MARIO SECHI LASCERÀ, DOPO APPENA TRE MESI, PALAZZO CHIGI: IL CAPO UFFICIO STAMPA DI GIORGIA MELONI SARÀ IL NUOVO DIRETTORE DI “LIBERO”
SECHI SI È STUFATO DEL “CLAN TOLKIEN” E DELLE DUE AMAZZONI MELONIANE GIOVANNA IANNIELLO E PATRIZIA SCURTI, CHE DA SUBITO LO HANNO VISTO COME UN CORPO ESTRANEO E HANNO LAVORATO SOTTO TRACCIA PER DEPOTENZIARLO
Dopo le frizioni con lo staff di Giorgia Meloni il portavoce Mario Sechi ha deciso di lasciare Palazzo Chigi. La notizia è stata anticipata da Dagospia. L’ex direttore dell’agenzia Agi, di proprietà dell’Eni, andrà a dirigere Libero, uno dei quotidiani del gruppo che fa capo ad Antonio Angelucci, l’imprenditore della sanità e deputato prima di Forza Italia e ora della Lega.
L’attuale direttore di Libero Alessandro Sallusti è infatti destinato a tornare, con Vittorio Feltri, a Il Giornale, non appena sarà nominato il nuovo Ca dal gruppo di Angelucci che ha acquistato la testata da Paolo Berlusconi
Mario Sechi non era a Parigi, all’Eliseo, martedì scorso. Un elemento di prova, direbbe un investigatore alle prese con il nuovo caso della comunicazione targata Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Come mai il capo ufficio stampa della presidente del Consiglio, giornalista con una grande passione per la geopolitica, non era presente al bilaterale più atteso degli ultimi mesi, l’incontro della riconciliazione tra Meloni ed Emmanuel Macron?
Domanda inevasa per ore, finché le voci che si rincorrevano da giorni non si sono trasformate in un’indiscrezione del sito Dagospia. Sechi ha pronte le valigie, dopo poco più di tre mesi a Palazzo Chigi. Nulla di ufficiale, ancora. Ma dovrebbe traslocare alla direzione di Libero, quotidiano che, accanto a Il Giornale e a Il Tempo, nel nuovo polo conservatore immaginato dall’editore Antonio Angelucci – proprietario di cliniche e anche deputato iper-assenteista della Lega – rappresenterebbe l’ala meloniana.
Storia tutta italiana questa, dove il confine tra interessi privati, politica, e giornalismo sfuma facilmente verso il grigio. E dove diventa normale che da collaboratore della premier si finisca a fare il direttore. Partiamo dalla fine. Dai messaggi a cui Sechi non ha risposto, ieri. Lo cercavamo per una conferma. Da buon sardo ha taciuto. E dunque ci siamo rivolti ad altre fonti di Palazzo Chigi, che ci hanno ricostruito il livore che si respirava in quelle stanze, la diffidenza verso Sechi della cerchia più ristretta che Meloni si è portata dietro quando è stata nominata presidente del Consiglio, una specie di “clan Tolkien”, dal nome dell’autore de Il Signore degli Anelli amato da questi fedelissimi e fedelissime. Tutte cose note ai giornalisti al seguito, sia chiaro.
Bastava essere presenti a uno dei tanti viaggi internazionali della premier per capire quanto non ci sia mai stato feeling tra Sechi e le due donne che fanno da bodyguard, da sempre, a Meloni: l’eterna segretaria Patrizia Scurti, oggi capo della segreteria particolare, e la storica portavoce Giovanna Ianniello, oggi coordinatrice della comunicazione istituzionale. Entrambe siedono nell’ufficio del presidente. Il gabinetto ristretto, per intendersi. Sechi ne è rimasto fuori. Entrambe partecipano ai bilaterali con i leader – per dire, erano sedute al tavolo con il presidente cinese Xi Jinping e con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky – Sechi no.
Da quanto trapela, l’accordo era prima di provare una convivenza di tre mesi. Se fosse andata bene, si sarebbe andati avanti. Su per giù la scadenza è stata questa. E, a quanto pare, non è andata così bene.
Chi conosce il “clan Tolkien” da anni sapeva sin dall’inizio che sarebbe finita così. E infatti Sechi è arrivato depotenziato a Palazzo Chigi. Non con il ruolo formale di portavoce, bensì di capo dell’ufficio stampa. Senza la possibilità di un rapporto più diretto con la premier e spesso tenuto all’oscuro delle novità improvvise in agenda. I rapporti tesi hanno complicato il resto della quotidianità.
Sechi è stato un ammiratore di Mario Draghi e prima candidato non eletto del partito dell’ex premier Mario Monti. Entrato nella squadra dei dirigenti dell’Eni, fu mandato a dirigere l’Agi nell’estate del 2019, l’estate del Papeete e della caduta di Matteo Salvini.
Dall’agenzia di proprietà dell’azienda di Stato che per conto del governo si occupa della strategia di affrancamento dal gas russo e di firmare contratti in giro per il mondo, è finito a Palazzo Chigi e da qui ora andrà a dirigere un quotidiano di area, della destra, di proprietà di un deputato della Lega che in Parlamento non mette mai piede. I primi indizi su chi gli succederà portano a Daniele Capezzone, ex radicale, ex deputato Forza Italia, oggi collaboratore de La Verità, e per qualche ora, negli ultimi giorni, anche lui candidato alla direzione di Libero
(da il FattoQuotidiano)
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