PRESIDENZE: IN POLE LE LEGHISTE BONGIORNO-STEFANI PER IL SENATO E IL GRILLINO FRACCARO PER LA CAMERA
DI MAIO APRE SUI NOMI DEI MINISTRI, IL PD E’ IN PREDA A LITI INTERNE
“Dei ministri si parla con il presidente della Repubblica, dei temi invece con i partiti politici”. Parola di Luigi Di Maio. Il leader del M5s parla ai senatori riuniti a Palazzo Madama, prima riunione in vista della prima seduta d’aula venerdì. Le sue sono parole che producono un’eco anche fuori dall’assemblea pentastellata.
Perchè piombano nella cronaca politica post-elettorale all’indomani dell’intervista in cui Walter Veltroni apre alla possibilità che il Pd appoggi un governo con il M5s “sotto la regìa di Mattarella”. Bingo? No, perchè il Pd è davvero agli stracci: immobilizzato dallo scontro interno. E il centrodestra pure non si sente molto bene, messo sotto scacco da Matteo Salvini che tenta di non perdere la posizione acquisita col voto, primo tra gli alleati.
Ma oggi la palla scorre più sul campo del centrosinistra.
Lo constati parlando con i Dem più vicini alla posizione di Veltroni. Non sono contenti, eppure oggi Di Maio ha compiuto un passo gigante nei loro confronti, almeno così sembra. Di fatto, ha messo in soffitta la squadra dei ministri presentata al Colle in campagna elettorale per far largo ad una nuova squadra eventualmente concordata con Mattarella.
Il che è tanto per quella parte del Pd che guarda al Quirinale come unico interlocutore che possa modificare la scelta iniziale di stare all’opposizione. Chi nel Pd appoggia un’apertura al M5s “sotto la regìa di Mattarella” — e sono tanti, da Veltroni, a Gentiloni, Delrio, Franceschini, Zanda, tutti tranne i renzianissimi insomma — oggi non festeggia di fronte al passo di Di Maio.
Anzi impallidisce immobilizzato da una guerra interna che — tutti scommettono — si potrebbe risolvere in un’ennesima scissione. Shock.
Non a caso, per commentare le parole di Di Maio scendono in campo i renziani. Scatenati. Dice il Dem Michele Anzaldi: “Di Maio, in pieno delirio di onnipotenza, continua a disprezzare il ruolo del Quirinale, mettendo in grave imbarazzo il presidente della Repubblica e tirandolo per la giacca. Dopo la sceneggiata della lista dei ministri portata al Colle in piena campagna elettorale, ora il leader M5s dice che di ministri ne parlerà col Capo dello Stato. Ecco l’ennesima fake news: a parlare di ministri con il Capo dello Stato sarà il presidente del Consiglio incaricato. Di Maio si sente già incaricato?”. Alessia Morani: “Di Maio conferma che la lista dei ministri era una sceneggiata”.
Ma soprattutto c’è il presidente del partito Matteo Orfini a capitanare la rivolta renziana contro il padre nobile Veltroni, addirittura.
Un’apertura da parte di Di Maio? “Non ci interessa minimamente. Noi stiamo all’opposizione, vogliamo starci e ci staremo. Con il M5s non c’entriamo nulla, siamo radicalmente alternativi a loro così come siamo radicalmente alternativi al centro destra”.
Nel Pd volano gli stracci. E fioccano le scommesse su una prossima rottura. Non ora, non sull’elezione dei presidenti delle Camere, passaggio che ormai per tutti i gruppi sta assumendo una forma più o meno ‘neutra’ rispetto alle trattative sul governo.
E questo perchè — con questo chiaror di luna — nessuno sa che aspetto avranno le trattative sul governo che entreranno nel vivo con le consultazioni al Quirinale dopo Pasqua. Dunque, nessuno ha interesse a pregiudicarle, almeno per ora. Ma le consultazioni saranno il momento in cui il Pd, ago della bilancia di un bel pezzo di questa storia, entrerà decisamente in crisi.
Nel partito monta il timore che i renziani possano decidere di staccarsi, di costituire da subito in Senato un gruppo diverso dal Pd.
Un esito che nell’ala governista nessuno si augura. Ma tra i dirigenti più vicini all’ex segretario c’è anche chi smentisce che la scissione sia sul tavolo: “Fantasie”.
Sarà , ma le pistole sono puntate, per usare una metafora pesante che però rende bene l’idea dei rapporti interni. E anche la trattativa interna sui capigruppo è in alto mare: il renziano Andrea Marcucci al Senato potrebbe avere meno chance di Teresa Bellanova. Alla Camera continua a girare il nome di Lorenzo Guerini, ma il Pd è una girandola impazzita, impossibile fare previsioni.
Il capogruppo uscente Ettore Rosato oggi ha aperto all’ipotesi di referendum tra gli iscritti per decidere eventuali alleanze. Una posizione mediana insomma tra l’ala aperturista e l’ortodossia renziana, ma ha solo aggiunto paglia al fuoco.
Il punto è che dal Pd passa il resto. All’apertura di Di Maio manca ancora la parte sul programma (nel Pd i filo-veltroniani si aspettano proprio un tavolo di trattative su questo, stile Spd con Angela Merkel). Ad ogni modo, se l’apertura cadesse nel vuoto, la situazione potrebbe davvero precipitare.
Oggi nei palazzi girava molto la voce secondo cui Di Maio e Salvini potrebbero prendere per sè le cariche di presidente della Camera e del Senato, rispettivamente. Sarebbe l’arma finale, che fa paura a Pd e Forza Italia, i partiti meno interessati ad un ritorno al voto che sembrerebbe più facile con i due leader alle presidenze del Parlamento.
Una minaccia sul tavolo insomma, niente di più per ora. Salvini stesso va assicurando che non vuole strappare l’alleanza con il centrodestra: dopodomani, altro vertice con Meloni e Berlusconi. Non vuole insomma correre il rischio di diventare il comprimario di Di Maio (17 per cento contro 33).
E allora per le presidenze, caduti in disgrazia Paolo Romani di Forza Italia e Roberto Calderoli per la Lega (problemi giudiziari), al Senato si fa strada l’ipotesi Giulia Bongiorno, l’avvocato di cause milionarie, ex finiana candidata con Salvini.
Oggi verrebbe accettata controvoglia dall’ex Cavaliere per i dissidi passati, ma ha un ottimo rapporto con Niccolò Ghedini, lo ha difeso nel Ruby-ter.
Ecco: però dalla presidenza del Senato Bongiorno non potrebbe più curare le sue cause penali e questo è un inconveniente per una penalista del suo livello e con clienti di quel livello economico.
E allora l’altro nome in pole è la leghista Erica Stefani, certamente più sconosciuta, avvocato, giurista. Insomma in questo caso prevarrebbe il metodo di scelta di un candidato competente, ma meno noto.
E sembrerebbe proprio che la presidenza della Camera vada al Movimento cinque stelle (Fraccaro il più quotato).
Ma le presidenze non appaiono più come lo scoglio che influenzerà la trattativa sul governo. Semplicemente perchè avvisaglie di trattativa non ce ne sono. Figurarsi se qualcuno vuole scogli in un orizzonte che già così appare impossibile.
(da “Huffingtonpost”)
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