ITALICUM ALL’ULTIMO RESPIRO
SUL SENATO REGGE L’ACCORDO CON FORZA ITALIA….IL PD FARà€ BATTAGLIA SUGLI EMENDAMENTI
“La Commissione Affari Costituzionali del Senato esaminerà l’Italicum, quando avremo finito l’esame delle riforme costituzionali”. Anna Finocchiaro ufficializza quello che Renzi e Berlusconi hanno deciso nell’incontro di lunedì sera.
Che poi nella convinzione di molti senatori del Pd (anche renziani) si traduce nel fatto che l’Italicum è morto.
Affermazione che tornava ieri durante la riunione del gruppo democrat a Palazzo Madama. Perchè poi dopo le europee se FI crolla come dicono i sondaggi perchè B. dovrebbe votare una legge che lo penalizza?
“Se non facciamo questo sistema elettorale, ha tutto da perdere. A quel punto passiamo ai collegi uninominali , che lui non ha mai voluto”, ragiona un renziano doc alla Camera, sostenendo che “se il Pd stravince alle europee non c’è nessuna ragione di fare una legge diversa da quella”.
Renzi, insomma, proverà ad andare avanti sull’Italicum, ma oggettivamente nessuno può dire cosa succederà dopo le europee.
Peraltro, le previsioni (scritte anche nel Def) sono che slitti a settembre.
Nei colloqui tra il premier e Napolitano è stata registrata anche la sua disponibilità a fare modifiche. Intanto, quello che Renzi vuole e deve fare a tutti i costi è arrivare al 25 maggio con una approvazione in prima lettura della riforma del Senato.
Obiettivo di per sè non facile, visti i tempi strettissimi e i numeri risicatissimi. Chiti non ha ritirato il suo ddl, ma si è detto positivo rispetto al testo del governo.
“Il problema della revisione del Senato pensata dal governo sta nel fatto che si poggia sull’Italicum, che assegna troppi poteri a chi vince le elezioni e per giunta in una sola Camera”. Accantonato l’Italicum, la strada del Senato è più semplice.
Solo 11 senatori hanno votato contro la decisione di assegnare alla Finocchiaro il mandato di stendere emendamenti condivisi, partendo dal testo del governo.
Lo dice bene Francesco Russo, lettiano: “Finocchiaro lavorerà ad un testo di sintesi per un Senato di garanzia”. Sarà comunque battaglia sugli emendamenti. Per la questione dell’elettività , si ragiona su una sorta di listino per il Senato di accompagnamento alle liste per l’elezione dei consiglieri regionali.
Poi, dovrebbero entrare le modifiche chieste da B.: via i 21 senatori nominati dal Colle e equilibrio nella rappresentanza delle varie Regioni. Rimane il fatto che sul Titolo V le idee del governo sembrano confuse. Ma da parte del Pd almeno (al netto dei civatiani) la volontà politica di andare avanti c’è. E FI ha registrato il patto ritirando gli interventi di 50 senatori.
Intanto , domani arriva sia a Palazzo Madama che a Montecitorio il Def. In questa occasione alcuni “renziani adulti” (definizione di un deputato lombardo) hanno deciso di presentare un documento, scritto da Matteo Richetti, uno dei volti di punta del renzismo della primissima ora. E promosso, tra gli altri, dal sottosegretario alla Funzione Pubblica, Angelo Rughetti.
Con l’assenso di Delrio, che è non solo il braccio destro di Renzi, ma anche uno dei pochi che può mettere in discussione le idee del premier.
Il documento parte da un assunto di fondo molto forte in sostegno dell’esecutivo (“si fa portatore di un intervento ad alto valore re-distributivo”, “prescrive che ciascuno contribuisce alla vita delle comunità in ragione delle risorse e del patrimonio di cui dispone”) e ribadisce con forza la centralità del Parlamento.
Non a caso in 24 ore ha raggiunto oltre 100 firme. Se fosse una corrente, sarebbe la più numerosa del Pd, viste le divisioni nella minoranza. Ci sono molti renziani doc, da Ernesto Carbone a Davide Faraone, da Ermini a Cociancich. Ma anche molti di altre correnti (anche la super bersaniana Valeria Fedeli, per dire) o restati di fatto senza una vera corrente di appartenenza.
Per molti in questi primi mesi il lavoro parlamentare si è ridotto solo a spingere bottoni per far passare leggi decise da altri. Una condizione vissuta sempre più come intollerabile. Insomma, l’obiettivo — sia pure nel nome di Matteo Renzi — è tornare a fare politica.
Partendo anche dal fatto che il cammino parlamentare del governo non è stato facile, anche visto il fatto che i gruppi non li ha scelti lui.
Spiegava Richetti, presentando il documento ai colleghi: “Su certi temi non si può lasciar parlare solo Fassina”.
D’altra parte l’ha ribadito pure D’Alema: “Sulle riforme Renzi ha dato l’impulso, ma è il Parlamento che decide. E non ci sono nè lui, nè Berlusconi”.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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