L’ALLUVIONE DI GENOVA: FUORI DA SCUOLA L’APPUNTAMENTO CON LA MORTE
GIOIA E JANISSE DI 8 E 1 ANNO NON CI SONO PIU’, TRAVOLTE DALL’ONDATA DI ACQUA E FANGO CHE HA DEVASTATO GENOVA, MA ANCHE VITTIME DELLA CATTIVA GESTIONE DELL’EMERGENZA…LA RABBIA DEL PERSONALE DELLA SCUOLA
L’inferno di acqua, fango e detriti ancora negli occhi. Lacrime che scorrono sulle guance.
«È una nostra bambina, Gioia, veniva a scuola qui e ora non c’è più», si dicono insegnanti, bidelli e amministrativi nell’atrio della Giovanni XXIII, materna, elementari e medie, in piazza Ferraris, alla fine di via Fereggiano, nel cuore della tragedia.
Gioia, otto anni, ieri mattina era al sicuro nella sua classe, la III B.
Ma la mamma, Shiprese Djala, 28 anni, albanese, preoccupata per quell’apocalisse di pioggia, è corsa a scuola a prenderla, con la piccola Janissa, un anno, tra le braccia.
Tutte e tre sono morte nell’androne di un palazzo a pochi metri dalla scuola, travolte dall’onda di piena.
Alla Giovanni XXIII non si danno pace. «Arrivavano i genitori lividi dalla paura e dall’apprensione per i loro bambini. Cercavamo di convincerli a restare, di trattenerli, ma molti temevano di rimanere bloccati – racconta il segretario della scuola, Tommaso Pezzano -, allora per non lasciarli andare li mandavamo dai vigili urbani, lì fuori, che fossero loro a persuaderli. Altri invece si sono fermati con noi, abbiamo raccolto i panini e l’acqua che c’erano ancora nel refettorio e lo abbiamo diviso. Un papà ha racimolato tre candele e con quelle ci siamo aiutati fino a sera quando la cinquantina di persone, adulti e bambini che erano rimasti qui sono stati portati via dai soccorritori».
«Un padre – ricorda Pezzano con gli occhi che si riempiono di lacrime – è venuto a piedi da Nervi, chilometri di marcia sotto la pioggia, mi ha guardato con il terrore negli occhi: la mia bambina?, mi ha chiesto. L’ho rassicurato, la piccola era con noi, ai piani alti della scuola. Quel pover’uomo ha camminato per due ore per la sua bambina».
Ma tra il personale della scuola c’è anche tanta rabbia.
«Ci hanno mandato una nota dal Comune – racconta Pezzano -, poche righe: stato di allerta meteo, ma che cosa significa? Tutto e nulla. E noi cosa avremmo dovuto fare?. Nessuno ci dava indicazioni».
Nella comunicazione scritta del Comune di Genova, testualmente, «si invitano pertanto le famiglie a connettersi tempestivamente con i mezzi di comunicazione pubblici per acquisire informazioni su eventuali provvedimenti adottati a tutela della pubblica incolumità ».
«Si’, peccato che alle 11 luce e quindi tv e internet sono saltati, neppure i cellulari funzionavano e anche per questo molti genitori sono corsi a scuola per prendere i loro bambini, per portarli a casa, per averli sotto gli occhi – dice Pezzano amaramente -. Abbiamo deciso noi autonomamente di tenere i bambini rimasti e di accogliere quelli che volevano entrare. Ma nessuno per ore e ore si è presentato per chiederci come andava. Eppure noi eravamo al centro dell’inferno. Solo alle 13 una vigilessa, disperata perchè aveva perso il suo collega e non riusciva a trovarlo, è entrata nella scuola e ci ha detto di andare ai piani alti per metterci in salvo».
All’interno della scuola, dunque, i bimbi erano effettivamente sicuri ma molti sono convinti che la chiusura degli istituti avrebbe potuto evitare la tragedia, «dando ai cittadini – dice un insegnante – il vero senso dell’allarme e della preoccupazione delle autorità ».
(da “Il Secolo XIX”)
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