“NIENTE IMU A GIUGNO†TORNA IL PARTITO DELLA SPESA PUBBLICA
PREMIER DELLE LARGHE INTESE RILANCIA LE PROMESSE ELETTORALI, MA NON CHIARISCE TEMPI, MODI E COPERTURE DELLE OPERAZIONI “SOCIALI”
Governo di larghe intese e larghissime promesse.
Il presidente del Consiglio Enrico Letta parla per 45 minuti e presenta un programma economico molto costoso, che comincia dalla richiesta principale del Pdl e di Silvio Berlusconi: a giugno gli italiani non pagheranno la prima rata 2013 dell’Imu.
Non si tratta dell’abolizione o della restituzione di quanto versato nel 2012, ma di una sospensione in vista di una “riforma complessiva”.
Il risultato immediato, comunque, è che tra un mese l’Imu sulla prima casa non si pagherà e lo Stato avrà in cassa 2 miliardi in meno.
“Per molti di noi non è giusto sospendere l’Imu sulla prima casa”, dice Rosy Bindi, del Pd.
Renato Brunetta, capogruppo del Pdl, è invece entusiasta e offre un’interpretazione estensiva delle parole di Letta: “Garantisco che l’Imu non sarà pagata nè a settembre e nè a dicembre e quella pagata nel 2012 sarà restituita ai cittadini”.
Pare improbabile che un governo con una durata prevista di almeno 18 mesi voglia sottoporre i cittadini a una stangata terribile prima di Natale, facendo pagare tutta l’Imu più la Tares maggiorata (rinviare anche quella costa un altro miliardo).
Più probabile che si arrivi a una revisione dell’imposta, magari con detrazioni per chi ha redditi bassi, come chiesto dal Pd.
Ma è chiaro che l’ultima parola in materia ce l’ha Berlusconi
Letta non risarmia gli altre promesse: non ci sarà l’aumento dell’Iva (che vale 2 miliardi nel 2013 e 4 miliardi nel 2014) e i soldi per la Cassa integrazione in deroga si troveranno senz’altro, e si parla di 1,5 miliardi, forse di più.
Anche gli esodati sono un problema “prioritario”, forse l’impatto sul bilancio si può rimandare al 2014 ma è almeno 1 miliardo.
Infine, sempre nel 2013, bisogna trovare altri 2-2,5 miliardi per rinnovare i contratti in scadenza dei precari della pubblica amministrazione, cui Letta promette tranquillità . Non è finita, ovviamente.
Il premier si richiama al programma dei “saggi” riuniti da Giorgio Napolitano e quindi annuncia le risorse per il Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese: soldi preziosi, bastano 2 miliardi, sostengono i saggi, per sbloccare 30 miliardi di finanziamenti alle aziende che li anelano.
Ma quei 2 miliardi bisognerà pur trovarli.
L’ultima delle spese quantificabili è quella per il rinnovo delle agevolazioni fiscali alle ristrutturazioni edilizie: strumento efficace, che a lungo andare si ripaga mettendo in moto il settore, ma che allo Stato costa nell’immediato almeno 2 miliardi.
Poi si entra in una terra incognita, quella dei sogni senza numeri.
Chissà quanto vale l’ipotesi di reddito minimo garantito alle famiglie bisognose con figli piccoli?
Secondo l’Istat i nuclei familiari in difficoltà sono oltre 2,7 milioni, troppi per ricevere tutti un aiuto concreto.
E chissà come funzioneranno i bonus per le giovani coppie che hanno bisogno di un mutuo.
Letta recupera anche altre indicazioni del rapporto dei saggi, temperate con la linea del Pd: sgravi fiscali al lavoro a tempo indeterminato per facilitare le assunzioni, sostegno ai redditi bassi (cioè restituzione di una parte delle tasse pagate), incentivi fiscali per chi investe in innovazione.
Un programma keynesiano, una manovra espansiva senza precedenti (molto di sinistra, se non fosse per l’intervento sull’Imu).
Peccato che il discorso di Letta sia iniziato annunciando il rispetto degli obiettivi previsti dal Documento di economia e finanza all’esame del Parlamento: il deficit non può superare il 2,9 per cento del Pil.
Certo, Letta promette anche di andare in Europa a spiegare che “di solo risanamento l’Italia muore” (oggi va a Berlino da Angela Merkel, poi a Bruxelles), però intanto parla di “riduzione fiscale senza indebitamento”.
Può essere che, una volta che l’Italia sarà fuori, tra poche settimane, dalla lista dei Paesi sotto procedura di infrazione per deficit eccessivo Letta riesca a ottenere qualche sconto.
Ma i margini sono molto stretti, anche perchè le previsioni di crescita dei documenti ufficiali del governo sono ottimistiche: Pil in calo dell’ 1,3 per cento d nel 2013 (Moody’s stima -1,5) e super ripresa nel 2014 da +1,3 (Moody’s dice soltanto +0,2).
Di interventi per lo sviluppo a costo zero non se ne trova traccia: Letta non parla di privatizzazioni o liberalizzazioni, gli accenni alla lotta all’evasione sono più per assicurare che Equitalia sarà un po’ ammorbidita.
Perfino l’annunciata riforma della riforma Fornero (che per cortesia Letta chiama “legge 92”) potrebbe avere costi: il premier spiega che nell’emergenza vanno sospesi i limiti al ricorso a contratti precari, perchè stanno soltanto creando disoccupati, e va introdotta una “staffetta generazionale”: i lavoratori anziani ridurranno l’orario per lasciar spazio all’assunzione dei giovani, ci saranno pre-pensionamenti e così via. L’agenzia di rating Standard&Poor’s ha confermato il giudizio sull’Italia, ieri, ma resta cauta.
Non si fidano che la politica possa fermare la recessione.
E il discorso di Letta non deve aver eliminato i loro dubbi.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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