RENZI CERCA COPERTURE DISPERATAMENTE E SCIPPA IL CANONE RAI
IL GOVERNO TOGLIE ALLA RAI 170 MILIONI DAL CANONE PER FINANZIARE LA MARCHETTA DI 80 EURO CHE SERVE A RENZI PER SALVARE LA FACCIA
Cottarelli scrive a Gubitosi e gli annuncia un prelievo di 170 milioni (il 10 per cento del gettito dell’imposta sulla tv) per coprire gli aumenti in busta paga dei lavoratori meno abbienti.
Un’altra mazzata per Viale Mazzini sul bilancio 2014 che già prevedeva tagli e i 100 milioni per i diritti sportivi.
Da un paio di giorni, una lettera spedita da Palazzo Chigi fa tremare le scrivanie di Viale Mazzini. Il governo chiede ai vertici Rai di contribuire al taglio di spesa pubblica con 170 milioni di euro che verranno succhiati dal canone di abbonamento 2014.
Il meccanismo è semplice: il Tesoro trattiene circa il 10 per cento di oltre 1,7 miliardi di euro anni, la tassa che gli italiani pagano e in tanti evadono.
Occorrono risorse per mantenere le promesse di Matteo Renzi, risorse che il ministro Pier Carlo Padoan deve garantire.
I 170 milioni di euro trasformano in un buco nero il bilancio 2014, che già sarà appesantito dai diritti televisivi sportivi (Mondiali di calcio, soprattutto), 100 milioni abbondanti di costi.
Il direttore generale Luigi Gubitosi, neanche una settimana fa, aveva illustrato i risultati 2013: dopo un passivo di 245 milioni, viale Mazzini è tornata in utile di 5,3, uno spiraglio , un sintomo di guarigione, nulla di più.
Adesso la richiesta di Palazzo Chigi — che si presume ispirata anche dal signor spending review Carlo Cottarelli — non crea soltanto panico, ma costringe viale Mazzini a una lotta per la sopravvivenza.
Il debito consolidato Rai, ristrutturato da Gubitosi con le banche creditrici, s’è fermato a 441 milioni di euro, ma sarà destinato a crescere ancora dopo un bilancio 2014 con 300 milioni di perdite.
Più che un risparmio fra gli sprechi di viale Mazzini, l’obolo che pretende il governo spingerebbe le finanze Rai al collasso.
La questione non è affrontata in questa recente missiva, ma il governo vuole che l’azienda riduca anche gli stipendi di dirigenti e giornalisti che non rispettano il tetto di 238.000 euro (la retribuzione di Giorgio Napolitano), fissato per le società compartecipate (incluse le presidenze delle quotate): scelta legittima e necessaria dopo lunghe stagioni senza regole.
E saranno ridotte anche le buste paghe di capiredattori e funzionari ben lontani dai 238.000 euro
I ricavi di viale Mazzini si reggono sul canone di abbonamento, che ha apportato 1,756 miliardi su 2,748 nel 2013: la pubblicità è bloccata sotto i 700 milioni (ha perso il 30 per cento in un biennio) e gli introiti commerciali non superano i 300 milioni.
Non è la prima volta che si prefigura uno scontro tra viale Mazzini e palazzo Chigi.
Già lo scorso novembre, il Consiglio d’amministrazione aveva criticato l’allora ministro Flavio Zanonato per il mancato adeguamento del canone all’inflazione, un palliativo per assorbire un pezzo di evasione (mai realmente contrastata e calcolata in 500 milioni di euro).
Poi venne il momento di Cottarelli, che paventò la chiusura di qualche sede regionale, appena rimpolpate da decine di giornalisti che hanno partecipato a un concorso interno e che restano un simulacro del servizio pubblico.
Era sono un avviso.
Ma la lettera spaventa davvero.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)
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