RISPARMI BRUCIATI E PRESTITI PIU’ CARI: ECCO I “NUMERINI” CHE IMPOVERISCONO LE IMPRESE E I CITTADINI
E’ CHI GOVERNA CHE DEVE PENSARE A “NON DARE I NUMERI”
Lo spread è un numero, come le temperature del grafico della febbre.
Entrambi indicano uno stato di salute: nel primo caso quello del debitore, se ispira o meno fiducia al creditore; del malato, nel secondo.
Nessun malato è mai stato così incosciente da accusare il termometro di “complotto”, ma semmai, messo in allarme proprio da quelle precise indicazioni del termometro, s’è rivolto a un buon medico, una persona competente e responsabile, uno non eletto a furor di popolo ma scelto perchè bravo, per studi, scienza ed esperienza.
Il paragone con il grafico della febbre viene in mente, a chi si occupa di cultura d’impresa, di fronte alle ennesime polemiche che maturano in ambienti di governo a proposito del giudizio negativo dei mercati finanziari e delle perplessità della Commissione Ue sulla “manovra” annunciata con il Def (il Documento di economia e finanza) e sullo “sfondamento” del rapporto deficit-Pil al 2,4%.
Lo spread tra Bund (i titoli pubblici tedeschi, affidabili) e i nostri Btp è a quota 300, con allarme diffuso, negli ambienti finanziari, su “quota 400”.
E il rendimento dei titoli pubblici all’ultima asta di lunedì 8 ottobre, ha superato il 3,5%: il che vuol dire che chi li compra pretende un maggior “premio” per il rischio che corre mettendoli in portafoglio ma anche che chi ha già titoli in portafoglio ne vede deprezzato il valore.
Quanto? Per ogni punto percentuale di aumento dei rendimenti, i Btp decennali perdono il 7% del loro valore.
A maggio quel rendimento era dell’1,79%, lunedì, come abbiamo detto, ha toccato il 3,57, il doppio Cioè.
Che vuol dire, in soldi contanti?
“Diecimila euro di Btp acquistati a maggio ora ne valgono 8.500” (Corriere della Sera). Detto in altri termini: nei mesi delle tante chiacchiere giallo-verdi sul governo, i programmi, le sfide all’Europa e l’irrisione dell’equilibri dei conti pubblici, un piccolo risparmiatore che aveva messo da canto 10mila euro di risparmi affidati allo Stato, ne ha persi 1.500. Un sacco di soldi, sfumati a causa di troppe, irresponsabili chiacchiere.
Anche la Borsa vive parecchie giornate nere, perdendo miliardi (15, nella sola giornata di lunedì 8 ottobre). Ecco, questi “numerini” degli indici al ribasso dicono quanti altri risparmi dei “cittadini” sono andati in fumo.
In ambienti di governo si reagisce parlando di speculatori internazionali che vogliono il male dell’Italia e si contrappone ancora una volta “l’economia reale” alla “finanza”. O, per usare un altro slogan di gran moda tra i “gialloverdi” al governo, “i numerini” ai “cittadini”.
Chiacchiere buone per la propaganda. E nemmeno chiacchiere originali.
Anni fa ci fu un ministro che, per amore di battuta, disse che lui si occupava dei mercati rionali e non di quelli finanziari (non lasciò di sè un buon ricordo). La realtà , però, non ama le chiacchiere e racconta altro. E fatti e numeri sono testardi.
I “numerini” sui titoli di Stato dicono quanti interessi in più si devono pagare per il nostro gigantesco e crescente debito pubblico (si devono: lo Stato, cioè tutti noi “cittadini” con le nostre tasse).
I “numerini” dello spread dicono quanto in più pagheremo, sempre noi “cittadini”, per i mutui sulle case, i prestiti che abbiamo fatto o per ottenere credito per cercare di fare crescere le nostre aziende e creare lavoro.
Gli imprenditori ne sono, giustamente, molto preoccupati, soprattutto nelle aree più dinamiche dell’industria e del commercio.
I “numerini” sulla crescita annunciata dal governo parlano di un 1,5% nel 2019 dopo una crescita dell’1,2% quest’anno, ma qualcuno dei ministri, Paolo Savona, azzarda anche il 2% o addirittura il 3% nell’arco di un paio di anni e il vicepremier Matteo Salvini insiste su “più del 2%”.
Il Fmi, invece, tra rallentamento generale dell’economia internazionale e tensioni e incertezze politiche italiane, prevede una crescita dell’1% appena.
Concordi anche autorevoli protagonisti dell’economia: 1% Confcommercio, 0,9% Confindustria, 1 o forse peggio 0,9% Bankitalia. Le previsioni del governo sul Pil, insomma, sono “troppo ottimistiche” secondo la Corte dei Conti, irrealistiche per Bankitalia e Ufficio Parlamentare del Bilancio.
Siamo di fronte, dunque, a un forte divario di previsioni e aspettative. E se quei “numerini” ottimisti non saranno confermati dalla realtà , per i “cittadini” la conseguenza sarà pesante: debito pubblico maggiore, meno lavoro, salari ridotti, minori servizi pubblici, minore benessere. Tutte questioni che riguardano la vita quotidiana dei “cittadini”.
Si potrebbe andare avanti così a lungo. Ci si ferma qui per dire che l’attenzione ai “numerini” è un dovere fondamentale per qualunque governo che abbia a cuore il futuro dei suoi cittadini.
Non enumerando dati con scarso riscontro reale, per pure ragioni di propaganda elettorale e polemica politica. Nè facendo affidamento sul “potere magico” di certe parole (il “pensiero magico”, contrapposto alla realtà , è stato fonte di alcuni dei più tragici disastri del Novecento).
Ma elaborando e condividendo scelte che possano essere realizzate. Non si costruisce alcun solido sviluppo economico aumentando il peso dei debiti.
E non si forma opinione pubblica consapevole, capace di approvare e sostenere scelte riformatici coraggiose, senza fare i conti con la realtà . Con la realtà , non con i desideri o la propaganda. O con le illusioni d’una nota sui social media o con l’invenzione del “nemico” (un’altra funesta abitudine del Novecento).
I numeri, insomma, certi, attendibili, ben studiati ed elaborati con competenza e autonomia scientifica, ben spiegati con chiarezza, sono la base della scienza, anche di quella economica.
Di numeri, vivono le imprese (gli investimenti, il lavoro, i salari, i dati contabili che dicono, nei bilanci, cosa fare e dove puntare, quante rate fare per un nuovo macchinario, quante quote di mercato conquistare o difendere).
Di numeri, si alimentano i bilanci delle famiglie. Numeri da umanizzare, non da disprezzare.
I numeri sono un fondamento del buon governo e, naturalmente, d’una solida, partecipata democrazia. E perchè i cittadini possano ritrovare fiducia e sicurezza, è davvero indispensabile, per una dignitosa classe dirigente, “non dare i numeri”.
(da “Huffingtonpost”)
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