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GIUSEPPE MONTELLA, IL CARABINIERE ACCUSATO DI ESSERE IL CAPO DELLA BANDA DELLA CASERMA DI PIACENZA, INCHIODATO DA 75.000 INTERCETTAZIONI

TRA I REATI CONTESTATI ANCHE PERCOSSE E TORTURE NEI CONFRONTI DI SPACCIATORI A CUI VENIVA RUBATA LA DROGA PER DARLA AD ALTRI PUSHER AMICI

«Ho fatto un’associazione a delinquere ragazzi! Noi non ci possono… a noi… siamo irraggiungibili, ok?»: è Giuseppe Montella detto Peppe l’uomo accusato di essere il capo dell’associazione a delinquere che ieri ha portato all’emissione di provvedimenti di custodie cautelari nei confronti di dieci carabinieri: cinque in carcere, uno agli arresti domiciliari, tre hanno l’obbligo di presentarsi alla Polizia giudiziaria e uno non può lasciare Piacenza.
Ci sono 75mila intercettazioni che raccontano le vicenda della caserma Levante di via Caccialupo 2 che è stata utilizzata anche per un festino con un paio di escort, addirittura nell’ufficio del comandante Marco Orlando finito agli arresti domiciliari.
Spiega oggi Repubblica che dalle 326 pagine dell’ordinanza del gip Luca Milani, si capisce che non era un segreto che alla Levante le cose non andassero come dovevano:
Ne era a conoscenza il superiore diretto, il maggiore Stefano Bezzecchieri, comandante della Compagnia Piacenza. È l’ufficiale che scavalca il maresciallo alla guida della Levante e impone all’appuntato Montella di fare più arresti. «Vediamoci quanto prima a quattr’occhi, in borghese, al di fuori del servizio…», lo avverte al cellulare.
L’ordine è chiaro, va eseguito a ogni costo e con ogni mezzo. Pure se questo comporta, per usare le parole del giudice Milani, «la totale illiceità  e disprezzo dei valori incarnati dalla divisa». Con l’unica garanzia dell’impunità , perchè, si legge nell’ordinanza, «in presenza di risultati in termini di arresti, gli ufficiali di grado superiore erano disposti a chiudere un occhio sulle intemperanze e sulle irregolarità  compiute dai loro sottoposti».
Di nulla si sono accorti i tre comandanti provinciali che si sono succeduti a Piacenza dal 2017 ad oggi:
Il colonnello Corrado Scattaretico nel settembre del 2018 viene trasferito a Roma, in un ruolo di stretta fiducia dei vertici: vice capo-ufficio del vicecomandante generale dell’Arma. Il suo posto lo prende il colonnello Michele Piras, che arriva dal Reparto operativo di Catania, e lo mantiene fino al settembre dello scorso anno, quando è nominato dalla piacentina Paola De Micheli a capo della segreteria generale della neo-ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti. Viene sostituito dall’attuale comandante provinciale, il colonnello Stefano Savo.
Non si capisce perchè l’appuntato Montella sia un intoccabile. Ma c’è un episodio che risale al 12 aprile di quest’anno a confermarlo:
In pieno lockdown, e violando le disposizioni del governo, Montella dà  una festa in giardino. Lorenzo Ferrante, in servizio presso la Centrale Operativa del Comando Provinciale di Piacenza, invia una pattuglia. Appena capisce che la casa è quella dell’appuntato, ordina alla pattuglia di lasciare il quartiere. Non solo. Chiama Montella «per scusarsi per il disguido», assicurandogli che «non avrebbe redatto alcun documento, per non lasciare traccia dell’accaduto».
Le percosse, le torture, i permessi agli spacciatori
Tra i reati più gravi contestati ci sono le percosse e le torture nei confronti degli spacciatori a cui veniva rubata la droga per darla al giro di pusher organizzato dai carabinieri. La Stampa racconta che il 27 marzo avviene un pestaggio particolarmente brutale di un egiziano.
Le foto mostrano larghe chiazze di sangue sul selciato, mentre l’uomo è a terra ammanettato. Nelle intercettazioni si sente parlare in napoletano stretto: «Ragazzi prendetegli lo Scottex che abbiamo nella palestra così si pulisce!». I pestaggi sono così violenti che ogni tanto hanno pure paura di avere esagerato. Dice un carabiniere dopo aver massacrato di botte un nigeriano: «Quando   ho visto quel sangue per terra, ho detto: “Mo’ l’abbiamo ucciso”…». Non è vero, ma basta questo per parlarne alla fidanzata, come se fosse un lavoro faticoso: «Mamma mia quante mazzate ha pigliato… Colava il sangue, il sangue gli colava da tutte le parti… Sfasciato da tutte le parti, non parlava… Credimi che ne ha prese, ne ha prese…». L’8 aprile nelle intercettazioni ambientali si sente un pusher albanese pesantemente percosso. I carabinieri lo minacciano di andare avanti a oltranza a colpirlo con ogni mezzo: «Allora tu non hai capito che qua non comandi un cazzo, non hai capito un cazzo allora… Questo è il primo della   giornata ok?».
Poi c’è la storia delle false certificazioni preparate per consentire ai galoppini di muoversi liberamente: «Vabbò senti a me ascolta me, tu prendi questo tanto ho messo il timbro. Tu te lo compili e lo sottoscrivete…».
“Nei capi d’imputazione 39, 46, 47, 48 e 50 — si legge nell’ordinanza — è stato posto l’accento sulla violenza che ha connotato le iniziative intraprese dai militari della stazione Piacenza Levante”. Le immagini recuperate dalla memoria del telefonino di Montella, ma anche quelle riprese dalla telecamera di sicurezza e le registrazioni audio “dei pestaggi compiuti presso la caserma e i riferimenti operati dai soggetti intercettati — aggiunge il Gip — contribuiscono a delineare un quadro indiziario solido e convergente”.
I “gravi indizi” sussistono in particolare per la contestazione del reato di tortura. “In quanto — scrive il giudice — la persona nei cui confronti sono state compite le condotte illecite, si trovava in una condizione di privazione della propria libertà  personale, peraltro illegittima (non essendo ancora avvenuto il suo arresto) ed era stata costretta a subire le angherie di Montella e dei suoi commilitoni”.
A colpire la vittima sarebbe stato solo uno dei carabinieri ma, aggiunge il Gip, “non può essere escluso il contributo attivo fornito da tutti gli indagati, i quali erano intenti o a suggerire particolari tecniche di persuasione o comunque ad assistere ad un fatto di estrema violenza che mai dovrebbe verificarsi all’interno di un ufficio di pubblica sicurezza”. Non solo: “è indubitabile come, ascoltando i suoni dei colpi assestati e, soprattutto, dei lamenti e del pianto della vittima, quest’ultima abbia provato ‘acute sofferenze fisiche’ sufficienti” a poter configurare il reato di tortura.

(da “NextQuotidiano”)

This entry was posted on giovedì, Luglio 23rd, 2020 at 11:42 and is filed under Giustizia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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