Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA CORTE TRANFA SI E’ DIMESSO DALLA MAGISTRATURA DOPO AVER FIRMATO LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
Ha firmato. E poi si è dimesso. Per protesta.
Con un gesto senza precedenti nella storia giudiziaria italiana, Enrico Tranfa, il presidente del collegio della Corte d’Appello di Milano nel processo Ruby, ieri si è dimesso di colpo dalla magistratura con una scelta che svela così il suo radicale dissenso dalla decisione, maturata nella terna del suo collegio, di assolvere l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dalle imputazioni di concussione e prostituzione minorile che in primo grado ne avevano invece determinato la condanna a 7 anni di reclusione
Tranfa si è dimesso immediatamente dopo aver firmato ieri mattina le 330 pagine della motivazioni della sentenza d’appello Berlusconi-Ruby, frutto della camera di consiglio del 18 luglio scorso e dei mesi di confronto con i colleghi Ketty Locurto e Alberto Puccinelli.
Dimesso non dal collegio, e neppure solo dalla seconda sezione della Corte d’Appello di Milano che presiede: dopo 39 anni in toga, ha scelto di andare in pensione con 15 mesi di anticipo sul previsto.
Un gesto di protesta muto, non accompagnato da alcuna spiegazione formale al Csm e agli uffici giudiziari.
In un collegio di Tribunale o di Appello accade tutti i giorni che su una singola ordinanza o sulla sentenza a fine processo, uno dei giudici vada in minoranza rispetto agli altri due, è l’assoluta fisiologia nel segreto della camera di consiglio.
Ma a giudicare dal clamoroso gesto delle dimissioni, nel processo Berlusconi-Ruby la qualità del dissidio fra i tre componenti sembra avere raggiunto per Tranfa livelli che deve aver giudicato incompatibili finanche con la possibilità di continuare ad amministrare la giustizia, a pronunciare sentenze e a celebrare processi a imputati comuni usando lo stesso metro di valutazione e il medesimo standard probatorio utilizzati per analizzare le prove a favore o contro l’ex premier, e per infine assolverlo.
Se Tranfa fosse stato solo uno dei tre giudici, e non anche il presidente del collegio, in teoria avrebbe potuto – come a volte si intuisce scorrendo l’ultima pagina di talune sentenze – lasciar intravvedere la volontà di smarcarsi dalla decisione non firmando le motivazioni depositate ieri: ma per legge il presidente di un collegio non può non firmare la sentenza, altrimenti l’atto è come se non esistesse.
Sono già casi rarissimi quelli nei quali un giudice dissenziente dalla maggioranza degli altri due, ove paventi il rischio di vedersi poi contestare a distanza d’anni la responsabilità per un colossale errore giudiziario da cui ritiene di dissociarsi, depositi a propria futura tutela in una cassaforte di cancelleria la cosiddetta «busta», cioè la prova del proprio disaccordo.
Ma ieri Tranfa non si è limitato a fare neppure questo. Niente «busta».
Ha invece optato per una scelta ben più radicale, mai verificatasi prima: ha messo la firma dove non poteva non metterla, sulla sentenza rispetto alla quale era evidentemente in assoluto dissenso, e però si è contemporaneamente dimesso da magistrato.
Un fulmine a ciel sereno per quasi tutti, l’asciutta comunicazione pervenuta all’Inps ieri. Ma non per tutti.
Nelle scorse settimane, infatti, a Palazzo di giustizia c’erano stati magistrati che, nelle pause di una udienza di un processo ordinario, avevano chiesto a Tranfa, vedendolo pallido e teso, se si sentisse bene, ricevendone una risposta evasiva.
E a suo modo sorprendente era stato ieri mattina anche il deposito delle motivazioni della sentenza arrivato nell’ultimo giorno dei termini, dato che fino alla settimana scorsa il tam-tam del Palazzo di giustizia dava per certa la richiesta di una breve proroga.
Ieri, dopo il deposito delle motivazioni in cancelleria, Tranfa ha lasciato l’ufficio. E a nulla è valso telefonargli in serata per capire cosa fosse accaduto e per quali ragioni: «Le mie dimissioni sono lì, non ho altro da aggiungere».
Neanche i suoi trascorsi professionali danno sponda a particolari interpretazioni. Campano del medesimo paese (Ceppaloni) dove è nato Mastella, 70 anni compiuti a fine settembre, collocabile nella corrente di centro di «Unità per la Costituzione» (mentre, se proprio si vuole incasellare la relatrice delle motivazioni, Locurto è vicina alla corrente di sinistra di «Area/Magistratura democratica»), Enrico Tranfa è entrato in magistratura nel 1975, con primo incarico da giudice a Oristano.
A Milano dal 1979 come giudice penale, poi giudice civile, quindi all’Ufficio dei gip quando nel 1989 entra in vigore il nuovo codice, per tre consiliature è stato eletto nel Consiglio Giudiziario del distretto. Presidente del Tribunale del Riesame nel 2002, nel 2010 è al Tribunale di Sorveglianza di Varese, e dal 2012 di nuovo a Milano in Corte d’Appello dove presiede la seconda sezione penale.
O meglio, presiedeva.
Fino alle dimissioni-choc di ieri.
Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
NELLA LEGGE DI STABILITA’ NASCOSTE LE “MICRONORME”: NON SI CAMBIA PER NULLA VERSO
Un gufetto amanuense ha infilato nelle pieghe della Renzi Detax alcune mance niente male. 
Duecentocinquanta milioni per i padroncini dei camion, cento per i lavoratori socialmente utili di Napoli e Palermo e centoquaranta per un vecchio classico, i forestali calabresi: più numerosi lì che in tutto il Canada.
Si tratta di mazzette di Stato, atte a scongiurare le code natalizie di cotechini scaduti al passo del Brennero, gli assembramenti di masanielli nelle piazze del Sud e il consueto crepitio di fuocherelli estivi lungo i boschi della Sila.
Ma non si era cambiato verso, come da annuncio?
Si sarebbe tanto voluto, ecco. Ma la carne è debole e la fantasia immensa.
Le regalie non sono state accolte nella Legge di Stabilità vera e propria, ma in apposite micronorme che le saltellano intorno tutte festanti.
Micronorme, nome delizioso: fa pensare a un ninnolo, a un omaggio, a una carineria. «Amico forestale, gradirebbe una micronorma? Su, la prenda, per farci giocare un po’ i bambini. Microscatterà dal 2017, anche se avevo appena annunciato che avremmo accorpato i forestali ai poliziotti: era una microbattuta. In compenso ho confezionato un macroscherzo alle Regioni, confidando sull’appoggio dei cittadini, che le considerano a ragione un crocevia di camarille e ruberie. Pensi come sono furbo: ho ridotto le tasse statali con i soldi destinati ai governatori locali, che così saranno costretti ad aumentare l’addizionale Irpef, facendosi odiare ancora di più. Ma lei stia sereno e si goda la sua micronorma: qui si cambia verso perchè nulla cambi».
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
I FATTI SONO STATI CONFERMATI, HANNO CAMBIATO LA NORMA
Il 18 luglio, quando la II Corte d’appello di Milano assolse B. nel processo Ruby perchè la concussione “non sussiste” e la prostituzione minorile “non costituisce reato”, la disinformatija all’italiana diede il meglio di sè raccontando che dunque la Procura s’era inventata decine di prostitute, minorenni e non, nelle varie dimore del premier; e s’era sognata le sue telefonate notturne dal vertice internazionale di Parigi per buttare giù dal letto il capo di gabinetto della Questura, Pietro Ostuni, e far rilasciare la minorenne fermata per furto Karima El Mahroug (spacciata per nipote di Mubarak) nelle mani di Nicole Minetti e della collega Michelle Conceià§ao contro il parere del pm minorile Annamaria Fiorillo.
Nessuno, a parte il Fatto e l’avvocato Coppi, osò ricordare che il 6 novembre 2012 Pd e Pdl avevano approvato la legge Severino, detta comicamente “anticorruzione”, che spacchettava la vecchia concussione (per costrizione o per induzione, non faceva differenza) in due diversi reati: concussione (nel solo caso della costrizione) e l’induzione indebita a dare o promettere utilità (nei casi più lievi), proprio mentre ne erano imputati B. e Penati.
Il Fatto spiegò, prim’ancora che uscisse la sentenza, in un pezzo di Marco Lillo, che fino al 2012 bastava che un pubblico ufficiale ottenesse soldi o favori da qualcuno, costringendolo con violenze o minacce o inducendolo con lusinghe o timori riverenziali , profittando della sua posizione, per far scattare il reato di concussione.
Dal 2012 non più: nel caso di induzione, come stabilito dalle sezioni unite della Cassazione, bisogna anche dimostrare che l’indotto (non più vittima, ma complice dell’inducente) ha ricavato un “indebito vantaggio” dal suo cedimento.
Cioè, nel caso Ruby, perchè B. rispondesse di induzione, va provato che Ostuni abbia ceduto alle sue richieste in cambio di vantaggi indebiti.
E, siccome Ostuni non ne ha avuti, la nuova legge salva B.
Il Tribunale aveva tagliato la testa al toro, condannandolo a 6 anni (più uno per la prostituzione minorile) per concussione per costrizione.
Mossa azzardata, visto che le telefonate di B. da Parigi non contengono violenze o minacce: è il tipico caso dell’induzione, come ha ritenuto la Corte d’appello, che però non ha potuto condannarlo per il nuovo reato per mancanza di vantaggi ingiusti per Ostuni.
Il 18 luglio, in un dibattito su La7, tentai di spiegarlo a Giuliano Ferrara, che gabellava l’assoluzione per un colpo di spugna su tutti i fatti dimostrati dal processo (e, già che c’era, anche da tutti i processi degli ultimi 22 anni, da Tangentopoli in poi).
Lui, per tutta risposta, si mise a sbraitare, si alzò e se ne andò.
L’indomani i giornali fecero a gara nel distrarre l’attenzione dal vero nodo della sentenza: che era strettamente giuridico per la nuova legge, e non inficiava minimamente i fatti ampiamente assodati. Libero titolava: “La puttanata è il processo. Chi paga ora per le intercettazioni, i costi, le ragazze alla sbarra, la caduta del governo?”.
E tal Borgonovo ridacchiava dei “manettari” e “rosiconi”, “da Lerner a Travaglio”, che hanno “già emesso la sentenza per ideologia e invocano la gogna per Silvio”.
Il Giornale dell’imputato chiedeva che qualcuno “pagasse” per il presunto errore giudiziario e addirittura “chiedesse scusa” al padrone puttaniere.
Sallusti ringraziava l’amico Renzi per “aver tenuto aperta la porta al condannato” e scatenò i suoi segugi a caccia dei “mandanti ed esecutori” del “colpo di Stato”.
Zurlo sfotteva Merkel e Sarkozy che “ridevano sulle nostre disgrazie”: come se ridessero per il bungabunga.
La Stampa dava un annuncio trionfale: “È finita la guerra dei vent’anni”.
Persino Repubblica titolava sulla “rivincita di Berlusconi”, relegando in poche righe la chiave del verdetto: la modifica del reato, frutto dell’oscena legge Severino.
Sul Corriere il solito giurista per caso Pigi Battista attaccava chi “ha mischiato vicende giudiziarie e vicende politiche” e “fatto il tifo per una sentenza che liquidasse l’avversario”, ignaro del fatto che la Severino l’aveva votata il Pd assieme a B.
E concludeva: “Finalmente il dibattito politico si libera dal peso di un incubo giudiziario: il percorso delle riforme istituzionali può procedere speditamente” perchè “questa sentenza può contribuire a sancire la definitiva separazione tra la storia politica e quella giudiziaria in un Paese che nella guerra totale tra politica e magistratura ha conosciuto la sua maledizione”.
Anche i veri giuristi, come Carlo Federico Grosso, si affrettavano a difendere la povera collega Severino ingiustamente calunniata, sostenendo che la sua legge non c’entrava: altrimenti la Corte avrebbe assolto B. “perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato” (in realtà è ancora previsto, ma è impossibile punirlo grazie al trucchetto del vantaggio indebito per l’indotto).
Chissà come la mettono questi signori dinanzi alle motivazioni della sentenza che confermano tutti i fatti — eticamente e politicamente gravissimi — già accertati dai pm.
C’è la “prova certa dell’esercizio di attività prostitutiva ad Arcore in occasione delle serate in cui partecipò Karima El Mahroug” che si “fermò a dormire almeno due volte” a Villa San Martino, con l’“effettivo svolgimento di atti di natura sessuale retribuiti” (anche se non c’è prova sufficiente che B. sapesse che Ruby era minorenne ai tempi delle “cene eleganti”, mentre lo sapeva quando chiamò la Questura).
È certo che B. “aveva un personale e concreto interesse” a ottenere che Ruby venisse affidata alla Minetti perchè “preoccupato” che facesse “rivelazioni compromettenti”. Dunque “indusse” Ostuni&C. ad aggirare gli ordini del pm Fiorillo, che insisteva per l’affidamento in una comunità .
E Ostuni, in preda a “timore riverenziale”, cedette a quell’abuso di potere (“è sicuramente accertato che l’imputato, la notte del 27-28 maggio 2010, abusò della sua qualità di presidente del Consiglio”).
Che fino al 2012 era concussione per induzione. Ma ora non più. Non è più concussione (“l’abuso della qualità è condizione necessaria, ma non sufficiente a integrare il reato , richiedendo la norma incriminatrice che esso si traduca in vera e propria costrizione… mediante minaccia”).
E non è neppure induzione, perchè “manca nella fattispecie in esame un requisito essenziale dell’abuso induttivo: l’indebito vantaggio dell’extraneus” , cioè di Ostuni, in quanto “il nuovo reato” “richiede necessariamente il concorso di due soggetti: il pubblico ufficiale inducente (B., ndr)e l’extraneus (Ostuni, ndr) opportunisticamente complice del primo”.
Il primo c’è, il secondo no. Dunque il primo è salvo: “mancando la condizioni per una riqualificazione dei fatti in una diversa ipotesi di reato”, alla Corte d’appello non resta che “assolvere l’imputato dal delitto ascrittogli perchè il fatto non sussiste”.
Cioè sussisteva quando fu commesso, ma poi l’imputato e i suoi presunti avversari l’hanno reso impunibile.
E ora chi paga e chiede scusa per tutte le balle che ha raccontato?
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO UNO SCAMBIO DI BATTUTE CON IL GOVERNATORE LIGURE BURLANDO SULLE RESPONSABILITA’ DELL’ALLUVIONE TRAVAGLIO IMITA BERLUSCONI
“Risponda lei delle porcate che ha fatto in 30 anni”. Con queste parole Marco Travaglio ha
interrotto il governatore della Regione Liguria Claudio Burlando durante un acceso dibattito, nello studio di Servizio Pubblico, sulle responsabilità dell’alluvione di Genova.
Il conduttore, Michele Santoro, è intervenuto con decisione bloccando Travaglio: “Marco, questo è un luogo di discussione, non si insultano le persone, basta”.
A questo richiamo, il condirettore de Il Fatto Quotidiano ha lasciato lo studio.
La tensione era già salita pochi minuti prima, quando Travaglio era già stato richiamato da Santoro per un battibecco con un ragazzo di Genova (ospite in trasmissione “in rappresentanza” dei volontari che hanno spalato il fango dopo l’alluvione).
Burlando chiede a Travaglio se lui devierebbe il Fereggiano.
Il giornalista: “Non sono mica un ingegnere idraulico, la paghiamo profumatamente per decidere. Ma questo è matto”.
Proprio in riferimento al diverbio tra il ragazzo e Travaglio, Burlando ha poi detto: “Non so perchè il buon senso di questo ragazzo abbia fatto così adirare Travaglio”. Dura la replica: “Perchè se l’è presa con me anzichè con lei che sta al governo. Quando governerò per trent’anni risponderò delle porcate che ho fatto, adesso risponda lei delle porcate che ha fatto in 30 anni”.
Da qui l’intervento di Santoro e la successiva uscita dallo studio del giornalista.
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
DAI PENDOLARI AI FARMACI, DALLE MENSE SCOLASTICHE AL SOSTEGNO AGLI ANZIANI, DAI FONDI ANTI-ALLUVIONE AI BUS: TAGLIARE LE AUTONOMIE SIGNIFICA TAGLIARE I SERVIZI
Un paio di dati preliminari: nei tre anni tra il 2011e il 2014 (governi Berlusconi, Monti e Letta) i tagli di spesa a carico di Regioni, Province e Comuni ammontano a oltre 41 miliardi e mezzo, vale a dire l’11% della spesa complessiva di questi enti al netto di quella sanitaria, che è calata anch’essa.
Ora Matteo Renzi vuole che le autonomie locali e le Regioni tirino fuori altri 8 miliardi nel 2015, portando il prelievo a 50 miliardi.
Messa così, sono solo numeri, ma dietro queste cifre c’è la vita di milioni di italiani: quelli che prenderanno gli 80 euro di Matteo Renzi e quelli che invece no (incapienti, pensionati, partite Iva).
Il non bolscevico Gianni Bottalico, presidente delle Acli (le associazioni dei lavoratori cattolici) lo ha spiegato perfettamente: “Questi tagli, tradotti in realtà , significano meno mense scolastiche, meno trasporti, meno sanità , meno libri , meno servizi. E questo vanifica i vantaggi fiscali che la manovra contiene”.
La partita di giro delle tasse tra 80 euro e addizionali
È il rischio più grosso per i cittadini: per far fronte a tagli così ingenti e in un orizzonte di tempo così breve, molti enti locali potrebbero ricorrere all’aumento della tassazione locale.
È già successo: dal 2010 al 2014, per dire, le addizionali regionali e comunali sono aumentate del 30% in media.
Poi ci sono, ovviamente, le aliquote Tasi e Imu e una serie di altri balzelli a partire dall’Irap, che è un tributo regionale.
È appena il caso di ricordare che solo i tagli alle istituzioni del territorio valgono circa 8 miliardi nel 2015, gli 80 euro appena uno e mezzo in più.
E poi, a stare alle bozze della legge di Stabilità , c’è un vero e proprio scippo: l’erario si prenderà il miliardo e dispari dell’Imposta provinciale di trascrizione, ma non le competenze che quell’imposta pagava (se le ritroveranno i sindaci quando la legge Delrio sarà pienamente operativa).
Al solito si comincia dagli ospedali: — 3 miliardi
I 4,5 miliardi che verranno sottratti alle Regioni, ad esempio, si scaricheranno “all’80% sulla sanità ”, prevede Sergio Chiamparino, presidente dei governatori, renziano: in cifre significa che al Servizio sanitario nazionale mancheranno l’anno prossimo tre miliardi di euro rispetto al previsto.
I ticket sulla diagnostica che hanno fatto indignare gli italiani, per capirci, ne valevano appena due.
In una spesa ridotta all’osso — inferiore alla media Ue e “incomprimibile con nuovi tagli lineari”, come ha detto il Parlamento all’unanimità — la cosa non sarà senza effetti.
Ovviamente ogni Regione colpirà in maniera diversa, ma i ticket (diagnostica, farmaci, prestazioni di pronto soccorso) sono un rischio non secondario.
I posti letto, cioè il numero dei presidi sanitari sul territorio, sono un altro bersaglio facile e peraltro già arato in questi anni.
Che la sanità sia sotto attacco lo ammette implicitamente lo stesso governo: se le Regioni non troveranno un accordo per spartirsi i quattro miliardi di tagli, sarà l’esecutivo a decidere da solo “considerando anche le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale”.
Mezzi pubblici di trasporto: saranno meno e più cari
I malanni dei treni che usano i pendolari sono un genere a parte nel giornalismo nazionale: se ne occuparono più volte, per dire, persino Fruttero & Lucentini su La Stampa.
Sporchi, spesso in ritardo, sempre strapieni: cose che sa benissimo chiunque abbia, per così dire, usufruito del servizio.
Ai nostri fini importa ricordare, però, che quel servizio è a carico delle Regioni, che lo espletano in genere tramite un accordo con Ferrovie dello Stato o attraverso società ad hoc: la scure potrebbe insomma cadere anche sul trasporto pubblico locale, non certo peggiorando il servizio, compito in genere davvero improbo, ma attraverso l’aumento dei biglietti o la dismissione di alcune tratte.
Lo stesso discorso si può applicare a livello comunale e provinciale: quei simpatici bus che ci portano nella migliore delle ipotesi in giro per la città o in paesi in cui abitiamo sono a carico di Comuni, Province e Regioni. Rincari e/o minori servizi sono l’esito scontato del continuo comprimere la spesa.
Territorio, istituti scolastici, strade: meno sicurezza
Tra i compiti di Comuni, Province e Regioni c’è anche la tutela del territorio, rischio idrogeologico compreso: formula anodina dietro cui si celano le alluvioni che in questi giorni hanno spezzato Genova, Parma, la Maremma.
Il governo Renzi ha anciato un piano straordinario sul tema da un miliardo e dispari, ma i fondi per la manutenzione corrente dovrebbero uscire dalle istituzioni locali. Invece li si taglia.
È esattamente la stessa situazione dell’edilizia scolastica: si lancia una grande operazione, ma si rende impossibile la gestione dell’ordinario.
Oggi spetterebbe alle Province, così come la manutenzione di un bel po’ di strade: occhio alle buche d’ora in poi.
E pure ai parchi pubblici: oltre a non curarli, forse spegneranno pure i lampioni e sarà quindi più difficile evitare di inciampare nei rifiuti non ritirati.
Asili, pasti e libri: abituatevi a pagare di più
Se avete presente le notizie di cronaca tipo bambini che non hanno diritto alla merendina nella mensa della scuola o mamme che non lavorano perchè non hanno trovato posto nell’asilo pubblico e non possono permettersene uno privato sapete di cosa si parla quando si sforbicia così in profondità nei Comuni.
Le scuole dell’infanzia, le mense scolastiche, gli scuolabus e persino il sostegno per l’acquisto dei libri di testo sono tutti servizi che spetterebbero ai Comuni: abituatevi a pagarli più cari.
Nonni e indigenti: meno assistenza, più solitudine
Quasi tutte le politiche di prossimità per i cittadini con reddito basso — dal sostegno al reddito delle famiglie povere alle politiche della casa, dall’assistenza domiciliare agli aiuti alimentari — passano dai Comuni e hanno già subito, laddove esistono, tagli drammatici in questi anni: Renzi si vantava spesso di questa funzione quand’era sindaco, oggi pare interessargli un po’ meno.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
SI PASSA DALL’ 11,5% AL 20%: “MIOPIA ISTITUZIONALE”
L’obiettivo è quello di far ripartire i consumi con il Tfr in busta paga, il rischio è che si
comprometta la “seconda gamba” delle pensioni, cioè la previdenza integrativa.
Sui rendimenti dei fondi pensione si scaricherà una sorta di stangata con la tassazione che passerà dall’11,5% al 20%, in più gli aderenti ai fondi potranno sospendere per un periodo (dal 2015 al 2018, per ora) i versamenti per ricevere, così, l’anticipo della liquidazione e spendere il proprio risparmio previdenziale.
Ma ci saranno anche altri effetti collaterali provocati dalla norma che prevede l’anticipo del Tfr nella busta paga a partire dalla metà del prossimo: per esempio che per il lavoratore interessato l’operazione si tradurrà in un aumento di tassazione visto che non si estenderà il trattamento fiscale favorevole fissato invece per il Tfr nella sua funzione classica.
Ed è presumibile che nel momento della scelta (irreversibile nella fase di sperimentazione dell’operazione, dal 2015 al 2018) i lavoratori (dipendenti delle aziende private ma non del pubblico impiego e dell’agricoltura) terranno conto di tutti questi fattori.
La volontarietà , infatti, rimane il caposaldo del progetto dell’esecutivo.
Il Tfr, istituto che gli altri paesi non hanno, doveva servire, con la riforma del 2007 e dopo aver svolto per decenni il solo compito della buonuscita alla fine del lavoro perlopiù nella stessa azienda, ad alimentare i fondi previdenziali integrativi per rendere un po’ più consistente il futuro assegno pensionistico.
Fu fatta una grande campagna bipartisan e sindacale perchè i fondi complementari decollassero anche con l’idea che potessero diventare protagonisti (i fondi raccolgono oggi più di 120 miliardi di euro) in un mercato finanziario asfittico com’è tradizionalmente quello italiano.
Qualcosa si è mosso e attualmente ai fondi è iscritto circa il 30 % dei lavoratori dipendenti.
E i fondi nel lungo periodo sembrano in grado di garantire rendimenti superiori a quelli, fissati per legge, del Tfr.
D’altra parte, con il passaggio, nel 1996 con la riforma Dini, dal sistema retributivo a quello contributivo il tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra l’ultima retribuzione e l’importo della pensione, è ormai destinato a ridursi in maniera significativa, quasi a dimezzarsi.
Tanto più per i lavoratori più giovani con una carriera professionale discontinua, tanto più per effetto della lunga crisi economica visto che il calcolo della pensione tiene conto pure della dinamica del Pil.
Ruolo assegnato alla previdenza integrativa, appunto: compensare la perdita.
Con la mossa del governo è indubbio che possa invece arrivare una frenata alla previdenza integrativa.
Da una parte perchè potrà chiedere l’anticipo del Tfr anche chi ha aderito a un fondo, sospendendo così per il periodo 2015-2018 il versamento rinunciando nello stesso tempo al contributo del datore di lavoro che varia, a seconda dei contratti, dall’1 all’1,8%.
Dall’altra parte perchè il governo ha deciso di incrementare in maniera pesante la tassazione sul risparmio previdenziale: il prelievo sui rendimenti dei fondi salirà dall’11,5 al 20%.
Una quota ancora inferiore a quella del 26% fissata per le rendite finanziarie ma comunque un passo verso l’armonizzazione delle aliquote e in controtendenza rispetto al passato in cui per incentivare l’adesione ai fondi si agì sulla leva fiscale.
E contro l’inasprimento fiscale sono in rivolta le casse previdenziali dei professionisti sulle quali l’imposizione crescerà dal 20 al 26%.
«Miopia istituzionale», l’ha definita Andrea Camporese presidente dell’Adepp.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
“HO GIA’ RIDOTTO LE SPESE, ANCORA COSI’ E ANDRANNO IN CRISI SANITA’ E TRASPORTI”
«Noi siamo stati eletti dai cittadini e abbiamo il dovere di segnalare gli effetti catastrofici che produrrebbe questa legge di stabilità ».
Non ha paura di essere ascritto alla categoria dei “gufi”, Nicola Zingaretti, presidente di una Regione, il Lazio, che da 8 anni viaggia con il fardello di una sanità commissariata.
Non è un renziano, ma schiva le voci che lo vedrebbero futuro competitor del premier: «Non l’ho votato al congresso – ricorda – ma lo sostengo e credo rappresenti uno shock positivo per l’economia e l’immagine dell’Italia».
Eppure…
«Eppure stavolta sta commettendo un errore: troppo facile tagliare le tasse con i soldi degli altri. È come se invito gente a pranzo e a cena, faccio bella figura, ma poi paga qualcun altro».
In questo caso le Regioni.
«Sì, ma a subire gli effetti sono i cittadini che si vedrebbero tagliare la sanità , i trasporti per i pendolari, le borse di studio. È matematica: la spesa delle Regioni è per l’80% sanità , per un 10% trasporto pubblico e per un altro 10% tutto il resto. Dire che vuoi tagliare 4 miliardi (che si andrebbe ad aggiungere al miliardo e 600 milioni delle precedenti finanziarie) significa per forza mettere mano ai servizi».
O aumentare le tasse?
«A dire il vero noi abbiamo previsto di diminuire Irap e Irpef dal 2016 se questo sforzo non viene vanificato da una sottrazione di risorse. L’aveva scritto anche il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli. Cito testualmente: “I risparmi ottenuti a livello locale dovrebbero essere usati per ridurre la tassazione locale”. La verità è che una manovra scritta in questo modo provocherebbe inevitabilmente uno spostamento del prelievo fiscale dal centro alla periferia. Un gioco delle tre carte».
Un’operazione di immagine? Governo buono, enti locali cattivi?
«No, non è una questione di immagine. L’obiettivo che vuole perseguire il governo è giusto e io lo condivido appieno ma non bisogna mettere in crisi i servizi che garantiscono la competitività del sistema, dai trasporti all’università ».
Renzi vi invita a cominciare dai vostri sprechi, i renziani le ricordano che nel Lazio c’è l’Irpef più alta d’Italia: possibile che non ci siano spese da tagliare?
«Noi in un anno e mezzo abbiamo tagliato 400 poltrone, eliminato le auto blu e vitalizi, dimezzato gli stipendi, chiuso oltre 12 società regionali, stiamo riducendo i primari di 400 unità , abbiamo messo in efficienza la macchina amministrativa e siamo stati i primi ad aver introdotto la fatturazione elettronica. Tagliare ancora è giusto, e infatti lo stiamo facendo, a volte più del governo».
Non trova singolare che le critiche maggiori alla legge di stabilità siano arrivate proprio dai governatori del Pd?
«I governatori del Pd in questi mesi hanno sostenuto con forza e coerenza l’azione del governo. Cito solo la decisione di co-finanziare la misura degli 80 euro in busta paga con il via libera a 700 milioni di tagli alle Regioni. Abbiamo però il dovere di segnalare gli errori».
Pronti a diventare i nuovi “gufi”?
«Non ce n’è motivo. Lo sforzo del governo è il nostro ma bisogna dirsi quando si sbaglia».
Mauro Favale
(da “La Repubblica”)
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