UN CRUCCIO DENTRO M5S: HA SENSO SOSTENERE DRAGHI?
RINNOVATE PERPLESSITA’ SUL “GOVERNO DEI MIGLIORI”
In un Movimento 5 stelle a cavallo tra una guida ombra e l’ombra di una guida torna a deflagrare una linea di frattura dilaniante, che non più di quattro mesi fa ha portato una robusta scissione all’interno del partito: ha senso sostenere Draghi?
“Ormai è chiaro che lo spin Doctor di Conte è Travaglio”, ringhia un deputato che spiega come il suo non sia uno sfogo isolato: “Qui alla Camera siamo tutti sconvolti, quel che sta succedendo non ha nessun senso”.
È attribuita proprio al leader perennemente in pectore la primogenitura delle rinnovate perplessità sul governo dei migliori. Ricordano che il suo piano è stato da subito quello di andare al voto, sin dai giorni crepuscolari e traballanti del Conte 2, scottato dalle promesse del Pd, “o Conte o morte”, del “giammai al governo con la Lega”, tradito e frustrato dagli alleati verso i quali con non poco sforzo personale aveva traghettato i 5 stelle.
È il solito intreccio di politica, soldi e rivendicazioni personali. Il campanello d’allarme a Montecitorio è suonato già alla prima assemblea con i parlamentari alla presenza dell’ex premier.
In quella sede aveva da un lato stroncato le correnti – nel mirino le “Parole guerriere” di Dalila Nesci &co. – dall’altro ventilato l’apertura alla società civile. Raccontano che Conte abbia iniziato a intrecciare rapporti con manager, imprenditori e professori per allargare il giro pentastellato e includere energie fresche.
Un giro destinato a fare le scarpe agli oltre 300 eletti, che si ridurranno della metà della metà al prossimo giro, complici percentuali da tempo non più stellari e il taglio dei parlamentari che avrà un effetto dirompente sui numeri.
“Forse sostenere Draghi non è più necessario”, esce allo scoperto Angelo Tofalo, già sottosegretario alla Difesa, che ha annunciato che porrà il tema a Conte e ai ministri M5s.
La fronda contiana è robusta al Senato, si ripropone una vecchia dicotomia, quella tra Camera alta e Camera bassa – che è una costante che ha attraversato carsicamente tutta la vita parlamentare M5s. Perché a Palazzo Madama i senatori si sono già scottati le dita con la vicenda responsabili, e perché è il Senato il bacino di consenso più robusto sul quale l’avvocato di Volturara Appula può far conto.
È Mario Turco l’eminenza grigia che sta tenendo i contatti dentro e sta allargando la rete fuori, quest’ultima una fonte parlamentare la ritiene già evoluta al punto tale che “almeno nella sua Puglia alle prossime elezioni non entrerà più nessuno dei nostri”. Turco che Conte volle con sé a Palazzo Chigi da sottosegretario, Turco definito “Il Gianni Letta” dell’ex premier, Turco che ancora oggi tesse la tela nelle retrovie, oggi che è tutto una retrovia perché la sedia di comando che aspetta il nuovo capo politico continua a rimanere vuota.
È dunque a Palazzo Madama che serpeggiano più malumori, che le riflessioni maturano più in fretta. I vertici del gruppo parlamentare hanno solide consuetudini contiste, dalla vicepresidente dell’Aula Paola Taverna al capogruppo Ettore Licheri, dal di lui predecessore Gianluca Perilli all’ex sottosegretario Gianluca Castaldi.
Sono giorni che emergono qua e là segnali, che vengono riportati spifferi, i deputati sono furiosi di un’assenza totale di smentite, di una presa di posizione che stronchi il vociare. “E ormai è comunque troppo tardi – dice un parlamentare – siamo andati troppo in là, qualunque smentita apparirebbe una conferma. Una dicotomia che riguarda anche il vecchio staff di Palazzo Chigi, parte ricollocato alla Camera, parte al Senato. Nessun problema a Palazzo Madama, frenate su frenate a Montecitorio, dove Davide Crippa ha bloccato per ora il reintegro di Rocco Casalino.
“Problemi di budget”, spiegano dal gruppo, ma anche problemi politici relativi allo spin Doctor del futuro capo, il cui peso specifico ingombrante sta facendo storcere il naso a molti onorevoli, preoccupati di vedersi imporre una linea politica che non è la loro.
“C’è stato il tempo in cui abbiamo messo in discussione tutto per provare a ricostruire il paese su nuove basi, ora non è più quel tempo”, risponde a brutto muso Sergio Battelli. Che continua: “Non è più il tempo del muoia Sansone con tutti i filistei, perché questo è quello che succederebbe se il M5s abbandonasse la coalizione portando anche questo governo a una fine prematura”.
Una situazione paradossale, nella quale più di qualcuno mette in luce che Conte non ha mai incontrato Draghi, nonostante le sollecitazioni in questo senso pervenute dalla compagine governativa.
“La verità è che con Draghi non ha nessun rapporto – spiega uno dei colonelli pentastellati – e questo ci penalizza, né si può nascondere dietro il dito che non è stato formalmente scelto come capo, perché è una sua decisione”.
Di Maio e Patuanelli predicano calma e provano a mediare, intestandosi le ragioni dell’ala governista che improvvisamente viene messa in discussione. Il pericolo sembrava svanito dopo aver assorbito il colpo della scissione dei vari Lezzi, Morra e Di Battista, quest’ultimo che apre a un ricongiungimento qualora i suoi vecchi compagni lo seguissero sulla strada del no a Draghi, e invece ritorna prepotentemente reale.
“E l’alleanza con il Pd? E la prospettiva strategica?” Si chiedono i parlamentari smarriti dall’ennesimo tramestio, si sentono tagliati fuori da scelte e decisioni, alla deriva di un partito che non sa dove vuole andare. In pochi parlano con l’ex premier, tra questi Alfonso Bonafede, un rapporto privilegiato, che intesse con lui un filo quotidiano di confronto sulla riforma della giustizia e chissà su cos’altro.
L’ex Guardasigilli si è defilato da quando ha lasciato il ministero, anche su di lui si annuvolano sospetti, un clima a un passo dalla degenerazione.
Conte aspetta e aspetta, qualcuno spiega che fino a settembre di una discesa in campo vera e propria non se ne parla. Se le intenzioni che gli attribuiscono di voler logorare Draghi non fossero veritiere, lasciare acefalo il partito di maggioranza relativo è un fattore di logoramento per l’esecutivo oltre che per il Movimento che sta nei fatti a prescindere dalle intenzioni.
Sempre che a logorarsi non sia l’avvocato del popolo, come ritiene un esponente di governo: “Già adesso siamo in queste condizioni, veedrete sui decreti pesanti: sarà un tutti contro tutti”.
(da Huffingtonpost)
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