Destra di Popolo.net

LA NOTTE DEI LUNGHI COLTELLI PADANI: IL DIKTAT DI BOSSI E UNA LEGA SEMPRE PIU’ DIVISA

Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile

INFURIA LA BATTAGLIA CONGRESSUALE NEL CARROCCIO, DOMENICA SCONTRO A VARESE…IN VENETO GLI UOMINI DI TOSI HANNO GIA’ PRESO BELLUNO, VENEZIA, VICENZA E VERONA

Coi pugnali tra i denti.
All’indomani del congresso di Brescia, che ha segnato un’altra sconfitta del Cerchio magico, la Lega corre verso la balcanizzazione.
Non c’è solo il pesantissimo ukase di Roberto Calderoli contro il maroniano Flavio Tosi, colpevole di aver violato lo Statuto del movimento con le sue dichiarazioni men che tiepide nei confronti dei proclami secessionisti di Bossi, (ma anche di aver definito una «schifezza» la legge elettorale firmata dal ministro alla Semplificazione), e per questo in odore di espulsione.
C’è soprattutto l’endorsement notturno del Senatùr, che domenica ha di fatto incoronato come nuovo segretario provinciale di Varese Maurilio Canton, sindaco di Cadrezzate molto vicino al capogruppo Marco Reguzzoni, a sua volta nemico dichiarato di Roberto Maroni ed esponente di punta dei cerchisti.
Lo ha fatto, il Senatùr, prefigurando l’esito del congresso di Varese, che si terrà  tra cinque giorni.
E lo ha fatto nonostante le candidature alla segreteria fossero già  state presentate.
A dare l’idea del clima, ecco quel che dicono i maroniani su questo improvviso comizio notturno di Bossi: «La moglie, furibonda per la sconfitta di Brescia, lo ha tirato giù dal letto convincendolo a dire quel che il Capo ha poi detto».
Già  la moglie, Manuela Marrone.
Vestale della Lega di famiglia e mamma di quel Renzo che alla vigilia del congresso di Brescia, ancora ammaccato dalla sconfitta subita in Valle Camonica, inviava ai delegati, via sms, un consiglio perentorio: «Votate Capitanio, il candidato di papà ». Oplà , ha vinto l’altro, Fabio Rolfi, e per questo, nelle menti degli anti-maroniani, bisognava correre subito ai ripari.
I varesini legati a Maroni adesso sono furibondi, qualcuno pure con il loro capocorrente.
Protetto dall’anonimato, un big di Varese disegna scenari apocalittici: «Non si può sempre subire, a questo punto è meglio che ognuno vada per la propria strada, che ci si conti per stabilire chi ha vinto e chi ha perso».
E un altro dirigente: «È intollerabile che siccome “loro” (i cerchisti, ndr) stanno perdendo i congressi facciano schierare il Capo all’ultimo momento, quando le truppe sono già  in campo».
Dall’altra parte si risponde pan per focaccia: «I “geni”, come li chiama Bossi, fanno il bello e il cattivo tempo nei congressi, ma queste sono solo beghe di condominio, e quando arriva il padrone di casa non ci pensa un minuto a dare loro il foglio di via». Un modo un po’ cinico per ribadire che l’ascesa per via democratica dei maroniani deve essere bloccata.
A cominciare dalla Lombardia, dove è segretario l’ancora potente Giancarlo Giorgetti, uomo sommamente inviso ai cerchisti, che ha come vice proprio Reguzzoni. Convivenza difficile, anche per la presenza di un secondo vice: il battitore liberissimo Matteo Salvini, pure lui nel mirino dei cerchisti.
La speranza dei maroniani è celebrare il congresso regionale, ma con questi chiari di luna sembra parecchio difficile.
Quella di Varese, anche per la sua valenza simbolica, è una vicenda dilaniante.
Perchè questa è la culla del leghismo, la città  di Bossi di cui tra l’altro è sindaco quell’Attilio Fontana che ha capeggiato la rivolta bipartisan degli amministratori contro la manovra del governo, poi costretto a dimettersi dalla presidenza dell’Anci lombarda da un diktat di Calderoli e ora sempre più scoraggiato dalla piega che hanno preso gli eventi.
L’uomo del Viminale, varesino pure lui, ovviamente non gradisce affatto la mossa del Senatùr.
Ma fa buon viso a cattivo gioco. Scontentando ancora di più i suoi, tra cui starebbe facendo capolino addirittura l’idea – e sarebbe davvero clamoroso – di far mancare il numero legale al congresso in programma domenica.
Del caso Varese i due hanno parlato ieri in via Bellerio, durante la solita segreteria del lunedì. Maroni ha rassicurato Bossi: al congresso, «da militante», seguirà  le indicazioni del segretario votando per Canton, «anche se non lo conosco».
Tanto l’altro candidato, Leonardo Tarantino, non è neppure un maroniano doc, e non sarebbe bene che passasse come tale se i supporter del ministro lo sostenessero solo per odio nei confronti di Reguzzoni e compagnia.
Altrimenti, è il ragionamento del ministro dell’Interno, si farebbe solo il gioco dei cerchisti, che puntano a contrapporlo direttamente al segretario federale, a rappresentare lo scontro interno non come lotta fra colonnelli, ma tra Maroni e Bossi.
È qualcosa che Bobo il temporeggiatore vuole assolutamente evitare, e in questa chiave si può leggere il suo disappunto anche nei confronti di un fedelissimo come Tosi.
Insomma, Maroni esclude che il sindaco di Verona venga espulso, però ha vissuto come una fuga in avanti quelle sue ultime esternazioni così platealmente antibossiane. Eterogenesi dei fini, nella prudente strategia di Maroni.
Che però non tiene contro della rivolta in corso fra i leghisti veneti, ben più decisi dei lombardi a invocare un nuovo corso.
Senza Berlusconi e in nome di un «ritorno alle origini» che ha il vago sapore di una rifondazione.
Tosi ha già  vinto i congressi di Belluno, Vicenza, Venezia e Verona, che è anche la città  del suo grande antagonista, il capogruppo al Senato Federico Bricolo, altra star del cerchismo (non a caso è stato lui a invocare più volte, e non da oggi, provvedimenti disciplinari contro il sindaco ribelle).
Ma Tosi si prepara, sempre che le altre assemblee provinciali vengano convocate, a sfidare Gian Paolo Gobbo (che invece controlla in modo saldo la sua Treviso, città  di cui è sindaco) per strappargli la segreteria della Liga veneta in un altrettanto ipotetico congresso regionale.
Il tutto nel silenzio di Luca Zaia, che da governatore è il leghista più rappresentativo. E proprio Gobbo è alle prese con un’altra grana, quella rappresentata dal suo vice in Comune Giancarlo Gentilini, anche lui stufo di sentir parlare di secessione, oltre che di Berlusconi.
Pure lo «sceriffo», come lo chiamano, rischia l’espulsione per aver dato ragione a Napolitano.
Grande disordine sotto il cielo, ma – sempre parafrasando Mao – la situazione per una Lega dilaniata non è affatto eccellente.

Rodolfo Sala
(da “La Repubblica“)

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BOSSI STRIGLIA I COLONNELLI, (MA NON SI GUARDA ALLO SPECCHIO): “TROPPA GENTE PARLA A VANVERA”

Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile

MARONI DIVENTA PRUDENTE: “MAI CHIESTO ELEZIONI”….SCONTRO CALDEROLI-TOSI…PER BOSSI “SE SI VA SOLI ALLE ELEZIONI VINCE LA SINISTRA”

Tira aria di tempesta nella Lega.
Umberto Bossi giura fedeltà  al governo Berlusconi, poi irrompe nella delicata stagione dei congressi padani. E lo scontento tra le camicie verdi è sempre più esplosivo.
Domenica notte il Senatùr si è presentato a sorpresa alla festa di partito di Buguggiate, nel varesotto.
Gli uomini legati al Cerchio Magico – il cordone sanitario che dalla malattia circonda fisicamente Bossi e famiglia – hanno appena perso il congresso di Brescia e della Val Camonica in favore dei maroniani.
Così il “Capo” interviene: domenica si gioca la partita più importante, la provincia di Varese. E Bossi si schiera, sostiene Maurilio Canton, il candidato della Lega di famiglia
Si tratta del sindaco di Cadrezzate che – stando a quanto raccontano i leghisti della zona – al momento ha solo un terzo dei voti.
Troppo rischioso mandarlo a perdere nella provincia che è il cuore della Lega, il territorio da dove vengono tanto Bossi quanto Maroni, così come il cerchista Reguzzoni e il segretario lombardo Giorgetti, già  nel mirino dei pretoriani di Gemonio.
Con il suo intervento Bossi fa saltare anche l’ultima mediazione alla ricerca di un candidato di sintesi.
Nel pomeriggio Maroni va in via Bellerio dove incontra il Capo circondato da Reguzzoni e Bricolo.
Cerca un chiarimento ma all’uscita deve precisare che il suo appoggio al referendum non guardava al voto anticipato (l’ipotesi aveva allarmato tutto il centrodestra): «Sono retroscena infondati, frutto di libera fantasia».
Il secondo scontro che fa tremare la Lega arriva dal Veneto.
Il sindaco di Verona Flavio Tosi, maroniano di ferro, liquida così una domanda su Napolitano per il quale la Padania non esiste: «È un dibattito che non serve, possiamo discutere se la Padania esista o meno, dove inizia o finisce. È filosofia, ma i problemi del Paese restano».
Così Tosi – già  nel mirino per le ripetute dichiarazioni contro Berlusconi e il suo governo – viene stroncato da Calderoli: «Dissento profondamente, le sue dichiarazioni contrastano con le finalità  del nostro statuto che il sindaco dovrebbe conoscere e rispettare».
Inevitabile la marcia indietro di Tosi, che si giustifica sottolineando di aver voluto evitare tensioni con il Colle.
Ma si combatte anche a Treviso, dove i vertici locali si riuniscono per decidere l’eventuale espulsione di un altro leghista scontento, l’ex sindaco-sceriffo Gentilini che si era detto d’accordo con Napolitano.
Anche se in serata il segretario provinciale, Antonio Da Re, placa gli animi dicendo che «non ci sarà  nessuna espulsione», il clima resta incandescente con Castelli che ribadisce che chi non è d’accordo sull’indipendenza «vada in un altro partito» e Gentilini che ribadisce «l’Italia è una sola, quando avremo il 50% dei voti ne riparleremo».
Così la giornata della Lega finisce com’era iniziata, all’insegna delle minacce e della tensione.
Già , perchè Bossi nel comizio notturno aveva attaccato chi non si uniforma al pensiero unico dicendo che «nella Lega ultimamente vedo troppa gente che parla a vanvera, troppi geni» che chiedono di mollare Berlusconi.
Il Senatùr dice di avercela con chi «all’inizio della Lega non c’era» (quindi forse non con Maroni, ma con i suoi sì), torna a difendere la moglie (per molti ispiratrice del Cerchio Magico) dicendo che «i soldi per fare la Lega li ha messi la Manuela».
Poi parla di governo, dice che la Lega «è leale» e zittisce chi (la maggioranza del partito) non vuole più l’alleanza con il Cavaliere: «Alle elezioni si può andare da soli, però sapendo già  che vince la sinistra».
Rilancia sulla Padania e a Napolitano dice che «è facile negare che esista per rassicurare, ma tutti hanno capito che l’Italia non tiene più».
Chiude con un attacco a Confindustria e a Della Valle: «Se gli imprenditori stanno gridando è perchè anche loro qualche difetto ce l’hanno, non c’è più nessuno che è capace di inventare un lavoro».

Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica“)

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GLI SPRECHI IN TEMPO DI CRISI: NOMINE PADANE E CAMPANE

Ottobre 4th, 2011 Riccardo Fucile

DALLA CONSULENZA DI 240.000 EURO ALL’AMICO DI TOSI ALLA PROJECT MANAGER DEL CENTRO OSPEDALIERO DA 400.000 EURO NEL SALERNITANO… NON CAMBIA MAI NULLA: PIU’ CLIENTELE, PIU’ VOTI

Se avessero vergogna si fermerebbero. Ma non hanno vergogna.
Se avessero timore di concludere anticipatamente e ingloriosamente la carriera politica, si fermerebbero. Ma dov’è la paura, qual è il timore?
Più clientele e più voti, più sprechi e più voti.
Immersi in una crisi economica senza precedenti una moltiutudine di facce di bronzo, di volti bugiardi e irresponsabili, comunica che è tempo di tirare la cinghia.
Iniziando dal buco nero del bilancio: la salute pubblica.
Come sempre terreno fertile di un sistema immarcescibile è la sanità .
Bisogna tirare la cinghia e prima cosa, allora: accorpare gli ospedali. Sono troppi e costano troppo. Togliere corsie e letti, rianimatori e chirurghi. Accorpare.
Al sud chiudono gli ospedali dei territori più derelitti, poveri e lontani dai centri abitati.
E’ un costo che non possiamo permetterci, l’avete capito o no?
Per farcelo capire meglio il governo regionale della Campania ha delegato la nefrologa Sara Caropreso a project manager per la realizzazione del presidio ospedaliero della Valle del Sele, nel salernitano.
Via l’ospedale di Battipaglia, via quello di Eboli, via quello di Roccadaspide, via quello di Oliveto Citra, tutti in provincia di Salerno.
Uno solo, bello, a pianta larga e finalmente moderno, per tutti e quattro.
Uno di quelli dall’architettura innovativa, dal design di Renzo Piano.
Come dice la legge, come vuole la legge.
Realizzato in prossimità  dello svincolo autostradale, in questo caso di Eboli.
Come dice la legge, come vuole la legge.
E quanto costerà  questo nuovo ospedale? Solo 400 milioni di euro.
La signora Caropreso,   project manager, alla angosciata collega del Corriere del Mezzogiorno che al suono di tanti milioni di euro quasi sviene e chiede se per caso non abbia sbagliato a contare i milioni, quattrocento o quaranta?, e se non sia uno spreco questa montagna di soldi, risponde: “No, a conti fatti risparmiamo 50 milioni di euro all’anno”.
Magnifico, e come si risparmiano tanti soldi?
“Gli ospedali vanno costruiti nei pressi degli svincoli autostradali”.
E qui alla brava intervistatrice viene il capogiro.
Un ospedale a pianta larga, e proprio allo svincolo autostradale di Battipaglia, sette chilometri più a nord, esiste già .
Potrebbe essere ampliato, ristrutturato. Basterebbero pochi spiccioli rispetto alle centinaia di milioni che la manager della sanità  si accinge a spendere.
La manager offre una risposta da conservare in bacheca: “Faccia domande più coerenti”.
In Italia non c’è resa del conto.
E bisognerebbe   invece   chiedere conto a chi l’ha nominata.
Chi ha nominato la signora Caropreso?
Il presidente della giunta regionale, Stefano Caldoro, sa qualcosa?
E’ forse stata nominata perchè amica dell’onorevole Edomondo Cirielli? E chi è costui? Ex carabiniere poi attratto dalla politica.
Prima con Fini, ora contro Fini e con Berlusconi.
Deputato, presidente della commissione Difesa e presidente della provincia di Salerno. Tre poltrone in un solo corpo.
Così lo Stato risparmia le indennità .
Amicizie non sempre all’altezza ma sguardo meridionale e federalista: chiede, e forse otterrà , oltre che le sue amicizie vengano premiate in ruoli pubblici di primo piano, anche, pensate un po’, che la sua provincia,   Salerno, si stacchi da Napoli e dalla Campania e divenga regione autonoma, e prenda il nome di Principato di Citra.
Non è una barzelletta, è la verità .
Sono quelli del nord però a indicare la retta via.
Tra di essi il sindaco di Verona vanta un’ottima esperienza amministrativa. E’ stato assessore regionale alla sanità  del Veneto.
E qui si vede che la corsia d’ospedale è l’ultimo luogo dove resistono, anche oltre il Po, le sezioni di partito. Anche a Verona.
La sanità  veneta soffre di gravi disturbi e una acuta crisi economica.
Alti costi, alti indebitamenti, offerta ridondante.
I padani sanno far di conto al pari dei loro colleghi del sud.
E per agevolare un immediato, risolutivo rientro nei limiti della spesa, hanno voluto che il segretario generale della Sanità  veneta, il super burocrate Domenico Mantoan, godesse del contributo di un vero super consulente.
E visto, così reca il decreto di nomina, che non era possibile “avvalersi, con risultati ottimali, del personale regionale e di quello dello Stato”, retribuiti a norma di legge ma chiaramente incapaci. E visto anche che il super consulente doveva essere davvero super, caratteristica irrintracciabile tra gli otto dirigenti, i 23 direttori generali e i 24 direttori amministrativi delle locali Asl, è stato chiamato alla funzione il settantenne Michele Romano.
Per due anni e alla modica cifra di 240 mila euro il Romano, nonnetto della salute veneta, veterano dei conti Asl molto amico del dottor Tosi, sindaco leghista di Verona, e quindi — per proprietà  transitiva — del governatore del Veneto (leghista) Luca Zaia, procederà  ad elargire consigli, piani e programmi di rientro.
Oltre a un ottimo stipendio avrà  tutta la comprensione e l’aiuto necessari.
Recita il decreto di nomina: “uffici,   attrezzature e una segreteria dotata del numero idoneo di unità  funzionali”.
Evviva la terza età !

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AL CONGRESSO DI BRESCIA DELLA LEGA VINCE MARONI E SALE IL VENTO ANTI-PREMIER

Ottobre 3rd, 2011 Riccardo Fucile

ESCONO SCONFITTI I BOSSIANI DEL CERCHIO MAGICO: PREVALE FABIO ROLFI, SCONFITTO MATTIA CAPITANIO, SPONSORIZZATO DA RENZO BOSSI…E DOMENICA BATTAGLIA FINALE AL CONGRESSO DI VARESE

E due. Dopo la Val Camonica, i leghisti con il maldipancia si prendono anche Brescia. Maroniani, certo: come il nuovo segretario eletto ieri dal congresso provinciale con 257 voti contro i 174 raccattati dallo schieramento avverso (e nel direttivo finisce 13 a 6).
Il vincitore è Fabio Rolfi, 34 anni, vicesindaco a Brescia. Lo sconfitto è un suo coetaneo: Mattia Capitanio consigliere comunale a Torbole Casaglia.
Non è una vittoria da poco, per gli equilibri interni al movimento: in questa provincia il Carroccio conta 106 sezioni e oltre 1.500 militanti.
Capitanio era sponsorizzato dal Trota, il figlio del Capo, e dai cerchisti stretti attorno a Bossi.
Un’altra batosta, per loro, dopo quella ricevuta una decina di giorni fa in quella Val Camonica dove Renzo era stato candidato alle ultime elezioni regionali, sollevando pesanti malumori nella base.
Che al congresso ha criticato apertamente Monica Rizzi, assessore al Pirellone e grande sponsor di Bossi junior, e si è comportata di conseguenza: 110 a 41, ha vinto una altro maroniano, Enzo Antonini.
Ieri, all’auditorium Balestrieri di Brescia, il secondo round.
Decisamente più importante del primo, se non altro per il numero di iscritti. Congresso a porte chiuse, entrano solo i delegati: così hanno deciso perchè l’aria è decisamente frizzante ed è meglio non spiattellare davanti ai giornalisti i panni sporchi di famiglia.
Ma ci vuole poco per capire che aria tira, basta ascoltare quel che dice un notabile come l’ex senatore Francesco Tirelli, tifoso di Rolfi: «Nella Lega qualcuno sa che cosa vuole, qualcuno non lo sa e qualcuno fa finta di non saperlo; noi nei sondaggi stiamo calando perchè Berlusconi provoca un effetto traino al contrario: è ora di dire che se gli alleati sono funzionali al nostro disegno bene, altrimenti bisogna andare via».
Alle due del pomeriggio, quando il verdetto è chiaro, il nuovo segretario si concede al taccuino: «Il momento è difficile, nelle sezioni c’è grande disorientamento perchè stiamo al governo e i risultati non arrivano».
La targa di maroniano Rolfi non la rifiuta affatto, anche quando dice che «oggi ha vinto la Lega, siamo tutti bossiani».
Però a lui piace tanto l’Umberto del ’94, «sono entrato nella Lega quando Bossi ha fatto cadere il primo governo Berlusconi».
All’uomo del Viminale, un peana: «Grande ministro, ha portato consensi alla Lega e al governo, ha saputo far crescere una nuova classe di amministratori».
Però qualcosa accomuna, in questo congresso: i pesanti attacchi a Napolitano, che «nega la Padania e non può essere il nostro presidente», è l’urlo di quasi tutti i delegati che intervengono.
Ma tra i vincitori questo è un modo per propiziare un ritorno al passato (torna prepotente l’espressione «indipendentismo»), che poi significa in buona sostanza farla finita con un ciclo governativo contrassegnato da rospi da ingoiare e da risultati vicino alla zero.
«Mi auguro – spiega il sindaco di Dello Ettore Monaco prima di infilare la scheda nell’urna – che adesso si passi dagli slogan ai fatti; nella Lega si parla troppo di potere e poco di filosofia federalista».
Domenica prossima tocca a Varese, anche la culla del Carroccio va a congresso.
E lì votano big come Bossi, Maroni, Reguzzoni, Giorgetti.
Un delegato di Brescia vorrebbe che anche lì «le cose fossero chiare», in nome di quell’«esercizio della democrazia» che sta galvanizzando una parte consistente del movimento, incurante – e forse sofferente – delle voci sulla pax di convenienza siglata tra maroniani e cerchisti.
Ma non è detto. Sulla carta ci sono tre candidati, uno è della Lega «di famiglia» gli altri due non sono maroniani puri, ed è per questo che tra i fedelissimi del ministro dell’Interno gira una voce: «Meglio appoggiare uno che non è proprio dei nostri, piuttosto che far prevalere gli altri».
Chissà , forse è anche vero che “Bobo” non vuole stravincere, per non tirare troppo la corda in un momento obiettivamente difficile per la Lega.
In ogni caso vale l’invito a evitare «fughe in avanti», come quella del sindaco di Macherio uscito allo scoperto troppo presto con una lettera pubblica ultra-critica nei confronti dei vertici del Carroccio.
«Non era ancora il momento – spiega un altro delegato maroniano – bisogna fare un passo alla volta».
Ma di pazienza a questa base ribollente ne è rimasta pochina.

Rodolfo Sala
(da “La Repubblica“)

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LA LEGA SI SFASCIA: I MINISTRI ZITTI, LA BASE IN RIVOLTA

Ottobre 2nd, 2011 Riccardo Fucile

IL CAPO E MARONI IN SILENZIO SU NAPOLITANO…A RADIO PADANIA URLANO: ANDIAMOCENE

Per non sentire il male che fa, in via Bellerio la chiamano “Operazione Gattopardo”.
Si sono convinti che dietro la “lezione” del presidente Napolitano, quella in cui ha detto all’Italia intera che il popolo padano non esiste, ci sia una gran paura.
È il “terrore che le cose cambino”, è il rischio che “l’antipolitica possa arrivare fino alla rivolta del Nord”.
Non è che, domanda il capogruppo Marco Reguzzoni, “tutte queste polemiche” hanno “come unico obiettivo quello di favorire l’avvento di un governo tecnico?”.
Ci sono rimasti male per i “toni eccessivi” usati dal Capo dello Stato, loro che in fin dei conti, una volta arrivati a Roma, i toni li hanno ammorbiditi parecchio.
Nessuno ha il coraggio di dirlo pubblicamente, ma in privato confessano che se i padani sono pronti alla secessione non è perchè lo dice Bossi (come ha fatto a Venezia poche settimane fa) ma perchè hanno perso il lavoro, non arrivano alla fine del mese e ce l’hanno con tutti, anche con loro, i parlamentari che si mettono la cravatta verde.
In questo senso la testimonianza del deputato Luca Rodolfo Paolini vale oro: lui, leghista che vive nelle Marche, nemmeno nelle valli bergamasche, da un po’ di tempo se ne va in giro con la sua busta paga fotografata sull’I-phone, “perchè ormai non ci crede più nessuno”.
Il popolo padano esiste, quindi, ma non è detto che abbia ancora voglia di votare Lega.
Nella sede de La Padania dicono che l’iniziativa “Padani dite la vostra” inaugurata ieri, stia andando “molto bene”, ma non si sbilanciano con i numeri.
Il direttore Leonardo Boriani è convinto che l’errore del presidente Napolitano sia stato quello di usare il sostantivo “popolo” e l’aggettivo “padano”.
“Sulla questione politica si può discutere — spiega Boriani — sostenere che ‘non esiste una via democratica alla secessione’ è discutibile ma è lecito: dire che non esiste un popolo padano, no”.
Ma nelle parole dei leghisti c’è una calma, una prudenza inusuale.
Solo Calderoli dice che il federalismo può “fare sì che il cittadino venga trattato come tale e non come suddito”.
Bossi non ha detto nulla, Maroni non ha “nulla da aggiungere” alla “linea” del quotidiano di via Bellerio.
Che ieri — con il titolo “Io esisto e sono padano” – è stata quasi più morbida di Libero e Il Giornale.
Ma contro le parole del Capo dello Stato (sottoscritte ieri dai presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani) tra le camicie verdi c’è anche chi torna a sbottonarsi come ai vecchi tempi.
Basta ascoltare le proteste della base su Radio Padania e leggere un po’ di commenti lasciati in giro per la Rete per capire che intorno l’aria è molto meno serena. “Uscite dal governo. È ora di lottare!”, dicono in collegamento telefonico.
E invitano a “non pagare le tasse” visto che “per Napolitano noi esistiamo solo come contribuenti e non come persone”.
“Napolitano – insiste una elettrice bergamasca – è in Parlamento da sempre. Sarebbe uno come lui che vuole il cambiamento? Quelli come lui non vogliono cambiare un c….”.
Fino ad arrivare quasi alle minacce: “Sono padana e a Napolitano dico: invece di andare a Napoli venga in Padania a dire certe cose”.
E così, alla fine, a dare manforte agli ascoltatori arriva anche l’europarlamentare Mario Borghezio: “Il capo dello Stato si preoccupi di meno dei nostri slogan indipendentisti e pensi a come vengono spesi e sprecati i miliardi per le celebrazioni del 150 esimo anniversario dell’Unità  d’Italia”.
Per l’Italia dei Valori la questione è “eversiva”.
Per questo Antonio Di Pietro ha chiesto al presidente del Consiglio di “ascoltare il Capo dello Stato e di revocare l’incarico al ministro delle Riforme” perchè è “inammissibile” che Umberto Bossi invece di lavorare per migliorare il Paese, lo veda come un nemico e ne mini la sua integrità ”.
Il Pdl dice che non ce n’è bisogno, che è lui “garante dell’unità  nazionale”. Napolitano invece ieri è tornato a dire che “o questo Paese cresce insieme o non cresce”.
Ha chiarito che non si tratta di politica perchè lui è “imparziale” con tutti i partiti. E poi ha lasciato perdere la Padania ed è tornato a parlare delle cose che esistono:
“Il sovraffollamento delle carceri è una vergogna per l’Italia”.
Ci vorrebbe un’amnistia?
“Non se si creeranno le condizioni, ci vuole un accordo politico che allo stato non c’è”.

Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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MA L’OVETTO NO

Ottobre 1st, 2011 Riccardo Fucile

LO STRANO PAESE DOVE CHI PRELEVA SETTE PIETRE SUL LITORALE VIENE ARRESTATO, MENTRE I MILANESE RESTANO LIBERI E I ROMANO MINISTRI

Sicilia. Bartolo è un giovane di 23 anni e fa il pescatore a Sant’Agata di Militello, provincia di Messina.
L’altro giorno è stato arrestato dai carabinieri perchè “colto in flagrante” mentre prelevava sette pietre dal lungomare e le caricava su un furgone per fissare le sue reti da pesca sul fondale marino.
Tradotto in caserma, vi ha trascorso la notte, in attesa del processo per direttissima.
Il giorno prima la Camera negava l’autorizzazione all’arresto dell’on. Marco Milanese per rivelazione di segreti, corruzione e associazione per
delinquere.
Qualche giorno dopo, a Taranto, si apriva il processo a Donato, un ragazzo di 20 anni, imputato per il furto di un ovetto Kinder in un chiosco di dolciumi e per le ingiurie rivolte al venditore.
Prelevato dai carabinieri e interrogato alle 2 di notte, Donato è finito sotto processo perchè il venditore pretendeva 1.600 euro per chiudere la faccenda.
Il giorno prima, la Camera respingeva la mozione di sfiducia contro l’on. Saverio Romano, imputato per mafia, che dunque rimane ministro.
Domenica abbiamo raccontato la storia del giovane etiope rinviato a giudizio per aver colto qualche fiore di oleandro in un parco di Roma.
Ieri, sul Corriere, Luigi Ferrarella ricordava altri tragicomici precedenti.
Il processo a Milano contro un tizio imputato di truffa per aver scroccato una telefonata da 0,28 euro.
E quello contro due malviventi sorpresi a fare da palo a una terribile banda dedita al furto di alcuni sacchi della spazzatura in una bocciofila.
Ma anche i 169 ricorsi presentati in Cassazione da altrettanti utenti Enel (avanguardie di un esercito di 60 mila persone) che chiedono un risarcimento di 1 euro a testa.
Basta raffrontare l’entità  dei reati con i costi del processo (indagini della polizia giudiziaria e del pm, un giudice per la convalida del fermo, un gup per l’udienza preliminare, uno o tre giudici più un pm per il primo grado, tre giudici più un pg per l’appello, cinque giudici più un pg più un cancelliere per la Cassazione, con l’aggiunta di cancellieri ed eventuali periti) per rabbrividire.
O per sbertucciare la magistratura, che obbedisce semplicemente a leggi sempre più folli o infami.
Gli unici colpevoli sono i politici che hanno governato l’Italia in questi 17 anni: cioè tutti.
Questa giustizia impazzita l’han costruita loro con le loro manine sporche e/o incapaci.
Anzichè dare risposte serie alla domanda di giustizia in continuo aumento, che non trova sbocco se non in tribunale, depenalizzando i reati minori e creando un sistema serio di sanzioni amministrative, hanno seguitato a inventarsi una caterva di reati inesistenti (come l’immigrazione clandestina) per solleticare la pancia degli elettori più beceri e decerebrati e per allattare un termitaio di avvocati (230 mila contro i 20 mila del Giappone che ha il doppio della popolazione italiana: ha più avvocati la città  di Roma dell’intera Francia).
E intanto depenalizzavano, di diritto o di fatto, i reati dei potenti, cancellandoli o rendendoli impossibili da scoprire e processare.
Eppure, sui giornali e in tv, si continua a dipingere una giustizia che trascura “i veri criminali” per colpire i reati dei politici (ovviamente inventati).
Ora Napolitano ricorda che “in passato un leader separatista fu arrestato”.
Non sappiamo se si riferisca anche ai leghisti a suo tempo imputati a Verona per le camicie verdi (e armate) della “Guardia nazionale padana”.
Il processo s’è estinto perchè l’anno scorso — come denunciò il Fatto nel silenzio generale, anche del Quirinale — il ministro Calderoli depenalizzò il reato di “associazione militare a scopo politico” con un codicillo nascosto in un decreto omnibus.
Da allora, per mandare in fumo un processo che all’inizio vedeva imputati anche i ministri Bossi, Maroni e naturalmente Calderoli, chi fonda bande paramilitari fuorilegge non commette reato.
Chi invece ruba un fiore, o una pietra, o un ovetto per te, è un delinquente.
Ma solo perchè nessun ministro ha ancora rubato fiori, pietre e ovetti.
Non resta che aspettare, fiduciosi.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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SECESSIONE, NAPOLITANO : “GRIDANO SUI PRATI, IL POPOLO PADANO NON ESISTE”

Ottobre 1st, 2011 Riccardo Fucile

FINALMENTE IN ITALIA QUALCUNO RICORDA CHE PER GLI EVERSORI ESISTE IL CARCERE: “IN PASSATO UN SEPARATISTA FU ARRESTATO, LO STATO NON ESITO’ A INTERVENIRE”

Durissimo attacco del presidente della Repubblica alla Lega dopo i recenti riferimenti alla secessione: “Non esiste un popolo padano”, ha detto il capo dello Stato, rilevando che al momento si tratta di “grida su un prato”, ma che se dalle parole si dovesse passare a qualcosa di diverso, lo Stato non tarderebbe a intervenire: “In passato”, ha ricordato, “un leader secessionista è stato arrestato”.
“Non esiste un popolo padano”. Napolitano ha liquidato le richieste dei militanti leghisti nelle manifestazioni di partito: “Quello che si sente è spesso un incoraggiamento ridotto al minimo anche dal punto di vista dell’espressione verbale, grida che si elevano in quei prati in cui non c’è il popolo padano, ma una certa parte del corpo elettorale.
Che ha scarsa conoscenza di alcune cose, tra cui l’articolo 1 della Costituzione”, dice il presidente, che aggiunge: “La sovranità  appartiene al popolo 1, ma si dimentica quello che viene dopo la virgola, e cioè che si esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. Non esiste una via democratica alla secessione”.
Un riferimento indiretto ma chiaro alle parole del capogruppo della Lega alla Camera, Marco Reguzzoni, che la settimana scorsa aveva ricordato come, secondo la Carta, il popolo sovrano conti più del presidente della Repubblica.
“Lo Stato non esiterà  a intervenire”.
Napolitano sottolinea:”Ho avuto modo di dire che la secessione è fuori dalla realtà    e fuori dal mondo d’oggi, e appare grottesco oggi pensare a uno stato Lombardo-Veneto che competa con la Cina, la Russia, gli Stati Uniti. Mi pare che il livello di grottesco sia tale da fare capire che si può strillare in un prato ma non si può cambiare il corso della storia”.
Il presidente ha poi aggiunto che “in passato, un leader separatista fu arrestato. Nel ’43-’44 l’appena rinato Stato italiano, di fronte a un tentativo di organizzazione armata separatista, non esitò a intervenire in modo piuttosto pesante con la detenzione di Finocchiaro Aprile”.
Il riferimento è al leader degli indipendentisti siciliani, fondatore del Mis.
“Nuova legge elettorale per ritorno di fiducia”.
Il presidente ha commentato anche il grande numero di firme per il referendum abrogativo dell’attuale legge elettorale.
Secondo Napolitano, “Il sistema elettorale vigente ha rotto il rapporto di responsabilità  tra elettore ed eletto.
Il capo dello Stato aggiunge: “Non voglio idealizzare o idoleggiare i modelli del passato, perchè sappiamo quanto la pratica delle preferenze grondasse di negatività  ma era una forma di collegamento più diretto tra eletto ed elettore”.
Per concludere poi che “E’ ormai ampiamente diffuso il riconoscimento per cui una diversa legge elettorale può facilitare il ritorno della fiducia nelle istituzioni”.
Il ministro della Semplificazione del nulla Roberto Calderoli, replica alle parole del Capo dello Stato: “Napolitano e’ sempre molto saggio ma fa finta di dimenticare il diritto universalmente riconosciuto alla autodeterminazione dei popoli”.
Peccato che dimentichi che la maggioranza delle regioni del Nord della secessione non glieni frega una mazza.
Dalla Lega, commento patetico anche da Borghezio: “Il presidente Napolitano sembra collocarsi molto stranamente tra i nemici della libertà . Sappia che noi padani siamo pacifici ma che molti di noi sono pronti ad affrontare la prigione pur di difendere l’ideale di libertà  della Padania”.
Vorremmo proprio vederli certi fighetti leghisti rinunciare alle poltrone e agli stipendi romani da 15.000 euro al mese per andare in galera.
Ridicoli.

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I GIOVANI DEL PDL VOGLIONO SGANCIARSI DALLA LEGA

Ottobre 1st, 2011 Riccardo Fucile

“LA SECESSIONE E’ UNA STRONZATA, SE CI CREDONO ANCORA ALLA PROSSIME ELEZIONI VADANO PURE DA SOLI”

A parlare è Emanuele Locci, 31 anni, leader dei Giovani pidiellini del Piemonte. Insieme ad altri otto presidenti regionali della Giovane Italia ha scritto un comunicato di fuoco contro l’anti-italianismo di ritorno di Bossi, quello del “tricolore da somari”, per intenderci.
Valle d’Aosta, Piemonte, Trentino-Alto-Adige, Veneto, Liguria, Friuli-Venezia-Giulia, Lombardia ed Emilia Romagna, praticamente tutte le federazioni del Nord dell’organizzazione giovanile del partito del premier si sono ribellate alle ultime sparate del Senatur.
“In Italia ci sono milioni di somari che vanno fieri della bandiera tricolore —scrivono — Bossi la finisca con le sue pagliacciate. Di occasioni per tacere ne ha perse davvero tante e la misura comincia ormai ad essere piena”.
Dal documento traspare un’insofferenza montante verso le recenti bordate del Carroccio, insofferenza che sembra quasi sfociare in una richiesta di rottura dell’asse col Carroccio.
“Se la Lega Nord è a corto di risorse per le sue feste paesane, rinunci a qualche pietoso comizio e faccia proposte politiche invece di offendere”.
Toni duri, da avversari più che da alleati, o da “amici”, come ama dire il premier.
Del resto le federazioni giovanili dei due partiti ormai se le cantano di santa ragione. Giovani padani e giovani pidiellini al Nord non sono più alleati da tempo: difficile mettere d’accordo chi viene dalla tradizione di An e quindi crede nella Patria, nel tricolore, con chi attacca i manifesti sulla secessione e distribuisce pamphlet sulle “verità  nascoste del Risorgimento, storia senza gloria”.
“Loro attaccano quei simboli che per noi sono un orgoglio, rappresentano la storia del Paese”, continua Locci.
“E Bossi interpreta in maniera ‘egregia’ questa visione culturale e valoriale della Lega sull’italianità ”.
Se si andasse a votare con il Porcellum o con il Mattarellum, con un sistema elettorale cioè che privilegia bipolarismo e accorpamenti, sarebbe difficile sganciarsi dal Carroccio.
Però a tutto c’è un limite. “Se la Lega parla di federalismo bene, ma se, come ha fatto negli ultimi tempi, va a difendere i baby pensionati, pone il veto all’abolizione delle Province, difende i privilegi acquisiti negli anni ’80, vadano pure da soli”.
A quel punto secondo molti dirigenti della Giovane Italia sarebbe preferibile un avvicinamento con l’Udc o addirittura con i “traditori” finiani.
“In fondo abbiamo fondato il Pdl insieme, condividiamo dei valori comuni. Preferisco loro piuttosto a chi nella Lega si lascia andare ad esternazioni fuori luogo”.
Meglio il Terzo Polo insomma di un Carroccio che grida alla secessione e vive della difesa di piccole caste.
Anche perchè serpeggia il sospetto che dietro a questo ritrovato atteggiamento marcatamente anti-nazionale si nasconda l’intenzione di giocarsi la partita in solitaria. “Quando alzano i toni, io penso al ’96, al Parlamento padano, e mi viene il dubbio che vogliano scaldare il loro elettorato per un percorso elettorale autonomo”.
Niente alleanza con Bossi alle prossime politiche, dunque?
“Solo se è la Lega del 2001 o del 2008. Con chi fa queste pagliacciate no”.

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QUOTE LATTE, CONDANNATI SEDICI ALLEVATORI: NON HANNO PAGATO MULTE PER 100 MILIONI DI EURO

Settembre 30th, 2011 Riccardo Fucile

CONDANNE FINO A 5 ANNI DI RECLUSIONE PER I COMPAGNI DI MERENDE DI BOSSI: COLPEVOLI DI PECULATO E TRUFFA AI DANNI DELLO STATO

Pene fino a 5 anni e mezzo di reclusione per una presunta truffa da circa 100 milioni di euro sugli importi non versati allo Stato a partire dall’aprile 2003 dai produttori legati alle cooperative.
Il tribunale ha imposto ad alcuni imputati un risarcimento provvisionale di circa 30 milioni di euro all’Agea
La sentenza dei giudici milanesi nei confronti dei cosiddetti splafonatori, gli allevatori cioè che producono latte in eccesso superando le quote imposte a livello europeo dall’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), è esemplare con quindici agricoltori ritenuti colpevoli di peculato e truffa ai danni dello Stato per cento milioni di euro.
Sì, perchè il sistema adoperato fino al 2009 dai “Robin Hood” del latte era quello di non versare i soldi dei contribuenti europei all’Agea, più di cento milioni di euro, ma ridistribuirli tra i produttori, posizione da sempre sostenuta e promossa dalla Lega nord.
Duro il processo, pesante la sentenza.
Innanzi tutto le cooperative ‘La Lombarda’ e ‘La Latteria di Milano’ sono state giudicate colpevoli di truffa ai danni dell’erario con una sanzione pecuniaria di 100mila euro a testa, poi quindici i giudicati colpevoli e quattro gli imputati assolti.
La pena più alta è toccata ad Alessio Crippa, il re degli splafonatori, con 5 anni e mezzo di carcere per peculato e truffa.
Poco più della metà  è toccata al suo braccio destra, Gianluca Paganelli, che sconterà  una pena di 2 anni e mezzo di reclusione per truffa.
I restanti quattordici imputati dovranno scontare una pena che va da un anno a un anno e mezzo di reclusione e, per alcuni di loro, è scattato il risarcimento provvisionale all’Agea per una cifra di 30 milioni di euro e beni confiscati per 18 milioni.
Cifre esorbitanti che si sommano al risarcimento per le parti civili che verrà  stabilito in giudizio separato, comunque con provvisionali fissati a 40.000 per Coldiretti e Confragricoltura Lombardia e tra i 50 ed i 70.000 euro per due cooperative danneggiate da ‘La Lombarda’ e ‘La Latteria di Milano’.
Al termine di un lungo quanto contestato processo, e di un casus belli tra il ministro Galan e la Lega nord, Confagricoltura esulta definendo la sentenza “epocale e tutta da leggere”.
E’ infatti da tempo che l’organizzazione agricola italiana si batte contro gli splafonatori ed è evidente che questa sentenza rappresenti un punto di svolta nella battaglia contro chi elude la normativa europea in materia di produzione di latte.
“Una sentenza- evidenzia una nota di Confagricoltura- dalla quale nessun tribunale e nessun soggetto politico potrà  d’ora in poi certamente prescindere nell’affrontare argomenti di gestione politica ed amministrativa del comparto lattiero-caseario italiano. Finalmente viene fatta giustizia delle ragioni, da sempre manifestate dalla stragrande maggioranza dei produttori italiani e da tempo sostenute da Confagricoltura”.
Nonostante una condanna senza precedenti per la categoria, i Cobas si fanno beffe della sentenza e annunciano nuove proteste contro il sistema delle quote latte: “Continuo a ‘sforare’ le quote anche adesso- sostiene Crippa- in Italia viene processato chi va a letto con le donne a casa sua e chi fattura il latte che munge”. L’inchiesta, condotta dal pm Frank Di Maio e poi portata a processo dal collega Maurizio Ascione, aveva portato ai domiciliari Crippa e Paganelli nel febbraio 2009 e al sequestro delle aziende.

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