MOSE, ERA PRONTA UN’ALTRA TORTA
LA CORTE DEL “GRANDE BURATTINAIO” SI STAVA GIà€ OCCUPANDO DELL’ITER PER LA NUOVA PIATTAFORMA OFF SHORE DI 2MILA METRI QUADRI: APPROVATO IL PROGETTO DA 3 MILIARDI
Dopo il Mose il porto off shore. La cricca Serenissima si era già apparecchiata la prossima grande opera veneziana: una piattaforma di duemila metri quadrati da costruire in mare, 12 chilometri dalle rive del Lido, dove convogliare petroliere e navi merci.
Un progetto avviato nel 2010, al momento ancora sulla carta ma già approvato e in parte finanziato, con una previsione di spesa iniziale di 3 miliardi.
Il Mose, per capirci, doveva costarne poco più di uno poi è lievitato a 5 miliardi e seicentomila euro.
La torta da spartire è notevole ed era stata quantificata proprio dagli uomini della cricca.
Il primo progetto presentato è infatti firmato dalle società Mantovani e Thetis, in pratica i signori del Mose, Piergiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati.
Il primo arrestato nel luglio 2013 il secondo due settimane fa.
Insieme a Maria Giovanni Piva e Patrizio Cuccioletta, che si sono avvicendanti sulla poltrona di presidente del Magistrato alle acque, figura chiave per tutto ciò che si muove a Venezia: il Mav riceve i fondi dello Stato e poi stabilisce a chi e come assegnarli.
Così, scorrendo gli atti di approvazione del progetto off shore, si scopre che sono tutti approvati da Piva e Cuccioletta. Mentre firmavano gli atti a favore di Mantovani, patron del Cvn, ricevevano dal dominus della cricca, uno “stipendio” di 400 mila euro e altri benefit.
A conferma che il patron del Consorzio sia la figura centrale c’è un’intercettazione del 18 novembre 2010. Paolo Costa, ex ministro delle infrastrutture del governo Prodi, già sindaco di Venezia e oggi presidente dell’autorità portuale di Venezia, che dovrà gestire la piattaforma off shore, chiama Mazzacurati per chiedere i fondi necessari per avviare la progettazione.
Pochi giorni prima il Cipe ha deliberato uno stanziamento di 230 milioni a favore del Mose. “Come è andata?”, esordisce Costa. “Mah, ci hanno dato un po’ di soldi…”.
Costa allora ribatte: “Bisogna che partiamo rapidamente…”. E Mazzacurati: “Vabbè, combiniamo in qualche maniera”.
L’ex sindaco insiste: “Volevo sapere se c’era scritto che ‘sti cinque c’erano per partire capito? C’è bisogno di una pagliuzza per avviare il tutto… bisogna che non ci fermiamo su questo!”. “Direi che la troviamo”, chiude Mazzacurati riferendosi, annotano gli inquirenti, ai cinque milioni. Costa segue con apprensione le vicende che riguardano l’off shore e si confronta costantemente con le persone da cui dipendono le sorti dell’opera. Che sono Mazzacurati e Cuccioletta.
A luglio, pochi mesi prima della delibera Cipe, li invita a cena a casa sua per avere garanzie che tutto vada come deve andare. “Ho parlato con Cuccioletta — dice Costa a Mazzacurati — varrebbe la pena fare il punto della situazione”. Dice che il 27 “sarebbe l’ultimo giorno utile… potrei immaginare di averla a casa mia… magari anche con il nostro presidente… ci mettiamo d’accorso su tutti i passaggi in modo tale da stare tranquilli tutti”.
L’argomento è il porto off shore, annotano gli inquirenti. E “il nostro presidente” è Cuccioletta.
Il “presidente” approverà tutto il necessario per far avanzare l’opera, come si ricostruisce dai documenti allegati agli atti dell’inchiesta sul Mose.
A Roma lavorano i “facilitatori” della cricca veneziana reclutati da Mazzacurati per i fondi del Mose. La rete dei palazzi si muove come un sol uomo ormai, ricostruiscono gli inquirenti, è rodata.
Tanto che i Serenissimi danno per scontato che la piattaforma sarà “la prossima torta”.
Nel giugno 2012 Baita viene intercettato al telefono mentre parla con Wiliam Colombelli, titolare della Bmc di San Marino e, secondo i magistrati, socio di Giancarlo Galan attraverso la sua ex segretaria, usata come prestanome, Claudia Minutillo. Baita gli spiega come guardare al futuro: “Tu non confondere l’attività industriale con la nostra. Noi lavoriamo per commessa, quando finisce un lavoro è come aver chiuso lo stabilimento, ne prendi un altro e ne cominci un altro, su quelle commesse, cioè l’off shore… avranno degli sviluppi”.
Dopo appena pochi mesi, il 24 dicembre 2012, il governo concede il primo stanziamento utile per il progetto della piattaforma: 100 milioni di euro.
A Palazzo Chigi c’è Mario Monti, il ministro Elsa Fornero si è da poco mostrata in lacrime alle telecamere firmando il cosiddetto “salva Italia”.
Gli stessi ministri stanziano poi i primi fondi. Ma scavalcano il Magistrato delle acque e li mandano direttamente all’Autorità portuale. Cioè a Paolo Costa.
Da qui si apre un braccio di ferro con la cricca del Mose che comunque otterrà la gestione della diga e altre opere collegate alla piattaforma, ma la gestione degli appalti è passata a Costa.
Contattato dal Fatto, l’ex sindaco, dice di non aver mai subito pressioni da parte di Mazzacurati e Cuccioletta. “Loro erano le persone con le quali dovevo confrontarmi e sinceramente sono rimasto stupito di quanto accaduto. Ma perchè chiamò Mazzacurati chiedendogli cinque milioni e parlando di “una pagliuzza”? “Avevano i fondi”.
L’invito a cena di Mazzacurati e Cuccioletta? “Qualche giorno dopo avremo firmato l’accordo di programma”. Così “siamo riusciti a liberarci degli uomini” della cricca.
Se non fossero stati arrestati? Secondo l’accusa hanno fatto lievitare il costo del Mose da uno a quasi sei miliardi. Oggi la piattaforma off shore dovrebbe costare, dopo vari ridimensionamenti del progetto iniziale, due miliardi.
Antonio Massari e Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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