico di presidente. Riprenderò a lavorare con la stessa determinazione, ora ci sono tutte le condizioni. Lo strappo è stato ricucito, c`è stata grande compattezza e io sono molto felice».
Forse si apriranno altri strappi con la Lega, il suo partito. Ricorda che cosa urlò Calderoli dal palco di Venezia? Voi sindaci con il mal di pancia polvere foste e polvere ritornerete…
«Non ho mai detto di non sentirmi polvere, e in ogni caso quella frase, prima di Calderoli, l`ha pronunciata qualcuno ben più importante di lui. Lo so anch`io: siamo tutti lì grazie alla Lega…
Però?
«Un membro del movimento, soprattutto se sindaco, può benissimo dire qualcosa non contro la Lega, ma contro scelte politiche che non condivide. Se così non fosse, sarebbe inutile avere sindaci, presidenti di Provincia e di Regione».
E i «fascisti» al congresso di Varese?
«È stato lo stesso Bossi, a un certo punto, a dire che bisognava votare per il segretario. Sarebbe stato molto meglio per tutti».

(da “La Repubblica“)

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LA FESTA APPENA COMINCIATA E’ GIA’ FINITA: IL TRIBUNALE DI ROMA CANCELLA I MINISTERI PATACCA DEL NORD

Ottobre 20th, 2011 Riccardo Fucile

ACCOLTO IL RICORSO DEI SINDACATI: ANNULLATI GLI EFFETTI DEI DECRETI PER CONDOTTA ANTISINDACALE

Il tribunale di Roma ha bocciato i ministeri leghisti di Monza.
Non c’è proprio pace per Umberto Bossi e i suoi, a cui forse in questi giorni bastavano le divisioni interne che stanno lacerando il Carroccio.
Nelle scorse ore, come risulta dai documenti in possesso dell’Adnkronos, il Tribunale di Roma ha annullato gli effetti dei decreti che istituivano le sedi periferiche dei ministeri a Monza.
Il colpo di spugna sulle sedi di rappresentanza di villa Reale, porta la firma del giudice Anna Baroncini, ed è stato motivato con la condotta antisindacale.
Il ricorso era stato infatti promosso dai sindacati della presidenza del Consiglio che avevano appreso dell’istituzione delle sedi a Monza “dai giornali e dai tg — come spiega Alfredo Macrì, presidente del consiglio direttivo del Sipre (Sindacato indipendente della Presidenza del Consiglio dei ministri) -.
La decisione era stata adottata e portata avanti senza coinvolgere le organizzazioni sindacali o attivando, come previsto dalla legge, informazione preventiva e concertazione prima di procedere al taglio del nastro”.
Ora un decreto del giudice del lavoro, depositato oggi, annulla gli effetti dei provvedimenti “stabilendo la chiusura — sottolinea Macrì — delle sedi periferiche affidate ai ministri Bossi e Calderoli”, rispettivamente “un dipartimento e una struttura di missione”.
Condannando per di più la presidenza del Consiglio al pagamento di un terzo delle spese legali.
La sentenza, in realtà , si limita ad annullare gli effetti dei provvedimenti che sono stati adottati con condotta antisindacale.
“Di fatto — precisa Macrì — le sedi periferiche cessano di essere strutture della presidenza del Consiglio. Noi — puntualizza — ci eravamo spinti più in là , chiedendo l’annullamento dei decreti istitutivi. Ma questo tipo di decisione è stato rinviato al giudice amministrativo. Tuttavia, la sentenza depositata oggi ci dà  ragione e rende inagibili le sedi di Monza”.
Una vera tegola sulla testa del Carroccio, ai minimi storici in fatto di credibilità .
L’apertura della sede di villa Reale era stata annunciata come un vero e proprio trasferimento dei ministeri, tanto da scatenare reazioni delle massime cariche dello Stato.
L’operazione era stata seguita da una raccolta firme lanciata sul sacro suolo di Pontida.
Poi è arrivata l’inaugurazione e a settembre gli uffici sono diventati operativi. È lì che si è scoperto il bluff. Di fronte agli uffici vuoti il ministro
Calderoli si era giustificato spiegando che si trattava in realtà  di “sedi distaccate” e, in ultima istanza, dopo la visita di alcuni esponenti del Partito democratico brianzolo, i ministeri sono stati declassati a semplici “uffici di rappresentanza”.
Sembrava che più in basso di così non si potesse cadere, invece il giudice di Roma ha sentenziato diversamente.
“Se decideranno di ignorare questa pronuncia e continueranno ad avvalersene siamo pronti a ricorrere anche al giudice amministrativo. Siamo stufi di regole che vengono puntualmente disattese, non ne possiamo più”, avverte poi Alfredo Macrì, che conclude esprimendo soddisfazione “per il risultato ottenuto in un periodo in cui tutto il pubblico impiego è fatto oggetto di provvedimenti legislativi discriminatori e di svariati attacchi denigratori anche da parte di autorevoli membri del governo”.

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