RENZI HA BISOGNO DI ANDARE IN EUROPA CON LO “SCALPO” DEL SENATO
AL NETTO DEI DISSIDENTI, GRAZIE ALLA LEGA, AVREBBE LA MAGGIORANZA
Dal riposo di Pontassieve Matteo Renzi dice di essere «molto tranquillo», fa capire che sulla vicenda del Senato si è creato un allarmismo eccessivo e prevede che l’«asse Rai» Minzolini-Mineo non sarà decisivo.
E in ogni caso, il presidente del Consiglio si prepara nelle prossime ore a replicare ai suoi critici su un punto dirimente: il Senato riformato sarà comunque elettivo e che lo sia di primo o secondo livello, poco cambia.
Ma Renzi considera la battaglia dell’elettività come un pretesto: oggi come oggi è più rappresentativo Mineo o un consigliere regionale?
Certo, nel giro delle prossime 48 ore il presidente del Consiglio sarà in grado di stabilire se gli riuscirà di portare a termine senza patemi una mission non dichiarata: presentarsi alla cena dei 28 capi di Stato di governo europei del 16 luglio con lo «scalpo» del Senato, in altre parole con il primo sì, proprio dei senatori, al superamento della Camera «alta» italiana.
Capirà se tutto questo è possibile dopo due riunioni.
Stasera i senatori frondisti del Pd chiariranno nel corso dell’ennesima assemblea di Gruppo, se il loro dissenso si limiterà agli emendamenti o si trasformerà addirittura in voto contrario al testo finale; domani, al termine di una riunione di Forza Italia, si capirà se Berlusconi sarà riuscito a riassorbire la corposa fronda interna e – in caso negativo o parzialmente negativo – si chiarirà quanti sono i senatori forzisti indisponibili a votare il testo del governo.
A quel punto, con il manifestarsi di favorevoli e contrari, saranno chiari i rapporti di forza con i quali affrontare le votazioni in aula, a partire dalla fine di questa settimana e all’inizio della prossima
Ma anche da questo punto di vista, i conti che fanno a palazzo Chigi risultano tranquillizzanti per il governo, almeno per il momento.
Anche mettendo nel conto una significativa dissidenza nel Pd (15-17 senatori) ed una ancora più corposa dentro Forza Italia (per esempio metà dei 59 senatori), con l’apporto sicuro dei 15 leghisti, a palazzo Chigi valutano che il testo del governo potrebbe passare con una margine di circa 15 voti di maggioranza.
Ma al di là della sua conclusione, la vicenda del Senato si sta trasformando in qualcosa di diverso e più ampio: la verifica dei rapporti di forza interni a Pd e Forza Italia.
Da questo punto di vista, l’esito della assemblea di stasera dei senatori democratici potrebbe indurre Matteo Renzi a rivedere lo schema unitario col quale intendeva formare la segreteria del Pd, scartando cioè l’ipotesi di una gestione comprendente anche le due minoranze, quella bersaniana e quella civatiana, mentre i «giovani turchi», dopo la presidenza a Matteo Orfini, sono oramai fuori da una logica di opposizione
Certo, Renzi è irritato perchè è convinto della pretestuosità della dissidenza espressa dai senatori del suo partito e nelle settimane scorse non ha mancato di «criminalizzare» i frondisti, ignorandone gli argomenti, ma ora che la vicenda sta arrivando al dunque, c’è una novità che nelle prossime ore potrebbe ulteriormente guastare i rapporti interni.
I dissenzienti infatti hanno fatto capire che non si limiteranno a votare emendamenti, assieme ai senatori di altri partiti e in dissenso dal Pd, ma una volta bocciati quei tentativi di modifica, potrebbero esprimersi «contro» il proprio partito in sede finale.
Una novità potenzialmente destabilizzante.
Sostiene Giorgio Tonini, vicepresidente dei senatori Pd, renziano della prima ora: «I nostri colleghi hanno tutto il diritto di esprimere dissenso rispetto ai punti qualificanti della riforma del Senato, ma se invocheranno la questione di coscienza per votare in modo difforme dal proprio partito sui punti qualificanti della riforma sostenuta dal Pd e dal governo, evocando un disegno anti-democratico, è come se dicessero che tutti gli altri sono partecipi di una pulsione autoritaria. Il che, ovviamente, sarebbe insopportabile. Non per invocare soluzioni disciplinari, ma perchè non si può invocare la coscienza su un dissenso fisiologico».
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
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