MEETING RIMINI, DISERTA LA POLITICA: FINE DI UN’ERA ?
E’ LA PRIMA EDIZIONE IN VENT’ANNI A NON DETTARE L’AGENDA
Meeting di Rimini, incontro inaugurale.
Nelle prime due file fa capolino la testa sale e pepe di Raffaello Vignali. Il parlamentare del Nuovo centrodestra è di casa da queste parti, avendo ricoperto il ruolo di presidente della Compagnia delle opere.
Vignali è l’unico politico a prendere posto nelle prime due file.
Un anno fa, di questi giorni, l’infinita lista di parlamentari e portaborse attesi per l’intervento di Enrico Letta aveva consigliato gli organizzatori a riservare sotto il palco quasi di ottocento posti.
Un’immagine che fotografa plasticamente il cambio di passo della kermesse. La versione ufficiale, quella sciorinata da Maurizio Lupi, Giorgio Vittadini, Roberto Formigoni e Mario Mauro (il gotha della galassia ciellina) parla di una scelta consapevole, del tentativo di scremare gli uomini di Palazzo in fiera, per far emergere temi e contenuti per anni rimasti mediaticamente sotto la patina della riapertura pre-settembrina del caravanserraglio della politica.
A microfoni spenti, qualcuno la butta giù così: “È un tentativo di rifarsi la verginità , di dire, dopo tanti anni in cui abbiamo invitato chiunque, che Cl non è solo politica, anzi”.
Echi del ragionamento, quando si spinge il tasto play, si trovano nel “negli anni passati alcuni incontri non sono stati il massimo, possiamo sbagliare ma proviamo a costruire” del presidente della Fondazione per la Sussidiarietà (Vittadini), o “l’esposizione politica è stato un aspetto che ha offuscato tutti gli altri aspetti del Meeting, abbiamo provato a cambiare passo”, del senatore di Ncd (Formigoni).
Rimane il fatto che una manifestazione che negli ultimi lustri ha contribuito in larga parte a dettare l’agenda dell’autunno, abdica per la prima volta al ruolo di mazziere del tavolo da poker del fu bipolarismo italiano che l’aveva contraddistinta.
Sì, ci saranno cinque, forse sei ministri (“Tutti invitati a parlare dei temi di loro competenza”, sottolinea la presidente Emilia Guarnieri).
Ma non bastano a controbilanciare l’assenza del premier Matteo Renzi, e di tutti i suoi più stretti collaboratori.
Compresa Federica Mogherini, ministro degli Esteri, in un’edizione in cui è la politica internazionale a farla da padrone. Anche lei invitata, anche lei assente per motivi di agenda.
Nell’epoca del turbopremier cattolico sensibilissimo agli applausi e ai bagni di folla (il battimani ha accolto da queste parti Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi, Mario Monti e lo stesso Letta, senza distinzione di colore politico), è stato il fragore del forfait non meglio giustificato di Renzi ad accendere un campanello d’allarme.
Tanti gli ingredienti che hanno contribuito a scolorire lo charme di un biglietto d’invito per quello che fino a ieri era il cuore del mondo (politico) per un’intera settimana l’anno.
C’è che la roccaforte ciellina della Lombardia si è (nemmeno troppo) lentamente frantumata.
Un bacino di voti ridotto all’osso, a guardare le percentuali di Lupi&co a Milano e dintorni alle ultime europee.
C’è che è iniziato il primo Meeting organizzato dopo il consumarsi della diaspora dei parlamentari e degli amministratori locali formatisi sui libri di don Giussani (tra quelli che hanno seguito l’avventura di Angelino Alfano, coloro che sono rimasti fedeli all’ex Cavaliere, e chi ha seguito l’avventura nell’allora Scelta civica, oggi I Popolari) di Mario Mauro.
Una falange che, persa la sua compattezza, ha smarrito gran parte del suo “potere d’acquisto” nel panorama nazionale.
C’è che è filtrato un rumors – che non trova alcuna conferma ufficiale – che siano state proprio le divergenze d’opinione fra i big a sconsigliare la presenza di tutte le prime file “romane” di Cl sul palco dei relatori della trentacinquesima edizione.
Ma soprattutto è successo che è finito il periodo dell’alternanza bipolare, quello nel quale il consenso e l’influenza dei ragazzi del Giuss potevano spostare l’ago della bilancia della competizione politica.
Tra mito e realtà , una suggestione che ha negli anni coinvolto la stessa persona del presidente del Consiglio, accreditata dei voti ciellini nelle primarie che gli consegnarono la candidatura a Palazzo Vecchio e ne cambiarono la storia politica.
Anni – eravamo nel 2007 e 2008 – nei quali l’allora presidente della Provincia di Firenze accorreva sulla riviera romagnola per recensire libri insieme al quasi conterraneo Denis Verdini.
Anni che sembrano lontani. Oggi, nel 2014, l’ex rottamatore si è limitato a concedere un’intervista a Tempi.
Il corsaro ed eterodosso settimanale d’area che l’anno scorso pubblicò un colloquio con Berlusconi proprio nel giorno che sarebbe dovuto essere di massima sovraesposizione mediatica per la kermesse riminese, irritandone non poco gli organizzatori.
Un passo che, in assenza di un messaggio ufficiale da Palazzo Chigi alla stregua di quello inviato da Giorgio Napolitano, assume più i contorni di un segnale di distanza che di una mano tesa.
Come per il recente passato, da queste parti si continua tuttavia a “fare il tifo” per il governo in carica (Vittadini e Guarnieri dixit).
Un governismo che è stata la cifra del recente passato della galassia di Cl. Con la non trascurabile differenza che, quest’anno, sono pochi quelli che si sono dimostrati ansiosi di fare passerella tra le due ali della ola.
Se ciò sancisca un passaggio interlocutorio nel ruolo pubblico del movimento di Giussani o piuttosto la fine di un’era trentennale, solo il tempo e probabilmente il programma della prossima edizione potranno dirlo.
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