LA SANTA HA I GIORNI CONTATI? IL 29 GENNAIO LA CASSAZIONE DECIDERA’ SULLA COMPETENZA TRA MILANO O ROMA NEL CASO IN CUI DANIELA SANTANCHE’ RISPONDA DI TRUFFA AGGRAVATA AI DANNI DELL’INPS (OVVERO DELLO STATO).
GIORGIA MELONI POTREBBE COSTRINGERE LA MINISTRA DEL TURISMO A DIMETTERSI PER EVITARE UN CALVARIO GIUDIZIARIO DANNOSO PER IL GOVERNO
C’è una data che segnerà l’addio al governo di Daniela Santanchè: prima di partire per Washington, Giorgia Meloni l’ha consegnata a Giovanbattista Fazzolari e tramite il sottosegretario ai parlamentari di Fratelli d’Italia. Il 29 gennaio la Cassazione dovrà decidere sulla competenza tra Milano o Roma nel caso in cui la ministra del Turismo risponde di truffa aggravata ai danni dell’Inps per la vicenda della cassa integrazione in Visibilia durante il periodo del Covid.
Santanchè è sempre stata convinta che il trasferimento nella Capitale allungherebbe i tempi del rinvio a giudizio – il secondo, dopo quello del falso in bilancio. Ma è un’agonia che Meloni si vuole risparmiare.
Ma il 29 gennaio è anche il giorno dopo il rientro da un viaggio in Arabia Saudita e Bahrein che la premier ha in agenda tra il 26 e il 27 gennaio, e che, al momento, prevede in delegazione la presenza di Santanchè.
Sono fonti di primo livello di Fratelli d’Italia a confermarlo a La Stampa. La presidente del Consiglio, raccontano, è profondamente delusa dal comportamento di Santanchè, perché le aveva garantito un relativo ridimensionamento della sua odissea giudiziaria. Né le piace che stia trasmettendo la sensazione di voler rimanere a tutti i costi, nonostante la dimensione delle accuse.
Tanto più che le mozioni di sfiducia che ha presentato il M5S, e che Alleanza Verdi e Sinistra e Pd sono pronti a votare, rischiano seriamente di mettere in difficoltà la maggioranza di centrodestra in Parlamento.
Fino alla sera di domenica, prima del decollo di Meloni, attesa negli Stati Uniti al giuramento del presidente americano Donald Trump, dal partito si smentiva un colloquio con Santanchè. È stata una gelida dimostrazione di sfiducia che la ministra ha colto immediatamente. Come non ha potuto non sentire il peso del silenzio dei colleghi di partito.
Nessuno si è esposto per difenderla, nessuno ha detto che dovrebbe rimanere al suo posto fino ad almeno una condanna. La linea rossa è sempre stata il rinvio a giudizio e Meloni non può rimangiarsi quanto fatto filtrare per mesi ai giornali. «Anche perché quando era all’opposizione ha chiesto la rimozione di ministri per molto meno», ricorda Peppe De Cristofaro, senatore di Avs.
Ma c’è un silenzio pubblico che pesa più degli altri, quello di Ignazio La Russa. Il presidente del Senato è un amico da sempre, un sodalizio strettissimo che si è allargato alle famiglie, e ai rispettivi partner, coinvolti in un’indagine per la compravendita di Villa Alberoni, a Forte dei Marmi. La Russa è avvocato e ha dato consigli legali alla ministra, ma sulla gestione politica della vicenda può fare poco: «È tutto in mano a Giorgia», sta ripetendo a chi gli chiede cosa succederà.
(da La Stampa)
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