I CONTATTI CON I VERTICI DEI SERVIZI IRANIANI DEL GENERALE CARAVELLI DOPO IL SÌ CONDIZIONATO DI TRUMP ALLO SCAMBIO CON ABEDINI (IL TYCOON HA CHIESTO CHE VENISSE FATTO PRIMA DEL SUO INSEDIAMENTO, SCARICANDO L’IMBARAZZO SULL’USCENTE BIDEN)
IL PATTO CON LA CIA: GLI 007 ITALIANI HANNO GARANTITO IL TRASFERIMENTO DI TUTTE LE INFORMAZIONI CONTENUTE NEI DISPOSITIVI MOBILI SEQUESTRATI DALLA DIGOS AD ABEDINI… MA C’E’ UN ALTRO “DO UT DES” SUL PIANO POLITICO (L’ACCORDO CON SPACE X PER I SATELLITI DI MUSK)
Per una volta è lui l’uomo-copertina della vicenda, nonostante il suo principale compito sia quello di agire dietro le quinte: ha sbloccato l’impasse con la Repubblica Islamica, dopo aver ricevuto il via libera politico, direttamente da palazzo Chigi, sulla possibilità di offrire come moneta di scambio la scarcerazione – prevista nei prossimi giorni – di Abedini Najafabadi.
Ricevuto il semaforo verde per la liberazione di Abedini, è ri-entrato in scena Caravelli, che ha avviato – fin dal 19 dicembre, giorno della carcerazione di Sala – i contatti con i vertici dei servizi iraniani (il ministero preposto è stato affidato a Esmail Khatib dal presidente Masoud Pezeshkian) che conosce da lustri. È proprio Caravelli che ha convinto i colleghi di Teheran a fidarsi, e ad anticipare il ritorno della giornalista.
La trattativa ha visto fin dall’inizio in campo tre attori. L’Italia e l’Iran e, ovviamente, gli Stati Uniti, che avevano chiesto e ottenuto l’arresto di Abedini per la sua responsabilità nella costruzione dei droni usati dall’esercito della Repubblica islamica.
La richiesta sull’asse Roma-Teheran era palese: la liberazione della giornalista, detenuta nella terribile prigione di Evin, in cambio della scarcerazione dell’ingegnere.
Un sostanziale baratto di prigionieri. Italia e Iran si sono subito accordati sulla possibilità dell’operazione. Inizialmente gli ayatollah hanno detto che non avrebbero liberato Sala se non dopo il ritorno di Abedini: prima vedere cammello.
Dopo il blitz di Meloni da Trump e il sì condizionato del tycoon allo scambio (Trump ha chiesto che venisse fatto prima del suo insediamento, scaricando qualsiasi imbarazzo sull’uscente Biden), Caravelli ha potuto muoversi con più forza nei confronti di Teheran. Chiedendo di invertire l’onere della fiducia: dateci Sala, dopo vi daremo Abedini. Il regime ha accettato.
Ma cosa ha convinto il futuro inquilino della Casa Bianca a digerire il “no” italiano all’estradizione dell’ingegnere considerato un terrorista, reo di aver contribuito a far uccidere militari statunitensi?
Due rassicurazioni da parte di Roma. In primis, l’intelligence italiana ha garantito alla Cia il trasferimento di tutte le informazioni contenute nei dispositivi mobili, pc e smartphone sequestrati dalla Digos ad Abedini il giorno della cattura.
Materiale preziosissimo per gli agenti di Langley: possono impiegarlo per operazioni di contro-spionaggio e conoscere le tecnologie adoperate dagli ayatollah, oltre che la rete di contatti dell’iraniano.
Fin qui il do ut des sul piano dell’intelligence.
Ma c’è un altro livello, quello politico. Come emerso, la missione di Meloni a Mar-a-Lago è stata necessaria a fornire adeguate garanzie al futuro inquilino della Casa Bianca: il governo italiano rischia di dover pagare un prezzo politico che sarà tutto da calcolare nella lealtà all’amministrazione repubblicana. C’è chi mette in relazione questa vicenda anche con il possibile accordo con SpaceX per i satelliti di Musk. Restano ipotesi, la realtà sarà tutta da vedere.
(da editorialedomani.it)
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