SPESI 1,7 MILIARDI IN 4 ANNI PER MEDICI E INFERMIERI A GETTONE
SOLDI A POCHE SOCIETA’ INVECE DI ASSUMERE IN PIANTA STABILE E AUMENTARE GLI STIPENDI
Dal 2019 al 2023 i gettonisti sono costati 1,7 miliardi di euro. Soldi pubblici spesi per pagare medici e infermieri libero professionisti che, appoggiandosi a cooperative o società private, stipulano contratti con il Sistema Sanitario Nazionale, in drammatica carenza di organico. Soldi a fondo perduto, per spese “vive”, che escono dal pubblico ed entrano nelle casse del privato, senza risolvere davvero il problema che c’è alla base. Una soluzione tampone da quasi due miliardi di euro che le aziende sanitarie contabilizzano alla voce “beni e servizi”, per non sfondare, almeno sulla carta, il tetto di spesa per le assunzioni del personale stabilito dalla legge. In realtà si tratta di fondi utilizzati per corrispondere le paghe (alte) dei liberi professionisti, senza i quali non si riuscirebbe a garantire il pubblico servizio.
Secondo i rappresentanti dei lavoratori che ancora non sono fuggiti dal Ssn, questi fondi potevano essere investiti meglio. Per esempio per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici: l’intero rinnovo contrattuale del personale del comparto sanità (esclusa dirigenza), quello che fa riferimento al triennio 2022-2024, dovrebbe valere circa 1,5 miliardi.
I costi dei professionisti a gettone sono stati diffusi dall’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione. L’analisi dell’Authority dimostra che il fenomeno è diffuso in tutto il Paese (con l’eccezione di Trento), seppur con differenze significative tra le diverse Regioni. La Lombardia è quella che per il momento ha sostenuto la spesa più alta (56 milioni di euro), seguita da Abruzzo (51 milioni) e Piemonte (34 milioni). Queste cifre, spiega il dossier dell’Anac, fanno riferimento, però, solo “alla spesa effettivamente sostenuta dalle stazioni appaltanti nell’intero periodo 2019-2023, con specifico riferimento alla fornitura di personale medico e infermieristico”. A queste voci di spesa deve essere quindi aggiunta quella che fa riferimento ai “servizi di fornitura di personale generico”, ovvero quel personale non indicato specificatamente né come medico né come infermieristico.
La dicitura generica, precisa Anac, è utilizzata “con alta probabilità” per identificare la medesima tipologia di contratti (medici e infermieristici), seppur con un minor grado di accuratezza, perché potrebbe contemplare anche personale di natura amministrativa. Considerando anche questa voce di spesa, la prima regione per esborso sostenuto risulta essere la Toscana, con un importo di oltre 183 milioni di euro, seguita da Lombardia (169 milioni) e Abruzzo (153 milioni).
Un metodo, quello dei gettonisti, che non garantisce la qualità delle prestazioni e la continuità di cura per i pazienti: “Il personale sanitario deve essere stabile, non calato occasionalmente all’interno di un ospedale. Come fa un professionista a lavorare correttamente in un reparto se non ne conosce i meccanismi? A malapena sa i numeri di telefono dei colleghi”, prosegue. Inoltre, la disparità di trattamento economico frustra i dipendenti ospedalieri, già provati dal carico di lavoro a cui sono sottoposti. “A gennaio 2024 abbiamo rinnovato il contratto del triennio Covid (2019-2021, ndr), con un incremento che non compensa neanche l’inflazione. Questo è il trattamento riservato al dipendente pubblico che copre tutti i turni finché ce n’è bisogno, accumula montagne di straordinari e ferie non pagate. Mentre il gettonista può fare il prezzo che vuole. Bisogna trovare il modo di tenere i professionisti dentro il Ssn, premiandoli”. Un’idea in tal senso, tra quelle proposte al Ministero della Salute, è quella di finanziare l’indennità di specificità medica e sanitaria. L’apertura da parte del ministro Orazio Schillaci c’è, anche sul tema dell’abolizione del tetto di spesa per le assunzioni del personale. “Bisogna vedere se il Mef è dello stesso avviso – commenta Grasselli -. E anche se le lobby che sostengono gli interessi della sanità privata, sempre più forte sul mercato, non condizioneranno le scelte politiche”. E conclude: “Il privato va bene solo a chi ha i soldi. Per gli altri è a rischio il diritto alla salute”.
Il rapporto dell’Anac, inoltre, mette in evidenza come il florido mercato dei gettonisti sia concentrato nelle mani di pochi operatori economici, siano essi cooperative o società di professionisti. Per quanto riguarda i contratti di fornitura di personale medico, infatti, cinque operatori si sono assicurati il 64% del valore dei bandi complessivamente aggiudicati, mentre il restante 36% è ripartito tra 25 operatori. Accentramento che risulta ancora più significativo se si prende in considerazione la fornitura di personale infermieristico: in questo caso il 63% del mercato è spartito tra solo due operatori. Agli altri 30 resta da contendersi la quota rimanente del 37%. Queste cooperative o società private guadagnano trattenendo una percentuale del compenso pattuito per la prestazione del professionista che forniscono. Un meccanismo “scandaloso” secondo Alessandro Vergallo, presidente nazionale Aaroi-Emac. Parlando con ilfattoquotidiano.it, Vergallo chiede alla politica di intervenire e bloccare questo processo, per “impedire che la sanità pubblica continui a essere una mangiatoia per il lucro dei gruppi privati”. La quota richiesta dalle cooperative, afferma Vergallo, vale decine di milioni di euro: “Parliamo almeno del 15% dell’introito complessivo. Una delle cooperative che stiamo attenzionando annovera circa 500 colleghi che lavorano minimo 1500 ore all’anno, con una remunerazione oraria che va dai 120 ai 130 euro l’ora. Si tratta di almeno 100 milioni di euro per una singola cooperativa, di cui 20 milioni vengono intascati da una manciata di persone che si occupano solo di gestire la turnistica”.
Ma con la carenza di personale cronica nel Ssn, il ricorso ai gettonisti è un obbligo per gli ospedali. Come dimostra il caso di Orbassano, Torino, di cui parla a ilfattoquotidiano.it Antonio De Palma, presidente Nazionale di Nursing Up: “L’ospedale ha disposto una spesa di 67mila euro per ingaggiare tre infermieri, per tre mesi ciascuno, per coprire la mancanza di personale in sala operatoria. Si parla di una paga che supera di più del doppio quella dei colleghi dipendenti”. Episodi come questi portano sempre più infermieri a lasciare il pubblico. “A volte – prosegue De Palma – gli stessi che si dimettono da un ospedale ci rientrano come liberi professionisti”. Il fenomeno degli infermieri a gettone, lo specifica il dossier dell’Anac, è iniziato ben prima dell’emergenza Covid. “È normale – commenta De Palma -, rispetto ai parametri europei in Italia mancano 175mila infermieri”. Sono delusi, demotivati, non si sentono valorizzati. “Gli stipendi degli infermieri italiani sono al terzultimo posto in Europa – continua De Palma -. I giovani non vogliono più fare questo lavoro. Dopo un percorso di studio altamente formativo, li attende una vita di sacrifici, per 1500 euro al mese”. Questo a meno che non decidano di fare i gettonisti, appunto. O di trasferirsi all’estero: “Da dopo la pandemia stiamo assistendo a un fenomeno di emigrazione di massa. Gli altri Paesi vogliono gli infermieri italiani”.
Al congresso di Nursing Up del 13 di ottobre, racconta il presidente, si sono presentate agenzie interinali internazionali che hanno proposto stipendi tra i 5mila e i 7mila euro mensili per un lavoro in Arabia Saudita o negli Emirati. “Dobbiamo valorizzare contrattualmente questo personale o non ci sarà nessuno ad assistere gli anziani nei prossimi anni. Manca una politica lungimirante. Per ora dal Ministro ci sono state solo belle parole. Dal nostro sciopero del 5 dicembre, non abbiamo visto più nessuno”, conclude.
(da agenzie)
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