SHALABAYEVA, LA CASSAZIONE: “L’ESPULSIONE FU ILLEGITTIMA”, MA NESSUNO HA PAGATO PER IL SUO “SEQUESTRO”
LA MOGLIE DEL DISSIDENTE NON DOVEVA ESSERE ALLONTANATA DALL’ITALIA: “IGNORATO IL DIRITTO D’ASILO, IMMOTIVATO IL RAID NOTTURNO”
Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Abliazov, non doveva essere espulsa dall’Italia e il provvedimento di rimpatrio è viziato da «manifesta illegittimità originaria».
Lo afferma la Cassazione che ha accolto il ricorso della Shalabayeva contro il decreto del giudice di Pace di Roma del 31 maggio 2013.
Shalabayeva, espulsa con urgenza, rientrò in Italia con la figlioletta Alua lo scorso 27 dicembre.
«Ignorato il diritto di asilo»
Lo ha sancito la sesta sezione civile. Era stato il giudice di pace di Roma, con provvedimento emesso il 31 maggio 2013, a convalidare il suo trattenimento presso il Cie di Ponte Galeria, a seguito dell’espulsione.
La Suprema Corte ha annullato senza il rinvio il provvedimento rimarcando anche che «la contrazione dei tempi del rimpatrio e lo stato di detenzione e sostanziale isolamento» nel quale la donna è stata tenuta Alma Shalabayeva «dall’irruzione alla partenza, hanno determinato nella specie un irreparabile vulnus al diritto di richiedere asilo e di esercitare adeguatamente il diritto di difesa».
«Aveva validi titoli di soggiorno»
Tempi brevi, quindi, ma anche un’omissione grave: «Peraltro il controllo della sussistenza di due titoli validi di soggiorno intestati ad Alma Shalabayeva sarebbe stata operazione non disagevole».
Il sospetto, rivelatosi errato, di un’alterazione del passaporto diplomatico era data dall’uso del nome da nubile: era intestato «non ad Alma Shalabayeva ma ad Alma Ayan».
«Immotivata l’irruzione notturna»
Non solo: l’irruzione notturna nell’abitazione di Casal Palocco dove risiedeva Alma Shalabayeva, effettuata dalle forze dell’ordine, era stata fatta per cercare suo marito e non per finalità di prevenzione e repressione dell’immigrazione irregolare.
Lo sottolinea la Cassazione elencando l’irruzione notturna – avvenuta nella notte tra il 28 e il 29 maggio 2013 – tra le anomalie che hanno caratterizzato il caso Shalabayeva e l’operato delle forze di polizia.
Fin dall’inizio era evidente che ci furono pressioni politiche sul governo italiano per il “sequestro” della moglie del dissidente.
Alla fine ha pagato solo un funzionario, come sempre.
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