Febbraio 10th, 2017 Riccardo Fucile
LA RAGGI PRENDE TEMPO E VALUTA UN POOL DI ESPERTI… CONTINUANO LE AUDIZIONI
Paolo Berdini è fuori. Anzi no, resta. Va via dopo o forse subito.
Quasi quasi, meglio un «gruppo di affiancamento», è l’ultima trovata del Campidoglio.
Nella girandola di soluzioni, dalle più originali a quelle addirittura inedite, come la «riserva», ancora da sciogliere, sulle dimissioni di Berdini dall’assessorato all’Urbanistica, si consuma il tentativo di prendere più tempo possibile.
Il desiderio di vendetta è un sentimento che può essere infiocchettato con mille logiche spiegazioni e altrettanti validi motivi.
Eppure, caduti gli orpelli, quel che resta è sempre una cruda vendetta. La sindaca di Roma Virginia Raggi, nei confronti di Berdini, che le ha riservato frasi poco lusinghiere, avrebbe tutte le ragioni per nutrire un rancore risolutivo. E invece, qualcosa sta prolungando un addio che pare inevitabile.
Nella serata in cui esplode il caso c’è stato un momento in cui l’addio all’assessore è stato ad un passo dall’essere sancito con un comunicato che, intorno alla mezzanotte, stavano concordando con Beppe Grillo.
Poi, all’improvviso, tutto si ferma. Viene deciso di prendere ancora del tempo; forse, per non lasciarsi trasportare dagli eventi, per poter ragionare a mente fredda.
La notte porta consiglio. Il mattino seguente in Campidoglio viene suggerito a Raggi di mantenere quella «riserva» sulle dimissioni presentate da Berdini. Grillo, e da dietro le quinte anche Davide Casaleggio, che però nelle ultime ore si è defilato dalla questione, vorrebbero che prima di far cadere l’assessore ci fosse già sul piatto il nome del sostituto, anche perchè Raggi si sarebbe opposta all’ipotesi di farsi carico delle deleghe di Berdini ed è stata persuasa a trasformare la sua cacciata in una decisione collegiale.
Anche per questo, vengono coinvolti gli assessori e i consiglieri capitolini, questi ultimi convocati per una riunione notturna.
Sul banco degli imputati c’è naturalmente Berdini, ma non tutti i consiglieri grillini sono convinti che lasciarlo andare sia la giusta soluzione: «La preparazione e le sue battaglie contro le speculazioni edilizie non sono in discussione», è il pensiero di più di uno di loro.
Ma sono le accuse di non essere in linea con alcune pratiche di condivisione delle scelte, così come certi atteggiamenti considerati troppo anarchici rispetto alla linea del M5S, a pesare in modo significativo sul piatto della bilancia.
Tanto da far arrivare un «pool di esperti», a quanto si apprende dal Campidoglio, per verificare possibili negligenze nel lavoro portato avanti fino ad oggi da Berdini alla guida del suo assessorato.
Si cerca una scusa per scaricarlo meglio, mentre si vagliano i primi nomi di chi dovrà sostituirlo.
I rumors che circolano sin dal mattino fanno rimbombare il nome di Emanuele Montini, già in forza all’amministrazione comunale.
L’impressione, però, è che sia una carta che copre un altro nome. Troppo avverso, Montini, alla costruzione dello stadio della Roma, uno che ha paragonato il presidente della Roma, James Pallotta, a «Totò mentre cerca di vendere la Fontana di Trevi». Insomma uno che piacerebbe ai costruttori meno di Berdini, quando invece la giunta Raggi appare più propensa a un compromesso politico per la realizzazione del progetto.
Dietro il nome di Montini, inviso anche ai parlamentari M5S che lo ricordano per i «modi troppo severi» all’ufficio legislativo della Camera, invece, sembrerebbero due i nomi più forti.
Quello di Carlo Cellammare, ingegnere e docente di urbanistica all’università La Sapienza di Roma e quello di una donna, Paola Cannavò, docente di ingegneria dell’ambiente, sulla quale cadrebbero le predilezioni della Raggi e che era già entrata in una lista del Campidoglio per andare alla guida del nuovo assessorato ai Lavori pubblici, che sarebbe nato da quello spacchettamento del dipartimento di Berdini che è prossimo a essere realizzato ma che in realtà era già in programma da più di un mese.
(da “La Stampa“)
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Febbraio 10th, 2017 Riccardo Fucile
POTREBBE CONFERMARE LA RELAZIONE TRA LA RAGGI E ROMEO E FAR CADERE LA VERSIONE SOSTENUTA DAI DUE IMPUTATI
Quando si dice inguaiare.
Paolo Berdini potrebbe essere convocato al più presto dai pubblici ministeri che indagano sulle nomine della Giunta Raggi dopo l’articolo della Stampa in cui l’assessore all’urbanistica dimissionato con riserva parla di una relazione tra la sindaca e Salvatore Romeo.
Siccome la calunnia è un venticello, è evidente che adesso qualcosa non quadra tra la versione della sindaca, che si è messa a ridere quando i giudici le hanno prospettato una relazione con il suo ex caposegreteria, e le parole in libertà di Berdini: nonostante l’evidenza delle scemenze dette dall’assessore i magistrati potrebbero togliersi ogni dubbio invitandolo ad abiurare anche davanti a loro.
L’occasione magari sarà anche propizia per far dare qualche spiegazione a Berdini: nella nota stampa che ha inviato quel pomeriggio di un giorno da Capursi ha affermato che la prova della mendacità dell’articolo del quotidiano torinese era nel fatto che gli si attribuisse la conoscenza del pubblico ministero Paolo Ielo, che indaga sulla vicenda, mentre lui non lo conosceva.
Peccato che poi la pubblicazione dell’audio abbia rumorosamente smentito l’assessore, che davvero afferma di conoscere Ielo nel colloquio.
Quindi le cose sono due: o Berdini ha rumorosamente mentito per l’ennesima volta all’opinione pubblica nella nota stampa, oppure ha millantato una conoscenza in quel dialogo con il giornalista; in entrambi i casi non ci fa l’assessore dimissionato con riserva non ci fa una gran figura.
Spiega Edoardo Izzo sulla Stampa:
Tanto per dire: di un assessore super credibile come Paolo Berdini, grande urbanista e figura di riferimento per serietà e impegno civile, che confida a La Stampa il finora non detto di quest’inchiesta sulle nomine in Campidoglio, e cioè che il legame tra Virginia Raggi e l’ex capo della segreteria politica Salvatore Romeo, oggi coindagati per abuso d’ufficio, era a tutti gli effetti quello di una coppia. Il che rafforza l’ipotesi investigativa, perchè la sindaca aveva una convenienza personale ad aumentare (da 39 mila ai 110 mila euro) lo stipendio del suo amico del cuore. Su quelle frasi, ora, si è appuntata l’attenzione dei magistrati, che potrebbero ascoltare l’urbanista come persona informata dei fatti.
E dunque avere conferma sotto giuramento del rapporto Raggi Romeo, come delle affermazioni sul gruppo di potere che essi formavano con Raffaele Marra, l’amico che Romeo aveva presentato un anno fa alla futura sindaca, coinvolgendolo in modo stretto nel loro menage.
Già in settembre Berdini aveva detto che «Marra deve essere messo nelle condizioni di non nuocere, deve fare un passo indietro. È una persona che ha scelto delle scorciatoie e bisogna richiamarlo all’ordine e trasferirlo a altre più modeste mansioni».
Insomma i guai della sindaca creati dalla sua evidente incapacità di scegliere le persone potrebbero aumentare. Anche perchè Riccardo Luponio, legale di Romeo, ieri ha affermato pubblicamente che Romeo ha detto ai magistrati che nessuno dei beneficiari sapeva delle polizze.
Un’affermazione in netto contrasto con quella dell’ex fidanzata di Romeo, Alessandra Bonaccorsi, che in tutte le interviste che ha rilasciato ai quotidiani e in tv ha sostenuto di sapere di essere beneficiaria della polizza che poi Romeo ha trasferito alla sindaca. Chissà poi che spiegazione avrà dato Romeo a un’altra circostanza curiosa: una delle polizze indicava la beneficiaria come “figlia” mentre lui figli non ne ha.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 10th, 2017 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO PENSA AL CONGRESSO PER SCHIACCIARE LA SINISTRA E AL VOTO IL 24 SETTEMBRE
Nell’immagine, evocativa, c’è tutto: “Blitz Kongress”, così lo chiamano nella cerchia stretta di Renzi.
Congresso lampo, subito: ad aprile voto dei circoli, a maggio primarie.
Poi voto a giugno: il 21 la data cerchiata in rosso. Al massimo a settembre, il 24, altra data segnata in rosso e spifferata oggi come più probabile, nello stesso giorno in cui si gioca il destino di Angela Merkel nelle elezioni tedesche.
Per convocare il congresso subito, l’ex premier ha intenzione di presentarsi dimissionario alla direzione di lunedì. Da giorni l’ipotesi è sul tavolo ma, secondo Unità .tv, la decisione sarebbe pressochè presa.
Conta l’animus, in queste ore. Prima di tutto. Ed è il sogno e, al tempo stesso, l’incontenibile pulsione verso la blitzkrieg, una guerra lampo: “Non ci sto a fare il bersaglio per mesi”.
Renzi la immagina e la pianifica, questa guerra, anche lontano da occhi indiscreti. A Roma sta poco, sempre meno. Il vero quartier generale è a Firenze.
Da qualche settimana ha allestito un nuovo ufficio, molto lussuoso e sorvegliato (con discrezione) in uno storico palazzo di Borgo Pinti, vicino il Four Season, luogo molto amato dall’amico Marco Carrai e dove alloggiò Benjamin Netanyahu nel corso della sua visita in Italia.
Quelli del partito sono a Roma, con le loro lentezze, gli uffici polverosi, che tanto lo innervosiscono.
Pare che l’ex premier non ami il secondo piano del Nazareno, dove è l’ufficio del segretario, con tutto quel via vai di dipendenti che vanno a prendere il caffè alle macchinette.
Anche a Roma vorrebbe un ufficio appartato e con l’accesso per pochi, al terzo piano. Le stanze sono state identificate: sono quelle dove faceva i suoi conti l’ex tesoriere Luigi Lusi.
Lotti, Bonifazi, pochi altri entrano a borgo Pinti. Dove si parla di liste elettorali e di facce nuove. E di come fare una nuova campagna elettorale, nel senso di risorse, soldi, perchè una campagna senza soldi è come andare in guerra senz’armi.
E le casse del Pd sono vuote, anzi svuotate. Da due anni alle federazioni non viene girato il famoso due per mille.
Perchè quello del 2015 è stato usato per l’Unità , quello del 2016 per il referendum con la sua dispendiosissima campagna. Ora non c’è un euro.
Anche gli inesauribili granai emiliani si stanno svuotando: cassa integrazione per i dipendenti a Modena e Ferrara, Bologna tiene ma con i salti mortali. E chissà , pensano i maliziosi, se c’è qualche nesso tra le casse vuote e gli articoli di giornali ispirati su Sposetti e il patrimonio del Pd.
L’animus racconta questo. Rancore, ansia di rivalsa, astinenza da potere.
Nelle ultime ore, in parecchi hanno chiamato o mandato messaggi a Bonifazi, con la domanda: “quale è la linea?”. La risposta è stata fulminea, come il blitz immaginato. Risposta in tre punti: 1) elezioni a giugno, perchè non si può usurare l’unico leader che abbiamo; 2) non è in atto nessun tentativo serio su legge elettorale e dunque le prossime due settimane servono a certificare incapacità Parlamento a trovare accordo; 3) presa di distanza dal governo che con manovrina su accise ci fa perdere il consenso.
Ecco, il Pd vissuto come un fardello, il governo come figlio di nessuno, l’Italia meno frequentata del Four Season.
Quando un sondaggio ha dato Gentiloni più su di Renzi, l’ex premier ha chiesto a fedele Fanucci di fare la lettera critica sul Tesoro, per criticare la prossima manovrina. In privato, lo chiama così, con un certo fastidio per una fotocopia che pensa non gli somigli per niente: “Il governo Gentiloni-Padoan-Calenda”.
Ha fatto capire insomma che, se ci prova, Gentiloni rischia il trattamento Letta. Poi ha invitato Padoan in direzione, o meglio alla kermesse di lunedì, per fargli illustrare i risultati del governo, il precedente non l’attuale, tanto per ribadire chi comanda.
Frenetico, rapporto quasi compulsivo con il telefono, incapace di staccare.
L’ex premier chiama, mentre va a prendere i figli a scuola, per dire che “sì, chissenefrega, devo sbattermene delle correnti, torno a fare Renzi, alzo il livello, giro l’Europa, parlo con Macron, nel frattempo facciamo una legge elettorale e si vota nel 2018”.
Poi, quando a Roma vede il nuovo cerchio magico Rosato-Guerini-Orfini, indossa i panni del notaio dei capi-corrente.
E, dopo una giornata di riunioni, va al Tg1 su una linea concordata, finendo in un servizio in mezzo tra l’apertura su Gentiloni e la reazione di Speranza. “Un panino! Vi rendete conto! È finito in un panino” bofonchiava Anzaldi in Parlamento, sempre più critico sulla comunicazione gestita dai suoi allievi, che però non hanno superato il maestro: “A me Rutelli m’avrebbe cacciato se fosse finito in un panino”.
Tattiche, strategie, politicismo puro. Con Orfini dice che questa legge o quella per me pari sono, l’importante è fare presto. Oppure no, dice a Orlando e Franceschini, ho capito che la forzatura è impossibile, andiamo più avanti così mi rimetto in sintonia col paese.
L’unica certezza è il congresso subito, per fregare la sinistra. Una trappola, così la imbriglia nel congresso, e così quando tenta il blitz ha sterilizzato la scissione, perchè a quel punto diventa incomprensibile.
I sindaci si sono attaccati a telefono sul numero del Nazareno: “Come facciamo a fare le amministrative e le liste con un congresso tra i piedi?”. La risposta è: non vi preoccupate, a maggio è finito.
Perchè la verità è che, poichè conta l’animus più di tutto, l’animus rivela una insofferenza profonda per la sinistra. Per D’Alema, Bersani, Speranza, anche Emiliano: “Dopo le elezioni gli faremo vedere” dicevano i renziani prima del 4 dicembre.
Ha vinto il No, e il film non è stato proiettato. Uomo solo senza comando, Renzi sta toccando con mano che, tutto sommato, il mondo — di cui si è sentito il centro — va avanti senza di lui.
Il governo piace più del precedente, al voto non ci vuole andare neanche Grillo, che ha abbassato molto i toni e nemmeno il grosso del Pd.
Anche nei ristoranti di Roma, fedeli indicatori dello stato del potere di turno, i posti a tavola dei renziani diminuiscono.
Fino a dicembre si vedevano tavolate con venti persone, bicchieri in mano con un bianco freddo a piazza di Pietra. Ora attorno a Lotti i commensali, rimasti fedelissimi in Parlamento si contano sulle dita di una mano: Magorno, De Menec, Morani. Mentre agli ordini della Boschi sono rimasti Donati, Fanucci, la Fregolent, Marco Di Maio.
Per gli altri, la fedeltà in verità si chiama paura, perchè i capilista sono rimasti bloccati. E le liste vere si fanno a Borgo Pinti.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2017 Riccardo Fucile
“HO IL MIO LAVORO E NON HO AMBIZIONI PERSONALI, OCCORRE SPOSTARE IL PD A SINISTRA”
L’obiettivo dichiarato è “unire storie e percorsi diversi e costruire una casa comune, per riunire chi vuole fare qualcosa per la società e non trova il modo”.
Giuliano Pisapia scende in campo, “come avrebbe detto qualcuno”, e in un’intervista al Corriere della Sera tende la mano al Pd per costruire un percorso comune capace di raggiungere il 40%.
“Non ho mai fatto la stampella di nessuno, e a Renzi ho sempre detto quello che pensavo. Ho il mio lavoro, non ho ambizioni personali. Nel 1998 mi dimisi da presidente della commissione Giustizia della Camera dopo la caduta di Prodi. Più volte ho rifiutato di fare il ministro. Ho fatto un passo indietro dopo la vittoria storica di Milano, dove da vent’anni governava la destra, e dopo cinque anni di governo unitario, con la massima radicalità sui valori e il massimo pragmatismo
Pisapia spiega il perchè di questo nuovo progetto politico.
“Quest’estate ho girato l’Italia e sono andato a incontrare le tante persone che mi avevano scritto. Sono stato nelle grandi città e in paesi che non sapevo esistessero. Ho scoperto che esiste un mondo ricchissimo. Mi fermavo a fare benzina, e nel tempo di fare il pieno e prendere un caffè arrivava il sindaco per parlarmi del suo Comune. A Roma mi dicevano: “Venga qui a fare il sindaco…”.
Ho incontrato persone straordinarie. Enzo Bianchi mi ha detto: “Lei si butti se viene chiamato”. E mi hanno chiamato in tanti. Non ceto politico; persone alla ricerca di una speranza. Studenti e professori italiani a Londra e a Coventry mi hanno invitato a presentare il progetto. Ricercatori all’estero come Giacomo Pirovano mi hanno assicurato che sono pronti a tornare in Italia per impegnarsi. Associazioni culturali, ambientalisti, volontari di Merate, Biella, Monopoli, Lecce… La questione dei giovani è la nostra priorità . Come diceva Vittorio Foa: “Pensare oltre che a se stessi, agli altri; oltre che al presente, al futuro””.
I prossimi passi sono gli incontri a livello locale, l’11 marzo il primo grande incontro nazionale a Roma e quindi l’apertura delle Officine per il programma.
L’obiettivo è spostare a sinistra l’asse del centrosinistra, non c’è spazio per Alfano
“Sel si è divisa e si è sciolta. Il mio amico Nichi pensa che non sia più possibile costruire un centrosinistra con un Pd geneticamente modificato, scambiando Renzi con il popolo del Pd. Io la penso diversamente. Rispetto la sua posizione; chiedo rispetto per la mia” […]
“La prospettiva è più ambiziosa: spostare il Partito democratico a sinistra. Per necessità numerica, il Pd è stato costretto a governare con forze che non erano nè di sinistra nè civiche. È il momento di andare oltre”. […]
“Noi vogliamo essere l’embrione del nuovo centrosinistra; non possiamo stare con un partito di centrodestra. Rispetto Alfano, ma dai diritti civili alle politiche per i giovani siamo diversi”. […]
“Penso che l’alleanza tra il Pd, noi, le liste civiche, gli ecologisti possa arrivare al 40%. Certo, dipenderà se la legge elettorale consentirà le coalizioni. Siamo una forza autonoma; non possiamo certo entrare in una lista con il Pd”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2017 Riccardo Fucile
SUL WEB UNA MAGGIORANZA, A DIFFERENZA CHE IN PARLAMENTO, C’E’ GIA’: QUELLA TRASVERSALE DEI COGLIONI… GRILLO POI DOVREBBE TACERE: I SUOI INSULTI ALLA BOLDRINI, BOSCHI E MONTALCINI NON LI ABBIAMO DIMENTICATI
Oggi Libero riferendosi alle ultime vicende romane e ai pettegolezzi dell’assessore Paolo Berdini su Virginia raggi in prima pagina titola “Patata Bollente”.
Per fugare ogni dubbio riguardo all’argomento di cui si sta parlando il quotidiano di Vittorio Feltri precisa successivamente che “una patata bollente può bruciare Virginia” e che la Raggi “ha mostrato un debole per un dipendente comunale e gli ha dato l’aumento” concludendo con un “meglio il Cav. che pagava di tasca propria” che fa riferimento alla nota vicenda delle “olgettine” pagate da Berlusconi.
Il sessismo di Libero e quello di Grillo sono la stessa cos
C’è poco da commentare sull’ennesima uscita sessista di Libero: è un titolo sessista che fa riferimento ad una ricostruzione (quella di un rapporto sentimentale tra Raggi e Romeo) che è basata su quanto confidato dall’assessore Berdini.
Oltre a questo ovviamente c’è il riferimento alla “patata bollente”, una metonimia volgare ed un’allusione oscena che non è certo degna di essere considerata giornalismo.
I presidenti di Camera e Senato Laura Boldrini e Pietro Grasso hanno condannato il giornalismo spazzatura di Libero e hanno espresso la loro piena solidarietà alla sindaca Raggi chiedendo le scuse di Vittorio Feltri.
Anche Beppe Grillo sul blog ha parlato di un violento attacco al sindaco di Roma esprimendo massima solidarietà “alla nostra Virginia” e deplorando lo stato dell’informazione italiana.
Tutto giusto, tutto così dannatamente bello: finalmente tutte le forze politiche prendono che il sessismo non è divertente, non è giornalismo, non è una forma di argomentazione politica, è un insulto.
Però come sempre c’è un però perchè la legittima indignazione per quanto scritto da Libero sulla Raggi indovinate un po’ in cosa si trasforma? Sessismo.
Questa volta nei confronti della Presidente della Camera Laura Boldrini.
Un odio che viene da lontano ovvero da quel momento in cui Beppe Grillo scatenò le sue armate con una “semplice” domanda: “cosa fareste in auto con la Boldrini?“.
Un post che fece venire fuori i peggiori insulti sessisti, cose che in confronto le allusioni di Libero sono robetta da educande. P
er tacere di quando Grillo definì Rita Levi Montalcini “vecchia puttana”.
Qualcosa del genere accadde su Facebook anche alla deputata Dem Cristina Bargero. Altri insulti sessisti furono rivolti non online ma durante una seduta della Camera alla deputata M5S Barbara Lezzi, mentre in un’altra occasione il deputato Cinque Stelle Massimo Felice De Rosa disse in Commissione Pari Opportunità alla Camera «Voi donne del Pd siete qui perchè siete brave solo a fare i pompini».
Questo non toglie nulla a quello che ha fatto Libero, solo mette le cose in prospettiva. Ed aiuta forse a contestualizzare (ovvero a mettere nel contesto del sessismo) quello che segue.
I commentatori della pagina Facebook di Grillo sono indignati perchè la Boldrini non ha detto nulla (in realtà la Boldrini ha detto eccome, solo che non se ne sono accorti). Qualche genio che ha capito tutto difende la Raggi dal sessismo di Libero senza farsi troppi scrupoli nell’insultare con epiteti sessisti la presidente della Camera.
E non pensate che sia un caso isolato attivista del MoVimento che non si fa problemi a chiamare “figa di legno” la Boschi
Qualcuno che non si è accorto del tweet della Boldrini è andato a chiedere giustizia sulla pagina Facebook della Presidente chiedendo di intervenire “falsamente” (perchè nel mondo di chi pensa che Boldrini è una cattiva è ovvio che sarebbe una solidarietà pelosa e non convinta).
Ed è interessante notare come “femminista” venga utilizzato come un insulto.
A tutti questi esperti che riescono a distinguere la solidarietà vera da quella falsa ricordiamo che già in passato Laura Boldrini era stata tra le prime a prendere le difese di Giorgia Meloni dopo gli insulti che le erano piovuti addosso in seguito all’annuncio della sua maternità .
Non possiamo nascondere il fatto che Grillo abbia allevato il suo elettorato ad insulti nei confronti delle donne. Ah già , ma lui è un comico. Anche quando retwittava gli insulti contro Maria Elena Boschi e Pina Picierno.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 10th, 2017 Riccardo Fucile
POTENZA DEI PRESTITI DELLE BANCHE RUSSE: I FRANCESI CON CITTADINANZA RUSSA POTRANNO INVECE MANTENERLA
Marine Le Pen, leader del Front National e candidata alla presidenza in Francia, minaccia di togliere la doppia cittadinanza agli ebrei francesi che hanno anche nazionalità israeliana.
In un dibattito televisivo, Le Pen ha spiegato che in caso di vittoria alle presidenziale non permetterà a nessun francese di avere un altro passaporto di un Paese al di fuori dell’Unione Europea: “Israele non fa parte dell’Ue — ha spiegato — e quindi il provvedimento riguarderà anche gli ebrei francesi.
Ma si potrà essere russo-francesi
La legge verrà applicata anche ai cittadini con seconda nazionalità statunitense. Sarà invece esclusa la Russia, per quando non membro dell’Ue, ma, secondo Le Pen, “parte dell’Europa delle nazioni” (e qui siamo veramente al ridicolo)
In Francia vivono 500 mila ebrei, la più grande comunità europea, e dai 3 ai 5 mila ogni anno emigrano in Israele, anche per il crescere delle manifestazioni di antisemitismo.
Ombre di antisemitismo
Le Pen ha giustificato l’invito come parte di quello che chiama “uno sforzo congiunto” per sconfiggere l’estremismo islamista, che “richiede sacrifici da parte di tutti”, ma le sue dichiarazioni sono destinate ad alimentare le polemiche per le posizioni del Front National riguardo gli ebrei. Il padre di Marine Le Pen, Jean-Marine, fondatore e già leader del Front, è dichiaratamente anti-semita e negazionista dell’Olocausto, mentre la figlia ha cercato di portare il movimento su posizioni più moderate.
Perdente al secondo turno
Gli ultimi sondaggi danno Marine Le Pen in testa al primo turno delle presidenziali, con circa il 25 per cento. Ma la vedono perdente al secondo turno sia contro il candidato di centrodestra Franà§ois Fillon che contro il centrista indipendente Emmanuel Marcon.
Giordano Stabile
(da “La Stampa”)
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Febbraio 10th, 2017 Riccardo Fucile
CRITICHE PER L’ATTEGGIAMENTO TROPPO MORBIDO VERSO TRUMP
Italia morbida con Donald Trump, ai limiti dell’opportunismo politico. Questa la critica mossa al Governo italiano dal Financial Times, secondo cui a parte Theresa May, impegnata nella ricerca di una relazione speciale in nome dell’atlantismo, l’Italia è il paese europeo che finora ha mostrato nei confronti dell’amministrazione Trump la maggiore comprensione. Persino troppa.
Lo stile di Paolo Gentiloni, prosegue il quotidiano, non è quello di Matteo Renzi, è “diplomatico”, ma le sue mosse mettono in evidenza “un approccio morbido e pragmatico che contrasta con quello di Francia e Germania”.
Talmente pragmatico da far immaginare “un alto rischio di sembrare, da parte italiana, troppo accondiscendente, se non opportunista”.
Le politiche sull’immigrazione di Trump – incluso il recente muslim ban – “sono lontane chilometri dall’impegno profuso da Roma nel soccorrere mezzo milione di migranti nel Mar Mediterraneo negli ultimi tre anni” scrive il Ft.
“Il protezionismo americano pone una diretta minaccia alla modesta crescita italiana, data l’importanza dell’export per l’economia italiana, e ogni sforzo guidato da Washington di minare l’euro potrebbe essere veramente pericoloso per Roma”.
Ma dall’elezione di Donald Trump l’Italia ha mantenuto un approccio soft. Gentiloni ha evitato il più possibile di criticare la nuova amministrazione americana, convinto che dopo tutto l’Europa debba vedere il lato positivo della vittoria di Trump. Ha parlato con il presidente al telefono, dandogli appuntamento al G7 di Taormina a fine maggio. Episodi che hanno messo l’approccio italiano verso Trump in contrasto con le posizioni “più robuste prese da Francia e Germania”.
Il Financial Times descrive l’approccio di Roma come capace di “complicare gli sforzi da parte dei leader europei di dar vita ad una forte risposta comune” alle sfide che giungono da Washington.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2017 Riccardo Fucile
NOMINE SERIALE PER TUTTI I MARCHETTARI
Volete diventare il responsabile dell’agenzia governativa americana per le piccole imprese? Basta investire sei milioni di dollari a sostegno della campagna elettorale del prossimo presidente e il gioco è fatto.
Almeno fino a quando alla Casa Bianca siederà Donald Trump che avrà tutti i difetti del mondo; sarà grezzo e volgare, ma di certo non manca di riconoscenza. Almeno verso gli amici più generosi.
Basta, infatti, scorrere la lista delle più recenti nomine politiche per accorgersi che Trump ha riservato un posto in prima fila a tutti i suoi principali donatori: da Linda McMahon (ex amministratore delegato della società che gestisce il wrestling e neo responsabile appunto delle politiche per le piccole imprese) a Walter “Jay” Clayton (dalla Sullivan & Cromwell alla guida della Sec, la Consob americana) i 26 nominati dal presidente hanno versato nelle casse del suo comitato presidente oltre 6 milioni di dollari per aiutarlo a battere Hillary Clinton.
Di più: hanno donato al partito Repubblicano 27 milioni di dollari per l’ultima campagna elettorale, 60 milioni dal 1989 ad oggi.
A scorrere l’elenco redatto da Opensecrets.org emerge che solo Ryan Zinke (ministro dell’Interno), John Kelly (Sicurezza nazionale), James Mattis (Difesa) e Rick Perry (Energia) non abbiano versato neppure un dollaro per Trump o per i repubblicani negli ultimi 27 anni.
Andy Puzder, per esempio, ha lasciato la guida della sua catena di ristoranti fast food CKE Restaurants per divertare segretario di Stato al Lavoro: nella corsa di Trump ha investito 700mila dollari.
E’ andata meglio al nuovo ministro del Tesoro Steven Mnuchin l’ex partner di Goldman Sachs che ha lasciato il suo hedge fund dopo aver investito su Trump 420mila dollari (6mila li ha donati anche ai Democratici).
Wilburn Ross è l’uomo forte del commercio: gestirà i rapporti — già tesi — con il Wto, con la Cina, il Messico e anche l’Unione europea.
A dire il vero, però, Trump non era neppure la prima scelta dal banchiere americano: Ross ha investito 432mila dollari perchè vincessero i repubblicani, ma oltre 110mila erano per sostenere Mitt Romney, a Trump ne sono arrivati solo 5mila.
Il segretario di Stato Rex Tillerson, invece, è un repubblicano tutto d’un pezzo: l’ex amministratore delegato della compagnia petrolifera non ha mai versato un dollaro per sostenere i democratici, mentre ha speso quasi mezzo milione per i conservatori.
A Trump avrebbe preferito Jep Bush, però, non si lamenta e adesso i suoi investimenti gli permettono di sedere su una delle poltrone più “pesanti” del pianeta.
La storia di Betsy DeVos ha quasi dell’incredibile: dopo essere stata indicata ministro dell’Educazione da Trump la sua nomina doveva essere ratificata dal Senato. Nonostante lei e la sua famiglia abbiano speso oltre due milioni di dollari per sostenere alcuni senatori repubblicani uscenti ha avuto 50 voti a favore e 50 contrari: per aver il via libera, quindi, è stato necessario — prima volta nella storia americana — che in suoi favore si esprimesse il vice presidente Mike Pence nelle vesti di presidente del Senato.
Pence ha così rotto l’equilibrio tra i senatori e le tradizioni americane. Ma difficilmente avrebbe potuto comportarsi in maniera diversa: i DeVos hanno versato per l’ultima campagna elettorale oltre 12 milioni di dollari.
Soldi nelle casse dei repubblicani sono arrivate anche da coloro che sono poi stati nominati ambasciatori in Israele e Cina, ma la donna più fedele a Trump resta Linda McMahon, la signora del wrestling che al presidente ha donato 6 milioni di dollari a cui ha aggiunto altri 3,8 milioni per il partito.
Non male per un’imprenditrice che in passato aveva sostenuto i democratici.
(da “Business Insider”)
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Febbraio 10th, 2017 Riccardo Fucile
IL NOSTRO MINISTERO DEGLI ESTERI ATTACCATO LO SCORSO ANNO PER 4 MESI… I SEDICENTI “SOVRANISTI” NON HANNO NULLA DA DIRE? STANNO CON L’ITALIA O CON UNA POTENZA STRANIERA? PERCHE’ NON SI INDIGNANO CON IL LORO AMICHETTO PUTIN? SALVINI, VAI A MOSCA E INCATENATI PER PROTESTA SE HAI LE PALLE, NE VA DELLA SOVRANITA’ DEL NOSTRO PAESE
La Farnesina è stata vittima di un attacco hacker, si sospetta da parte della Russia, l’anno scorso per quattro mesi quando Paolo Gentiloni era ministro degli Esteri.
Lo scrive il Guardian citando fonti vicine alla vicenda.
Una fonte del governo italiano – sempre citata dal Guardian – ha confermato l’attacco hacker precisando tuttavia che Gentiloni non ne è stato vittima anche perchè, sostiene la fonte, “evitava di usare le mail quando era ministro degli Esteri”.
Secondo la fonte del governo italiano citata, nessuna informazione “sensibile” o “secretata” è stata carpita dagli hacker, che non sono riusciti ad accedere al livello dei dati “criptati”.
La fonte italiana non ha voluto confermare che dietro l’attacco vi sia Mosca. Ma secondo altre due persone a conoscenza dei fatti, sempre citate dal quotidiano britannico, gli hacker hanno agito su mandato dello “stato russo”.
Sull’hackeraggio, scrive ancora il Guardian, starebbe indagando la procura di Roma.
(da agenzie)
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