ECCO PERCHE NAPOLITANO PUNTA SU PADOAN COME GARANTE: TUTTO QUELLO CHE RENZI NON E’
ECONOMISTA DI AREA PCI, CONSIGLIERE DI D’ALEMA E AMATO, GRANDE CARRIERA INTERNAZIONALE
Oggi è il giorno dell’incontro riparatore: Matteo Renzi ascenderà al Colle più alto di Roma per chiacchierare con Giorgio Napolitano dopo che giovedì il capo dello Stato lo aveva snobbato convocando il suo ministro Pier Carlo Padoan e non lui per avere “ulteriori chiarimenti” sul decreto Irpef.
Il premier non l’aveva presa bene (“una cosa mai vista”) e così oggi potrà riassumere formalmente il suo ruolo (“attendo la convocazione”, ha detto ieri, deferente, al capo dello Stato durante la cerimonia per il 25 aprile al Vittoriano).
In realtà , Napolitano ha anche due cosette da dire al giovane capo del governo: non gli sono piaciute le uscite dei renziani — tipo quella di Roberto Giachetti — che invocavano il voto visto la mezza retromarcia di Silvio Berlusconi sulle riforme.
La stabilità , il nuovo bicameralismo e l’Italicum — per il Quirinale — valgono più di ogni altra cosa.
L’incontro, insomma, non cambierà la scenografia in cui il presidente della Repubblica ha inserito la vita politica italiana giovedì: il garante della tenuta dei conti pubblici è Padoan, quello della riuscita delle riforme lui (la chiamata a rapporto della recalcitrante Anna Finocchiaro lo ha sancito sempre giovedì).
Ma perchè Napolitano si fida così tanto del ministro dell’Economia tanto da farne il garante di un pezzo così rilevante degli obiettivi del suo fine regno?
Il motivo sta nella biografia di Pier Carlo Padoan (Pcp): se Mario Monti era “il più tedesco degli economisti italiani”, l’attuale ministro è il più politico dei tecnici.
Non solo: è un politico che viene da un mondo particolarmente consonante con quello del capo dello Stato. Pcp, infatti, all’ingrosso viene dal Pci ed è arrivato a Bruxelles. Come Napolitano.
Classe 1950, laurea alla Sapienza, vicino in gioventù al circolo di Franco Rodano — nume tutelare dei cattocomunisti d’antan — il suo nome comincia a farsi conoscere nel mondo della sinistra italiana nel 1975, quando pubblica su Critica marxista una relazione intitolata nientemeno che Il fallimento del pensiero keynesiano, che bordeggia con una certa insistenza certe critiche al riformismo socialdemocratico care agli amendoliani del Pci, il più famoso tra i quali è proprio Giorgio Napolitano.
Padoan cercava una sua terza via — ieri, per confermarlo, ha citato sul Foglio un articolo del 1980 sulla rivista del Mulino in realtà somigliava molto a un superamento da sinistra del capitalismo.
Non che si tratti di scetticismo sull’autobiografia del nostro: le radici di certe conversioni sono sempre profonde e difficilmente accertabili dall’esterno.
L’Accademia, levatrice e culla del nostro, viene abbandonata nel 1998, quando Padoan se ne va a Palazzo Chigi a fare il consulente di Massimo D’Alema per l’economia internazionale in un trittico di economisti che comprende il suo amico Claudio De Vincenti (oggi viceministro allo Sviluppo) e Nicola Rossi.
Insieme a Marcello Messori — oggi alla Luiss — formano il gruppo che ai tempi veniva chiamato con un certo disprezzo — e a torto, per la verità — dei “blairiani alle vongole”.
Va detto che dopo Palazzo Chigi — dove rimase fino al 2001, quando premier era Giuliano Amato — la carriera di Pier Carlo Padoan esplose: dal 2001 al 2005 è stato direttore esecutivo per l’Italia del Fondo monetario internazionale (l’ex viceministro Stefano Fassina fu suo assistente), incarico che lasciò per diventare direttore della fondazione ItalianiEuropei, fondata da D’Alema e che vedeva Amato alla guida del comitato scientifico.
L’aria di famiglia, insomma, l’inquilino del Colle la sente lontano alcune miglia, ma non è solo quello che ha fatto di Padoan il suo garante: ancor più rilevante è la confidenza che il nostro vanta coi circoli economici internazionali.
Il ministro dell’Economia, infatti, oltre che al Fmi ha fatto il consulente per la Banca mondiale e la Commissione europea, ha insegnato al “College of Europe” di Bruges, che è la principale sede produttiva della suprema burocratja bruxellese e — soprattutto — lavorato all’Ocse dal 2009 all’inizio di quest’anno: vicedirettore e capo economista
In questa veste il nostro è rimasto anti-keynesiano come nel 1975, ma non pare cercare più alcuna terza via, andandogli bene la prima.
Ad esempio Paul Krugman — premio Nobel per l’Economia, keynesiano — ha duramente attaccato i report prodotti sotto la guida di Padoan per ben due volte nell’ultimo anno nel suo blog sul sito del New York Times, classificando l’Ocse tra i più pervicaci sostenitori dell’austerità (e il Def recentemente pubblicato dal ministro o le sue interviste decisamente non danno torto al polemista statunitense).
In definitiva, Pier Carlo Padoan è il garante di Napolitano perchè è in perfetta continuità — tolta la vernice della personalità e le mutate condizioni nel dibattito europeo — con i gabinetti Monti e Letta, entrambi voluti, creati, tenuti in vita e infine giubilati dall’attuale presidente della Repubblica in nome della stabilità e del rispetto dei vincoli di bilancio europei.
In questo senso, e solo in questo caso, venire da sinistra dà persino una certa precedenza.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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