Ottobre 13th, 2011 Riccardo Fucile
IL DISCORSO MAI LETTO DEL SEGR. PROV. USCENTE STEFANO CANDIANI, MARONIANO DOC, E’ STATO TAGLIATO PER TIMORE DI POLEMICHE… “ABBIAMO MANDATO PER ROMPERE IL SISTEMA, NON PER MANTENERLO”
“Non vogliamo tenere in piedi un’Italia cotta e decotta, corrotta e puttaniera che sfrutta il
lavoro dei padani! Noi non abbiamo nulla da spartire con questa gente e con questa idea di politica”. Eccolo qui il discorso che i delegati del congresso leghista di domenica a Varese non hanno potuto ascoltare.
Ed è un discorso pesante.
Perchè non avrebbe dovuto pronunciarlo un iscritto qualsiasi, ma il segretario provinciale uscente, Stefano Candiani.
E invece niente. Quelle parole che ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere, non le ha ascoltate nessuno.
Perchè, per ordine di Umberto Bossi, il presidente dell’assemblea Andrea Gibelli, ha chiuso la porta al dibattito.
E al posto di Candiani (maroniano doc) è stato imposto — senza votare — il bossiano Maurilio Canton.
Così le parole del segretario uscente diventano il simbolo della spaccatura feroce che divide il Carroccio proprio nella terra che lo ha visto nascere.
Sui contenuti dell’intervento, il segretario uscente minimizza: “Nulla di devastante, solo espressioni di affetto. Non ci sono proclami rivoluzionari”.
In realtà , dalla lettera emergono con chiarezza le differenze di vedute tra maroniani e bossiani (ad esempio quando Candiani scrive: “Tre anni fa fui eletto segretario, quella volta, sì, per acclamazione…”).
E il mal di pancia della base leghista e di molti dirigenti viene fuori in diversi passaggi.
Scrive Candiani: “Noi abbiamo chiesto il mandato ai cittadini per cambiare il sistema, per romperlo e non per mantenerlo”.
L’insofferenza verso la situazione interna del partito è un ritornello che ricorre in diversi passaggi del discorso mai pronunciato: “È evidente a tutti che se oggi siamo a congresso con un unico candidato è solo per rispetto e fedeltà nei confronti di Umberto Bossi. Ma è anche evidente che questa non è una scelta che rispetta e compatta i militanti, cosa di cui ci sarebbe invece molto bisogno”.
La scelta di negare la parola a Candiani ha certamente contribuito ad alimentare quel sentimento di rancore covato dalla gran parte dei delegati del lungo l’arco di una mattinata estremamente tesa, sfociata poi nella più aspra manifestazione di dissenso mai partorita dal partito più bulgaro della Seconda Repubblica.
Contro un leader, Bossi, finora considerato intoccabile quantomeno nei suoi territori.
Il vecchio segretario è stato costretto a battere in ritirata apostrofando come “fascisti dell’Msi” i suoi compagni di partito che lo contestavano.
Ma soprattutto la novità sta nel fatto che i “dissidenti” non sono stati zittiti — come sarebbe accaduto fino a pochi mesi fa — dalla maggioranza dei delegati.
Anche se si è evitata la votazione, è parso evidente a tutti che il leader non rappresenta l’unità , e probabilmente nemmeno la maggioranza, del suo partito.
“Oltre a me — dice ancora Candiani — avrebbero voluto e dovuto parlare in molti, altrimenti che congresso è?”.
Ma oltre al contenuto dell’intervento, alla luce dei fatti è rimasto qualcosa di non detto?
“Certo sono mancate la voce e il voto della base, che deve sempre avere la possibilità di esprimersi”.
Nelle ore della rabbia sono stati in molti a esporsi con affermazioni fino ad oggi inimmaginabili da parte di un tesserato leghista.
Arriveranno altre prese di posizione da parte dei militanti? “Per quanto mi riguarda no, non vogliamo fare danno alla Lega, dobbiamo pensare a tenere unita la base”.
Unita sì, ma attorno a cosa?
Le parole di Candiani non sembrano essere molto rassicuranti per il neo segretario, il bossiano Maurilio Canton. A lui toccherà il difficile compito di gestire il partito nella terra di Bossi e Maroni, di Giorgetti e Reguzzoni, ma come farà a lavorare senza il sostegno della base?
“È una cosa impossibile da immaginare — dice Candiani -. Se non c’è la base non c’è il segretario, se vorrà guidare il partito in provincia di Varese Canton dovrà guadagnarsi il rispetto dei militanti”.
E a giudicare dalle prime reazioni e dopo lo striscione “Canton segretario di nessuno”, per lui la strada sembra decisamente in salita. Ma per Bossi, d’ora in poi, lo sarà ancora di più.
Intanto i vertici del partito si sono dati appuntamento in via Bellerio da dove non è arrivata — ufficialmente — alcuna reazione all’onda anomala del dissenso varesino.
Bossi, Calderoli, il segretario della Lega lombarda Giorgetti, i capigruppo alla Camera e al Senato Reguzzoni e Bricolo, il presidente della Regione Piemonte Cota e il Trota, Renzo Bossi, si sono chiusi nella sede federale.
Bocche cucite, clima teso e facce scure.
Li ha raggiunti anche il ministro dell’economia Giulio Tremonti che si è intrattenuto con loro per un’ora.
Ufficialmente si è parlato delle misure da inserire nel decreto sviluppo, ma non è stato fornito alcun dettaglio sui contenuti della riunione.
Alessandro Madron
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 12th, 2011 Riccardo Fucile
MALESSERE TRA I DEPUTATI: NEL MIRINO “TERRA INSUBRE”, ASSOCIAZIONE ERETICA
Il devastante congresso della Lega varesina di domenica scorsa potrebbe essere per il
Carroccio il punto da cui non si ritorna.
La poco oculata regia dell’assise ha messo Umberto Bossi in grave difficoltà a casa sua, costringendolo a un atto d’imperio su cui molto si elucubra in tutte le federazioni provinciali.
E c’è già chi parla della necessita di «fare network», di organizzarsi e studiare il modo per evitare che quanto è accaduto a Varese possa ripetersi in casa propria: ormai, il gruppo intorno a Umberto Bossi, il cui simbolo è diventato il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, è vissuto come un avversario da abbattere o da cui essere abbattuti.
Non solo.
La piega presa dal movimento rischia di determinare amare sorprese anche alla Camera. Dove un buon numero di parlamentari potrebbe decidere di modulare il proprio voto con l’obiettivo di dare bruschi segnali al partito.
Una tentazione moltiplicata all’ennesima potenza dal fatto che il capogruppo a Montecitorio è lo stesso Reguzzoni.
La logica che rischia di prender piede in ampie fasce del movimento è un inquietante «tanto peggio, tanto meglio».
Così illustrata da un parlamentare: «Qui rischia di venir giù tutto. Perchè molti pensano che con questa Lega non potranno avere futuro: sul territorio saranno epurati, e dalle liste elettorali saranno cancellati».
E del resto, su Varese, i primi atti del neosegretario Maurilio Canton sembrano fatti apposta per gettare benzina sul fuoco.
In tutte le sezioni, ieri, è stata recapitata la delibera varata nel 2010 dal consiglio federale che sancisce l’incompatibilità tra la tessera del Carroccio e quella di Terra Insubre, l’associazione che si occupa del passato celtico dell’area pedemontana in cui si riconosceva la stragrande maggioranza della Lega varesina e oggi in dura contrapposizione con l’area di Reguzzoni.
Il documento è arrivato senza alcuna lettera di accompagnamento o altre indicazioni. Cosa che ha consentito a un segretario di sezione di definirla «alla stregua di una pallottola in una busta».
E pazienza se lo stesso Umberto Bossi, nel congresso dei disastri, abbia invitato Canton a governare «con l’affetto e non con il comando. Perchè la gente ti vuol bene se vede che tu gli vuoi bene».
In definitiva, il problema è proprio Umberto Bossi.
Perchè i moltissimi oppositori del nuovo corso leghista sono divisi su un punto soltanto. C’è chi dice che «il capo» presto o tardi si accorgerà di quanto sta accadendo al movimento.
E c’è chi invece, da domenica, sostiene che è ormai tutto chiaro: «Il problema non è più il cerchio magico e coloro che stanno intorno al capo. Il problema è che lui, e il congresso lo ha dimostrato, non vuole vedere le cose. Rifiuta di prendere atto della realtà ».
E aggiunge ciò che fino a pochi mesi fa non avrebbe mai aggiunto: «Forse, è venuto davvero il momento di un congresso federale».
Quello che potrebbe eleggere un segretario diverso da Umberto Bossi.
Ieri, il capo padano è stato in via Bellerio in compagnia di Giulio Tremonti.
Qualcuno racconta che abbiano parlato del futuro governatore di Bankitalia.
Molti, invece, son convinti che la visita del super ministro all’Economia sia semplicemente un segnale per Silvio Berlusconi riguardo alla solidità del vecchio «asse del nord» tra i due ministri.
«Sempre – aggiunge un dirigente – che una Lega che nei sondaggi vale il 5% sia ancora funzionale a Silvio Berlusconi».
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Ottobre 11th, 2011 Riccardo Fucile
DA VARESE ESPLODE LA PROTESTA DOPO L’IMPOSIZIONE FARSA DI UN CANDIDATO UNICO AL CONGRESSO…IL CARROCCIO STA DERAGLIANDO ED E’ QUOTATO INTORNO ALL’8%
“Qui la Lega di Bossi è nata e qui Bossi l’ha condannata a morte”.
A Varese, nella sede numero uno del Carroccio, i telefoni squillano a vuoto.
I militanti che fino a domenica per vent’anni hanno tenuto in vita il partito, dalle feste ai comizi, cominciano a disertare.
“à‰ la reazione naturale al Soviet, al madornale errore commesso dal Capo”, spiega con assoluta disinvoltura Giulio Moroni, capogruppo del Carroccio in Comune a Varese. Parole che nel Carroccio garantiscono l’immediata espulsione.
Lui lo sa, ma garantisce: “Non mi interessa. Perchè “se non cambiamo qualcosa, la nostra Lega è destinata a morire”.
Come lui la pensano i vertici locali del partito e, soprattutto, i militanti, la famosa base. Quella che da mesi critica il Capo perchè continua a sostenere Silvio Berlusconi.
La base che vuole Roberto Maroni leader: lo ha chiesto a Pontida, gridato a Venezia e ribadito in ogni occasione utile.
Per questo il congresso di Varese era un passaggio cruciale. “Qui l’unico dirigente che la gente salva è Maroni”.
E domenica i circa trecento delegati al congresso per eleggere il segretario provinciale volevano esprimere il loro voto “proprio per contarsi”, prosegue Moroni.
“E invece Bossi lo ha vietato. Prima ha costretto uno dei due candidati a ritirarsi, poi ha preteso la nomina per acclamazione dello sconosciuto Canton, infine lo ha imposto tra le grida dei presenti”, ricostruisce Moroni.
“Una prova di forza inutile e controproducente, Varese ora si aggiunge ai territori che non sono più con Bossi”.
Bergamo, ad esempio.
E ormai tutto il Veneto. A Belluno la scorsa estate il Senatùr è stato costretto ad annullare i comizi per evitare le contestazioni dei dirigenti locali del Carroccio, come a Ponte di Legno.
Mentre a Verona ancora non è riuscito a far cacciare dal partito il sindaco Flavio Tosi, additato da Roberto Calderoli e dal cerchio magico alla stregua di un sovversivo.
Lui resiste.
Mentre il primo cittadino di Varese, il supermaroniano Attilio Fontana, è caduto sul campo colpevole di essersi schierato contro i tagli del governo agli enti locali e costretto al silenzio.
Il suo commento su quanto accaduto domenica è emblematico del clima di terrore che il cerchio magico sta cercando di diffondere nel partito: “Ufficialmente dico è andato tutto molto bene, la Lega è unita come sempre”.
Dichiarazione che stride talmente con la realtà da dover essere letta al contrario. Ma a Fontana è stato imposto il Bavaglio, che negli ultimi mesi via Bellerio usa con estrema disinvoltura.
I forum dei siti ufficiali del partito sono chiusi ormai da aprile, mentre ieri a Radio Padania, per la prima volta nella storia dell’emittente del Carroccio, è stato messo il silenziatore anche ai microfoni: vietato parlare della nomina di Maurilio Canton.
Un perfetto sconosciuto al partito.
à‰ stato eletto sindaco di Cadrezzate in una lista civica, senza neanche il simbolo della Lega.
Mai striscione è stato più vero di quello esposto ieri davanti alla sede provinciale del Carroccio: “Canton segretario di chi? Di nessuno”.
Lo conferma anche Gianluigi Lazzarini, 66enne tessera numero quattro del partito qui a Varese.
Uno che ha cresciuto Bossi e Manuela Marrone, che qui è stata iscritta fino al 2010. Insomma Lazzarini, oggi maroniano moderato e convinto critico del cerchio magico, l’universo leghista lo conosce bene.
Ma non Canton. “Non so neanche che faccia abbia”, ammette.
“Quando lo hanno candidato ho chiesto da dove usciva, chi era; mi hanno risposto che era nel partito da vent’anni. Sarà , io ci sono da vent’anni e non l’ho mai visto, si vede che sono distratto io”, afferma Lazzarini.
L’ha visto domenica per la prima volta e “non mi è piaciuto perchè non ha neanche avuto le palle di salire sul palco a parlare”.
Alle agenzie ha invece detto di essere stato scelto da Bossi. “Ed è la verità infatti”, aggiunge Lazzarini.
Canton “s’è preso la nomina ed è scappato dal congresso, per me non ha alcuna referenza per fare il segretario provinciale”.
Domenica “è stato brutto, la Lega non è questa. È assurdo, siamo ridotti a lottare per avere un minimo di libertà nel partito. Adesso abbiamo idee bellicose, quindi aspettiamo un paio di giorni per analizzare quanto accaduto, oggi sarebbe guerra”.
Contro Bossi, ovviamente. Che secondo Lazzarini “ha usato parole non sue ed è stato consigliato male”.
Lui, da vecchio militante, il Capo non riesce ancora a criticarlo. Se la prende con Rosi Mauro, Marco Reguzzoni, Giancarlo Giorgetti.
Con quanti, “e lo dico con estremo e profondo dispiacere, lo stanno usando”.
La conseguenza, anche secondo Lazzarini, “sarà la morte della nostra Lega, i militanti non hanno più voglia di impegnarsi, siamo stanchi e aspettiamo”.
Maroni? “Certo, sì”, ammette.
Perchè qui è nata la Lega vent’anni fa e qui è nata la corrente maroniana. Era l’estate del 2010. Quando in piazza del Podestà Maroni passeggiò sottobraccio ad Andrea Mascetti, il fondatore di Terra Insubre cacciato il giorno prima da Bossi durante il comizio sul sacro prato di Pontida.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 10th, 2011 Riccardo Fucile
FORTI MALUMORI E TENSIONE PALPABILE ALL’ASSISE… BOSSI FISCHIATO: “HO PORTATO I FIGLI NELLA LEGA, HANNO AVUTO GRAVI DIFFICOLTA’ NELLA VITA”
«Per il bene della Lega, dichiaro Maurilio Canton segretario…».
Andrea Gibelli, negli scomodissimi panni di presidente dell’assemblea, non riesce a finire la frase.
Perchè la platea del congresso varesino esplode in un coro duro, insistito: «Voto, voto, voto».
L’inimmaginabile accade, l’inaudito si verifica: Umberto Bossi è contestato apertamente nella sua Varese, culla del movimento e cuore di Padania.
Il capo minimizza: «Ho visto in seconda, terza fila dei fascisti…».
Ma difficilmente ricorderà il congresso provinciale di ieri come una tra le pagine migliori del Carroccio: addirittura, tra alcuni militanti si arriva al contatto fisico.
E se la rissa, sfiorata, non esplode, di certo un partito sotto choc ha poco da festeggiare.
Sono in molti coloro che sottoscriverebbero l’amarezza del sindaco di Castronno varesino, Mario De Micheli, all’uscita dal congresso: «È il giorno più brutto da quando sono in Lega».
Un delegato esce a grandi passi dal congresso: «La tessera, questa volta, la brucio».
Alla fine, certo, Umberto Bossi porta a casa il risultato.
Riesce a far nominare il segretario da lui prescelto per Varese.
Eppure, non può farlo votare: Maurilio Canton viene «dichiarato».
Perchè è Bossi il primo a rendersi conto dei rischi e chiede a Gibelli, appunto, di non mettere ai voti l’indicazione.
Non solo. Il «non eletto», come già lo chiamano gli avversari, si aggiudica un record: è probabilmente il primo segretario politico nella storia dell’Occidente a non pronunciare nemmeno una sillaba durante il congresso che lo elegge.
Troppo alto il rischio di nuove contestazioni. Non avrà di che annoiarsi.
Per il consiglio direttivo, infatti, il voto c’è stato: il suo gruppo, quello dei vicini a Marco Reguzzoni, si aggiudica soltanto tre dei nove eletti (tra cui la sorella del capo dei deputati).
Il congresso parte subito in salita.
Domenica scorsa, Umberto Bossi aveva indicato come segretario in pectore Maurilio Canton, il sindaco di Cadrezzate.
Venerdì scorso, il segretario lombardo Giancarlo Giorgetti era riuscito a persuadere i due candidati alternativi a ritirarsi.
Ma il movimento, persino nella sua culla, è troppo diviso.
E allora, i primi interventi al congresso sono di fuoco. Stefano Gualandris, capogruppo in Provincia, distingue tra autorità e autorevolezza.
Certo, quella di Umberto Bossi è pacifica: «Sei il capo indiscusso e lo sei sempre stato. Oggi però in questo congresso quell’aura del Bossi autorevole non l’ho percepita».
Poi tocca a un altro militante: «In questo congresso c’è qualcosa che non quadra. Questa non è la Lega».
Troppi «nepotismi», troppi «amici degli amici».
Ma il più duro di tutti è un sindaco.
Richiama un ricorrente discorso di Bossi sulle «tre “c” necessarie alla politica: cervello, cuore e cogl…».
Eppure, prosegue, «non vedo nessuno di questi elementi. Vedo piccole lobby interne che portano avanti interessi di bottega».
Il sindaco osa ancora di più: «Non ho capito perchè sia Canton il candidato. Tutti in giro dicono «Canton chi?».
Sempre più spietato: «Bossi ci ha insegnato la distinzione tra capi e capetti. I capi uniscono, i capetti dividono. Secondo me, Bossi ha intorno troppi capetti».
Poi, un invito pesante. Quello che probabilmente spinge Bossi a rinunciare a far votare il suo candidato: «Scrivete Umberto Bossi sulla scheda. Perchè è per lui che si fa questo».
Gran finale con citazione di Jim Morrison: «Meglio alzarsi e morire che vivere strisciando».
Gibelli vede la mala parata, chiude le iscrizioni a parlare, e mette al voto il direttivo tra le proteste dei delegati che vogliono votare anche il segretario.
Come peraltro prevede una risoluzione del consiglio federale del marzo scorso.
Ma finalmente, il vicepresidente della Lombardia può asciugarsi il sudore, tocca a Umberto Bossi. «I maroniani non ci sono, aveva ragione Roberto – esordisce -. La verità è che i burattinai di tutto questo casino sono i giornalisti».
Poi, il leader spiega le ragioni di una scelta: «Meno male che alla fine si è trovata una via. Canton non era nel vecchio gruppo di Varese, è come spalancare la finestra per fare entrare aria fresca».
Di più: «Il nuovo segretario deve far entrare le associazioni nelle sezioni, rompere la continuità , dare nuove energie».
Poi, il mea culpa: «Si doveva intervenire prima, non lasciar peggiorare la situazione come è peggiorata».
Quindi, partono le accuse alla precedente gestione: «Pensate che i miei figli non ottenevano la tessera della Lega. Io li ho allevati per essere leghisti, li portavo con me alle feste. Anche se, per questo, loro hanno avuto gravi difficoltà nella vita».
Esilarante.
Arriva l’appello a stare con i militanti: «Voglio i parlamentari tutti i lunedì nelle sedi della Lega».
Bossi torna su Maroni: «Leggevo sui giornali dei maroniani, ma io sapevo che non ci sono. Io e lui siamo amici. Lui era uno di quelli che c’era all’inizio. In consiglio dei ministri ci basta un’occhiata».
In chiusura, però, arrivano le turbolenze. «Spero che voterete Canton…».
I militanti lo prendono in parola e cominciano a scandire «vo-to, vo-to, vo-to».
Bossi se ne va, qualcuno giura che avesse le lacrime agli occhi per il clima dell’assemblea.
La parola torna a Gibelli, che cerca l’acclamazione.
Ma il coro non cambia: «Vo-to, vo-to, vo-to».
È il manicomio, la sala ribolle.
Un delegato fa per fotografare la scena, il presidente s’infuria: «Vedete, dove sono i problemi? La gente viene qui a registrare…».
Meglio chiudere e in fretta: «Per il bene della Lega, dichiaro Maurilio Canton segretario…».
Marco Cremonesi
(da “Il Corriere della Sera“)
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Ottobre 10th, 2011 Riccardo Fucile
PER OLTRE VENTI ANNI BOSSI HA SISTEMATICAMENTE MORTIFICATO I SUOI RIVALI E CONTESTATORI…ORA SCOPPIA LA RIVOLTA
Non doveva succedere ed è successo. 
Inesorabili, però, questi fischi.
Fischi padani, fischi di cuore, fischi fatti in casa, a Varese, culla della Lega, quindi specialmente simbolici.
Fischi a lungo temuti, oltretutto, e sventati in extremis neanche due mesi fa quando attorno al loro destinatario, fino a quel momento barricato in un salottino dietro un muro di guardie del corpo, si avvertì che in Cadore c’era aria di contestazione, piccoli capannelli si formavano per la strada, voci che si rincorrevano e allora — «Brutto, brutto, meglio andare» — via di corsa nottetempo dall’hotel Ferrovia di Calalzo.
E insomma, nonostante tutti gli scongiuri e le operative cautele del caso l’energia non soltanto sonora di questi benedetti fischi ha finalmente perforato la barriera incantata del Cerchio Magico e adesso Bossi è un po’ meno Bossi.
A riprova che il carisma non è dato per sempre, e che non esiste re a cui il destino non rechi prima o poi in cortese o meno cortese dotazione una qualche forma di bambino che come nella famosa fiaba di Andersen a un certo punto se ne esca: il re è nudo, appunto — e a vederli, questi sovrani vecchi, infermi e denudati non sono mai spettacoli piacevoli, ma istruttivi sì, altrochè se lo sono, e per tutti, a cominciare da loro stessi.
Inutile adesso ricordare con quanta superba e fragorosa efficacia per vent’anni e più Bossi ha sistematicamente mortificato coram populo i suoi rivali e contestatori, sollecitando gli istinti meno misericordiosi della folla leghista.
Chiedere a Bobo Maroni, qualificato, pensa un po’, «braccio debole da amputare», l’unico peraltro su cui poi si esercitò la magnanimità del Senatùr, anche se per estrema beffa spedito con tanto d’incarico a diffondere il verbo della Lega nel Mezzogiorno d’Italia (maggio 1995).
Ma almeno a quei tempi i congressi non si svolgevano a porte chiuse.
Mentre invece ieri i giornalisti, i fotografi e le telecamere, soprattutto, hanno trovato sbarrata la sala dell’Ata hotel e l’unica inconfessabile motivazione di questo inaudito divieto è che non dovevano trasmettere non già lo spettacolo irresistibile del dissenso, ma quello ancora più irresistibile e definitivo della dissacrazione.
Vana speranza, al giorno d’oggi: e non solo perchè, a differenza della televisione, che per sua natura e vocazione consacra il potere di chi ce l’ha, i nuovi media della rete hanno già ampiamente contribuito a profanare l’autorità del leader padano mostrandone in via seriale i segni sempre più evidenti della malattia, le frasi sconnesse, quelle che non si capiscono, le carezze di Berlusconi, l’imboccamento della Polverini, le pernacchie e gli altri frequentissimi gestacci.
E’ che nulla ormai, nessun Cerchio o Circo magico può contro quella “Bestia apocalittica” (Ceronetti) che è la comunicazione,e così come negli ultimi due mesi l’operazione alla cataratta o la misteriosa caduta dalle scale o dal letto hanno colpito l’immaginazione del pubblico, ieri si è subito saputo lo stesso che Bossi era stato tenuto prudentemente al riparo in un’altra sala, e i fischi prima durante e dopo il suo intervento si sono ben sentiti,e poi sulla rete s’è visto il clip dei delegati che uscivano fuori furenti, e magari domani ci fanno il remix con la musica e la partecipazione straordinaria del Trota, dell’altro figlio Riccardo, il rallysta, della signora Manuela e della vicepresidente badante del Senato Rosy Greco, doppiata mentre mette ai voti qualche emendamento.
Questo per dire che se nel mondo delle visioni a distanza il precario stato di salute di Bossi ne ha eroso il carisma, e più velocemente il disinganno lo sta facendo svanire, la sconfitta politica e l’assenza di prospettive creano le premesse per la sua più violenta e rumorosa abolizione.
Ora, va da sè che il processo non si risolve in un pomeriggio, ma per la prima volta è apparso chiaro che l’icona ha perso tutto o quasi il suo smalto dorato e che il totem si è incrinato nel luogo da cui è partita la straordinaria avventura leghista e nel tempo in cui quello strambo agitatore dell’autonomismo è ormai divenuto un ministro della Repubblica, anzi l’uomo nelle cui mani stanno le sorti della maggioranza, del governo, di Tremonti, dello stesso Berlusconi e del suo impero.
Colpisce che tale esito vada manifestandosi poco dopo che il ritratto di Bossi è stato appeso — privilegio unico per un uomo di governo — alle pareti delle sedi distaccate dei ministeri padani nella villa di Monza.
Eppure, in quella strana sequenza di eventi che per convenzione o apatia si continua a definire politica, non sarebbe la prima volta che l’inizio della fine coincide con il suo apparente contrario. E’ una lezione che vale per tutti.
Nei partiti carismatici l’obbedienza è terribile perchè abitua chi comanda a sentirsi infallibile e chi obbedisce prima a non avere idee, e poi solo fiato da buttare fuori con rabbiosi sibili.
Filippo Ceccarelli
(da “la Repubblica“)
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Ottobre 10th, 2011 Riccardo Fucile
ALTRO CHE “FATTI IN TEMPI CERTI”: SONO PASSATI QUATTRO MESI E DELLE RICHIESTE AVANZATE AL GOVERNO NON NE E’ STATA REALIZZATA NEANCHE UNA… MA I LEGHISTI RESTANO ATTACCATI ALLA COMODA E BEN REMUNERATA POLTRONA
“Fatti in tempi certi”.
Era scritto così nel volantino diffuso dalla Lega a Pontida.
Il Carroccio era alle corde, stretto tra gli scandali del Premier e lo scontento dei militanti.
Ecco la soluzione: prendersi degli impegni e indicare le scadenze entro cui sarebbero stati mantenuti.
Peccato soltanto un dettaglio.
Nel volantino si diceva: “Impegno da parte del Governo a realizzare i seguenti punti programmatici entro le date stabilite”.
Era il 19 giugno, quasi quattro mesi fa.
Molte delle scadenze sono abbondantemente passate e la gran parte delle promesse non sono state mantenute.
Altre sono state realizzate solo molto parzialmente.
Ma per alcune, addirittura, il Governo ha agito in senso opposto alle promesse fatte. Chissà , forse nel Carroccio speravano che tutti si sarebbero dimenticati degli impegni.
Invece quel manifesto sta diventando un boomerang per la Lega: il forum di Radio Padania Libera (prima di essere “momentaneamente” chiuso) è stato sommerso dai messaggi dei militanti inferociti.
I dirigenti leghisti hanno di salvarsi in corner stampando una seconda versione del manifesto con le date opportunamente sbianchettate.
Troppo tardi.
Qualcuno, come il senatore veneto Marco Stradiotto, si è preso la briga di fare le pulci al volantino.
Ecco le scadenze indicate dagli uomini di Umberto Bossi: “Entro due settimane (cioè all’inizio di luglio, ndr)” si arriverà “all’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri della Riforma Costituzionale (dimezzamento numero parlamentari, Senato Federale), mentre l’approvazione definitiva da parte del Parlamento giungerà entro 15 mesi”.
Il Pd oggi fa notare: “Il Consiglio dei Ministri non ha ancora approvato la riforma costituzionale promessa dalla Lega”.
Secondo punto: sempre entro due settimane sarebbe dovuta arrivare “l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del decreto legge sulle missioni militari con riduzione dei contingenti impegnati all’estero”. Anche qui nessuna traccia del provvedimento.
Entro un mese (dal 19 giugno) doveva arrivare “l’attivazione delle procedure per l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia alle Regioni che le abbiano richieste”. Che cosa è successo? Niente.
Ancora: si prometteva “L’approvazione di misure per la riduzione delle bollette energetiche”. E qui ecco il paradosso: con l’aumento dell’Iva si è realizzato l’esatto contrario.
Il volantino prometteva poi “la riforma del patto di stabilità interno per i comuni e per le Province”. Anche qui si è realizzato l’esatto contrario: il patto di stabilità , modificato con le manovre estive, sarà più stringente e applicato anche ai comuni al di sotto dei cinquemila abitanti. Il meccanismo premiale per gli enti virtuosi risulta inapplicabile.
Un contentino arriva dal “taglio dei costi della politica” che, seppur in minima parte, è stato portato a casa.
Però “il finanziamento del trasporto pubblico locale” di nuovo non è arrivato. Anzi, ecco nuovi tagli alle Regioni.
Non va meglio per gli impegni da realizzare entro 60 giorni: “Approvazione della metodologia per la definizione dei costi standard da applicarsi alle amministrazioni dello Stato”. Ancora nessuna traccia.
Ecco poi le più clamorose promesse della Lega.
Come quella di far approvare, entro l’estate, “da parte del Consiglio dei ministri la proposta di Legge di Riforma Fiscale e sua approvazione definitiva in Parlamento entro la fine dell’anno”. E qui Stradiotto punta sull’amara ironia: “Nessuna traccia del provvedimento, a meno che per riforma non si intenda il taglio di detrazioni e deduzioni Irpef”.
C’è poi la questione delle quote latte da risolvere entro l’autunno: se intendono far condonare 1,6 miliardi di multe per farle pagare alla collettività , beh allora è vero, ci stanno provando.
Fino all’ultimo obiettivo: “L’approvazione definitiva — entro dicembre — del codice delle Autonomie”. Obiettivo in teoria ancora possibile.
Ma gli altri sono quasi tutti saltati.
I leghisti che cosa dicono?
Il Fatto ne ha interpellati diversi, a cominciare dai capigruppo Reguzzoni e Bricolo, ma hanno preferito tutti non rispondere.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 10th, 2011 Riccardo Fucile
LA REGRESSIONE IDENTITARIA DEL PDL, L’OSSESSIONE XENOFOBA E SECESSIONISTA DELLA LEGA, IL PARTITO DELLA GNOCCA E LA SDOGANIZZAZIONE DEL MACHISMO….LA SOTTOCULTURA CHE SI FA ISTITUZIONE, IL MANIFESTO IDEOLOGICO DI UN CENTRODESTRA CARICATURA DI DRIVE IN
Non è una battuta, nè un lapsus infelice, nè una voce dal sen fuggita. 
Il lancio di Forza Gnocca è perfettamente in linea con la regressione identitaria di Silvio Berlusconi e dei suoi alleati, che nell’ultimo anno hanno rispolverato il peggio della loro storia, spesso in versione caricaturale, pur di tenersi gli ultras di un elettorato che sta voltandogli le spalle.
La Lega è tornata ad affidarsi all’ossessione xenofoba e secessionista, arrivando al punto con Borghezio di “contestualizzare” la strage di Oslo e rilanciando alla grande la secessione del Nord.
La ex-An mima i riti del vecchio Msi, organizza seminari a Salò e spinge persino uno come Gasparri — che di fascismo non si è mai interessato — a esibirsi nei luoghi della Rsi, evocandone il fascino proibito.
Ma se gli alleati nel loro album di famiglia hanno pagine controverse di storia o vecchie intuizioni politico-filosofiche, se da una parte c’è la Rsi e dall’altra c’è Miglio, la cultura berlusconiana cos’ha?
Ha la “gnocca”, appunto. Cioè il modello Drive In.
Carmen Russo, Tinì Cansino e le ragazze Fast Food che decoravano il cast tutto maschile Greggio-D’Angelo-Faletti.
Quelle scollature mai viste in tv e quella ostentata disponibilità di sè.
Lo “sdoganamento” del secolare machismo italiano dopo le frustrazioni degli anni ’70 e le mortificazioni imposte dalla cultura cattolica.
La “gnocca” non è solo un’ossessione per Berlusconi, è il manifesto ideologico che lo ha fatto ricco e il simbolo anche semantico dell’Italia che vuole rappresentare.
Addio liberali, professionisti evoluti, addio ricette per la piccola impresa e “popolo delle partite Iva”, addio giovani e casalinghe: l’ultimo blocco sociale rimasto disponibile per il Cav è il pubblico dei cinepanettoni, gli acquirenti di calendari porno, gli italiani che lo invidiano per le notti di Arcore e sarebbero pronti a rivotarlo in nome di sentimenti che la politica “normale” reprime o ammorbidisce, a cominciare dalla considerazione delle donne come pezzi di carne da padroneggiare e scambiarsi, “gnocche” appunto.
Non è sbagliato. Quegli italiani sono molti.
E il giustificazionismo che tutti i soggetti pubblici riservano da anni alle espressioni maschiliste del Cavaliere e dei suoi alleati (penso al “fatti scopare” leghista a una deputata Pd) li ha resi più sicuri di sè e più orgogliosi della loro sottocultura, finalmente istituzionalizzata.
Tanto è vero che il ministro Frattini, commentando la sortita del Cavaliere, si è lamentato del fatto che è “difficile spiegare all’estero”: da noi, in Italia, le spiegazioni non sono nemmeno dovute, Forza Gnocca è normale.
Così normale che per ventiquattr’ore a nessuno del Pdl è venuto in mente di correggere o limare. Solo ieri, dopo un piccato commento dell’Avvenire e (forse) qualche segnalazione di disagio dalle ambasciate, sono arrivate le smentite a pioggia dei deputati presenti allo show: non lo ha mai detto, la battuta l’ha fatta un altro, Berlusconi lo ha pure rimproverato, bla bla bla bla.
La regressione identitaria significa anche questo.
Mentre l’Occidente festeggia il Nobel per la Pace attribuito a tre donne coraggiose, noi siamo qui a dividerci su un tema — il rispetto anche verbale per le donne — che in tutta Europa si risolve all’asilo, con mezz’ora di castigo a chi dice parolacce.
È uno spread di valori civili che dovrebbe preoccuparci quanto quello dei tassi di interesse, forse anche di più.
Flavia Perina
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 9th, 2011 Riccardo Fucile
IL SENATUR LO NOMINA PER ACCLAMAZIONE DOPO AVER FATTO RITIRARE GLI ALTRI DUE CANDIDATI… MA NELL’ELEZIONE DEL NUOVO DIRETTIVO VINCONO I MARONIANI 6-3
Era rimasto l’unico candidato in gara dopo l’investitura pubblica ricevuta una settimana fa da Umberto Bossi, che ha spinto al ritiro in extremis gli altri due pretendenti.
E Maurilio Canton, 44 anni, sindaco di Cadrezzate, è diventato senza sorprese il nuovo segretario provinciale della Lega Nord di Varese, nel congresso celebrato a porte chiuse in un grande albergo della città .
La sua nomina, però, rischia di costare parecchio al Carroccio, che per la prima volta in anni recenti ha assistito a un acceso confronto di umori nella base davanti ai dirigenti, per una nomina risultata indigesta (sulla carta) ad almeno la metà degli oltre 300 delegati.
Bossi – intervenendo fuori scaletta, dopo aver atteso un’ora prima di entrare in sala e uscendo subito dopo – ha applaudito l’esito dicendo di aver voluto portare “aria nuova” nella Lega di Varese e liquidando le contestazioni come qualcosa di “organizzato” e animato da “alcuni ex fascisti” seduti nelle prime file (in ogni caso iscritti e delegati leghisti).
Eppure a nessuno dei partecipanti è sfuggito che appena dopo che il Senatùr aveva parlato a favore di Canton, all’indicazione del presidente Andrea Gibelli di procedere per acclamazione, una parte consistente dei delegati ha replicato rumoreggiando in crescendo al motto di “voto, voto”, come avevano già di prima mattina alla presentazione dell’ordine del giorno.
Passati i minuti più accesi, però Canton è stato proclamato segretario provinciale formalmente per acclamazione.
Col risultato che dopo quattro ore di congresso decine di militanti si sono allontanati di corsa, avari di sorrisi e ostentando irritazione (“è stato il giorno più brutto della Lega”, ha urlato un sindaco davanti alla stampa; “Un voto sovietico”, ha detto un altro), lasciando solo un terzo dell’assemblea a festeggiare il neoeletto.
Canton, ritenuto vicino alla famiglia Bossi e sponsorizzato dal capogruppo Marco Reguzzoni, ha garantito di lavorare “per tutta la Lega e non per dividere”.
Un compito comunque difficile, perchè l’elezione del direttivo provinciale ha portato alla scelta di sei maroniani contro i tre vicini al neosegretario, che aggiunti ai componenti di diritto mantengono la stessa proporzione.
Roberto Maroni e il segretario della Lega Lombarda, Giancarlo Giorgetti, hanno partecipato ai lavori, essendo militanti varesini, ma non hanno mai preso la parola, allontanandosi senza incrociare nemmeno i giornalisti.
Del resto con la presenza inattesa di Bossi, accompagnato dal figlio Renzo e Rosi Mauro, rimanevano pochi margini di manovra.
Il leader ha criticato la gestione uscente del maroniano Stefano Candiani, invocando “gente nuova” per “rilanciare la Lega sul territorio”.
“La Lega? E’ unita intorno a Bossi”, ha chiosato Reguzzoni, l’unico dirigente a parlare davanti alle telecamere in una sala ormai deserta.
Sembra vero…
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Ottobre 9th, 2011 Riccardo Fucile
IMPOSTO DA BOSSI IL CANDIDATO UNICO: VIENE ELETTO PER ACCLAMAZIONE PER EVITARE LE SCHEDE BIANCHE, MA I DELEGATI CONTESTANO LA DECISIONE… LA BASE PADANA: “PER LA LEGA OGGI E’ IL GIORNO PEGGIORE”
“Quando ho parlato ho visto in seconda, terza fila, un paio che me li ricordo a Varese nel Msi,
dei fascisti”.
Così il leader della Lega Umberto Bossi risponde a chi, durante il congresso provinciale a Varese, lo ha contestato. R
imostranze, secondo il capo del Carroccio, “un po’ organizzate”.
Ma i mal di pancia nel partito della Padania sono evidenti: “E’ il giorno peggiore da quando sono nella Lega”, ha detto Mario De Micheli, sindaco leghista di Caronno Varesino all’uscita dal congresso.
Una frase che sintetizza lo stato d’animo di gran parte dei miliatanti, visibilmente e apertamente delusi dal risultato del meeting.
Tanti i no comment, tante le smorfie, ma qualcuno non si trattiene e si lascia scappare un: “Sono deluso”, altri, come la sindaca nera di Viggiù, Sandy Cane, si spingono oltre: “E’ uno schifo”.
Tanta parte della Lega non ha digerito l’imposizione del nuovo segretario provinciale, Maurilio Canton, eletto per acclamazione dopo l’intervento di Umberto Bossi.
È stata una mattinata intensa quella varesina, che secondo l’opinione di tanti militanti ha segnato una pagina nera per il partito.
Trapela anche qualche indiscrezione.
Sembra infatti che Roberto Maroni non abbia voluto intervenire, neppure su richiesta della sua base.
Non c’è stato, nemmeno questa volta l’atteso strappo tra bossiani e maroniani. Uno strappo che probabilmente ai vertici non avverrà mai, ma che alla base è già stato consumato da tempo.
Ma ecco come è andato il congresso: tutto inizia verso le 10 del mattino, con l’arrivo dei delegati all’Ata Hotel.
Entrano alla spicciolata, tra di loro anche Roberto Maroni e altri big del partito, nessuno rilascia dichiarazioni.
Si capisce da subito che sarà una mattinata tesa.
I giornalisti vengono allontanati, dentro alla sala i militanti si cimentano in interventi a favore della democrazia di partito, per l’elezione del nuovo segretario provinciale si chiede a gran voce il voto.
Ma qualcosa va storto.
Verso le 11 arriva a sorpresa Umberto Bossi che dopo una lunga anticamera entra in sala e, al termine di una mattinata concitata, impone l’elezione di Maurilio Canton per acclamazione.
Un gesto inconsueto per la Lega e i leghisti, che volevano votare, magari scheda bianca, anche per contarsi.
Qualcuno stenta a crederci, parte la contestazione contro questa decisione e qualcuno minaccia anche ricorsi contro il risultato del congresso.
Servirà ancora del tempo per capire se e quali saranno le mosse dei delusi. Alle 14 si sono spalancate le porte, dentro Maurilio Canton si lascia andare a manifestazioni di giubilo, con dichiarazioni di compattezza e unione. Tutt’attorno, però, c’è la tempesta.
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