Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
SILVIO METTE ZIZZANIA, MA HA UNA SCHEMA PRECISO: RITORNARE AL ESSERE IL PRIMO PARTITO DEL CENTRODESTRA E DARE LUI LE CARTE
Doverosa premessa: per Silvio Berlusconi nessuno potrà mai prendere il suo posto, come sanno bene i tanti delfini scelti e poi spiaggiati in un amen.
Detto questo, c’è molta strategia ma anche un pizzico di real politik nell’incoronazione fresca di giornata nei confronti di Luca Zaia.
Perchè uno degli effetti collaterali che il leader azzurro ha chiaramente calcolato è la reazione (irritata) che le sue parole provocano su Matteo Salvini.
“Se qualcuno – replica infatti il segretario padano – pensa di mettere zizzania nella Lega facendo nomi, ha sbagliato a capire. Perchè, a differenza degli altri, noi siamo una squadra”.
Anche il diretto interessato (e non è la prima volta) allontana da sè l’amaro calice: “Basta manfrine, il candidato è Salvini”, dice Zaia.
La voce, in realtà , era già circolata più volte sia recentemente che nei mesi passati. Ma vuoi mettere sentirlo dalla sua viva voce?
“Se Berlusconi non potrà tornare in campo, il centrodestra – dice il Cavaliere – dovrà trovare qualcuno al suo interno. Il governatore del Veneto Luca Zaia si sta comportando molto bene. Dico Zaia o qualcun altro in grado di emergere e convincere tutti”.
Parole pronunciate non a caso all’emittente televisiva veneta Canale Italia, in un’intervista che nei giorni scorsi era stata “proposta” proprio da Arcore.
In quella Regione il consenso della Lega, anche grazie all’amministrazione di Zaia, sfiora il 40% mentre Forza Italia arranca sotto al 10%, anche se per il rilancio Berlusconi si sta affidando al giovane Simone Furlan, quello dell’esercito di Silvio per intenderci.
In ossequio all’idea che nessuno possa essere meglio di lui, Berlusconi antepone un significativo “se” all’incoronazione.
Perchè i tempi delle elezioni politiche non sono ancora chiari e il Cavaliere continua a ripetere che se da Strasburgo nel frattempo dovesse arrivare la tanto agognata sentenza che lo riabiliterà lui è pronto a candidarsi premier.
“Da solo quel pronunciamento – ha spiegato nei giorni scorsi ad alcuni interlocutori – vale il 5% in più di consenso per Forza Italia perchè a quel punto sarà chiaro al mondo che io sono stato fatto fuori con un trucco”.
Ma se questo non dovesse avvenire? Chi ha avuto modo di parlare con lui giura, che il nome di Zaia viene fatto con molta serietà : il suo profilo moderato potrebbe mettere insieme le diverse anime del centrodestra (Alfano compreso) ma anche di Forza Italia: sia quelli che chiedono un accordo con la Lega sia quelli che pregano il leader azzurro di non cedere al vento lepenista
Ma più di tutto, al momento, l’obiettivo di Berlusconi è quello di gettare scompiglio nel campo di Matteo Salvini.
“Io – aveva detto qualche settimana fa incontrando le deputate – non ho problemi con la Lega, ho ottimi rapporti sia con Bossi che con Maroni. Io ho problemi solo con Salvini”.
Lanciare il nome di Zaia, dunque, potrebbe riaprire una rivalità per ora soltanto sopita nel Carroccio. Dove, vale la pena ricordarlo, il congresso è stato solo momentaneamente congelato.
E buona parte della classe dirigente non è certo disposta a rinunciare all’ipotesi di avere un candidato premier leghista solo perchè Salvini punta a quell’obiettivo. Raccontano che nel consiglio federale che si è tenuto oggi l’argomento sia stato anche per questo prudentemente evitato, anche se non sono mancati sorrisi e ammiccamenti nell’ala che non sta con il segretario.
E in molti sono certi che Zaia manterrà un atteggiamento low profile fino all’ultimo ma che ci stia facendo più di un pensierino.
Ed ecco che nel gioco su più tavoli che gli è così congeniale, l’ex premier si è costruito il suo schema.
La sua idea è quella di far valere la sua golden share nella trattativa sulla legge elettorale per ottenere un proporzionale.
Con il premio di coalizione bisognerebbe mettersi tutti insieme per raggiungere il 40%, è vero. Ma Berlusconi pensa che con la sua presenza attiva in campagna elettorale Fi potrebbe addirittura tornare al 20% rendendo quel traguardo raggiungibile.
E, a quel punto – è il suo ragionamento — chi il capo dello Stato chiamerebbe per formare il governo?
La coalizione di centrodestra e, soprattutto, il partito che ne detiene la maggioranza. Ovviamente, un disegno che non prevede in alcun modo la celebrazione di primarie. La proposta azzurra è che il diritto di designare la guida della coalizione vada alla lista che ha preso di più (nel suo disegno, a lui stesso).
Se questo è il film che l’ex premier ha cominciato a girare nella sua testa, non resta spazio per il listone unico di cui ieri ha parlato la leader di Fdi, Giorgia Meloni.
“Al Nord rischieremmo di sparire – spiega un dirigente azzurro – e poi Berlusconi non ha alcuna voglia di mettersi a trattare con Salvini per i posti in lista. Vuole giocare per sè”.
D’altra parte a bocciare seccamente la proposta è lo stesso segretario leghista. “I minestroni – sentenzia – non ci piacciono”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
CITA IL PONTE DEI CONGRESSI COME OPERA DI COMPENSAZIONE PREVISTA, MA E’ QUELLA GIA’ FINANZIATA DA RENZI (CON PROGETTO PERALTRO BOCCIATO)
Luigi Di Maio è contento del risultato ottenuto da Virginia Raggi che ha raggiunto un accordo con Eurnova sul nuovo stadio della Roma a Tor di Valle.
Contento perchè “il ponte sul Tevere si farà lo stesso”.
Di Maio dimentica però di dire che quel ponte sul Tevere non è quello previsto dal progetto dello stadio a Tor di Valle ma un altro — il Ponte dei Congressi dell’Euro — che è stato finanziato con fondi pubblici.
Quanti? Il Governo nel 2015 aveva stanziato 145 milioni di euro all’interno nel decreto «Sblocca Italia» e la costruzione dell’opera era stata approvata dalla giunta dell’ex sindaco Ignazio Marino nel giugno del 2015.
Ad essere invece tagliato dal progetto dello stadio è il ponte aggiuntivo sul Tevere e la bretella di collegamento sulla Roma-Fiumicino.
Opere che invece avrebbero dovuto essere a carico dei privati.
I nuovi ponti previsti erano due, ne sarà fatto soltanto uno, peraltro con i soldi stanziati da Renzi.
E c’è un problema: il progetto dei Ponte dei Congressi — che avrebbe dovuto collegare la Nuvola di Fuksas (quella che non piace alla Raggi) all’aeroporto di Fiumicino — è stato bocciato il 15 dicembre 2016 dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici con un parere datato 20 gennaio 2017:
La realizzazione del Ponte dei Congressi, la viabilità accessoria, la sistemazione delle banchine del Tevere e l’adeguamento del ponte della Magliana deve essere rivisto, modificato e integrato nell’attuale fase di progettazione definitiva e comunque prima dell’attivazione delle procedure di affidamento dei lavori.
Il Consiglio Superiore ha anche rilevato che la realizzazione dell’opera necessità di una variante del Piano Regolatore Generale del 2008 (musica per le orecchie di coloro che ritengono che i PRG siano intoccabili).
Quando era assessore Paolo Berdini riteneva di poter ridurre le cubature (e quindi le opere pubbliche a compensazione) giocando sul fatto che il ponte che Eurnova avrebbe costruito a sue spese sarebbe stato un doppione non necessario di quello dei Congressi che si costruirà a poco circa due chilometri più a nord (e 800 metri prima dello stadio) di quello previsto dal progetto Tor di Valle.
La bocciatura allontana ancora di più la costruzione del Ponte dei Congressi, che le Amministrazioni capitoline sognano più o meno da quando erano sindaci Veltroni e Rutelli ovvero più di 15 anni fa.
Ed è vero che il Comune non avrà bisogno dei soldi dei privati per costruirlo, il problema è che ora che il progetto dovrà essere presentato nuovamente e che il ponte non sarà costruito prima del 2020 o del 2022.
C’è però da rilevare che non sarebbero stati costruiti tutti e due i ponti (quello “dello stadio della Roma” e quello dei Congressi) visto che i due progetti erano alternativi l’uno all’altro.
Ovviamente far costruire il ponte dai privati avrebbe consentito un notevole risparmio per le casse pubbliche (non di Roma, ma di tutti i cittadini italiani).
Il Comune invece ritiene che sia possibile attingere a fondi statali.
Il punto è che per non perdere i soldi stanziati dallo “Sblocca Italia” è necessario avviare i cantieri la cui apertura era stata inizialmente prevista per il 31 agosto 2015. Il Governo ha già concesso una proroga di quattro mesi ma anche quella è scaduta perchè i lavori avrebbero dovuto essere iniziati entro la fine del 2015.
Come abbiamo spiegato però, l’unica infrastruttura finanziata con soldi pubblici — statali — è il Ponte dei Congressi il cui progetto è fermo perchè è stato bocciato, tutte le altre opere a compensazione che saranno tagliate non si faranno, nè con i soldi dei privati nè con quelli del Comune di Roma.
Sarebbe opportuno che Di Maio spiegasse di quali opere pubbliche parla e di come sarà risolta la questione del Ponte dei Congressi, quella sì interamente in mano all’Amministrazione capitolina di Virginia Raggi e del futuro assessore all’Urbanistica di Roma Capitale.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
MA LA RAGGI NON AVEVA DETTO CHE IL PROBLEMA DELLE BUCHE ERA STATO RISOLTO?… UN CONSIGLIO AI ROMANI: FATEVI UNA POLIZZA (DA QUELLE PARTI VA DI MODA)
È precipitato in una voragine di un cantiere, coperta – a quanto pare, non del tutto – solo da una lastra di metallo lasciata dagli operai dell’area a protezione della buca.
E all’incrocio tra via Gioberti e via Amendola, a due passi dalla stazione Termini e quindi in pieno centro storico.
È accaduto prima delle 8, in mezzo al traffico capitolino: la bicicletta di un 52enne è finita con la ruota anteriore proprio all’interno della voragine.
Sul posto, oltre al 118 che l’ha portato in codice giallo all’Umberto I, anche gli agenti del I Gruppo Trevi della polizia locale: non è al momento chiaro se la lastra, che era mal posizionata, si sia spostata lasciando libero uno spazio dove si è infilata una ruota della bicicletta al passaggio dell’uomo o se si sia spostata al passaggio del ciclista. Sono infatti in corso accertamenti per determinare la responsabilità del cantiere.
E’ solo uno dei tanti episodi che possono accadere nella capitale d’Italia e al centro delle polemiche da mesi.
La Raggi aveva garantito che il problema delle buche era stato affrontato e risolto.
Forse per i romani è meglio stipulare una polizza…
(da agenzie)
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
SALTANO LE OPERE PUBBLICHE PREVISTE NEL PRIMO PROGETTO
Venerdì in tarda serata Virginia Raggi insieme a Mauro Baldissoni si sono presentati di fronte alla stampa assiepata in piazza del Campidoglio per annunciare il nuovo accordo tra il Comune e la Stadio TDV SPA (i famosi proponenti) sul nuovo impianto di proprietà della società capitolina.
Da quel momento in poi si è riacceso il focolaio delle polemiche e con esso sono state sparate (da tutte le direzioni) un quantitativo di fandonie da far accapponare la pelle. Facciamo allora un po’ di chiarezza con quello che sappiamo oggi (27/02/2017) su come cambia il progetto.
Preciso che non essendo ancora stato presentato alcunchè di ufficiale ci rifacciamo alle dichiarazioni dei diretti interessati.
Innanzitutto la sindaca ci informa che la cubatura del Business Park (la pietra dello scandalo fin dal principio) è stata ridotta del 60% la cubatura totale è stata dimezzata; questo significa in soldoni che si è passati da 1.100.000 mc a circa 583.000mc; considerando che 358.000 mc circa sono da PRG abbiamo che la cubatura a compensazione si aggira sui 225.000 mc (un po’ meno); che equivalgono a circa 70.000 mq di SUL e quindi 57 mln circa di OOPP aggiuntive (invece di 195 mln).
Alcuni giornali parlano di opere a compensazione per 90 mln; in questo caso però la SUL sarebbe 112.000 mq (circa) che corrispondono a 358.000 mc a compensazione.
Staremo a vedere, quando usciranno i progetti finali, la realtà .
Questi soldi in meno andranno, come logico che sia, a pesare sulle minori OOPP; voci accreditate parlano del taglio del Ponte (con relativo collegamento al Roma Fiumicino) e il sottopasso di Via Dasti; questo creerà certamente nocumento per quanto riguarda la viabilità della zona.
Per quanto riguarda le Torri le stesse voci di cui sopra parlano di sostituzione con palazzi (di cui si ignorano numero e altezza) firmati sempre da Libeskind (preservando almeno la qualità dell’opera).
Dando per buoni i dati esposti, la Roma, o meglio la Stadio TdV Spa, è il vincitore assoluto della contesa; a fronte di un minor investimento, e quindi di un minor rischio, vede il suo core business rimanere intatto.
Nonostante la vulgata dicesse diversamente l’obiettivo di business per Pallotta e soci era ed è sempre stato lo Stadio e il centro commerciale annesso (Convivium).
Le Torri erano state accettate per far fronte alla mole enorme di OOPP richieste dall’amministrazione Marino; liberandosi di queste il proponente rimane con le sole, o quasi, opere che portano guadagno, cioè quelle che gli interessano.
I cittadini di Decima possono, a ragion veduta, essere infuriati.
Le opere di viabilità che saltano renderanno, con ogni probabilità , la vita impossibile ai cittadini. Acquistano un parco, la sicurezza del fosso di Vallerano e il raddoppio della Via del Mare; ma si poteva, oggettivamente, fare meglio.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
BUSH LO ATTACCA: “LA STAMPA E’ INDISPENSABILE PER LA DEMOCRAZIA, IL POTERE PUO’ CREARE DIPENDENZA ED ESSERE CORROSIVO”
Le scelte dell’amministrazione Trump continuano a far discutere.
Dopo l’attacco ai giornalisti e all’Fbi (agenzia che per Trump starebbe mettendo a “repentaglio i delicati equilibri nazionali attraverso una serie di rivelazioni, in particolare legate alla discussa relazione con la Russia di Putin”) sulla scia della sua personale guerra ai media la Casa Bianca ha deciso di aumentare le misure di sicurezza per evitare le fughe di notizie e ha avviato controlli a campione dei cellulari degli uomini dello staff
Lo rivelano i giornali americani, raccontando un episodio indicativo accaduto la settimana scorsa nella West Wing: il portavoce, Sean Spicer, ha convocato a sorpresa il suo gruppo di lavoro per una riunione “urgente”; e, quando erano tutti presenti, dopo aver manifestato il suo disappunto e la sua frustrazione per il fatto che sui giornali erano trapelate notizie ‘sensibili’ uscite da una riunione di panificazione, ha chiesto ai suoi collaboratori di poggiare sul tavolo gli ‘smartphone’, compresi quelli privati.
Un controllo dei telefoni per dimostrare che non avessero nulla da nascondere, nè contatti telefonici con giornalisti ‘sospetti’
Alla scena, che ricorda il film “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese in cui i protagonisti condividono sms e chiamate in un gioco che si rivela di grande imbarazzo per tutti, erano presenti gli avvocati della Casa Bianca, ha riferito Politico.
Spicer ha avvertito i presenti che l’utilizzo di applicazioni di messaggistica istantanea come Confide -che è criptata e ha un sistema di screenshot protetto che elimina automaticamente i testi dopo il loro invio- o anche Signal, altro sistema di messaggistico criptato, rappresenta una violazione della legge di tutela dei Presidential Records, che richiede la conservazione dei documenti presidenziali anche a futura memoria.
La caccia per capire da dove provengano le fughe di notizie ha creato un clima molto teso nella West Wing: durante la riunione, Spicer ha più volte rimproverato i collaboratori, lanciando anche pesanti invettive.
Ma ormai il clima nella capitale, sempre più nervosa e divisa, è tale che, secondo Politico, c’è una corsa ai messaggi criptati un pò in tutta l’amministrazione Trump.
Al termine, Spicer ha messo in guardia dal non far filtrare notizie sulla riunione, nè sul fatto che erano stati controllati i cellulari, ma anche stavolta la notizia è trapelata.
ANCHE BUSH CONTRO TRUMP
Nel frattempo, a dare un’ulteriore spallata alle decisioni di Trump dopo l’allontanamento in conferenza stampa di Cnn, Nyt e altri, arriva a sorpresa anche l’ex presidente repubblicano George W Bush.
“Il potere può creare dipendenza e può essere corrosivo. E’ importante che i media mettano questa gente davanti alle proprie responsabilità ”.Dice l’ex presidente n un’intervista alla Nbc, attaccando il presidente Donald Trump, anche lui repubblicano. “I media sono indispensabili per la democrazia”, aggiunge l’ex inquilino della Casa Bianca.
(da agenzie)
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
IN ITALIA OLTRE 200 RICHIESTE… 10.000 EURO PER MORIRE IN 10 MINUTI… OLANDA PRIMA AD AUTORIZZARE IL SUICIDIO ASSISTITO
Sono 232 le persone che, dal 2015, si sono rivolte all’Associazione Luca Coscioni per chiedere informazioni su come ottenere l’eutanasia all’estero: di queste, 115 si sono poi effettivamente rivolte a cliniche in Svizzera ma alcuni tra questi malati hanno poi cambiato idea.
A rendere noti gli ultimi dati in merito alla richiesta della ‘dolce morte’ è il segretario dell’Associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo.
Numeri in crescita anche secondo il presidente dell’Associazione Exit-Italia, Emilio Coveri, che sottolinea come “in media, sono circa 50 l’anno gli italiani che chiedono e in molti casi ottengono il suicidio assistito in Svizzera”.
La ‘dolce morte’ ottenuta oggi da dj Fabo, dal momento di attivazione delle procedure mediche e farmacologiche, richiede circa 10 minuti.
E’ però sulla base di un preciso protocollo previsto dalla legge svizzera sulla “Morte Volontaria Assistita” che il paziente può arrivare a porre fine alla sua vita.
Il primo passo, spiega Coveri, prevede l’attivazione dei contatti con la struttura sul territorio svizzero e l’invio della documentazione medica che attesti la patologia da cui la persona è affetta. Dopo l’accettazione da parte della struttura è previsto un colloquio con il medico che accompagnerà alla fine il soggetto.
Per legge, il medico è tenuto a far desistere il paziente che lo ha richiesto dall’atto finale e, quindi, reiteratamente chiederà alla persona se vuole terminare i suoi giorni oppure vuole rimandare il tutto ad un altro momento.
Il soggetto, sottolinea Coveri, può sempre cambiare idea e potrà fare ritorno a casa.
Se invece si vuol proseguire nell’intento, il medico incontrerà nuovamente il paziente e ripeterà la richiesta se davvero si vuole procedere.
L’atto di accompagnamento alla ‘dolce morte’, chiarisce il presidente di Exit Italia, “consiste nella preparazione di una dose letale a base di Pento Barbital di Sodio. Precedentemente, al paziente vengono somministrate due pastiglie antiemetiche (antivomito) in modo da poter assorbire meglio il composto chimico. A questo punto, il medico, ancora una volta, chiederà di desistere, ma nel caso in cui la persona voglia procedere, verserà la dose letale in un bicchiere di acqua per poterla sciogliere”.
E’ “assolutamente indispensabile – afferma Coveri – essere in grado di intendere e volere in quel momento e soprattutto poter essere in grado di prendere il bicchiere in mano e poterlo bere deglutendo il composto disciolto in esso.
Per i malati di Sclerosi laterale amiotrofica tracheotomizzati, a cui è stata applicata la PEG, ossia il sondino che porta qualsiasi tipo di nutrizione o liquido direttamente nello stomaco, tale dose verrà introdotta direttamente come se fosse una bevanda qualsiasi”.
In pochi minuti, rileva, “il paziente si addormenta profondamente, in quanto tale composto contiene una forte dose di sonnifero. Nei minuti successivi, con il paziente addormentato e che non può percepire più nulla, interverrà l’arresto cardiaco, in quanto la dose letale è composta anche dal cloruro di potassio che fa in modo che il cuore si fermi”.
Complessivamente, dalla somministrazione del composto di farmaci alla fine, sottolinea Coveri, “il tempo necessario è di poco più di dieci-quindici minuti”.
Il costo complessivo per ottenere il suicidio assistito in una struttura svizzera, conclude, “è di circa 10mila euro”.
L’EUTANASIA NEL MONDO
Sono 4, secondo gli ultimi aggiornamenti del Centre d’information sur l’Europe, i Paesi europei che hanno legalizzato il suicidio assistito e l’eutanasia attiva.
A Svizzera, Olanda, Belgio e Lussemburgo si aggiungono, nel resto del mondo, Cina, Colombia e Giappone.
Ecco alcuni esempi delle legislazioni nei diversi Paesi.
OLANDA – La prima legge che legalizza l’eutanasia e’ stata approvata nell’aprile del 2001 in Olanda, che diventa il primo paese al mondo a consentire eutanasia e suicidio assistito.
BELGIO – La legge che legalizza l’eutanasia e’ entrata in vigore nel settembre 2002. E’ legale anche l’eutanasia sui minori.
LUSSEMBURGO – La normativa e’ entrata in vigore nel marzo 2009. Prevede che non venga sanzionato penalmente e non possa dar luogo ad un’azione civile per danni ”il fatto che un medico risponda ad una richiesta di eutanasia”.
SVEZIA – Nell’aprile 2010 l’autorita’ nazionale da’ il via libera all’eutanasia passiva (con interruzione-omissione di trattamenti medici). L’eutanasia attiva e’ proibita
SVIZZERA – Nel Paese elvetico la legge consente l’aiuto al suicidio se prestato senza motivi “egoistici”. Una prestazione garantita anche ai cittadini stranieri.
GERMANIA – La Corte di giustizia tedesca si e’ espressa nel giugno 2010 a favore dell’eutanasia passiva. Pur non essendoci una legge specifica anche l’eutanasia attiva e’ ammessa se e’ chiara la volonta’ del paziente.
SPAGNA – Sono ammessi eutanasia passiva e suicidio assistito, ma non l’eutanasia attiva.
DANIMARCA – In Danimarca sono ammesse solo le direttive anticipate di trattamento. FRANCIA L’eutanasia attiva e’ vietata, mentre e’ parzialmente ammessa quella passiva.
GRAN BRETAGNA Anche l’aiuto al suicidio e’ perseguito per legge, come ogni forma di eutanasia, ma un giudice puo’ autorizzarlo in casi estremi.
RESTO DEL MONDO
Nel resto del mondo l’eutanasia e’ ammessa in Cina negli ospedali, mentre in Colombia e’ legale dal 1997. Nei paesi occidentali il piu’ tollerante e’ l’Oregon, negli Usa, che l’ha ammessa anche in questo caso nel 1997 e la permette anche in caso di depressione dei pazienti. Successivamente hanno adottato legislazioni simili Vermont, Washington e Montana. In Canada, patria di uno dei film piu’ famosi su questo tema, ‘Le invasioni barbariche’, una legge che la legalizza e’ stata bocciata e la situazione varia da provincia a provincia.
Altri paesi, fra cui l’Australia, non ammettono l’eutanasia ma consentono le direttive anticipate di trattamento.
In Giappone quando un paziente vuole accedere all’eutanasia viene avvicinato da una equipe che lo aiuta a prendere una decisione
(da agenzie)
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
ERANO INSIEME DA DIECI ANNI E INSIEME HANNO PROVATO OGNI POSSIBILE CURA…”EGOISMO E’ VOLERLO TENERE QUI TRA NOI”
È stata la sua voce quando lui, cieco e paraplegico, di voce ormai non ne aveva più. La sua compagna inseparabile, quella che gli bagnava le labbra di sambuca perchè a lui piaceva sentirne il sapore, che smontava le ruote della sedia a rotelle quando non entrava in ascensore, che ha sostenuto fino all’ultimo la sua battaglia per dire addio in modo dignitoso.
Lei, Valeria, era la fidanzata di dj Fabo, 40enne che ha scelto l’eutanasia, ma è stato costretto a morire lontano dall’Italia, in una clinica svizzera dove è arrivato, ha detto nell’ultimo messaggio, “con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato“.
Nel 13 giugno 2014 un incidente lo ha costretto al buio e su un letto. Al suo fianco sempre lei, sempre insieme. Dall’India, dove hanno vissuto insieme 5 anni, all’eterno letto dove era costretto a Milano.
Valeria, sempre e solo col suo nome. Una presenza che sui giornali esisteva soltanto per supportare la battaglia di lui, per fare la sua portavoce, spiegare le sue ragioni. “Fabiano è sempre stato molto libero di poter scegliere nella sua vita — aveva detto lei a Radio24 — e altrettanto vorrebbe fare fino alla fine, visto la sofferenza in cui vive. Fabiano parla di qualità di vita, non di quantità . E sopravvivere in quantità non rispecchia il suo concetto di vita”.
Insisteva sulla volontà del fidanzato, che era diventata anche la sua, dopo il videomessaggio indirizzato al presidente della Repubblica, per chiedere una legge sul fine vita e mettere fine le sue sofferenze.
Voleva morire nel suo Paese, a casa sua, circondato dagli affetti di una vita, ma non ha potuto.
Era lei — che non lo ha seguito in Svizzera perchè, come Marco Cappato, potrebbe rischiare fino a 12 anni di carcere — che nel video ripercorreva con la sua voce la vita e la vitalità di Fabo, l’incidente e i disperati tentativi di trovare una cura, una riabilitazione che potesse funzionare.
Raccontava il buio che lo aveva travolto perchè venisse ascoltato il suo dolore.
Lui, davanti alle telecamere delle Iene, la chiamava “il mio angelo custode”, mentre lei lo accarezzava, gli sorrideva.
Mostrava le foto attaccate alle pareti della sua camera: quelle dov’era in India, dove fa il dj, dove era vestito da donna.
Circondato dai ricordi che non poteva più vedere. Raccontava che lei lo aveva “ciulato” (rubato, ndr) a una sua amica a cui piaceva, che la loro storia dura da una decina d’anni e che lei non è proprio buona.
“Insomma — diceva Fabo — quando russavo mi infilava le dita nel naso”.
Lei rideva, lui non riusciva, ma rispondeva divertito alle domande e alle richieste di ricordare.
Avvertiva Giulio Golia delle Iene di fare solo “quattro chiacchiere con Valeria“, facendo affiorare un chiaro e bonario istinto di gelosia, mentre lei sistemava il respiratore, le garze, il mobile con tutto quello che a Fabo serviva ogni giorno, ogni istante dal 2014.
È consapevole, lucida. Descriveva le sue contrazioni, i “dolori allucinanti” alle gambe e alle braccia, la contusione midollare che la medicina non riesce a curare.
Insieme le hanno provate tutte: cure ufficiali, cure sperimentali. E quando la speranza di guarire è finita lei non ha potuto più raccontargli altro.
Lei lo sapeva, quanto Fabo: lui stava sopravvivendo, non vivendo. Che la vita era un’altra cosa. Che sostenerlo nella sua battaglia era tutto tranne che qualcosa di egoistico.
Pensare soltanto a sè era volerlo tenere qui per forza, dentro il buio degli occhi e del corpo dove era stato rinchiuso.
“Qualifico la vita in qualità e non in quantità . Andrò via col sorriso, andrò via libero”. Lei lo ha aiutato a lasciare quella gabbia.
Eleonora Bianchini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
“ALLE 11.40 SE N’E’ ANDATO CON LE REGOLE DI UN PAESE CHE NON E’ IL SUO”… “PER MORIRE CON DIGNITA’ BISOGNA EMIGRARE, PERDONACI”
“Fabo è morto alle 11.40. Ha scelto di andarsene rispettando le regole di un Paese che non è il suo”. Con queste parole Marco Cappato, dell’associazione Luca Coscioni ha annunciato il decesso di Fabiano Antoniani, 40 anni compiuti il 9 febbraio scorso, il dj cieco e tetraplegico “immobilizzato in una lunga notte senza fine” in seguito a un grave incidente stradale.
Dopo anni di terapie senza esito, Fabo aveva chiesto alle Istituzioni di intervenire per regolamentare l’eutanasia e permettere a ciascun individuo di essere libero di scegliere fino alla fine.
Di qui un video-appello al presidente della Repubblica, realizzato grazie all’aiuto della sua fidanzata e dell’Associazione
“Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e lo ringrazierò fino alla morte. Grazie Marco. Grazie mille”, era stato il suo ultimo messaggio arrivato via Twitter, attraverso l’associazione Coscioni, di Fabo che parlava dalla Svizzera dove era ricoverato in una clinica per ricevere il suicidio assistito.
Oggi era in programma un’ultima visita medica e psicologica per confermare la sua volontà . Con Fabo c’era Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che attraverso il social aveva risposto risponde: “Grazie a te Fabo”.
“Fabo è libero, la politica ha perso”, hanno detto Marco Cappato e Filomena Gallo della Associazione Luca Coscioni.
“L’esilio della morte è una condanna incivile – affermano – Compito dello Stato è assistere i cittadini, non costringerli a rifugiarsi in soluzioni illegali per affrontare una disperazione data dall’impossibilità di decidere della propria vita morte. Chiediamo che il Parlamento affronti la questione del fine vita per ridurre le conseguenze devastanti che questo vuoto normativo ha sulla pelle della gente”.
Cappato “rischia 12 anni di carcere”, ha detto a Sky Tg24 Filomena Gallo che ha sottolineato come Cappato si sia “preso la responsabilità ” di tale atto e ha ricordato come molti malati siano “costretti ad emigrare per ottenere l’eutanasia e ciò è discriminatorio anche per i costi che ciò richiede, fino a 10mila euro”.
“Fabiano era un uomo circondato dall’amore, l’amore della fidanzata, della famiglia, degli amici sempre presenti. Ma non ne poteva più, non riusciva più a vivere in quelle condizioni – ha aggiunto Gallo più tardi – Fabo è morto un’ora fa e siamo ancora sconvolti. Ce lo aspettavamo, certo, ma è triste che un italiano debba andare all’estero per affermare la propria libertà “.
Fabo, dal suo primo appello a Mattarella era diventato un simbolo: “Ha voluto lui così, ci ha cercato e ha scelto di condurre una battaglia pubblica. Ha chiesto l’aiuto di Marco Cappato per arrivare in Svizzera, per affermare il diritto inalienabile alla libertà individuale”.
Anche di fronte, attacca Gallo, “a un Parlamento che sceglie di non scegliere, che neanche discute le proposte di legge per l’eutanasia legale, e costringe un italiano ad andare a morire da solo, senza il suo Stato”.
Le ultime parole di Fabo sono state comunque di gioia: “Ci ha detto che si sentiva finalmente libero, e ci era arrivato con le sue forze, con la sua tenacia, la sua dignità “.
“Sono tanti – ha spiegato Gallo – gli italiani che ci chiedono informazioni su come fare: dal 2015 sono stati 225. Di questi, 117 hanno deciso di andare in Svizzera. Non tutti sono morti: alcuni, dopo i test che hanno dato il nulla osta dei medici, hanno scelto comunque di rientrare in Italia. Avuta la certezza che si può fare, hanno deciso di pensarci ancora”.
“Non solo per lavorare con dignità , ma anche per morire con dignità bisogna emigrare dall’Italia. E Fabo è morto in esilio perchè il suo Paese, il nostro Paese, non ha ascoltato il suo appello”, scrive su Facebook, Roberto Saviano dopo l’annuncio della morte di dj Fabo.
Cappato, in un video pubblicato sulla sua pagina Facebook, spiega come in Svizzera non si pratichi eutanasia a chiunque lo chieda, ma c’è assistenza medica che valuta le condizioni che effettivamente consentano di accedere alla morte volontaria. In Svizzera, appunto. In Italia, invece, nel Paese di cui parlar sempre bene, tutti sordi all’appello di Fabo. Questa è l’Italia, una bella cartolina. Un Paese in cui la vita deve scorrere senza impedimenti di sorta, senza intoppi apparenti”.
“Tu Fabo hai potuto chiedere di finire la tua vita con umanità e hai potuto farlo con la tua voce – sottolinea Saviano -. Ti abbiamo sentito distintamente chiedere una morte dignitosa, non esiste giustificazione possibile al silenzio che hai ottenuto in risposta. Non esiste giustificazione e urgenza possibile per la mancanza di empatia, di attenzione e di umanità del Parlamento e del Paese in cui ti è toccato in sorte di nascere e dal quale sei stato costretto ad auto esiliarti per morire. Perdonaci per aver reso la religione che crediamo di osservare talmente vuota da non saper più riconoscere un Cristo quando lo abbiano di fronte”
“In Italia la libertà di scelta è violata. I continui rinvii del parlamento sul testamento biologico evidenziano una mancanza di volontà politica a riconoscere e affermare i diritti delle persone. Rendere impossibile l’eutanasia significa violare il diritto più importante: quello di decidere della propria vita e porre fine al proprio dolore”, aveva scritto Saviano in mattinata. “Ancora una volta il Parlamento italiano dimostra di non essere all’altezza dei suoi compiti”.
(da agenzie)
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
L’ULTIMO NATO E’ DEMOCRATICI E PROGRESSISTI: IL PD AL CONTRARIO
Le bizzarrie sono già state sottolineate. E cioè, chiamare un nuovo partito Dp, in semplice inversione delle lettere del partito da cui ci si è scissi, il Pd.
E chiamarlo come Democrazia proletaria, la creatura di rimpatrio di cento sigle comuniste nata nel 1975, di cui il sessantottino Mario Capanna fu leader nella fase finale.
Non è soltanto la collocazione ideologica rievocata, senza molti altri appigli, e il successo di consenso, visto che quella Dp si barcamenò per un decennio fra lo 0.2 e l’1.6 per cento: fosse tutto qui, saremmo in zona strano ma vero.
È il nome in sè, Democratici e progressisti, a denunciare la stanchezza e la vaghezza delle idee diffuse nella politica italiana.
Da tempo anche le fonti battesimali sono sempre le stesse, secondo l’usanza: c’è stato il tempo dei vegetali (querce, margherite, ulivi), il tempo ancora attuale del centro orfano della Dc (Centro cristiano democratico, Unione di centro, Centro democratico), e il tempo che non finisce mai in cui ci si vergogna di usare il termine «partito», come se definirsi altro fosse di per sè una garanzia di estraneità alla palude.
E così i Democratici e progressisti non sono un partito ma un Movimento, come i Cinque stelle ma anche come il Movimento italiani all’estero e il Movimento la Puglia in più, tutti così presi dalla folgorazione movimentista da dimenticarsi il progenitore toponomastico: il Movimento sociale italiano, erede del fascismo.
Altra moda è la doppietta: Democratici e progressisti, come Civici e innovatori (dalla frantumazione di Scelta civica), come Libertà e diritti (partito arcano del Gruppo misto), e soprattutto Conservatori e riformisti (dalla scissione di Raffaele Fitto da Forza Italia), che più di altri portano l’evidenza dell’ossimoro: conservare e riformare.
E se non c’è ossimoro, sembra esserci la necessità di ampliare la proprie ambizioni, in realtà smisurate, per darsi un tono.
Libertà e diritti non vuole dire assolutamente niente di quello che si è e si vuole propugnare: la libertà e i diritti stanno a cuore a chiunque; sarebbe stato già più interessante un partito – pardòn, movimento – che si fosse chiamato Libertà e doveri. Democratici e progressisti è un carta d’identità senza confini in una democrazia in cui, per di più, c’è il Partito democratico, la Democrazia solidale, il Centro democratico.
È che nascono formazioni una settimana sì e una settimana no, figlie di divisioni incomprensibili (per fortuna, perchè quando le si comprende è peggio), che si buttano nell’anagrafe partitica prendendo una parola qui e una là , sempre le stesse: Area popolare, Azione popolare, Alleanza liberalpopolare, Alleanza nazionale, Alleanza per l’Italia, di modo che è diventato impossibile per chiunque, persino per topacci di palazzo, ricordare chi appartenga a un gruppo e in che si distingua dagli altri.
Ultimamente va molto forte la dichiarazione di italianità , che per un partito italiano dovrebbe darsi per acquisita: da Forza Italia a Fratelli d’Italia, oltre ad Alleanza per l’Italia, passando da Insieme per l’Italia, Centristi per l’Italia e naturalmente Sinistra italiana che apre l’infinito capitolo del titolo Sinistra, in mano per tutta la legislatura a Sinistra ecologia e libertà .
Ma negli anni abbiamo avuto il Partito democratico di sinistra, i Democratici di sinistra, Sinistra democratica, Sinistra arcobaleno, e mille sinistre ancora.
Insomma, oggi se si fonda un partito e si cerca di passare inosservati, è necessario prendere un paio dei seguenti termini – sinistra, Italia o italiano, democrazia, libertà , popolo o polare, progressisti o riformisti – associarli più o meno a caso – Popolo riformista, Democrazia e libertà , Italia progressista, Progresso popolare – e sperare che il copyright non sia già stato depositato. È proprio questo il punto: se non sai chi sei non riesci a definirti, e se sei nato a caso ti definisci a caso.
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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