Febbraio 19th, 2017 Riccardo Fucile
ORA SI ERGE A DIFENSORE DEGLI STIPENDI DEI CALCIATORI DEL MESSINA, MA A LIVORNO LICENZIO’ I GIORNALISTI, FREGANDOSENE DI PAGARE LORO GLI ARRETRATI
Quando Cristiano Lucarelli decise di chiudere il giornale dove lavoravo, il Corriere di Livorno, non sprecò il suo tempo per presentarsi in redazione a dircelo.
Mandò una specie di commercialista che gli faceva da specie di braccio destro e credeva di essere un manager ma era solo una specie di galoppino.
Molti di noi dovevano avere stipendi arretrati, in qualche caso fino a 6 o 7. Insieme agli arretrati, sparì anche Lucarelli, come Houdini, anzi era già sparito da un pezzo. Non si presentò a un solo incontro di quelli richiesti dai sindacati e dalla politica della mia città , sia pure riluttante perchè sempre così attenta a non rovinare troppo i legami vecchi e nuovi.
Così Lucarelli se ne fregò degli arretrati che ora invece pretende per i calciatori che allena a Messina, con poco successo come sempre gli è accaduto finora.
Perchè vi racconto questa storia? Perchè ve la racconto in prima persona, poi, con uno strappo alla regola di buona creanza che prova a rispettare chi fa il cronista?
Perchè quella di Lucarelli è la perfetta fake news e io mi ci sono ritrovato dentro. Anzi, è una perfetta fake news seriale, perchè i giornali continuano a raccontarla sempre allo stesso modo, nonostante sia il modo sbagliato. Cioè dimenticando, rimuovendo pezzi. Per indolenza o per non rovinare la storia “perfetta”.
A volte forse lo ha fatto anche questo giornale e forse l’ho fatto io stesso.
Su Lucarelli, invece, l’ha fatto Repubblica, riproponendo la retorica ormai logora del calciatore “comunista mai pentito”, “pecora nera del calcio”, “senza peli sulla lingua”, “mai banale”, “mai cambiato” che manifesta a Messina per i suoi calciatori che non riscuotono.
Una storia costruita con il libro che celebrò il suo rifiuto al Torino per restare a Livorno, rinunciando a un miliardo di lire. Tenetevi il miliardo, si intitolò il libro.
Storia bellissima, se fosse credibile: il “comunista mai pentito” l’ha già vissuta quella storia di Messina, ma a parti invertite.
Lui era il padrone del giornale che quando la casa ha cominciato a bruciare si è messo al riparo.
Padrone, sì, anche se — come ricorda sempre — a un certo punto ha smesso di avere cariche. Ha continuato a tenere lì chi gestiva (male) l’azienda, ha nominato tre direttori, ha più volte minacciato di “tirare giù la saracinesca”, com’era solito dire mimandola con lo stesso pugno chiuso che gli ha dato la celebrità .
E infine è lui che ha deciso la chiusura del giornale. Il pronome “lui” va inteso per estensione, nel senso che lì dentro sono compresi i suoi reggicoda, quelli a cui ha delegato i vari rami delle sue aziende.
Fu a suo nome che in redazione si presentò lo spicciafaccende usato anche per i suoi affari in porto che — intorno alle 20, mentre stavamo per chiudere l’edizione del giorno dopo — ci comunicava la messa in stato di liquidazione (nel senso che l’avevano già decisa) pur non ricoprendo alcun incarico nell’azienda.
Lucarelli chissà quante volte ce lo aveva detto: “La situazione è questa. Chi non ci vuole stare è libero di andarsene”, concedendoci la possibilità di licenziarci da un posto in cui non ci pagavano. “Se non vi va bene, veniteci voi”, sbottò una volta. “Dimezziamo gli stipendi”, improvvisò un’altra volta.
“Ho chiesto se potevamo mettervi in cassa integrazione, ma mi hanno detto che non si può”, si lamentò in un’altra occasione. E poi ci riprovò dicendo che ci avrebbe “autorizzato” ad usare la testata di cui era proprietario, invece di provare a venderla a chi l’editore gli riusciva farlo.
I sindacati gli spedirono una raccomandata con ricevuta di ritorno in cui lo lo invitavano a un tavolo per un confronto sugli stipendi arretrati e sull’eventuale futuro della testata. L’invito non ha mai avuto una risposta.
Un paio di volte (o tre, o cinque, o dieci volte, fa differenza?) c’ha provato: il giornale è di una cooperativa, diceva, gestitevelo da soli. Ma appariva strano sentirselo dire dopo. Dopo: quando i bilanci piangevano rosso, le copie scemavano, l’incompetenza di chi aveva deciso di fare impresa aveva lasciato già il suo solco indelebile.
Tra i soci della cooperativa (finti) c’ero anch’io e non partecipai a nessuna riunione per decidere la chiusura del giornale, mentre negli anni precedenti diversi bilanci furono approvati con la mia firma senza che fossi presente a riunioni che si sono rivelate fantasma.
Per questo motivo uno dei collaboratori di Lucarelli, presidente della cooperativa, ha patteggiato 6 mesi per falso in scrittura privata in tribunale.
Lucarelli fu così indignato da questo comportamento che, dopo che il giornale è chiuso, gli ha trovato un posto di lavoro nell’impresa portuale che ora è male in arnese e con i lavoratori in cassa integrazione.
Nei giorni in cui si celebra Roberto Baggio, è giusto rimettere i personaggi nelle loro categorie, nel calcio e nella vita.
Non è vero che si è tutti uguali. Ci sono i fuoriclasse che restano tali fuori dal campo e poi ci sono quelli che danno le pedate al pallone ma sarebbe bene finirla lì.
Probabilmente il mio vecchio datore di lavoro che mostrò la maglietta del Che darà ancora la colpa al giorno in cui gli scioperai contro.
Era il dicembre del 2008 e il giornale aveva poco più di un anno: aveva licenziato il primo direttore e l’assemblea di redazione votò all’unanimità l’agitazione. Lucarelli l’imprenditore fece richiamare una serie di colleghi per far uscire il Corriere. “Scioperate contro i vostri posti di lavoro” ci fu detto. Può darsi.
Ma quel direttore licenziato si chiamava Emiliano Liuzzi e aveva tanti, tantissimi difetti, tanto che avevo spesso la tentazione di “odiarlo”, come mi ritrovai a dire quando ci lasciò per sempre in quel suo modo casinista.
In quei giorni e poi ancora in quelli a venire, tuttavia, non ho mai avuto dubbi su quale parte fosse quella delle persone perbene.
Diego Pretini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 19th, 2017 Riccardo Fucile
RENZI TIRA UN RESPIRO DI SOLLIEVO: MINORANZA SPACCATA, SCISSIONE ARGINATA, PRIMARIE POSSIBILI IL 14 MAGGIO
Un primo momento clou della giornata arriva quando su Raitre Pierluigi Bersani dice di voler attendere la “replica di Renzi” prima di decidere sulla scissione.
In quel momento Matteo Renzi condivide con i suoi la certezza che non avrebbe replicato. “La linea non cambia, quel che avevo da dire l’ho detto in apertura”. Dimissioni da segretario e congresso subito.
Ma tutta l’assemblea del Pd ruota intorno a Michele Emiliano, il governatore pugliese che ieri si è fatto fotografare con gli altri due candidati alla segreteria, gli scissionisti Roberto Speranza ed Enrico Rossi, e oggi invece: “Che fa? Si scinde? Va o resta?”, si chiedono tutti al Parco dei Principi, hotel a due passi dallo zoo di Villa Borghese a Roma.
Per Emiliano le primarie potrebbero slittare di una settimana: dal termine ultimo del 7 maggio al 14 maggio. Non di più, ma abbastanza per tenerlo dentro, confidano i renziani.
Renzi gongola per il risultato raggiunto. Per lo meno, il fronte scissionista si è spaccato.
Anche se a sera Emiliano firma una nuova nota minacciosa con Rossi e Speranza. Al quartier generale renziano la considerano un altro segnale di sbandamento.
Quella di oggi doveva essere l’assemblea della scissione. E’ stata invece l’assemblea che l’ha rimandata, ridimensionata o definitivamente archiviata.
L’ultima parola la dirà la direzione di dopodomani. E’ il termine ultimo per gli scissionisti: dentro o fuori, giacchè la direzione, convocata al Nazareno alle 15, dovrà comporre la commissione congressuale che deciderà le regole con la partecipazione di tutte le aree del Pd. Dentro o fuori.
Eppure al mattino i presagi erano terribili. “Attenzione, sono arrivati per rompere oggi stesso…”.
Dario Franceschini, gran mediatore anti-scissione in questi giorni, arriva con questo avvertimento per il segretario. Davanti all’Hotel Parco dei Principi di Roma si affollano gli oltre 700 delegati, mai così tanti, ressa agli ingressi tra piddini e giornalisti, cameramen e fotografi, Enrico Lucci delle ‘Iene’ vestito da Stalin, divisa sovietica e baffetti: un vero Carnevale della politica.
L’aspettativa era da fine del ‘mondo Pd’. Il partito si presenta all’appuntamento del 19 febbraio così acciaccato che quando il presidente Orfini in apertura di seduta conferma le “dimissioni del segretario” e invita a raccogliere “117 firme se qualcuno vuole candidarsi a segretario”, tutti scoppiano a ridere.
Quasi a volersi liberare dei fantasmi. Il premier Paolo Gentiloni è muto accanto a Renzi, apre bocca solo per cantare l’inno nazionale. Sulle scale tra la sala dell’assemblea e la sala stampa, il vicesegretario Lorenzo Guerini chiede lumi a Rossi: “Parlate?”. “No, siamo qui per ascoltare…”, è la risposta.
Nessuno ci capisce più niente. Però la scaletta è organizzata in maniera tale da scongiurare la rottura.
“La scissione conosce ragioni che il cuore non conosce”. All’inizio sembra che Renzi scarti baci Perugina e ne legga le massime. Un minuto di applausi per lui in aperture. “Fermiamoci!”, chiede, fermo sul suo punto irrinunciabile: il congresso da svolgersi prima che entri nel vivo la campagna per le amministrative di giugno.
E’ furioso con la minoranza, con Bersani, presente in sala: “Peggio della parola ‘scissione’ c’è la parola ‘ricatto’, non è accettabile che si blocchi il partito sulla base di un ricatto della minoranza”. Gli ultrà renziani scoppiano in applausi. Franceschini resta a mani incrociate, sguardo teso.
“Io non accetto che qualcuno pensi di avere il copyright della parola sinistra — continua Renzi — anche se non canto ‘Bandiera rossa’, penso che il Pd abbia un futuro che non è quello che altri immaginano…”.
Ce l’ha anche con D’Alema, il vero motore della scissione, assente al Parco dei Principi: “La sinistra non è come dire capo-tavola è dove mi siedo io…”. E per Emiliano: “Si può dire io non sono d’accordo ma poi ci si misura al congresso…”. Una spolverata di contenuti, tra recupero di Keynes e ambiente, e poi il Lingotto, “ripartire da lì a marzo: grazie Walter per essere venuto qui”.
Ancora con la minoranza: “Avete il diritto di sconfiggerci non di eliminarci”. Chiusura su Joseph Conrad di ‘Linea d’ombra’: “Accogliendo il bene e il male, le rose e le spine, si va avanti. Scusatemi se in questi due mesi abbiamo zigzagato un po’ troppo”. I pasdaran del renzismo si scatenano.
L’assemblea prosegue in accorati appelli all’unità . Si scomoda anche Veltroni che di solito non partecipa: “Era e sarà giusto così”, precisa.
“Ma oggi è mio dovere dire quanto mi sembri sbagliato e ingiusto ciò che sta accadendo: mi appello a tutti coloro con cui abbiamo condiviso la strada affinchè la loro strada non si separi dalla nostra…”.
E via con la cronistoria delle scissioni: “Se il primo governo Prodi avesse proseguito, la storia italiana avrebbe avuto un altro corso…”. Applausi. “La sinistra quando si è divisa ha fatto male a se stessa e al paese…”.
A quel punto il grosso è fatto. Franceschini, ancora convinto sostenitore del premio di coalizione, avverte che il Pd non dialogherà automaticamente con tutti alle politiche, scissionista avvisato… Orlando chiede la conferenza programmatica.
Cui si aggrappa anche Emiliano, “disperato”, come si definisce lui stesso in mattinata. Su di lui si consuma la grande attesa della giornata. Soprattutto dopo che Rossi e Speranza scelgono di non intervenire, affidando il loro messaggio a Epifani, che prende tempo sulla scissione.
Emiliano invece interviene. Ed è già uno strappo.
Gli altri due si arrabbiano, ma il governatore dà sfogo al suo dolore: “Si soffre da matti…”. E via con una serie di giri che in sostanza chiedono a Renzi un appiglio per poter restare nel Pd e accettare la sfida congressuale: “Ci mancherebbe che qualcuno ti dica di non candidarti al congresso…”. Brusio in sala. “Le agenzie di ieri le abbiamo smentite…”. Ancora brusio.
“La saggezza di chi fa politica non sta solo nel tenere il punto, ma qualche volta sta nel fare un piccolo passo indietro per farlo fare in avanti alla comunità . Io sto provando a farlo, ditemi voi quale per la comunità , senza mortificare nessuno”.
Emiliano chiede un po’ di tempo in più affinchè anche gli altri candidati possano “presentarsi al partito…”.
Potrebbe essergli concessa una settimana in più: primarie il 14 maggio. Ma intanto i renziani si sono scatenati in tweet, senza pietà e con l’euforia incredula di chi ancora oggi si sente di poter dire: l’abbiamo quasi sfangata.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 19th, 2017 Riccardo Fucile
GIORNATA TRA INCERTEZZA E COLPI DI SCENA… MICHELE-ZELIG PRESSATO DAI SUOI PER ARRIVARE A MARTEDI’
La parola scissione, innominata fino ad allora, compare in una nota congiunta dei “tre tenori”, alle sette di sera, anche se scaricata su Renzi: “È ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione assumendosi una responsabilità gravissima”. Speranza, Rossi ed Emiliano sottolineano lo sforzo per un “generoso tentativo unitario” di fronte al quale Renzi ha scelto di “non replicare”.
La prossima mossa è che martedì non parteciperanno alla direzione del Pd e dunque nemmeno al congresso. O meglio, questo riguarda di certo Rossi e Speranza.
La posizione di Emiliano (come vedremo) è più articolata.
19 febbraio 2017. Tre anni dopo circa che Renzi salì al Colle con la lista dei ministri del suo governo, col sostegno di tutti.
Era il 21 febbraio del 2014. La scissione è un lungo addio tormentato, rito che si consuma di ora in ora. Presentata come subita per responsabilità di un segretario che non vuole discutere, non come un “ce ne andiamo portando con noi l’onore delle vostre bandiere” (citazione di quella del 1921, al teatro Goldoni di Livorno).
Una scelta tattica, per tenere tutti assieme: i più determinati ma anche i più tormentati e oscillanti.
Due ore prima ecco infatti Michele Emiliano che prende la parola, con voce rotta e tono antitetico rispetto al giorno prima, sul palco di Testaccio.
“Chi ha detto — dice – che Renzi non si deve ricandidare alla segreteria?”. Matteo Renzi, dal banco della presidenza, sorride, lo indica: “L’ha detto lui” sussurra. Intervento atteso, che alimenta la suspense in sala stampa.
Perchè per tutto il giorno si rincorrono le voci su un suo smarcamento dalla Ditta e su un suo autentico tormento. Ci parla Lorenzo Guerini, lo coccola Franceschini. “Michele, resta dentro, non puoi andare con D’Alema”, “Michele c’è spazio, candidati da dentro”.
Lui, Michele, dal palco è l’opposto del giorno prima: “Qui si soffre da matti”, “ho fiducia nel segretario”, “la soluzione è un passo”. Gli sfugge anche un “mi auguro che vinca” (riferito a Renzi), si dice disponibile a un “passo indietro” ditemi voi quale. Poi l’ultimo — così spiegano – appello: “Consegno al segretario la possibilità vera e reale di togliere anche a me ogni alibi al processo di scissione: siete in grado di dare una mano a Renzi a condividere una strada che metta insieme un punto di vista dei tre candidati”.
All’uscita Roberto Speranza stoppa la ridda di voci, ipotesi e dietrologie, spiegando che “Emiliano ha parlato a nome di tutti”.
E dunque non di smarcamento si è trattato ma di tattica, per togliere alibi a Renzi, e fargli interpretare il ruolo del cattivo. Chissà .
A microfoni spenti però serpeggiano malumori su Emiliano vissuto come un novello Zelig, che la settimana prima incontra Berlusconi a pranzo, come ha raccontato il Corriere, poi va a una manifestazione con Bandiera Rossa e in ultimo dice, il giorno della rottura annunciata che l’accordo con Renzi è a un passo, posizione che conferma la narrazione del segretario secondo cui la rottura storica del Pd è questione di cavilli e di date.
Insomma, “c’è modo e modo anche di fare tattica”, “ci vuole anche un po’ di dignità ”.
All’uscita dal Parco dei Principi, Roberto Speranza, nel ruolo di regista, è costretto agli straordinari. Parla prima con Rossi, poi con Emiliano a lungo.
I due si vedono, perchè l’intervento di “Michele” è stato devastante. Un incontro franco e schietto, come si dice in questi casi, per riacciuffare politicamente e mediaticamente la situazione. E impedire che l’addio diventi un groviglio tattico smarrendo una linearità già condivisa.
Riavvolgendo la pellicola a qualche ora prima: di buon’ora giro di telefonate tra i “tre tenori”, Speranza-Emiliano-Rossi, per mettere punto l’ultima mossa prima di uscire: “Se Renzi non fa aperture, parla Epifani a nome di tutti per dire che ognuno a quel punto farà le sue scelte”.
Così accade con l’ex segretario del Pd e della Cgil che, nel suo intervento, sobrio ma tosto, illustra i punti su cui non sono arrivate risposte: durata del governo, inversione di rotta nelle sue politiche su lavoro e scuola, congresso a scadenza ordinaria.
A rafforzare il concetto, Pier Luigi Bersani, ospite di In Mezz’ora, dice: “Renzi ha alzato un muro. Anche se ho sempre detto che da casa mia non mi butta fuori nessuno, ma se questo è il partito di uno solo non è più casa mia”.
Ecco, l’ex premier non replica. Anche Emiliano pare, ormai, su un punto di non ritorno. Con un maggiore tormento.
I suoi lo spingono ancora a partecipare alla direzione di martedì. Il tormento che si chiama D’Alema, legato all’antica rivalità , o meglio alla guerra che i due hanno combattuto. Più dell’affetto o dell’odio però, spiegano i parlamentari pugliesi, conta la situazione oggettiva.
E cioè che Renzi ha tirato dritto e “Michele non può tornare indietro”. In settimana i gruppi parlamentari. per ora il pallottoliere dice: 40 alla Camera (compresi gli ex Sel), tra i 10 e i 15 al Senato.
Proprio alla presenza di Emiliano sono legate eventuali sorprese numeriche.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 19th, 2017 Riccardo Fucile
IN FLORIDA CITA UN ATTACCO TERRORISTICO MAI AVVENUTO NEL PAESE SCANDINAVO… IL MINISTRO DEGLI ESTERI SVEDESE CHIEDE SPIEGAZIONI, IRONIA SUI SOCIAL
Un attentato in Svezia, a insaputa della Svezia.
Ma pure del resto del mondo, perchè l’attacco terroristico di cui Donald Trump ha parlato, e che avrebbe colpito il paese scandinavo, in realtà non c’è mai stato.
La nuova intimidazione creativa del presidente americano s’è consumata a Melbourne in Florida dove ha comiziato di fronte a migliaia di sostenitori e, per rincarare la dose sulla necessità del “ban” anti immigrati, ha parlato di un presunto attentato che avrebbe avuto luogo in Svezia venerdì scorso.
Peccato che neanche la Svezia ne fosse al corrente per il semplice motivo che non vi è stato alcun attentato. Fra le spiegazioni più accreditate, quella del Guardian secondo il quale Trump avrebbe confuso la parola “Sweden”, Svezia in inglese, con Sehwan, città del Pakistan in cui, proprio venerdì, un attacco kamikaze ha fatto più di ottanta morti.
Uno svarione che ha avuto quanto meno il merito di aver rivelato al mondo l’ironia degli scandinavi, non così scontata, celebrata su Twitter con hashtag tipo #JeSuisIkea o #PrayForABBA.
La citazione del fantomatico attentato in Svezia arriva, peraltro, a poco più di due settimane di distanza da un altro attacco fantasma, anzi addirittura una strage, il “massacro di Bowling Green” al quale aveva accennato in un’intervista a Cosmopolitan (poi l’aveva ribadito in un intervento a MSNBC) la stratega politica del Partito repubblicano, Kellyanne Conway, la più stretta consigliera del presidente.
Non si sa bene chi avrebbe compiuto un attacco, con un bilancio elevato di vittime, a Bowling Green, cittadina del Kentucky popolata da poco più di 50 mila abitanti, nota per ospitare uno stabilimento della General Motors che produce Chevrolet Corvette e Cadillac XLR.
Massacro mai avvenuto, ma d’altra parte a parlarne è stata la sostenitrice dei “fatti alternativi”, espressione che la stessa Conway coniò quando le fecero notare che le informazioni in suo possesso sulle cifre (secondo lei astronomiche) dei partecipanti all’Inauguration Day non trovavano riscontro nelle foto aeree della (scarsa) folla presente a celebrare l’insediamento di Trump.
Bruxelles, Nizza, Parigi le città europee citate dal presidente in Florida per parlare dei danni provocati da immigrati, rifugiati e analoghe calamità . “E la Svezia”. In che senso la Svezia? “Guardate che cosa sta accadendo in Germania, o quello che è successo l’altra notte in Svezia: hanno accolto in gran numero i rifugiati e adesso stanno avendo problemi che nona vrebbero mai immaginato di avere”.
Grande perplessità a Stoccolma. E rischio incidente diplomatico.
Il ministero degli Esteri svedese ha infatti chiesto spiegazioni al Dipartimento di Stato Usa per cercare di capire a quale attacco terroristico si riferisse Trump, spiega il sito del quotidiano svedese Aftonbladet.
Ma mentre le diplomazie si muovono, l’unica vera esplosione è quella social.
“Svezia? Attentato? Ma cosa ha fumato?” ha twittato l’ex premier svedese Carl Bildt, che poi ha ritwittato il post di un utente che scriveva “Breaking news, la polizia svedese ha diffuso la foto dell’uomo ricercato per l’attentato” corredando il post con una foto dei Muppets.
Chelsea Clinton non si è lasciata sfuggire l’occasione e ha scritto “Cosa è accaduto in Svezia venerdì sera? Hanno preso gli autori del massacro di Bowling Green?” mentre Twitter si popolava con #LastNightInSweden, #JeSuisIkea e #PrayForABBA
I poveri ABBA sono stati fra le immagini più twittate come “ricercati per l’attentato di venerdì”, niente male la foto di un cliente Ikea che cerca di montare un mobile e la didascalia “scene di paurosa disperazione, la scorsa notte in Svezia”.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 19th, 2017 Riccardo Fucile
LA MOSSA CON CUI PROPONE L’ULTIMA MEDIAZIONE
Attesissimo dopo l’assemblea della minoranza Pd, a metà pomeriggio Michele Emiliano ha preso la parola in assemblea davanti a quella platea che aveva il giorno prima fortemente criticato.
“Se non abbiamo urgenza di arrivare al termine della legislatura, è possibile dare il tempo di cercare alternative? E’ una cosa così difficile dal punto di vista umano e politico? Serve una guida che abbia la naturale capacità di tenere insieme le cose diverse e accettare i momenti di difficoltà “.
Racconta di “soffrire da matti” in questo momento di difficoltà del partito. Rimanere insieme? “Rimanere insieme è a portata di mano. È una questione legata a piccoli meccanismi, mi pare. Io sto provando nei limiti delle mie possibilità , a fare un passo indietro che consenta di uscire tutti di qui con l’orgoglio di appartenere a questo partito”.
“Questo può farlo – ha aggiunto – per struttura, per vocazione solo il segretario. Io ho fiducia in lui e nella sua capacità di guidare questa gente meravigliosa”. “C’è una sofferenza bestiale in questo momento. Un sacco di compagni e compagne si sono avvicinati, mi hanno dato una mano, mi hanno detto che è importante rimanere insieme. Questa possibilità è a portata di mano”.
“Vi consegno stasera con la massima determinazione ma anche affetto e rispetto, consegno al segretario la possibilità vera e reale di togliere anche a me ogni alibi al processo di scissione: siete in grado di dare una mano a Renzi a risolvere un problema che è solo di metodo per evitare un esito negativo, condividere una strada che metta insieme un punto di vista dei tre candidati”.
Così in assemblea chiude Michele Emiliano aggiungendo che “se stasera non troviamo un punto di equilibrio sarà difficile spiegare agli italiani che questo è il partito a cui affidare il futuro dell’Italia”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 19th, 2017 Riccardo Fucile
TRA QUELLE A RISCHIO C’E’ “VIVA LA VITA” CHE ASSISTE I MALATI DI SLA, IL “GRANDE COCOMERO” PER LA CURA DI BAMBINI IN DIFFICOLTA’ E IL TELEFONO ROSA
A Roma circa 300 tra associazioni, centri culturali, realtà non profit rischiano di essere sfrattate. Alcune sono state già sfrattate, come il Forum Acqua Pubblica che aveva sede al Rialto.
Il Fatto Quotidiano racconta oggi in un articolo cosa sta succedendo.
Il casus belli è la delibera 140 approvata dalla giunta Marino a seguito dello scandalo Affittopoli (quello degli appartamenti in centro a pochi euro al mese): il fine era riacquisire in tempi rapidi i beni immobili del Comune e farli fruttare.
La Corte dei Conti minaccia, in caso contrario, di perseguire il relativo danno all’Erario. Caduto Marino, tocca al prefetto Francesco Paolo Tronca attuare la delibera: partono le prime richieste di sgombero.
Una breve sospensione elettorale e, eletta Virginia Raggi,si riparte. Nel calderone degli sfratti, però, finisce chiunque: buoni e cattivi,chi ha lucrato sui canoni agevolati echi, come molte realtà virtuose, lavora da anni per la città .
Tre giorni fa l’assessore al Bilancio, Andrea Mazzillo, ha promesso che la Giunta concederà una tregua che, per ora, non c’è. Servirebbe un Regolamento che preveda alcuni distinguo per chi opera nell’interesse pubblico, come scritto peraltro nella delibera Marino.
Finora, però, non esiste e la bozza elaborata dai 5 Stelle — e visionata dal Fatto Quotidiano — non è un buon viatico per il futuro: un atto autoritario, lamentano molti interessati, lontano dalla stessa proposta sui Beni comuni presentata nel 2015 dall’allora consigliera Raggi, che bocciava il modus operandi “autoritativo” per sostituirlo con pratiche di concertazione condivisa.
Anche dopo l’approvazione del Bilancio la sindaco affermò che “Roma è una città solidale che investe sul sociale”.
Problema: dalla bozza del nuovo Regolamento non sembra. Intanto le condizioni per la concessione sono “disposte unilateralmente dall’Amministrazione”.
Tra le associazioni a rischio, racconta il Fatto, c’è Viva la vita, che assiste i malati di Sla o il Grande Cocomero, un centro per la cura di bambini e ragazzi in difficoltà , oppure ancora Il Telefono Rosa che ogni anno aiuta più di mille donne con consulenze legali gratuite, sostegno psicologico e altro ancora — è in regola coi versamenti,ma ha il contratto scaduto.
Nel testo, l’interesse economico è chiaramente anteposto a quello sociale: vince chi fa l’offerta più vantaggiosa “sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo”; diminuisce lo sconto rispetto al prezzo di mercato (dall’80 al 70%) per chi opera nel sociale; per molte associazioni, infine, sarà impossibile in ogni caso partecipare ai bandi di gara visto che chi è ritenuto non in regola deve versare tutti i canoni arretrati al valore di mercato in un colpo solo; altra norma taglia-gambe è quella che prevede, perchi ottienegli spazi, una caparra del 10% (con fideiussione bancaria) sul valore totale della concessione. Abbiamo chiesto all’assessore Mazzillo di spiegarci queste novità — anche per iscritto — ma finora non ci ha risposto.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 19th, 2017 Riccardo Fucile
“DOSSIER DA RIVEDERE”, IPOTESI DI UN NUOVO PROGETTO… MA COSTRUTTORI VOGLIONO RICORRERE AL TAR
Virginia Raggi tira un sospiro di sollievo. Il progetto dello stadio della Roma, che da settimane sta dilaniando i Cinque stelle tra favorevoli e contrari, rischia di saltare ad un passo dal traguardo.
La mina sul percorso l’ha piazzata la Soprintendenza di Roma, vincolando l’ippodromo sul quale dovrebbe sorgere la struttura della società giallorossa.
«Vi sono quindi nuovi elementi che incidono sulla valutazione e realizzazione del progetto», scrive Raggi in una nota. «Come abbiamo sempre detto – continua la sindaca – vogliamo che la Roma abbia uno stadio, ma nel rispetto della legge».
Nelle intenzioni della Soprintendenza, l’ippodromo costruito dall’architetto Josè Lafuente negli anni Cinquanta verrebbe vincolato come bene architettonico da tutelare in tutto e per tutto, dalle tribune con l’amianto alla sabbia su cui correvano i cavalli. Sarebbe, questa, la prima opera di Lafuente ad essere vincolata a Roma, nonostante l’architetto sia stato molto prolifico nella Capitale.
Non solo. Nell’area adiacente all’ippodromo, precisa la soprintendente Margherita Eichberg, «per ragioni di prospettiva e visuali» non potranno essere costruite opere alte più dell’ippodromo stesso. E così, addio stadio, torri, e parte del business park. Rimarrebbero, tutt’al più, qualche negozio, gli alberi e i parcheggi.
Una pericolo enorme per la Roma e una manna per Raggi, che ottiene tempo utile a ricompattare la maggioranza interna al Campidoglio e l’occasione per giocarsi una carta importante nelle contrattazioni con il costruttore Luca Parnasi e con la società . «A questo punto – ragionano dal Campidoglio – noi restiamo spettatori».
Con la convinzione che la società americana della Roma e Parnasi «possano valutare l’ipotesi di presentare un nuovo progetto, sempre nell’area di Tor di Valle, ma lontano dall’ippodromo. E soprattutto più vicino alle nostre idee».
Dall’altra parte della barricata, però, non sembrano favorevoli a questa prospettiva. Vorrebbe dire ricominciare da capo un iter arrivato ormai alle battute conclusive. Piuttosto, la pazienza della Roma sembra essere finita.
Si sta preparando un ricorso al Tar contro il vincolo minacciato dal Mibact, fanno sapere dalla società .
«La procedura di vincolo culturale dell’Ippodromo – scrive poi Parnasi in una nota – non solo non è mai stata esternata in precedenza», ma va in contrasto con tutti i pareri già espressi dalla Soprintendenza negli ultimi anni.
Nel 2014, ad esempio, aveva chiesto alla società di «indicare i criteri della sostituzione con demolizione dell’Ippodromo». Non certo un segnale di contrarietà . E più di recente, nel parere espresso appena due settimane fa, la Soprintendenza non menzionava in alcun modo problemi legati alla demolizione, nè la volontà di vincolare l’ippodromo per particolari interessi artistici e storici, ma si interessava di «visuali» e indagini archeologiche preventive. Anche per questo, Parnasi giudica «singolare la tempistica di questo parere emesso dalla Soprintendenza», una iniziativa che agli occhi di molti risulta «talmente intempestiva da apparire quantomeno ostile».
Nello scontro c’è però spazio anche per le controproposte.
Di fronte al pericolo di dover resettare il progetto, la società della Roma e Parnasi si dicono disponibili a salvare le tribune di Lafuente, anche se pericolanti, e a bonificarle dall’amianto, spostandole dal luogo in cui sorgerebbe lo stadio.
Sempre che in quell’area, compiute le verifiche archeologiche, non si scoprano i resti di un cimitero indiano.
(da “La Stampa”)
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Febbraio 19th, 2017 Riccardo Fucile
IN CATALOGNA LA PIU’ GRANDE MANIFESTAZIONE D’EUROPA A FAVORE DELL’ACCOGLIENZA
Mentre imperversano le piazze populiste contro l’immigrazione, Barcellona va controcorrente.
Nella città catalana sono scese in strada centinaia di migliaia di persone al grido di «Basta scusa: accogliamo subito i rifugiati».
Una sfida al governo, l’ennesima da queste parti, contro la decisione di ospitare soltanto 1.100 persone, dei 16 mila previsti dall’Unione Europea.
A rispondere all’appello di molte personalità della cultura e della politica, sono state 160.000 persone, secondo la polizia municipale, e addirittura mezzo milione secondo gli organizzatori.
La giornata pro immigrati in un clima molto festoso è culminata con una coreografia realizzata dal celebre gruppo teatrale Fura dels Baus.
La piattaforma alla base della «giornata rivendicativa» fissa anche una cifra di stranieri da accogliere in Catalogna «almeno 4.500».
Tra i manifestanti anche il sindaco Ada Colau, che in un’intervista alla Stampa aveva spiegato che questa non è una battaglia impopolare, «I miei concittadini non solo capiscono, ma mi chiedono sforzi ulteriori. Vedere i bambini morire in mare, mentre le mafie si arricchiscono, non è sopportabile».
Sembra un paradosso: è Barcellona.
Francesco Olivo
(da “La Stampa”)
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Febbraio 19th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO I PRESIDI SOVRANISTI “CONTRO L’AFRICANIZZAZIONE”, L’ODIO VERSO LE PIANTE HA DATO I SUOI FRUTTI… “GESTO VILE, MA GLI IMBECILLI PERDONO SEMPRE”
Bruciata nella notte una delle palme di piazza Duomo, finite loro malgrado al centro di un dibattito che non accenna a placarsi.
E ora nel mirino dei vandali, pare.
Stanotte qualcuno ha dato fuoco a una delle piante della nuova installazione nel cuore di Milano che sta prendendo vita sotto il segno di Starbucks, sponsor dell’iniziativa. Sono stati alcuni ragazzi usciti dal cinema dopo il secondo spettacolo a notare il tronco bruciare e a scattare una foto.
“Stanotte qualcuno ha cercato di bruciare alcune palme, danneggiandone in particolare una – fa sapere l’assessore al Verde PIerfrancesco Maran – è un gesto vile e le forze dell’ordine sono al lavoro per individuare i responsabili. Gli imbecilli però perdono sempre, e l’effetto sarà che i milanesi ci si affezioneranno ancora di più alle piante. Nel frattempo il via vai continuo di turisti, curiosi che fotografano le palme non si interrompe”.
Il giardino esotico, che vedrà crescere anche piante di banani, era stato solo nel pomeriggio preso di nuovo di mira dalla Lega che aveva organizzato ai piedi degli alberi una manifestazione di protesta con distribuzione di casse di banane ai passanti La questione va avanti da giorni, è arrivata in consiglio comunale, e lo stesso Sala – criticato sui social – si è detto “non entusiasta”, invitando però tutti ad aspettare di vedere l’aiuola finita
“Stanotte qualcuno ha dato fuoco a una delle palme appena piantate nell’aiuola di Piazza del Duomo – ha avvisato in mattinata su Facebook la vicepresidente Pd del Municipio 1, Elena Grandi, responsabile del verde – che piacciano o no è ora del tutto irrilevante: il tema è un altro. Mi piacerebbe trovare il colpevole e mandarlo a curare e a ripulire tutte le aiuole della città : per un annetto. Così, per insegnargli il significato di rispetto e di bene comune”.
(da agenzie)
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