Febbraio 17th, 2017 Riccardo Fucile
IL RAGAZZO DAL CIUFFO ROSSO CHE SFIDA ORLANDO ALLE COMUNALI: “SALVINI, PALERMO NON PERDONA LE TUE PAROLE. QUESTA E’ LA CITTA’ DELLA TOLLERANZA, L’ISOLA DI GRECI, FENICI, ARABI, NORMANNI, CHIEDI SCUSA ALLA MIA TERRA”
Quando dalla ribalta delle Iene ha deciso di lanciarsi nella corsa a sindaco di Palermo con un raggruppamento di liste civiche, insidiando il favoritissimo e già ricandidato Leoluca Orlando, tutto pensava Ismaele La Vardera, 23 anni, tanti amici fra gli immigrati, tranne di ritrovarsi come inatteso sponsor il leader della Lega Matteo Salvini.
Un vero e proprio endorsement non concordato e lanciato durante un talk show pomeridiano, su “La7”.
Con Salvini che, parlando delle elezioni di maggio a Palermo, ha detto di apprezzare “il ragazzo dal ciuffo rosso”.
Una sorta di battesimo sul campo per quel ragazzo tante volte vestito da “iena” in grisaglia nera, come la cravatta sulla camicia bianca, «blogger Huffington Post», come si definisce nel suo profilo.
Una sorpresa generale per chi conosce La Vardera da quando battagliava fra Villabate e Misilmeri contro mafie e consorterie politiche prima di essere arruolato a Mediaset. Ma il battesimo di cotanto padrino deve avere stordito il ragazzo con capelli e barba color carota. Pronto a giurare ai suoi amici di avere appreso dell’endorsement in diretta, «senza alcun preventivo accordo».
E per questo La Vardera ha deciso di giocare a carte scoperte, lanciando sul web attraverso il Corriere.it un video messaggio stile “Iena”.
Un video surreale di cinque minuti in cui ha inserito l’intervista di Salvini e la sua risposta.
Un dialogo a distanza forse fra sordi. Perchè quel che non piace al candidato sindaco che con ironia si definisce «il Davide contro l’Orlando-Golia» è la posizione di Salvini su migranti e respingimenti, accoglienza e mezzogiorno.
Esplicite nel video le critiche alle posizioni della Lega: «Caro Salvini, Palermo non perdona le tue parole. Questa è la città della tolleranza, questa è l’isola di greci, fenici, arabi, normanni… Se vuoi che accetti il tuo sostegno, rivediamo le politiche della Lega. Intanto, chiedi scusa alla mia terra, altrimenti se ci sarà un rifiuto andrò avanti da solo…».
La corda rischia così di spezzarsi, anche perchè da “Iena” La Vardera affida le ultime sequenze a un suo amico palermitano dalla pelle scura, Amin, un fotoreporter nato in SriLanka, anche lui sorridente e provocatorio: «Matteo, non tuti gli immigrati rubano e io, ti piaccia o no, con la mia pelle nera sono palermitano».
Felice Cavallaro
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 17th, 2017 Riccardo Fucile
DUE GIORNI FA INCONTRA LA MAGGIORANZA IN CAMPIDOGLIO PER SINTETIZZARE I PARERI LEGALI SULLO STADIO SU INCARICO DEL GRUPPO REGIONALE M5S… DOPO POCHE ORE LA SMENTITA DEL GRUPPO REGIONALE: “DA NOI NESSUN INCARICO A CANALI”
In mattinata l’avvocato Alessandro Canali — che è anche il legale che inviò una smentita a Repubblica insieme a Roberta Lombardi e Marcello De Vito — aveva rilasciato una dichiarazione alle agenzie di stampa a proposito dell’incontro di due giorni fa con la maggioranza pentastellata in Campidoglio.
“In base a diversi pareri legali, anche molto autorevoli come quello del presidente Imposimato, ho spiegato ai consiglieri comunali M5S che non rischiano di dover risarcire personalmente l’As Roma se votano un’altra delibera sul progetto dello stadio. Possono decidere in libertà e in autonomia”.
Canali, recitava l’agenzia di stampa ANSA, è stato incaricato dal gruppo regionale M5S di raccogliere e sintetizzare pareri sull’argomento, tra cui quello di Ferdinando Imposimato, presidente onorario Cassazione, vicino al MoVimento e ultimamente finito molto spesso nelle cronache grilline.
C’è da dire che i pareri di cui Canali parla, che non sono stati in alcun modo resi pubblici, sono in totale contrasto con quelli forniti dall’Avvocatura Capitolina e anche con quanto scritto da Virginia Raggi sul blog di Beppe Grillo due giorni fa:
In ogni caso quello che ha detto Canali presentava anche tratti di singolarità : “Non vi è il rischio di un’azione risarcitoria diretta da parte dell’As Roma contro i consiglieri comunali — ha sostenuto Canali -, ma solo contro il Comune e solo per le spese sostenute. Non ci sarebbe responsabilità diretta dei consiglieri, nessuna ‘colpa grave’ anche di fronte alla Corte dei Conti”.
Insomma, nel caso peggiore — ha assicurato Canali — il conto lo pagherebbe il Comune, ovvero i cittadini romani.
I parlamentari Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, presenti all’incontro, “mi sembravano d’accordo”, aveva poi detto Canali sempre all’ANSA.
Ma in serata è arrivato il colpo di scena: in una nota Silvia Blasi, Capogruppo M5S Regione Lazio, ha dichiarato che nessun incarico era stato dato a Canali dal gruppo M5S Lazio: “In merito alla dichiarazione rilasciata dal legale Alessandro Canali sullo Stadio di Tor di Valle, intendo chiarire che non è stata condivisa con il gruppo M5S alla Regione Lazio. Qualsiasi opinione in merito espressa dal legale Canali è esclusivamente a titolo personale. Non risulta alcun incarico conferito a titolo del gruppo regionale per la raccolta di pareri sullo stadio, ma solo un incarico svolto per i consiglieri Perilli e Porrello”, ha fatto sapere la Blasi.
Senza parole.
(da “NextQuotidiano“)
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Febbraio 17th, 2017 Riccardo Fucile
RENZI DA’ PER PERSI I BERSANIANI E CHIAMA EMILIANO… FURIA SU DELRIO
“E ora vai davanti alle telecamere e rimedi…”. Il fuori onda della discordia ha appena iniziato a fare il giro del web. Matteo Renzi non la prende bene. Ne parla con il responsabile, Graziano Delrio, al telefono. Si arrabbia.
Un minuto dopo il portavoce del premier Paolo Gentiloni e del segretario del Pd, Filippo Sensi, si adopera per dare una mano: raduna un po’ di giornalisti davanti a Palazzo Chigi, Delrio è pronto per “rimediare”.
“Ma no, il segretario ha fatto tante telefonate per scongiurare la scissione…”. Una toppa al vulnus che il fuori onda ha aperto nella narrazione renziana, squarciandola a due giorni dall’Assemblea, l’inizio del Congresso, la probabile scissione dei bersaniani, dei dalemiani. Il caos tiene banco a Palazzo Chigi anche al termine del Consiglio dei ministri.
Dopo la riunione dell’esecutivo, Gentiloni si allontana. Ma Delrio si intrattiene con Dario Franceschini, con Marco Minniti, Luca Lotti, Maurizio Martina, Andrea Orlando, Claudio De Vincenti, Roberta Pinotti. E a un certo punto arriva anche Maria Elena Boschi che se ne va subito dopo.
Tutti gli altri restano lì per tre quarti d’ora a interrogarsi su come fare per evitare la scissione del Pd. Quasi un Consiglio dei ministri sul congresso del Pd, in sostanza. Tanta preoccupazione, ma ormai dopo giorni di mediazioni, dopo l’ultima offerta di primarie entro il 7 maggio e conferenza programmatica con il congresso (firmato Franceschini-Orlando-Renzi) tutti si chiedono quale sia il punto di caduta della minoranza. Se lo chiede anche Franceschini, indefesso mediatore: c’è un punto di limite che li porterebbe a restare nel Pd?
Renzi una risposta se l’è già data da tempo. Per lui e i suoi pasdaran, una parte della minoranza bersaniana ha già deciso l’addio, segue le sirene di Massimo D’Alema.
E infatti non a caso oggi il segretario si chiama al telefono Michele Emiliano. Pensa che con lui invece si possa ragionare.
È convinto che il governatore pugliese non voglia lasciare la casa comune e che sia invece interessato a correre per la segreteria al Congresso. Anche se continua a chiedere primarie non prima di settembre, come ha fatto stamattina a Omnibus. Stessa analisi per Enrico Rossi.
Insomma, al netto della figuraccia cosmica per il fuori onda di Delrio, in giornata nella maggioranza renziana si diffonde un leggero ottimismo.
La scommessa è che l’assemblea indetta da Emiliano, Rossi e Roberto Speranza domani a Roma non produrrà alcuna scissione. “Prenderanno tempo e alla fine non se ne andranno via tutti”, dice una fonte moderata di maggioranza Pd.
Resta il graffio delle parole di Delrio. Al quartiere generale del ministro fanno notare che quello tra Delrio e Renzi è da sempre un rapporto “franco, a volte muscolare, un corpo a corpo in cui ognuno dei due dice quello che pensa”.
E proprio ieri è stata giornata di nervi tesi e rapporto muscolare. I due hanno anche discusso animatamente. Delrio chiedeva a Renzi di fare qualche passo in più verso la minoranza, tendere la mano per scongiurare la scissione o quanto meno per non regalare alibi.
Un tira e molla che si è concluso a sera, in una telefonata prima che Delrio andasse a Piazza Pulita. L’aveva convinto a lanciare quanto meno l’estremo appello, uscito infatti oggi nell’intervista di Renzi al Corriere della Sera, vanificata però dopo dalla diffusione del fuori onda.
È per questo che Renzi è andato su tutte le furie. Un’intera intervista che lui considerava mite e generosa, asfaltata dal fuori onda di Delrio che confida al deputato del Michele Meta quello che pensa di Renzi.
Non solo che non fa le telefonate agli scissionisti, questa è la parte meno grave per il segretario. Quello che non gli è andato giù sono le considerazioni di Delrio sui renziani che pensano che “meno siamo meglio stiamo per i posti in lista, non capiscono che la scissione è come la diga in California: una crepa e poi viene giù tutto…”.
Ecco, questo a Renzi non è piaciuto per niente. Paradossalmente avrebbe compreso di più se a dire certe cose fosse stato un renzianissimo.
Ma Delrio è l’alleato con cui tempo fa ha avuto da discutere, è l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio che ha dovuto trasferire al ministero delle Infrastrutture per far spazio al duo Boschi-Lotti.
Delrio è l’amico con cui Renzi ha da poco recuperato un rapporto. Le sue parole nel fuori onda tirano fuori il non detto del renzismo, con strascichi non da poco.
Al di là della scissione del Pd.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 17th, 2017 Riccardo Fucile
MARONI SPENDE 21 MILIONI DI EURO PER ACQUISIRE IL 50% DI ATV (AZIENDA TRASPORTI VERONA), UN’OFFERTA DOPPIA RISPETTO ALLA BASE D’ASTA: SOLDI PUBBLICI PER FORAGGIARE LA PROVINCIA DI VERONA IN FUNZIONE ANTI-TOSI
La regione Lombardia ha comunicato che non pagherà il dovuto alla ventina di aziende di trasporto private che ogni giorno gestiscono le corse dei bus nelle provincie di Milano, Monza, Lodi e Pavia.
Se tutto va bene, ha detto l’assessore regionale ai Trasporti, Alessandro Sorte, i soldi arriveranno tra due mesi. Forse…
Una notizia che ha fatto infuriare Anav e Astra, le due associazioni di categoria, le quali a stretto giro di posta hanno scritto a Sorte una lettera di fuoco: “se la Regione non paga il dovuto, col cavolo che continueremo a fornire il servizio e chiederemo pure i danni.
A rischio sono le tratte servite dalle principali autolinee regionali come Autoguidovie, Star, Line, Movibus, Stav, Air Pullman ecc…
A creare l’intoppo è stata la Legge di Riforma del trasporto pubblico lombardo varata nel 2012 dalla Regione, che, a cinque anni di distanza, non è andata ancora a regime.
Il testo prevede la creazione di cinque Agenzie della mobilità : (Bergamo; Brescia; Milano con Monza, Lodi e Pavia; Cremona con Mantova; Varese con Come e Lecco) e ha stabilito che queste dovessero subentrare alle Province nei contratti con le società di trasporto (e quindi nella gestione dei fondi).
Siccome l’Agenzia di Milano dopo 60 mesi è ancora in alto mare, le aziende non riescono a essere pagate. Di fatto Sorte ha detto alle società che i soldi della Regione ci sono, ma che non li farà arrivare nei tempi previsti.
Peccato però che le società siano al collasso e non riescano ad assicurare il servizio. Da qui la minaccia di blocco.
«È incredibile che ci siano le risorse, ma che la Regione non voglia erogarle», dice Dario Balotta, responsabile trasporti di Legambiente, «per colpa di una disfunzione loro! Anzichè puntare su spese inutili e clientelari, come l’acquisto della società di trasporti veronese ATV, la Regione dovrebbe pensare a una maggiore efficienza dei servizi lombardi e a una buona gestione delle risorse».
Un riferimento non casuale quello di Balotta ad Atv, che sottolinea il paradosso per il quale, se da una parte in Lombardia il trasporto su gomma rischia il blocco per i ritardi della Regione, dall’altra la holding regionale lombarda dei trasporti, Ferrovie Nord Milano, si accinge a spendere 21 milioni di euro per rilevare il 50% di Atv, l’Azienda Trasporti di Verona.
Un’enormità , se si considera che per aggiudicarsi le quote fino a oggi detenute dalla Provincia di Verona (il restante 50% è di proprietà del Comune di Verona), la base d’asta era di soli 12,5 milioni!
L’operazione appare ancor più discutibile se si guarda alla futura governance, visto che il presidente di Fnm, Andrea Gibelli — quello che è stato appena investito da uno tsunami di critiche a causa delle parole “improvvide” pronunciate sulla fusione tra Trenord e Atm — ha dichiarato che il controllo societario su Atv continuerà a essere veronese, sebbene nel Cda dovrebbe entrare un rappresentante di Ferrovie Nord Milano.
L’acquisto poi, da discutibile diventa industrialmente irresponsabile, se si pensa che nel 2018 il contratto di servizio oggi in capo ad Atv andrà a gara e che quindi la società veneta potrebbe trovarsi senza una città nella quale far girare gli autobus.
In pratica, Fnm, holding regionale lombarda, compra il 50% di una società in Veneto che, però, non intende gestire e che tra meno di un anno potrebbe non avere un motivo di esistere.
Ma allora perchè Fnm si è gettata in questo precipizio finanziario?
I vertici di piazzale Cadorna hanno sempre sostenuto che l’operazione “ha una valenza di tipo esclusivamente industriale”, e che “l’obiettivo è migliorare il posizionamento competitivo e le sinergie operative del Gruppo nel settore del trasporto pubblico su gomma”.
Una spiegazione che ha convinto ben poche persone. A partire dal “capo” del Pd al Pirellone, Alessandro Alfieri, il quale giovedì ha chiesto formalmente a Fnm un ripensamento.
Ma se molti non afferrano l’opportunità economica, a ben pochi è sfuggita la valenza politica dell’operazione: quei 21 milioni portati in dote da Fnm (e quindi da Maroni) sono aria pura nei polmoni asfittici delle disastrate casse della provincia di Verona, un ente guidato dal forzista Antonio Pastorello con una giunta fotocopia di quella lombarda (Lega, Forza Italia e Ncd).
Una compagine in perenne lotta con il movimento politico dell’ex Carroccio Flavio Tosi, l’acerrimo nemico di Salvini e di Maroni.
Se poi si pensa che l’offerta di Fnm ha battuto quella presentata proprio dal comune di Verona (superiore alla base d’asta, ma inferiore di oltre 9 milioni rispetto a quella di Fnm), si capisce che per la maggioranza di centrodestra si tratta di un gioco più che vincente.
Peccato che a pagare le fiches gettate sul tavolo siano i contribuenti lombardi.
(da “Business Insider”)
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Febbraio 17th, 2017 Riccardo Fucile
“CAMBIARE OPINIONE E’ UN DIRITTO”… E CHIEDE UN NUOVO REFERENDUM IN CONTRASTO CON IL LABOUR DI CORBYN
“Un’insurrezione in difesa di ciò in cui credete”. E’ quello che chiede Tony Blair al popolo britannico, operlomeno al 48,1 per cento che ha votato per “Remain” nel referendum sull’Unione Europea del giugno scorso.
A cui aggiungere tutti coloro che hanno votato per “Leave”, cioè per uscire dalla Ue, attirati da menzogne e distorsioni della campagna anti-europea.
L’ex premier britannico aveva preannunciato già nei mesi scorsi la sua intenzione di “scendere di nuovo in campo”, non per ambizioni personali (almeno non subito), ma per “salvare il Paese” dal disastro della Brexit.
Oggi entra in azione, con un discorso davanti a Open Britain, l’associazione diventata la roccaforte dello schieramento pro-europeo.
Una roccaforte multipartitica, in cui si riconoscono elettori di varie sigle e di cui fanno parte l’ex leader liberaldemocratico Nick Clegg, deputati conservatori come Anna Soubry e del Labour come Chukka Umunna.
Ma all’interno della quale Blair è sicuramente la star. Oltre che l’unico laburista di primo piano con il coraggio di battersi non per una “soft Brexit”, non per qualche emendamento o condizione alla Brexit, ma per un secondo referendum che capovolga il risultato del primo. In altre parole, perchè la Gran Bretagna rimanga nell’Unione Europea.
“Un’insurrezione”, appunto, e così la prende il fronte opposto. “Arrogante e antidemocratico” è l’immediata reazione della stampa Brexitiana, dal Daily Mail al Telegraph.
Per l’ex-leader laburista, tuttavia, democrazia significa poter cambiare idea, specie se ci si rende conto che la prima idea è stata il frutto di informazioni distorte, volutamente ingannevoli, comunque sbagliate.
“La gente del Regno Unito ha votato per la Brexit senza avere la piena consapevolezza di che cosa volesse dire”, afferma Blair nell’intervento davanti alla platea di Open Britain. “Ora che il senso della Brexit diventa chiaro, è loro diritto cambiare opinione. E la nostra missione è persuaderli a farlo”.
La sfida, aggiunge, è dunque “fare emergere i veri costi della Brexit, far capire come questa decisione sia stata raggiunta sulla base di una conoscenza imperfetta e calcolare in modi facili da comprendere i danni che la Brexit causerà alla Gran Bretagna e ai suoi cittadini”.
Il compito, riassume l’ex-capo del Labour, è “costruire sostegno a trovare un sistema per salvarci dal precipizio verso cui siamo diretti”.
Conclude Blair: “Non so se ce la faremo. Ma so che le generazioni future emetteranno un pesante verdetto contro di noi se non ci proveremo. Questo non è il momento della ritirata, dell’indifferenza o della disperazione, bensì il momento di insorgere in difesa di quello in cui crediamo”.
Una posizione ben diversa da quella assunta dal partito laburista sotto la guida del suo attuale leader Jeremy Corbyn, che ha ordinato ai propri deputati di votare a favore dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona che innesca la Brexit, nel dibattito dei giorni scorsi alla camera dei Comuni, e che sembra orientato soltanto a porre qualche condizione per limitarne l’impatto – sostiene – sui lavoratori britannici.
Del resto Corbyn non ha mai nascosto le sue riserve verso l’Unione Europea, tanto da venire accusato di essersi battuto con scarsa passione per “Remain” nella campagna referendaria, o addirittura – secondo i suoi critici – di avere remato contro.
E in ogni caso adesso il leader laburista appare preoccupato di non perdere a vantaggio dell’Ukip quegli elettori di sinistra che hanno votato per la Brexit nel referendum.
Blair ha altre preoccupazioni: non perdere la Gran Bretagna in una decisione anti-storica. “Theresa May e gli altri brexitiani si sono appropriati abusivamente del mantello del patriottismo”, dice l’ex-premier. “Ma noi ci battiamo contro la Brexit precisamente perchè siamo orgogliosi cittadini di questa nazione e crediamo che, nel 21esimo secolo, debba rimanere parte della più grande unione commerciale e politica del mondo”.
E’ l’unico leader laburista della storia ad avere vinto tre volte, consecutivamente, alle urne.
Ci riuscirà una quarta?
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 17th, 2017 Riccardo Fucile
TRA I PARTITI CDU IL TESTA AL 34%, SPD AL 30%
L’ondata di popolarità che ha proiettato Martin Schulz in cima ai sondaggi da settimane sta crescendo.
E il tabloid Bild, che Angela Merkel legge sempre con grande attenzione, titola: “Nuovo sondaggio-martello: Schulz supera la cancelliera”.
L’ultima rilevazione lo incorona politico più amato dai tedeschi: secondo il ‘Politbarometer’ dell’emittente pubblica Zdf il 49% lo vuole cancelliere, contro il 38% che gli preferisce Angela Merkel.
A fine gennaio Merkel era ancora avanti di quattro punti, 44 a 40. Adesso Schulz la supera di undici. Anche nella classifica della simpatia il candidato dei socialdemocratici è avanti alla rivale (il 36% contro il 22%).
Guardando alle singole formazioni politiche – va sempre tenuto presente che in Germania non si vota la coalizione ma il partito – secondo lo stesso sondaggio la Spd è al 30% contro la Cdu, data al 34%.
Per i socialdemocratici, è un salto di sei punti. Tuttavia, a parte l’istituto INSA, che già il 6 gennaio aveva certificato il primo sorpasso della Spd e continua a rilevarla al 31% contro la Cdu che sarebbe un punto indietro, tutti i principali sondaggisti (FORSA, IPSOS, EMNID, GMS, TREND RESEARCH) danno ancora i cristianodemocratici avanti, con percentuali che oscillano tra il 30 e il 34%.
La Spd si muove tra il 29 e il 32%.
(da agenzie)
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Febbraio 17th, 2017 Riccardo Fucile
ACCERTAMENTI DELLA POLIZIA FRANCESE SULLE RICEVUTE DI UN RISTORANTE PARIGINO… SONO 18 I DIPENDENTI RAI CHE RISCHIANO LA SOSPENSIONE
La polizia francese indaga su una serie di ricevute di pranzi e cene che un ristoratore italiano, da anni a Parigi, avrebbe fatto durante i campionati europei di calcio della scorsa estate ad oltre un decina di dipendenti della Rai.
Fra loro, anche 7 giornalisti di Rai Sport.
Il ristoratore, conosciuto nell’ambiente dello sport, è stato già interrogato dagli agenti di Parigi: da stabilire se le note spese erano false o gonfiate.
A quanto si apprende si tratterebbe di ricevute tutte identiche con importi da 70 euro ciascuna a pranzo e a cena per l’intero periodo della trasferta.
Martedì scorso la direzione risorse umane di Viale Mazzini ha mandato una lettera di contestazione e richiesta di chiarimenti ai 18 dipendenti Rai coinvolti: ora hanno tempo cinque giorni, quindi sino a domenica, per presentare le loro controdeduzioni. Al termine, la Rai deciderà se, e quali, provvedimenti disciplinari prendere.
La Rai, come noto, è un ente pubblico, che beneficia del canone, ed è soggetta quindi ad alcune regole. C’è da stabilire adesso se le fatture erano davvero false, e quante erano: il rischio è la sospensione dal servizio, se non peggio. L’inchiesta è solo agli inizi.
In un comunicato, l’Usigrai e il cdr di Raisport, scirvono che “ancora una volta qualcuno ha messo il fango davanti al ventilatore per sporcare la Rai. Sono in corso verifiche. Ricordiamo ai garantisti a giorni alterni che le verifiche si fanno per accertare i fatti e non sono un preannuncio di condanna. Se qualcuno ha sbagliato, deve pagare. Ma se invece le accuse verranno smontate – aggiungono il sindacato dei giornalisti e il comitato di redazione – a pagare dovrà essere chi infanga il buon nome dei dipendenti Rai. Quindi pretendiamo chiarezza, con urgenza, e che le verifiche vengano fatte con scrupolosità e senza processi sommari. La Rai, a propria tutela, assicuri riservatezza fino a che non sarà fatta chiarezza”.
(da agenzie)
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Febbraio 17th, 2017 Riccardo Fucile
LA RAGGI SI SAREBBE QUINDI CIRCONDATA DI UN ASSESSORE CHE LA SPUTTANA PER LA SUA VITA PRIVATA (BERDINI), DI UN’ALTRA ASSESSORA CHE L’ACCUSA DI ESSERE A CAPO DI UN CENTRO OCCULTO DI POTERE (MURARO), DI UN ARRESTATO PER CORRUZIONE (MARRA) E DI UN INFILTRATO CON CUI APPARTARSI SUI TETTI (ROMEO): MA CHE BELLE SCELTE !
“Non solo farò una querela ma pure un Tso, me lo consentono i poteri da sindaco”: Virginia Raggi usa anche il sarcasmo nei confronti di Salvatore Romeo in una frase riportata oggi da Valeria Pacelli sul Fatto Quotidiano.
Ma se, come è evidente, la sindaca scherza quando parla di trattamento sanitario obbligatorio nei confronti di Salvatore Romeo — anche se è vero che i poteri da prima cittadina glielo consentono, e quindi tutti in campana! — l’accusa più grave è un’altra: quella di essere un infiltrato nel MoVimento 5 Stelle.
Spiega Ilario Lombardo oggi sulla Stampa che il sospetto è che Romeo possa essere un infiltrato:
«Non può essere semplicemente un caso…» le dicono. «Non può essere un caso…» ripete Raggi oscillando la testa, raccontano, in un’eco sconfortante e piena di angoscia. Anche lei a questo punto non esclude nulla e il «sospetto che possa davvero essere un infiltrato» che ha lavorato a lungo sui fianchi di Raggi quando era consigliera in vista della sua ascesa in Campidoglio «diventa fortissimo».
Questa volta però la reazione della sindaca sembra impietosa: «È inaccettabile che il dottor Romeo abbia fatto una cosa del genere. A questo punto con i miei avvocati presenterò un esposto in Procura per tutelare la mia persona».
Quello che era uno dei «quattro amici al bar» della nota chat, che forniva materiale a lei e all’ex vicesindaco Daniele Frongia quando erano consiglieri e lui un semplice dipendente del Comune specializzato in municipalizzate, che le ha fatto conoscere Raffaele Marra, suo sodale e mentore, quello che è stato fotografato sul tetto con Raggi, forse per parlare lontano da orecchie e cimici indiscrete, viene ora da lei liquidato come il «dottor Romeo».
Un sospetto ingeneroso nei confronti del dirigente del Comune che urlava “Abbiamo vinto” nei corridoi del Campidoglio dopo i risultati del ballottaggio.
Perchè, per quel poco che è stato possibile notare dai comportamenti pubblici di Romeo tutto sembra tranne che un diabolico doppiogiochista: nell’ingenuità con cui si è presentato davanti ai giornalisti assumendosi la responsabilità degli errori nelle nomine e portando come giustificazione il fatto che fosse agosto e che facesse caldo è difficile, se non impossibile, vedere malizia.
Di certo Romeo ha ripetutamente dimostrato di non essere all’altezza del clamoroso stipendio da 120mila euro lordi annui che la sindaca gli ha attribuito con un atto da lei firmato, ma il caso Berdini e il caso Muraro, oltre a quello clamoroso di Raffaele Marra, certificano già che la Raggi non è stata molto lungimirante nella scelta delle persone di cui circondarsi.
Le infiltrazioni nel M5S
Più che altro l’accusa sembra un retaggio culturale del complottismo atavico nel MoVimento 5 Stelle, sempre alla ricerca di un nemico (ovvero di un capro espiatorio) a cui attribuire i mali del mondo e, all’occorrenza, la responsabilità dei propri errori. Tutto si può dire sulla dabbenaggine di Salvatore Romeo e sul suo muoversi come un elefante in una cristalleria nella sua — breve — esperienza nell’amministrazione a 5 Stelle.
Ma occorrerebbe anche ricordare che negli anni in cui il M5S è stato all’opposizione era considerato fidatissimo dai quattro consiglieri, ai quali ha fornito molto spesso expertize e documentazione per fare il loro lavoro sui banchi dell’opposizione.
Ma d’altro canto l’intera vicenda, in assenza per ora di ipotesi di reato, appare come un surreale scontro all’arma bianca tra l’intelligenza e la debbanaggine.
Uno scontro al quale la sindaca non è per nulla estranea: si è scelta un’assessora che adesso che è andata via racconta di centri occulti di potere in Campidoglio; un assessore che l’ha diffamata accusandola di avere un rapporto con il suo caposegreteria e facendolo in anonimo; un vicecapo di gabinetto poi arrestato per corruzione.
Non poteva sapere, certo. Ma la responsabilità politica è qualcosa di molto diverso da quella penale.
E la Raggi dovrebbe saperlo, visto che ha accusato Marino più o meno di tutto quando era all’opposizione.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 17th, 2017 Riccardo Fucile
L’IPOTESI DELLA PROMESSA DI PAGAMENTO DI 30.000 EURO PER FACILITARE LA VITTORIA IN APPALTI CONSIP, MA IL PAGAMENTO NON SAREBBE MAI AVVENUTO
Tiziano Renzi, padre di Matteo Renzi, è indagato in uno stralcio dell’inchiesta sugli appalti della Consip avviata a Napoli e inviata a Piazzale Clodio per competenza territoriale che a fine dicembre aveva visto indagati anche il ministro Luca Lotti, il comandante generale dei Carabinieri Tullio Del Sette e il comandante della Legione Toscana dei Carabinieri, il generale Emanuele Saltalamacchia.
Il reato ipotizzato è traffico di influenze illecite, introdotto nel Codice Penale italiano nel 2012 e previsto dall’articolo 346-bis: mira a colpire anche il mediatore di un accordo corruttivo al fine di prevenire la corruzione stessa.
Il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi hanno fissato il colloquio con l’indagato per la prossima settimana: in quella sede gli chiederanno conto di quanto emerso da numerosi colloqui intercettati: trattative e incontri per aggiudicarsi le commesse della Consip e in particolare la gara di Facility management del valore di 2,7 miliardi di euro bandita nel 2014.
Il Fatto Quotidiano scrive nell’articolo firmato da Davide Vecchi e Marco Lillo che il personaggio centrale che tira in ballo Tiziano Renzi nelle conversazioni intercettate è Carlo Russo, un imprenditore che dice di condividere i pellegrinaggi a Medjugorje con Laura Bovoli, madre del leader Pd:
Russo è molto legato a Tiziano, padrino di battesimo del figlio minore, ed è stato intercettato più volte mentre parla del ‘babbo’ con Romeo nel 2016. L’elemento più impressionante e originale dell’indagine è il “pizzino” trovato nella spazzatura sul quale sarebbero scritte di pugno da Romeo —secondo gli investigatori — proprio le iniziali di Tiziano e di Russo accanto ai pagamenti mensili da effettuare.
I pm napoletani Henry John Woodcock, Celeste Carrano ed Enrica Parascandolo hanno dato ordine ai carabinieri di sequestrare i sacchetti gettati dopo i colloqui tra i due nell’estate scorsa.
Lo scopo era trovare i fogli su cui Romeo scriveva (senza parlare per paura delle intercettazioni) davanti a Russo i destinatari delle somme ritenute possibili tangenti. Romeo prima dice a Russo la cifra da dare a un soggetto poi scrive una o più lettere sul foglio. Quando dice “30 al mese a…”, secondo gli inquirenti si riferisce a Tiziano Renzi, che sarebbe rappresentato dalla “T.” vergata in silenzio sul foglio.
Sempre il Fatto racconta che per Romeo quello era il costo di una “polizza assicurativa”: il frasario, che casualmente riecheggia quello dell’altro Romeo, Salvatore, intende invece metaforicamente un’assicurazione sulle possibilità di partecipare alle gare della Consip.
Un incontro tra Romeo, Russo e Tiziano Renzi ci sarebbe stato ma i pagamenti ipotizzati non si sono mai verificati.
Tiziano Renzi conferma di aver «ricevuto l’avviso a comparire che ipotizza “il traffico di influenza”. Ammetto la mia ignoranza ma prima di stamattina neanche conoscevo l’esistenza di questo reato che comunque non ho commesso essendo la mia condotta assolutamente trasparente come i magistrati – cui va tutto il mio rispetto – potranno verificare. I miei nipoti sono già passati da una vicenda simile tre anni fa e devono sapere che il loro nonno è una persona perbene: il mio unico pensiero in queste ore è per loro».
Per Federico Bagattini, l’avvocato di Tiziano Renzi, «il fatto è incomprensibile , nell’atto è riportato solo il numero della norma violata. Prenderemo contatto con il pm per capire quali sarebbero i fatti contestati».
C’è da segnalare che è assolutamente normale che nella comunicazione si riporti soltanto la norma violata. L’inchiesta sulla Consip è nata a Napoli dalle attività dell’imprenditore Alfredo Romeo e dagli appalti che la sua società si è aggiudicata per la gestione delle pulizie dell’ospedale Cardarelli.
Spiega Fulvio Bufi sul Corriere della Sera:
Le indagini napoletane si concentrano sull’appalto Fm4 (facility management) per l’affidamento dei servizi gestionali di università , centri di ricerca e svariati uffici della Pubblica amministrazione. C’è in ballo una convenzione da 2 miliardi e settecento milioni di euro in 36 mesi, e il gruppo Romeo mira a tre lotti importanti.
I magistrati cominciano a interessarsi delle attività di Consip, e quando, il 16 dicembre del 2016, convocano Gasparri, lui non parla solo dell’appalto ma anche dell’influenza della politica per nomine, carriere e posizioni all’interno della società .
Pochi giorni dopo gli investigatori si presentano negli uffici dell’amministratore delegato Luigi Marroni e a proposito del numero uno di Consip, il Fatto Quotidiano, che per primo ha dato la notizia dell’inchiesta, associa il suo nome a quello di Tiziano Renzi, per rapporti di amicizia stretta, però, non per ipotesi di reato. Ipotesi che invece, di lì a breve riguarderanno il ministro dello Sport Luca Lotti, pure lui legato a Marroni, anzi, ritenuto il suo sponsor nella nomina in Consip.
Ascoltato come persona informata sui fatti, Marroni rivela di aver fatto bonificare gli uffici della società dopo aver saputo dal presidente Luigi Ferrara della presenza di microspie.
Erano quelle fatte mettere dalla Procura di Napoli, e a proposito di chi avrebbe informato Ferrara, Marroni fa i nomi di Lotti, del comandante generale dell’Arma dei carabinieri Tullio Del Sette, e del generale Emanuele Saltalamacchia, comandante della Legione Toscana.
Durante l’indagine sono stati ritrovati in una discarica di Roma alcuni pizzini sui quali, secondo gli investigatori, era annotata la contabilità delle tangenti.
Fogli scritti a penna provenienti da uno degli uffici del gruppo Romeo nella Capitale, che prima di essere buttati erano anche stati strappati.
Anche Matteo Renzi ha parlato dell’indagine in un’intervista al Corriere della Sera: «Mio padre è già passato da una vicenda analoga tre anni fa. Dopo venti mesi è stato archiviato. Spero che finisca nello stesso modo per questa indagine sul traffico di influenze. Ma in ogni caso, da uomo delle istituzioni, dico come allora che la mia prima parola è di fiducia totale nella magistratura italiana e di rispetto per il lavoro dei giudici. Guai a chi fa polemica, gli inquirenti hanno il dovere di verificare tutto. E fanno bene a farlo».
(da “NextQuotidiano”)
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