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COSI’ LA DESTRA XENOFOBA ANTI-EUROPEA RIESCE AD AVERE SOLDI DALLA UE: LE RIVELAZIONI DE “LE MONDE”

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

L’ALLEANZA EUROPEA DEI MOVIMENTI NAZIONALI HA OTTENUTO 2 MILIONI DI EURO… AMMESSA GRAZIE ANCHE ALLA FIRMA DI DUE PARLAMENTARI DI FORZA ITALIA E DI UNO DI FRATELLI D’ITALIA

L’Europa dorata dell’ultra destra, la chiama il quotidiano francese Le Monde.
Che andando a scavare nel mondo dell’estremismo ha scoperto la fonte di soldi dalla quale si abbeverano gli xenofobi: ironia della sorte l’Europarlamento, una delle istituzioni che vorrebbero abbattere insieme al resto dell’Unione europea.
L’Alleanza europea dei movimenti nazionali, altrimenti detta Aemn, è curata da un italiano, Valerio Cignetti, ex Fiamma tricolore.
Società  di diritto alsaziano, l’Aemn raggruppa diversi responsabili dell’estrema destra di tutto il continente e dal 2012 è riconosciuta come ‘partito politico europeo’.
Statuto grazie al quale ha incassato pù di un milione e mezzo di euro dal Parlamento di Strasburgo che sommati ai denari presi dalla fondazione associata Identità  e tradizioni europee, arriva a 2,2 milioni.
Senza avere mai eletto un parlamentare.
Il trucco consiste nel raccogliere firme di deputati nazionali e regionali di sette Paesi in modo da guadagnare il rango di movimento europeo.
Il presidente di Aemn è Bela Kovacs, eurodeputato ungherese di Jobbik, partito noto per le sue derive antisemite, già  al centro di un’inchiesta giudiziaria per spionaggio in favore della Russia.
La compagine per prendere i soldi della Ue ha usato un semplice trucco: ha copiato lo statuto europeista del Partito popolare europeo. Per intenderci, il primo gruppo di Strasburgo, quello della Cdu di Angela Merkel e di Forza Italia.
Un trucchetto elementare per aggirare le regole di Strasburgo, che per finanziare i movimenti europei chiede che questi rispettino i principi dell’Unione, libertà , democrazia rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà  fondamentali, a partire dallo Stato di diritto.
E la carenza dei controlli rappresenta una falla per l’Assemblea, altrimenti estremamente vigile, su livelli senza uguali nei parlamenti nazionali, su frodi ai fondi dei partiti come quello che sta colpendo il Front National. A Strasburgo ammettono che le regole vanno riviste.
A proposito dei lepenisti, alle origini dell’Aemn c’è proprio il Front, visto che ad averlo fondato nel 2009 è stato Bruno Gollnisch e Jean-Marie Le Pen, che lo hanno abbandonato nel 2013 su richiesta di Marine, impegnata a rifare la facciata del partito in vista della corsa all’Eliseo.
Ha creato una formazione con l’estremista olandese Geert Wilders, che se la giocherà  nelle elezioni dei Paesi Bassi del 15 marzo, e con l’Fpà¶ austriaca che ha sfiorato la presidenza della Repubblica federale: insieme hanno preso 6 milioni di finanziamenti UE in sei anni, ma questo è perfettamente logico avendo un folto gruppo a Strasburgo insieme alla Lega.
Stesso discorso vale per l’Ukip e i suoi alleati, M5S, Partito popolare danese e il vecchio Movimento per un’Europa delle Libertà  e della democrazia, chiuso dopo una serie di accuse di frode.
In tutto i partiti anti europei rappresentati all’Europarlamento nel 2017 riceveranno 7 milioni di finanziamenti su un totale di 50.
Spesso l’Europa è l’unica fonte di entrate per i partiti euroscettici e spesso usano i soldi in modo fraudolento, tanto che il Parlamento europeo oltre ad avere chiesto indietro a Marine Le Pen 360mila euro per l’inchiesta che ha toccato la sua guardia del corpo e il suo capo di gabinetto, pagati per lavorare a Strasburgo ma invece impiegati altrove, in tutto al Front ha chiesto la restituzione di 1,1 milioni.
500mila euro invece i soldi che dovrà  restituire lo Ukip.
Un caso simile a quello di Aemn arriva dalla Coalizione per la vita e la famiglia fondata dall’associazione cattolica integralista francese Civitas, che ha chiesto mezzo milione di finanziamento a Strasburgo.
La Coalizione è sostenuta discretamente dal Front National e può essere riconosciuta movimento europeo grazie alle firme dei deputati nazionali o regionali di sette nazioni, tra cui Alba Dorata e dal partito neonazista slovacco.
C’è ancora il Front dietro ai nazisti tedeschi e svedesi di Alleanza per la pace e la libertà . Sono sostenuti da Marguerite Lussaud, consigliere regionale della Loira. In questo caso Strasburgo ha potuto chiedere indietro i soldi dopo avere scoperto una manifestazione in Svezia in cui l’Alleanza ha dato sfoggio a saluti romani e canti nazisti.
Tra i 36 deputati nazionali e regionali che hanno firmato per dare sostegno ai movimenti nazionalisti di estrema destra che hanno potuto accedere ai fondi UE pur senza avere eletti, ci sono anche tre italiani.
Secondo Le Monde si tratta di Franco Cardiello e Daniela Ruffino di Forza Italia e Maurizio Marrone di Fratelli d’Italia.

(da “La Repubblica”)

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L’ULTIMO DELIRIO LEGHISTA: LIMITARE IL WI-FI GRATUITO IN CITTA’ PERCHE “ATTIRA BULLI STRANIERI”

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

L’INTERPELLANZA DI DUE CONSIGLIERI DI BERGAMO…LA RISPOSTA: “ASSURDO DISCRIMINARE CHI STA SOLO CON UN TELEFONO IN MANO, INTERNET E’ DI TUTTI”

Un servizio di wi-fi pubblico, a banda larga, senza limiti di utilizzo in termini di tempo o dati scaricabili, con accesso automatico ed esteso a buona parte della città , periferie e zone “difficili” incluse: è quello che l’amministrazione di Bergamo è riuscita a realizzare in poco meno di tre anni di lavoro, e che viene considerato un fiore all’occhiello da quasi tutti i bergamaschi.
Quasi, perchè la Lega Nord, tramite due suoi consiglieri comunali, ne chiede ora la limitazione nella zona della stazione, perchè causa di “bivacco” di bulli, spacciatori e immigrati in genere.
Scrivono i consiglieri del Carroccio Alberto Ribolla e Luisa Pecce, nell’interpellanza presentata al presidente del Consiglio comunale: “Nella zona della stazione (che è un’area di passaggio) si notano molte persone, principalmente di nazionalità  straniera (alcune delle quali dedite allo spaccio ed altre componenti di bande di ‘bulli’), che bivaccano ed utilizzano il wi-fi del Comune”, e chiedono “se non si ritenga opportuno limitare temporalmente il servizio wi-fi del Comune di Bergamo nella zona della stazione che, per la maggior parte delle persone, è un’area di passaggio, al fine di disincentivare il bivacco di persone”.
A rispondere è l’assessore all’Innovazione, Giacomo Angeloni: “Trovo la richiesta quantomeno paradossale. Siamo usi alla generalizzata abitudine dei consiglieri della Lega Nord di considerare come un ‘bivacco’ o spacciatori o, in questo caso, anche ‘bulli’ persone che semplicemente sostano in un luogo con il telefono in mano. Al di là  delle impressioni della Lega, che non trovano spesso riscontro nella realtà , ma solo in una consolidata tendenza alla discriminazione tra ‘stranieri’ e ‘non stranieri’, la richiesta di spegnimento o limitazione del wi-fi, solo perchè delle persone lo usano, è quanto meno ridicola. Il BergamoWifi nasce proprio perchè possa essere utilizzato dalle persone, su un percorso che si estende per quasi 4 milioni di metri quadrati in città . ‘Internet come diritto’. E proprio in questo senso vanno le iniziative atte all’ampliamento e al miglioramento del BergamoWifi in città , ben lontane dalla logica del ‘connettetevi a casa vostra’ che emerge dall’interpellanza firmata dal gruppo consiliare della Lega”.
“Considero – prosegue l’assessore – la richiesta di una limitazione in una determinata area della città , solamente perchè Ribolla e Pecce trovano spiacevole il fatto che stranieri usino il cellulare e rimangano connessi a una rete wi-fi (peraltro sicura e i cui dati sono monitorati dal Comune di Bergamo), una mera provocazione, illiberale e discriminante. Per questo motivo non posso che respingere tale richiesta, rimarcando invece che l’Amministrazione è al lavoro per permettere a un numero sempre crescente di utenti di potersi connettere gratuitamente a uno dei servizi wi-fi più efficienti tra quelli delle città  europee”.

(da agenzie)

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“PRONTI A OCCUPARE GLI HOTEL”: TRA I TERREMOTATI A RISCHIO SFRATTO

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

A MAGGIO SCADONO GLI ACCORDI E GLI ALBERGHI DELLA COSTA NON VOGLIONO RINUNCIARE AI TURISTI.. MA LE CASETTE NON CI SONO: “VOGLIAMO SAPERE CHE FINE FAREMO”

«Da qui non va via nessuno», inizia a dire in tono ancora incerto Mario Carducci, pensionato, da quasi quattro mesi ospite del centro vacanze Holiday di Porto Sant’Elpidio nelle Marche, un villaggio di miniappartamenti per turisti costruiti intorno a un grande spazio, un salotto comune con piante, poltrone, grandi vetrate, spazi dove chiacchierare di programmi televisivi e di pettegolezzi mentre si perde tempo tra l’ultimo bagno al mare e la cena.
Sta per piovere ma nel salotto comune dell’Holiday il pensiero è molto lontano dal mare o dagli intrattenimenti tv.
«Mi devono cacciare a pedate», incalza, più deciso, Piero Cesari, stessa sorte dalla scossa del 26 ottobre. «Quali pedate? Nemmeno i carabinieri mi devono toccare, da qui non esco», continua Mario, sempre più sicuro delle sue parole. «Vogliamo capire che fine facciamo e vogliamo capirlo prima di essere mandati via altrimenti facciamo casino” conclude.
Tra i terremotati a rischio sfratto: “Occupiamo gli hotel”
La protesta è pronta. Non hanno più pazienza le popolazioni dei paesi colpiti dal terremoto che hanno accettato di andare a vivere sulla costa in attesa delle casette dove avrebbero atteso l’epifania della ricostruzione.
Doveva essere una soluzione provvisoria, l’inverno al mare e in primavera avrebbero trovato le casette. Marzo è alle porte: la ricostruzione è un miraggio lontano ma anche di casette provvisorie non c’è traccia, tranne in pochi, rarissimi casi.
Nel frattempo gli alberghi e i camping stanno ricordando a tutti gli impegni presi. Roberta Sabbatini, titolare del camping Le Mimose di Porto Sant’Elpidio, scuote la testa: « L’abbiamo detto dall’inizio: possiamo ospitare i terremotati fino alla fine di maggio ma non possiamo andare oltre. Abbiamo una clientela abituale con gruppi sportivi e persone che tornano ogni anno. Abbiamo ancora 300 ospiti, fino al 27 maggio tengo tutti quelli che vogliono restare qui. Dal 28 maggio in poi ospiterò soltanto le famiglie con bambini che vanno a scuola qui e quelli che hanno trovato lavoro. Sono una cinquantina di persone al massimo. Basta».
Daniele Gatti, titolare del villaggio turistico Holiday, ha messo le date di fine alloggio nero su bianco per evitare equivoci: 500 posti fino al 20 maggio, la metà  fino al 30 giugno. Dopo niente da fare. «Questa è la scadenza, non si può andare oltre, siamo una struttura che lavora in estate, non possiamo permetterci di perdere la clientela», spiega.
E quindi? Sorride Roberto Giannini, addetto alla mensa dell’Università  di Camerino e ospite del Camping Le Mimose ma le sue parole sono una dichiarazione di guerra: «Speriamo che trovino una soluzione perchè se no occupiamo tutto. L’ho detto anche nell’ultima riunione. Non abbiamo le case, non abbiamo nulla: ‘ndo annamo?».
Se l’ha detto in riunione non l’hanno ascoltato, i titolari delle strutture ricettive insistono. «Dicono di volerci mandare via il 31 maggio: ma dove? Ma chi?».
Seduto accanto a lui nella piazza del camping, un enorme spiazzo con il rumore del mare sullo sfondo, c’è Venanzio Tesei: «Forse non hanno capito che, se ci arrabbiamo, scoppia un casino che non finisce mai. Se non ho più una speranza non ho più nulla da perdere, non so come va a finire. Ci hanno fatti venire qui e ci hanno abbandonati. Ma fra qualche giorno facciamo scoppiare una guerra».
È una polveriera pronta a esplodere la comunità  delle popolazioni colpite dal terremoto mandate sulla costa.
Dopo le prime proteste la Regione Marche ha capito di dover intervenire, ha chiesto alle strutture coinvolte la disponibilità  a estendere l’ospitalità  fino al 31 dicembre.
Da un calcolo ufficiale diffuso due giorni fa dall’assessorato al Turismo sarebbero 4300 i posti disponibili fino a fine anno su una richiesta di circa 5500 persone.
Nella più ottimistica delle ipotesi, insomma, mancherebbero all’appello 1200 posti. Vuol dire 1200 persone che non sanno se fra tre mesi avranno ancora un tetto e che si stanno organizzando per non finire nel nulla della burocrazia e delle lentezze di questo terremoto.
Stanno avanzando anche i pagamenti. «Noi abbiamo ricevuto solo il versamento di novembre, il primo. Da allora sono passati altri tre mesi, li abbiamo coperti con l’aiuto dei fornitori ma non si può andare avanti così», spiega Roberta Sabbatini.
Sono stati pagati oltre 15 milioni su un totale di 22, risponde la Regione rassicurando gli albergatori nel tentativo di farli resistere.
Nessuno però sa davvero che cosa accadrà  da maggio in poi.
«Lo Stato aiuta chi ha già  tutto – protesta Stella Fabricino, ospite del camping Le Mimose – Garantisce le pensioni, garantisce chi ha già  un lavoro ma noi che un lavoro l’abbiamo perso perchè è crollato tutto? A noi non pensa nessuno. Dove andremo quando ci manderanno via? Abbiamo già  subito un terremoto nel 97, eravamo rimasti per tre anni nei containers poi eravamo rientrati. Soldi spesi inutilmente, ora le case sono crollate di nuovo e le vogliono ricostruire con gli stessi metodi; Ci prendono in giro? Al prossimo terremoto si ricomincia tutto daccapo?».
Anche Venanzio Tesei è nella stessa situazione: «Ero rientrato a casa nel 2003, ora sono di nuovo fuori e stavolta, con questa lentezza, non rientrerò in casa se non fra vent’anni. Stiano attenti: facciamo scoppiare la guerra se le cose non cambiano».

Flavia Amabile
(da “La Stampa“)

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STADIO ROMA, LA DENUNCIA DI LEGAMBIENTE: “SPARITE LE OPERE PUBBLICHE, AREA ANCORA PIU’ INACCESSIBILE”

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

NON PREVISTO IL POTENZIAMENTO DELLA LINEA,   LE INFRASTRUTTURE SONO SALTATE DAL PROGETTO

L’accordo siglato in serata sul progetto dello stadio della Roma a Tor di Valle rimanda il giorno dopo a inevitabili reazioni.
Commenti e polemiche si rincorrono nell’attesa che la maggioranza capitolina si riunisca per votare in aula una delibera ad hoc che, di fatto, sostituirà  la precedente licenziata dell’amministrazione Marino.
L’ok al documento, che dovrà  essere elaborato dagli uffici competenti, potrebbe arrivare entro un mese, forse prima.
In base ad una interpreazione della legge sugli stadi potrebbe non rendersi necessario un ok separato ad una variante urbanistica in quanto già  prevista nella delibera in questione che autorizzerebbe 500 metri cubi, ovvero cubature in più rispetto ai 350 mc previsti in quell’area dal piano regolatore vigente.
Nel progetto precedente le cubature autorizzate erano il doppio, ovvero un milione di metri cubi.
Legambiente rimane critica: “L’accordo sullo Stadio conferma l’errore nella scelta dell’area, con cubature che servono a mettere in sicurezza idrogeologica l’area e che continuano a mancare per la metropolitana”, spiegano dall’associazione ambientalista. “Il taglio delle torri e la riduzione delle cubature in variante al piano regolatore e’ positiva   – commenta il vice presidente nazionale Edoardo Zanchini – ma si conferma l’errore dell’area scelta che rimarrà  irraggiungibile con la metropolitana, visto che il progetto sembra finanziare solo la riqualificazione della stazione di Tor di Valle ma continueranno a passare i soliti pochi, vecchi treni di una linea che funziona malissimo, e non emerge alcun finanziamento pubblico che preveda il potenziamento della linea”.
“Il risultato delle trattative sullo stadio è che rimane più di mezzo milione di metri cubi di cemento e spariscono le opere pubbliche – dichiara Roberto Scacchi presidente di Legambiente Lazio – Ci rivolgiamo alla giunta Raggi, chiedendo chiarezza su quanto deciso ieri nell’accordo con l’AS Roma, da un lato infatti non emerge alcuna certezza sull’accessibilità  su mezzo pubblico così come era previsto dalla delibera di pubblico interesse, dall’altro lato comunque ci troveremmo di fronte alla nascita di un quartiere da 600mila metri cubi di uffici e strutture commerciali. L’ultimo accordo conferma quanto fosse sbagliata la scelta dell’area, visto che gran parte della cubatura da realizzare viene motivata proprio con la spesa per la messa in sicurezza dell’area dai enormi rischi idrogeologici che la contraddistinguono”.
Ironizza su Facebook il deputato pd Marco Miccoli: “Sono sicuro che la Sindaca di Roma Virginia Raggi garantirà  tutte le opere pubbliche previste nel progetto per il nuovo Stadio della Roma — posta – e garantirà  ai tifosi di poterlo raggiungere, anche a quelli che non hanno l’elicottero. #FamoStoStadio #mafamopureleoperepubbliche”.
“Rivoluzionare il progetto come detto dalla sindaca Raggi, tagliando opere pubbliche importanti come il prolungamento della metro (quantomeno non citata dal sindaco) e immaginando che parte di esse possa essere realizzata in un secondo tempo, in una città  piena di quartieri in cui sono state realizzate le case ma non le opere pubbliche essenziali ad una vita civile, non ci sembra una grande conquista”, sostiene l’architetto Marialuisa Palumbo, direttore scientifico del master in architetture sostenibili dell’Istituto Nazionale architettura (Inarch).
Raggi, scrive l’architetto in una nota, “poichè è ben noto che le cubature delle torri erano state calcolate per il bilanciamento economico delle opere pubbliche richieste, se si vuole parlare di ‘sostenibilità  ambientale e sociale’ del progetto, bisogna capire cosa succede di queste opere pubbliche”.
Non piace invece ad Alessandro Lepidini, consigliere dem al IX municipio “l’aver deciso per il via libera a Tor di Valle devastando l’ultima ansa del Tevere, uno dei simboli del IX municipio, senza prevedere nell’accordo le indispensabili opere infrastrutturali”.
Per gli ecoradicali invece “la giunta si è piegata ai diktat degli interessi forti, avallando una gigantesca operazione immobiliare al di fuori del piano regolatore, aggiungendo cemento in una città  che conta almeno 100mila immobili invenduti”.
Intanto dopo l’accordo raggiunto ieri sera sullo il Codacons ha già  annunciato che valuterà  il progetto per decidere se impugnarlo al Tar.

(da “la Repubblica”)

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LA FORZA A SINISTRA PUO’ ARRIVARE AL 9% MA GLI ELETTORI “SICURI” SONO IN CALO

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

UN TERZO VUOLE ROMPERE CON IL PD… TRA I DEM L’80% GIUDICA LO SCONTRO “PERSONALISTICO”

A conclusione della settimana più difficile dei suoi quasi dieci anni di vita, il Partito democratico si appresta ad affrontare molte incognite, dalla forza della leadership di Renzi alla tenuta del governo Gentiloni.
Il vivace confronto che ha accompagnato l’assemblea di domenica scorsa, non sembra aver fatto chiarezza riguardo ai motivi che hanno determinato la scissione guidata da alcuni esponenti di primo piano della minoranza del partito.
Uno scontro «lontano
Due italiani su tre (64%) ritengono che si sia trattato di uno scontro personalistico, senza un vero e proprio progetto politico alternativo, mentre il 23% ritiene che la scissione sia la conseguenza di visioni politiche e di programmi differenti.
Tra gli elettori del Pd le opinioni sono ancora più nette: per quattro su cinque prevalgono le motivazioni personali su quelle programmatiche.
La pensano così tutti gli elettorati, con l’eccezione di coloro che intendono votare per il nuovo soggetto di sinistra che si dividono tra le due motivazioni.
D’altra parte si tratta di una reazione comprensibile dato che i temi che stanno a cuore agli elettori e le grandi questioni che attraversano il Paese sono risultati sullo sfondo nel dibattito di queste settimane, quando non del tutto assenti.
Non si è parlato di occupazione, crescita economica, protezione sociale, migranti, rapporto con l’Unione europea. Al centro della discussione c’erano questioni politiche interne al Pd, non sempre comprensibili per gli elettori.
La leadership
Secondo la maggioranza degli intervistati (58%) la leadership di Renzi esce indebolita da questa vicenda, sia perchè non ha saputo tenere unito il partito, sia perchè permangono posizioni distanti tra alcuni esponenti rimasti nel partito.
Al contrario il 14% ritiene che Renzi si sia rafforzato perchè potrà  contare su un partito più coeso e il 28% sospende il giudizio.
Anche tra gli elettori del Pd è largamente diffusa la convinzione che Renzi si sia indebolito (53%) mentre uno su tre è di parere opposto.
La nuova forza per il 43% dovrebbe rompere definitivamente con il Pd anche a costo di far cadere il governo Gentiloni.
Più che una previsione sembrerebbe un auspicio, dato che è fortemente presente tra gli elettori dell’opposizione, in particolare M5S (61%) e Forza Italia (54%).
Tra gli elettori del partito di sinistra il 34% è favorevole a una rottura, mentre il dato scende al 20% tra chi vota i dem. Il 27% degli italiani ritiene invece che la neonata forza di sinistra dovrebbe allearsi comunque con il Pd e sostenere l’attuale governo: ne sono convinti soprattutto gli elettori pd (67%).
Il peso della sinistra
Quanto al peso della nuova forza in uscita dal Pd, l’elettorato acquisito (coloro che dichiarano di volerla votare con certezza) è in leggera flessione rispetto alla scorsa settimana: si attesta al 3%, corrispondente al 4,8% dei voti validi.
Cresce invece la quota dell’elettorato potenziale (orientati a votarla ma al momento indecisi) che raggiunge il 3% (4,5% sui validi).
Nel complesso, quindi, un bacino elettorale pari al 6,3%, con un peso del 9,3% sui voti validi, se tutti i potenziali indecisi si trasformassero in voti.
Ma si tratta di un esercizio teorico, dato che non sono ancora note le proposte politiche, le alleanze e la leadership.
È interessante osservare che poco più di un terzo del bacino potenziale proviene dal Pd, un po’ meno di un terzo dall’astensione e il resto dalle liste di sinistra e dal Movimento 5 Stelle. Tra i segmenti sociali una maggiore attenzione si registra tra i ceti medi impiegatizi, gli insegnanti e i pensionati ma anche tra le persone meno scolarizzate, tra i residenti nei piccoli e medi centri e, com’era lecito attendersi, nell’area del Centro nord (le regioni «rosse»).
Si tratta di un profilo composito nel quale si ritrovano i tratti di un elettorato nostalgico di un partito di sinistra, senza dubbio a disagio con la svolta impressa dalla segreteria di Renzi in termini di priorità , di proposte politiche e di stile di leadership. Si tratta di stime e di analisi che andranno verificate nelle prossime settimane, quando presumibilmente il nuovo soggetto assumerà  una fisionomia più definita e si passerà  dalle schermaglie dialettiche alle proposte concrete.

Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)

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INDAGATO ALTRO COLLABORATORE DI MARINE LE PEN: FALSE FATTURAZIONI PER OTTENERE RIMBORSI ELETTORALI NON DOVUTI

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

FREDERIC CHATILLON E’ RESPONSABILE DELLA COMUNICAZIONE DEL FN… GIA’ UN PRECEDENTE ANALOGO NEL 2012

Uno stretto collaboratore di Marine Le Pen, la candidata alle presidenziali francesi del Front National (Fn), è stato incriminato per presunte irregolarità  nelle campagne elettorali del 2014 e del 2015.
Lo scrive Le Monde e lo hanno confermato fonti giudiziarie a Le Parisien.
Frederic Chatillon, uno dei responsabili della comunicazione del Fn attraverso la sua società  Riwal, è un ex dirigente studentesco di estrema destra.
Le indagini riguardano i finanziamenti per le campagne elettorali del 2014 (amministrative ed europee) e del 2105 (regionali).
Chatillon era già  stato incriminato per reati analoghi relativi al 2012.
Secondo la magistratura, Chatillon, titolare della principale struttura delle comunicazioni del Fn, la Riwal, avrebbe utilizzato delle false fatturazioni per ottenere dei rimborsi non dovuti delle spese elettorali da parte dello Stato.

(da agenzie)

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SAN PATRIGNANO, SEI RAGAZZI SI LAUREANO IN PSICOLOGIA

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

DOPO IL PERCORSO DI RECUPERO, L’UNIVERSITA’ TELEMATICA UNINETTUNO

Hanno raggiunto un importante traguardo, la laurea in Psicologia, i sei ragazzi che dopo il percorso di recupero nella comunità  San Patrignano ieri mattina hanno ricevuto il diploma di laurea triennale dell’Università  Telematica Internazionale Uninettuno.
A “Sanpa”, dove i ragazzi hanno scelto di fermarsi per offrire il loro aiuto, si sono svolte le sedute di laurea e la proclamazione alla presenza del sottosegretario al ministero dell’Istruzione, dell’Università  e della Ricerca, Gabriele Toccafondi, del Rettore di Uninettuno, Maria Amata Garito e della co-fondatrice della Fondazione San Patrignano, Letizia Moratti.
La laurea di questi studenti, ex tossicodipendenti, “testimonia infatti – dicono dalla comunità  – che l’istruzione può contribuire alla riuscita del loro percorso di recupero, dando un’opportunità  per progettare la vita che verrà  dopo”.
Grazie all’accordo tra Uninettuno e San Patrignano, gli iscritti alla Facoltà  di Psicologia hanno potuto seguire le lezioni del corso di laurea triennale tramite la piattaforma didattica on line dell’Ateneo e sostenere, quindi, gli esami nel “Polo Tecnologico Comunità  di San Patrignano Onlus” creato da Uninettuno all’interno della Comunità 
Attivato nel 2012, le iscrizioni all’Ateneo sono state 36, 26 i più numerosi a Psicologia, seguita da Economia, Scienze della Comunicazione e Ingegneria.
“Grazie a questa sperimentazione partita nel 2012 – ha detto Toccafondi – è stato possibile per i ragazzi di San Patrignano portare a termine con successo il loro percorso di studio, esempio di impegno concreto”. “Essere qui per me è una grande emozione – ha invece commentato il Rettore Uninettuno, Garito – perchè vediamo i risultati di un lavoro cominciato anni fa”.
“La soddisfazione è per me doppia – ha concluso la Moratti – per la personale vicinanza a San Patrignano e per l’esperienza da Ministro dell’Istruzione, dell’Università  e della Ricerca. Ricordo bene quando nel 2012 abbiamo attivato il nuovo Polo Tecnologico presso la Comunità , eravamo molto motivati e fiduciosi sulla riuscita di questo progetto”.

(da “La Repubblica”)

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TRE CASINO’ DA SALVARE (CON I SOLDI PUBBLICI)

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

ST. VINCENT, CAMPIONE E VENEZIA SONO IN ROSSO DA DIECI ANNI E HANNO PERSO 400 MILIONI… ORA QUALCUNO DEVE METTERE MANO AL PORTAFOGLIO

St. Vincent, Campione d’Italia e Venezia: tre luoghi in cui sorgono famosi casinò che però hanno perso 400 milioni in dieci anni in totale.
E che adesso devono essere salvati con soldi pubblici.
Spiega Repubblica che in Val d’Aosta e Laguna sono scattate in questi giorni le richieste di licenziamento per centinaia di croupier.
Il pezzo di Italia in terra svizzera sta pagando le tredicesime a rate ai dipendenti per problemi di liquidità .
Risultato: governo ed enti locali si preparano a riaprire i cordoni della borsa per salvare un’altra volta l’azzardo di Stato: il casinò della Vallèe chiede almeno 43 milioni alla Regione. Campione attende un provvedimento dell’esecutivo che gli garantirà  una decina di milioni decisivi per il suo futuro.
E a Venezia non va meglio. Il sindaco lagunare Luigi Brugnaro si è presentato qualche giorno fa ai dipendenti con un annuncio-choc: per evitare la liquidazione, bisogna tagliare il 20% dei 538 dipendenti.
Una linea dura scelta forse dopo che nella notte di San Silvestro, altissima stagione per il mondo delle roulette, i tavoli verdi in laguna hanno funzionato a mezzo servizio causa la malattia a sorpresa di 41 impiegati.
In attesa di soldi pubblici è invece Campione d’Italia, vittima della super-rivalutazione del franco svizzero.
Una maledizione per un’azienda che ha i ricavi in euro e i costi in divisa elvetica. I tagli a organici e stipendi qui sono già  stati fatti.
I dipendenti sono in solidarietà  dal 2012 con stipendi tagliati del 30%, gli organici sono stati ridotti da 600 a 400 persone.

(da “NextQuotidiano”)

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ILVA, MIGLIAIA DI GENITORI E BAMBINI IN PIAZZA A TARANTO: “CI STANNO AMMAZZANDO”

Febbraio 25th, 2017 Riccardo Fucile

PER LA BONIFICA DEL TERRITORIO NECESSARI ALMENO 8 MILIARDI, INSUFFICIENTE IL MILIARDO DELLA FAMIGLIA RIVA… E FRA TRE MESI LE ELEZIONI COMUNALI

Numeri ufficiali, come spesso accade in queste occasioni, non ce ne sono. Ma erano sicuramente diverse migliaia i bambini e i genitori che stamattina a Taranto hanno preso parte a una marcia per opporsi – ancora una volta – alle emissioni inquinanti delle grandi industrie presenti sul territorio (Ilva, Eni, Cementir) e alzare la voce contro l’ipotesi del patteggiamento delle tre società  imputate (Ilva, Riva Fire, Riva Forni Elettrici) nel processo «Ambiente svenduto».
L’iniziativa, organizzata dalla quasi totalità  delle associazioni presenti in riva allo Ionio («Abfo», «Comitato Verità  per Taranto», Federazione Italiana Medici Pediatri», Peacelink», «Wwf, Fondo Antidiossina onlus», «Genitori tarantini», «Isde Taranto e Massafra», «Legamjonici», «LiberiAmo Taranto», «Taranto Ricerca Futuro», «Taranto Senza Ilva», «Tuttamialacittà »), è stata presentata con un titolo emblematico: «Giustizia per Taranto».
La marcia, priva di connotazioni politiche, è iniziata alle 9, sotto un cielo coperto che nel corso della mattinata ha dato origine anche a piogge a tratti.
Ma il maltempo non ha fatto scemare la partecipazione al corteo, caldeggiata attraverso i social network pure da diversi artisti: dagli attori tarantini Michele Riondino e Anna Ferruzzo ai cantanti Nandu Popu (Sud Sound System) e Fiorella Mannoia.
In strada anche gli ambientalisti campani e siciliani
Nel corteo, partito a pochi metri dall’ospedale Santissima Annunziata e arrivato in piazza della Vittoria, nel pieno centro cittadino, c’erano diverse famiglie coi propri figli.
Erano tanti i cartelloni emblematici dell’emergenza ambientale che si vive in riva allo Ionio, giunta a un punto di non ritorno.
Su alcuni si leggevano queste frasi: «Voglio respirare aria pulita», «Voglio legalità : no al patteggiamento», «Voglio poter aprire le finestre», «Voglio un futuro migliore», «Non voglio respirare gas», «Non voglio ammalarmi», «Ascoltate la nostra voce», «Siamo bambini da salvare».
A srotolarli tanti bambini, molti dei quali provenienti dal quartiere Tamburi («I figli dei Tamburi chiedono giustizia», lo slogan campeggiante su un altro striscione), situato a ridosso dello stabilimento siderurgico e come tale esposto alle polveri di minerali.
Alla manifestazione, oltre al leader dei Verdi Angelo Bonelli, al giornalista Pino Aprile e al presidente del Taranto Calcio Elisabetta Zelatore, hanno preso parte anche diversi rappresentanti di associazioni ambientaliste di altre città , negli ultimi anni già  presenti sulle sponde dei Due Mari in occasione del concerto del primo maggio: «No al Carbone Brindisi», «Comitato Stop Veleni-Sicilia», «Bagnoli Libera», «Associazione e Comitato Salute e Vita Salerno».
Associazioni contrarie al patteggiamento richiesto dalle aziende sotto processo
«Chiediamo di partecipare alle scelte che riguardano la città  e pretendiamo che si investa da subito nella riconversione di Taranto e non in quella delle fabbriche inquinanti», hanno ripetuto a più riprese i promotori della mobilitazione, giunta al traguardo senza particolari intoppi. Il momento storico che si vive in riva allo Ionio, d’altronde, è cruciale. Dopo aver inquinato l’aria, la terra e l’acqua per cinquant’anni, contribuendo a incrementare i numeri di diverse malattie, l’industria siderurgica è rimasta impigliata nelle maglie della giustizia.
La famiglia Riva è sotto processo per diversi reati: sia a Taranto sia a Milano.
Mentre l’Ilva è attualmente gestita dallo Stato, che nei prossimi mesi la venderà  a una delle due cordate fattesi avanti: AcciaItalia (Jindal, Cassa Depositi e Prestiti, Arvedi e Del Vecchio) o InvestCo Italy (Arcelor Mittal e Marcegaglia).
Di fronte all’ipotesi di patteggiamento avanzata dalle tre aziende coinvolte nel processo «Ambiente svenduto», il gup di Milano Maria Vicedomini s’è opposta: troppo esiguo l’importo di 1,3 miliardi di euro per risarcire Taranto e i suoi cittadini per i danni procurati.
Una posizione condivisa dalle associazioni locali, che stamattina hanno ricordato «come in un primo momento la procura di Taranto disse che sarebbero serviti più di otto miliardi di euro per le bonifiche». Quella somma, tutt’al più, potrebbe rappresentare «un anticipo per fermare la contaminazione, a partire dalla messa in sicurezza della falda acquifera che, da sotto ai parchi minerali, trasporta gli inquinanti fino al mar Piccolo e ai pozzi di tutto il circondario, con il rischio di contaminare la catena alimentare».
Non meno delicata è la questione occupazionale, dal momento che il rischio di esuberi è concreto: a prescindere da chi salirà  sulla tolda di comando dell’acciaieria più grande d’Europa.
All’orizzonte le elezioni comunali
A ciò occorre aggiungere che tra poco più di tre mesi la città  sarà  chiamata alle urne per designare il nuovo sindaco e l’orizzonte è ancora nebuloso.
Sulla scena ci saranno sicuramente l’allevatore Vincenzo Fornaro (rappresentante di una frangia del movimento ambientalista) e l’ex presidente del tribunale di sorveglianza Massimo Brandimarte (lista civica di sinistra).
Sono invece in alto mare i principali partiti: tanto a destra quanto a sinistra.
Non è messo meglio il Movimento 5 Stelle, in riva allo Ionio così frazionato da essere prossimo a inviare tre liste al vaglio della Casaleggio Associati: chiamata a compiere la scelta definitiva.

Fabio Di Todaro

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