Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
LA PROCURA INDAGA SUL VIA LIBERA DELL’AUTORITHY ALLA VENDITA DELLE OBBLIGAZIONI
La Consob sapeva. L’Authority di vigilanza del mercato borsistico guidata da Giuseppe Vegas era a conoscenza della scarsa qualità del prodotto che Banca Etruria stava mettendo sul mercato, in quell’aprile 2013: 110 milioni di euro di obbligazioni subordinate con fattori di rischio elevatissimi.
Soprattutto, sapeva a chi la Popolare aveva intenzione di vendere i titoli, nell’ultima, disperata, manovra per mettere a posto i conti: ai clienti della stessa Banca Etruria.
Non agli investitori cosiddetti “istituzionali”, cioè gli altri istituti bancari, i fondi di investimento, le finanziarie, come la prudenza avrebbe suggerito. Banca Etruria chiedeva a Consob di poterli vendere ai normali cittadini, meglio se già clienti. E la Consob autorizzò.
I TITOLI TOSSICI
Al vaglio della procura di Arezzo, che ha appena aperto un indagine per truffa sull’intera filiera dell’emissione di obbligazioni subordinate, c’è un documento di interesse investigativo.
Si tratta del prospetto di base che Banca Etruria depositò il 22 aprile 2013 presso la Consob, approvato in pieno dalla stessa authority appena quattro giorni prima, con nota n°13032868.
È grazie a quel documento che direttori di filiali e funzionari del gruppo toscano cominciarono a proporre ai loro clienti i titoli ad alto rischio. Sono 138 pagine che hanno una storia.
La decisione di ricorrere in modo massiccio ai titoli ad alto rischio e rendimento (il 5-6 per cento per chi li acquistava) viene presa dal cda di Banca Etruria (presidente Giuseppe Fornasari, direttore generale Luca Bronchi) all’inizio del 2013.
Negli stessi mesi nella sede della Popolare ci sono gli ispettori inviati da Banca d’Italia a scandagliare conti, bilanci, uffici del credito.
L’Etruria, già allora, non naviga in buone acque. Ha chiuso il 2012 con 260 milioni di euro di perdita e sul tavolo del cda è da poco arrivata la prima lettera di “richiamo” del governatore Bankitalia Ignazio Visco.
Il lavoro degli ispettori, poi, sta portando a galla la malagestione del management e la crisi cui sta andando incontro l’Etruria.
Nonostante ciò, il collegio di Fornasari chiede di mettere sul mercato 110 milioni di subordinate. Banca d’Italia, il primo soggetto a vagliare la richiesta, approva.
Una fonte di Repubblica interna all’istituto e che ha potuto leggere il carteggio, racconta: «La Banca d’Italia approvò l’emissione, ma nella lettera scrisse che erano titoli adatti agli investitori istituzionali. Non so, però, se fosse una dicitura standard o un consiglio specifico per quel pacchetto di bond».
“VENDIAMOLI A TUTTI”
Nel prospetto firmato dall’allora direttore generale di allora Luca Bronchi (indagato per false fatture e di recente finito nella bufera per la sua buonuscita di circa un milione di euro, segnalata anche nelle ispezioni), si legge espressamente di fattori di rischio «connessi ai procedimenti giudiziari e alle risultanze dell’ispezione di Banca d’Italia».
Scrivono: «A far data dal 4 dicembre 2012, l’Emittente è sottoposto ad accertamento ispettivo anche con riferimento alla valutazione della qualità del credito, ad esito della quale l’Emittente dovrà effettuare specifiche attività a ulteriore presidio della copertura del rischio di credito». Nonostante ciò, l’intenzione è di fare una vendita popolare.
L’AUTORIZZAZIONE-LAMPO
La Consob riceve il prospetto e lo autorizza in breve tempo. Sapeva l’Authority ciò che stava succedendo all’interno della banca che quelle obbligazioni stava emettendo?
Tutte le evidenze lo lasciano supporre.
La seconda lettera che Visco inviò agli amministratori di Banca Etruria, quella che è stata secretata e nella quale il governatore parla di “degrado irreversibile”, fu spedita tre giorni dopo anche alla Consob.
A dimostrarlo è la consulenza tecnica chiesta dal procuratore di Arezzo Roberto Rossi nel febbraio 2014 a Giuseppe Scattone, ex ispettore vigilante di Bankitalia.
È un documento che si trova nel fascicolo di indagine sull’ostacolo alla vigilanza e false fatturazioni, vicino alla fase del rinvio a giudizio. Sostiene Scattone: «Alla fine dell’ispezione (iniziata nel 2012 e finita a settembre 2013, ndr) Banca d’Italia inviava a Banca Etruria una lettera, recante la data del 3 dicembre 2013, contenente un severo richiamo ai responsabili della gestione sulla difficile situazione aziendale venutasi a determinare a causa della insufficiente azione di risanamento da tempo sollecitata dalla Vigilanza.
Con altra lettera del 6 dicembre 2013 Banca d’Italia informava Consob delle iniziative assunte dalla Vigilanza dopo gli accertamenti ispettivi».
Uno scambio di informazioni tra Bankitalia e Consob che avveniva mentre le obbligazioni subordinate continuavano ad essere piazzate da Banca Etruria senza battere ciglio.
Centinaia di famiglie investivano i risparmi in titoli che sarebbero diventati carta straccia. E la cui vendita nessuno riuscì a bloccare.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
DOPO GLI ULTIMI SCANDALI LA CHIESA ANNUNCIA UNA VERA RIVOLUZIONE NELLA SANITA’ CATTOLICA ITALIANA… BASTA STRUTTURE A PAGAMENTO
Sanità cattolica, si cambia. Nei giorni scorsi è stata annunciata la nascita di una commissione
vaticana chiamata a sovrintendere alle vendite e dismissioni delle strutture ospedaliere legate alla Chiesa nel mondo, e a vigilare sulla loro gestione. Martedì un nuovo segnale, questa volta tutto italiano.
Nell’intervento inviato all’assemblea dell’Aris, l’associazione che riunisce le strutture sanitarie e assistenziali cattoliche, il segretario della Cei Nunzio Galantino ha affermato: «Queste istituzioni sono nate per rispondere alla domanda di salute soprattutto dei più poveri, per testimoniare il Vangelo attraverso una cura competente e integrale della persona malata, per investire risorse umane ed economiche a favore della cura senza trarne profitto di nessun genere. Domando: è sempre così?».
La risposta è no, non sempre è così, e basta guardare la cronaca.
Sia nel caso dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata di Roma, sia in quello della Casa della Divina Provvidenza di Bisceglie, istituto per disabili gravi, a finire nel mirino delle inchieste sono stati religiosi e religiose responsabili della gestione, con annesso sottobosco politico-affaristico. Nel primo caso fratel Franco Decaminada, dei Figli dell’immacolata concezione che gestivano anche l’ospedale San Carlo di Nancy, è stato accusato di aver personalmente sottratto in pochi anni oltre due milioni di euro dalle casse dell’Istituto.
L’inchiesta scaturita da un esposto dei dipendenti rimasti senza stipendio ha portato a ipotizzare, secondo i magistrati, «distrazioni» di fondi per oltre ottanta milioni, malversazioni e appropriazioni indebite che hanno portato l’IDI a un passivo di 845 milioni.
A salvare l’ospedale, con fondi dell’Apsa, è stata la Santa Sede.
È intervenuta la magistratura anche nel caso della Divina Provvidenza, istituto fondato da don Pasquale Uva negli anni Venti, che ha diverse sedi in Puglia.
La Procura di Trani ha scoperto distrazioni di denaro pubblico, clientelismi, bilanci falsi. Sono stati indagati alcuni politici e alcune religiose della casa di cura, il buco è stimato in circa 500 milioni di euro.
Pecore nere
A fronte di queste imbarazzanti «pecore nere», ci sono tante strutture che funzionano.
Gli ospedali cattolici in Italia sono 102 (tra i quali due Policlinici universitari e 19 ospedali classificati), con 17.099 posti letto.
Le strutture per riabilitazione sono 132, con 6.057 posti letto; gli hospice per le cure palliative ai malati oncologici 23, con 346 posti letto.
In totale si tratta di 257 strutture con 23.502 posti letto.
Vi lavorano circa 70.000 operatori sanitari, 8.000 dei quali sono medici.
A questi numeri vanno aggiunte le strutture socio assistenziali per anziani, le case di riposo: quelle cattoliche sono 1.535 per un totale di 78.328 posti letto. Numeri peraltro in costante evoluzione e continuo cambiamento.
Guardando la mappa degli ospedali legati alla Chiesa, balza subito all’occhio un dato: sono concentrati soprattutto in Lombardia e Lazio; a seguire Piemonte, Veneto e Toscana.
La loro presenza diminuisce notevolmente man mano che si scende al Sud. In Sardegna e Calabria non ci sono ospedali cattolici, ma soltanto strutture socio assistenziali.
Che cosa significa? «I dati parlano chiaro – spiega alla Stampa don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio per la Pastorale della Salute della Cei – le strutture ospedaliere cattoliche si sono sviluppate di più dove le persone stanno meglio economicamente. La scelta che dobbiamo fare per il futuro è quella di essere più presenti là dove ci sono minori servizi».
Lo Stato risparmia?
Tra i problemi che affliggono queste strutture, oltre a quelli gestionali e a quelli legati al venir meno delle vocazioni dei religiosi che vi sono impiegati, c’è l’annosa questione dei rimborsi.
Le Regioni pagano con notevole ritardo i servizi erogati in regime di convenzione. Una voragine di crediti di questo tipo ha messo a dura prova, negli anni scorsi, anche il Policlinico Gemelli di Roma, dell’Università cattolica.
Diverse stime concordano nell’affermare che la sanità cattolica costi circa il 40 per cento in meno di quella di proprietà pubblica: non tutto viene rimborsato, non ci sono fondi per le ristrutturazioni.
Le somme rimborsate alla sanità cattolica con le convenzioni ammontano a circa un miliardo e 700 milioni l’anno e si può calcolare un risparmio annuale per lo Stato di circa un miliardo e 200 milioni, secondo quanto scrive Giuseppe Rusconi ne «L’impegno» (Rubettino, 2013).
La nuova commissione vaticana, che risponde direttamente al Segretario di Stato, interverrà quando le congregazioni religiose intendono vendere, dismettere, cedere le strutture. E opererà per assicurare trasparenza, buona gestione e fedeltà al carisma dei fondatori.
Quasi sempre ospedali o case di cura sono nati per aiutare chi più aveva bisogno.
«Ci dobbiamo chiedere – osserva ancora don Arice – se abbia ancora senso per la sanità cattolica, passare dal no profit al profit per sopravvivere».
La via tracciata da monsignor Galantino è chiara. Il vescovo ha citato le parole pronunciate il mese scorso da Papa Francesco al convegno ecclesiale di Firenze: «Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti».
Con meno super-cliniche vip e più ospedali da campo.
Andrea Tornielli
(da “La Stampa”)
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Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
“GRAZIE AL MIO LIBRO I SOLDI TORNERANNO AI BIMBI MALATI”
«Sono doppiamente contento. Primo perchè dei soldi destinati alla ricerca per i bambini malati tornano al Bambin Gesù e potranno essere spesi per ciò a cui servivano all’origine. Secondo perchè ogni tanto il giornalismo serve a qualcosa».
Così Emiliano Fittipaldi, autore del libro inchiesta “Avarizia”, in cui svela che la ristrutturazione della nuova casa di Bertone è stata pagata dalla fondazione Bambino Gesù e da un mese sotto accusa in Vaticano per aver divulgato notizie riservate, commenta la donazione del cardinale.
«Ma – aggiunge – resta il paradosso che sotto processo ci sono io, cioè chi ha raccontato quegli strani movimenti bancari, e non chi li ha fatti»
Il cardinale ha detto di essere estraneo alla vicenda. È credibile?
«Avrei delle riserve. Dall’inchiesta giornalistica che ho svolto risulta inverosimile che il pagamento dei lavori sia stato fatto a insaputa di Bertone, come lui sostiene. Enoc dice poi che la questione si è chiusa in modo positivo: il rischio è che vogliano risolvere la faccenda a tarallucci e vino».
La donazione è una ammissione di responsabilità ?
«Per me sì, perchè altrimenti avrebbe potuto farla in qualsiasi altro momento. Ed è una mossa che tradisce: “Bertone ha riconosciuto il danno” vuol dire che la coda di paglia ce l’ha. È la prima volta che il Vaticano, che non ha smentito nulla di ciò che ho scritto, fa una ammissione di responsabilità indiretta».
Tutta questa storia è una vittoria del giornalismo?
«La vicenda di Bertone non è in nessun documento della Cosea ma è frutto di una mia inchiesta sul campo. Se non ci fosse stata, i soldi non sarebbero mai tornati alla fondazione. E c’è ancora tanto da indagare».
Cristiana Salvagni
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
“CONTRO DI ME UNA SANTA ALLEANZA”
Non un risarcimento ma un gesto di beneficenza, una donazione volontaria all’ospedale Bambino
Gesù che è stato “vittima di una operazione illecita compiuta da altri a mia insaputa”.
L’ex segretario di Stato, Tarcisio Bertone, si dice amareggiato per come è stata “raffigurata” la sua decisione di donare 150mila euro all’ospedale pediatrico romano”. Una somma che lo stesso Cardinale ammette di non avere interamente a disposizione e che, per questo, la devolverà “a rate”.
Si sente “diffamato”, l’ex segretario di Stato Bertone, in merito alle notizie divulgate dai media sul suo appartamento all’interno del Palazzo San Carlo in Vaticano, la cui ristrutturazione – ribadisce “ho pagato con i miei risparmi”, e che “non è di mia proprietà ma resterà al Governatorato”.
Il Cardinale ribadisce che non si tratta di una casa lussuosa come molti hanno detto e scritto, dove non vive solo ma con una piccola comunità di suore, e si dice convinto che contro di lui ci sia “una sorta di santa alleanza, non saprei in quale altro modo definirla – spiega – che fa di tutto per diffamarmi nonostante lo stesso Papa Francesco mi abbia detto di continuare a lavorare e andare avanti”.
“Io – ricorda – sono stato semplicemente un collaboratore fedele di tre Papi. Ho esercitato la mia funzione con coscienza e forse nel mio lavoro ho toccato qualche sensibilità che non conosco. O forse c’è il fatto che per certi media il mio nome fa più pubblicità di altri. E allora tirano sempre in ballo me”.
Nel merito della decisione di donare questa somma all’ospedale, Bertone racconta di aver incontrato la presidente Mariella Enoc e “di aver esaminato ogni cosa”, “anche lei ha riconosciuto, me lo conferma anche in una lettera – spiega il Cardinale – la mia totale estraneità ai fatti, e in particolare alla vicenda dei pagamenti da parte della Fondazione. Non ho avuto direttamente denaro. Tuttavia riconosco che tutto quello che è accaduto ha costituito per il nostro ospedale un danno”.
La donazione andrà a sostenere dei progetti di ricerca per le malattie rare: “È una donazione che dice del mio attaccamento anche sentimentale alla struttura e ai suoi piccoli pazienti”, “questo è nel mio dna e nella mia storia”, commenta.
Il Cardinale si dice sicuro che “il Vaticano che, nei suoi organi competenti, sta facendo le dovute indagini, senz’altro andrà fino in fondo e appurerà tutto”.
“Sono stato in tutta coscienza un servitore fedele -conclude Bertone- Certo, anche io come tutti ho bisogno di misericordia, e francamente se ci fosse un pò più di misericordia nei miei confronti anche da parte dei media vivrei più sereno e con meno sofferenze”.
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
QUI L’INTESA SOCIALISTI-PODEMOS HA SCALZATO I POPOLARI
Il polso della Spagna confina a Nord con i Pirenei, è attraversato come una vena dal fiume Ebro ed esporta grandi quantità di «Jamà³n de Teruel», il primo prosciutto spagnolo che ha ricevuto il marchio doc.
È qui, nella comunità autonoma di Aragona, che sondaggisti e politologi vengono a tastare il polso per capire che aria tira nel Paese.
La chiamano «l’Ohio di Spagna» perchè, come lo Stato americano, la regione aragonese è determinante per capire l’esito delle elezioni politiche. Chi vince qui, vince anche a Madrid. È sempre successo e non per caso.
Le sue caratteristiche socio-economiche, ma anche fisico-politiche, rispecchiano quelle del Paese. Vaste zone rurali e agglomerati urbani, una crescita economica del 3%, partiti autonomisti che hanno un discreto peso. Una Spagna in miniatura.
I sondaggi sono in linea con quelli nazionali. «Ma noi qui siamo dati in crescita – spiega Susana Sumelzo, capolista del Psoe, passeggiando sulle rive del fiume Ebro – perchè siamo un partito che è stato capace di rinnovarsi».
Ma più che i sondaggi è utile raccontare ciò che è successo a maggio, alle ultime amministrative. Qui hanno preso forma quei patti «delle sinistre» che sono l’incubo di Mariano Rajoy. «E, per certi versi, anche della stessa sinistra – spiega Marta Lopez, giornalista saragozzana della Cope, una delle principali radio spagnole – perchè non c’è una maggioranza chiara e governare diventa impossibile». La Moncloa, il palazzo del governo di Madrid, è avvisata.
I patti delle sinistre
In Regione ha vinto il Pp, ma senza avere il 51% dei seggi. Anche perchè il possibile alleato Ciudadanos, senza il volto del leader Rivera, si è fermato sotto il 10%. E così il Psoe, secondo classificato, ha preso il potere grazie all’accordo con Cha (gli autonomisti di sinistra), Izquierda Unida e soprattutto Podemos.
Il partito di Iglesias si era presentato con Pablo Echenique, uno dei big: solo seimila voti in meno dei socialisti (gli aragonesi sono 1,3 milioni). Non è bastato. E così Podemos ha sostenuto l’investitura di Javier Lambà¡n, salvo poi limitarsi a un appoggio esterno
In città la situazione è simile, la prospettiva però è ribaltata. Eloy Suarez, l’uomo forte del Pp, è stato il candidato sindaco più votato. «E così sarà anche per Rajoy», ripete a poche ore dal voto sotto i suoi manifesti che tappezzano Saragozza. Senza maggioranza, ha proposto un accordo al Psoe, offrendo la poltrona da sindaco.
Ottenuto il rifiuto, la palla è finita tra le mani di Pedro Santisteve Roche, «El Desconocido». Docente e penalista, «Lo Sconosciuto» è un indipendente passato direttamente dalle piazze degli Indignados all’ufficio del sindaco.
È uno de «los alcaldes del cambio», quell’ondata di sindaci del cambiamento guidata da Ada Colau (Barcellona) che il vento di Podemos ha portato nelle istituzioni.
Dove proseguono la loro lotta contro gli sfratti. «Il Psoe mi ha appoggiato, ma ora si è tirato indietro. Governo senza maggioranza», racconta tra le bancarelle natalizie nella Plaza del Pilar, sotto il suo Muncipio. «Noi e il Psoe in comune abbiamo solo l’elettorato. Siamo due cose diverse e loro ci vedono come nemici. Ci temono. La verità è che in Spagna serve una restaurazione democratica dopo questo regime del bipartitismo. Noi sindaci abbiamo aperto una breccia, il cambiamento è solo all’inizio». Alleanze permettendo.
E qui a Saragozza è ancora all’inizio il dopo-Expo, nonostante siano passati sette anni. L’esposizione del 2008, che ha portato in città importanti infrastrutture come il nuovo terminal dell’aeroporto, il Parco Metropolitano dell’Acqua e il Ponte del Terzo Millennio, ha lasciato anche una cabinovia inutilizzata, un debito da 250 milioni (che pesa sulle casse regionali) e una serie di edifici e padiglioni vuoti che danno all’area un aspetto spettrale. Il padiglione-ponte che attraversa l’Ebro, chiuso al pubblico, è l’emblema del fallimento dei progetti post-Expo.
Oltre che un campanello d’allarme per Milano.
Marco Bresolin
(da “La Stampa”)
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