Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile
“GRAZIE PER AVER PERMESSO ALLA NOSTRA AZIENDA DI PAGARCI GLI STIPENDI E MANTENERE IL POSTO DI LAVORO”… QUESTE SONO LE PERSONE CHE ONORANO IL NOSTRO PAESE PRATICANDO SOLIDARIETA’ REALE
Eleonora, Marco, Cristina, Alice e Rosy lavorano in un negozio di abbigliamento intimo al centro di Brescia. Come tutti, da settimane sono a casa.
Come tanti, sono preoccupati per il loro stipendio e per il loro futuro. Il negozio è chiuso e ancora non si sa quando e come potrà riaprire.
Purtroppo alcuni esercizi commerciali rischiano proprio di non riaprire, soprattutto i più piccoli. A pesare in questa fase sono non solo gli stipendi dei dipendenti, ma anche l’affitto delle mura.
Proprio per questo i cinque colleghi hanno deciso ieri di scrivere un cartello e di appenderlo alla vetrina del negozio per cui lavorano.
Il loro è un caso fortunato. Sul cartello infatti hanno scritto: “Ringraziamo i proprietari di questo immobile per aver sospeso l’affitto, permettendo alla nostra azienda di pagarci lo stipendio e mantenerci il posto di lavoro”. Poi hanno messo le loro cinque firme.
“La foto me l’ha spedita ieri un amico che era fuori per lavoro – racconta Giorgio De Martin – il negozio si trova in corso Zanardelli. Ho pubblicato l’immagine sulla mia pagina facebook, ricevendo migliaia di condivisioni. È un gesto di solidarietà , che in questi giorni difficili, ci fa sentire tutti un po’ più uniti”.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile
IL MONDO NUOVO VA AFFRONTATO IN MODI DIFFERENTI… METTERCI TOPPE NON SARA’ LA CURA PER IL DOMANI
È il silenzio, paradossalmente, a dare la misura sconfinata della Festa dei lavoratori nell’anno 2020. Ammutoliti i cortei, i concerti di piazza, la vasta scenografia della festa antagonista, e spesso logora, novecentesca come ogni soluzione che ci ostiniamo a proporre per ogni nuovo problema, e si finisce con l’aggravarlo.
Intendiamoci, il Novecento è stato un secolo formidabile, nel male e nel bene, ci sono state le grandi guerre e le grandi dittature e i grandi genocidi, ma nel Novecento i lavoratori hanno compiutamente guadagnato tre traguardi impensabili per i lavoratori delle epoche precedenti: assistenza, tempo libero e denaro eccedente a quello necessario alla pura sopravvivenza. Nella storia dell’uomo, il lavoratore si è sempre alzato all’alba per rincasare al tramonto, e spaccarsi la schiena ogni santo giorno gli bastava a combinare il pranzo con la cena, se andava di lusso. Non c’erano welfare nè sanità e istruzione gratuite. Nel Novecento, si è ottenuto tutto questo e si è ottenuto un tempo della vita, la vecchiaia, nel quale abbandonare il lavoro, riposarsi e riscuotere una pensione. A noi sembra normale, dopo l’ufficio o la fabbrica, sedersi al cinema o in pizzeria, e avere per diritto gli weekend da trascorrere in campagna e le settimane estive al mare. Ma basta pensarci un secondo per comprendere che nello scorso secolo, e soprattutto nella seconda metà , i lavoratori dell’Occidente democratico hanno toccato una qualità della vita davanti alla quale un nostro trisavolo resterebbe muto a occhi spalancati.
Poi, per fortuna, l’uomo è un essere ambizioso, desidera sempre più, e il desiderio diventa sinonimo di progresso. Di colpo, però, ci siamo ritrovati a desiderare il passato, le garanzie e la sicurezza dei nostri genitori e dei nostri nonni. La rivoluzione del digitale e le crisi economiche hanno svilito molte conquiste e siamo ripiombati nella precarietà , nella disoccupazione, nell’allentamento dei diritti. Il lavoro sottopagato è la regola e noi stessi riforniamo il mercato della schiavitù, con le colf e i rider e i raccoglitori di frutta retribuiti vergognosamente e spesso in nero.
Le risposte che proviamo a opporre, inscenate in un normale Primo Maggio, non funzionano. Covid ci uccide e ci paralizza, inceppa la capacità di produzione, sgretola il benessere. Ma se ha un pregio, oltre a ricondurci alla nostra dimensione infinitesimale e immensamente fragile, per cui un pipistrello cinese inchioda l’intero pianeta, è di metterci faccia a faccia, senza scampo, davanti al molto che non funziona più, che già non funzionava, e che abbiamo trascurato o affrontato con armi ormai inefficaci. Pensate anche soltanto alla democrazia, al ruolo del parlamento, ai tempi e ai modi dei provvedimenti, in mesi in cui il virus corre a una velocità insostenibile per le istituzioni, obbligandole a strappi illiberali e a rinnegare sè stesse per rimanere al passo. Lo sapevamo già , ma adesso è evidente a chiunque.
Altrettanto vale per il lavoro. Il mondo nuovo, globalizzato e interconnesso, va affrontato in modi completamente differenti. Ora si può forse rimediare attaccandoci delle toppe, con i criteri classici, ma non funzionerà più di un po’ e non sarà la cura per il domani. Il silenzio del Primo maggio del 2020 non è altro che il silenzio di tutti noi davanti all’enigma. Nessuno ha la soluzione, e nessuno fin qui l’ha davvero cercata. Ma, per il dopo, o per il subito, appuntiamocelo: è l’enigma di tutte le democrazie occidentali, non dell’Italia o della Spagna o degli Stati Uniti. Metterci mano, insieme, è questione di sopravvivenza, la nostra personale e del mondo libero in cui siamo cresciuti.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile
“VOGLIAMO LA VERITA’ SU CHI HA SBAGLIATO, NON CHIEDIAMO RISARCIMENTI E NON ACCUSIAMO IL PERSONALE SANITARIO”
“Siamo quasi 50mila, un grande paese di gente che vuole giustizia e vuol sapere ciò che è successo”: così Stefano Fusco, che insieme al padre Luca ha creato poco più di un mese fa il gruppo pubblico su Facebook
‘Noi denunceremo’, che raccoglie le testimonianze di chi ha perso dei cari per l’epidemia, annuncia che “è stato formalmente costituito il comitato no profit Noi denunceremo — Verità e giustizia per le vittime Covid-19, che ha lo scopo di essere il canale attraverso il quale chi vorrà , insieme a noi, potrà agire in giudizio”.
“Stiamo strutturando una rete di legali, che si sono messi a disposizione gratuitamente, così come — racconta all’ANSA Luca Fusco, commercialista della bergamasca che ha perso il padre per il Covid — le 15 persone che vagliano tutti i post della pagina, che non è mai stata pensata come uno sfogatoio, ma come raccolta di testimonianze, vagliate una ad una”.
L’intenzione del comitato non è solo quella di aiutare la magistratura ad accertare eventuali responsabilità , tramite le tante testimonianze che in poco più di un mese si sono susseguite sulla pagina Facebook, ma anche di costituirsi parte civile negli eventuali processi che nasceranno dalle inchieste in corso.
Questo “senza intentare nessuna causa agli operatori sanitari che, anzi, non escludo si vogliano unire a noi”.
E soprattutto “senza chiedere risarcimenti — sottolinea Luca Fusco — perchè se iniziamo a parlare di soldi la cosa si corrompe”.
Quello che vuole il comitato è “sapere, dal sindaco di Alzano al presidente del Consiglio, dove la linea di comando ha sbagliato. Quando avremo queste risposte avremo pace per i nostri morti. Non possiamo ipotizzare reati, noi raccogliamo le denunce, poi sarà la magistratura ad accertare le responsabilità , ma vogliamo — sottolinea — andare fino in fondo, questa non può essere un’altra Ustica o un’altra strage di Bologna, pretendiamo risposte per i nostri morti e per i 50mila del gruppo. Dal pronto soccorso di Alzano chiuso e riaperto alla zona rossa mancata, fino alle Rsa che sono uno scandalo al sole, abbiamo il diritto di sapere”.
A tutti quelli che sono decisi a entrare nel comitato, Fusco raccomanda di controllare la propria testimonianza e integrarla con ogni informazione disponibile.
Saranno poi gli avvocati — spiega il figlio Stefano in un video — a redigere la denuncia o querela del caso per ogni storia, a riunirle tutte insieme e a depositarle presso la procura competente.
(da agenzie)
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Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL PRIMARIO DEL REPARTO DI TERAPIA INTENSIVA
Nell’ospedale di Lodi, una delle prime strutture che si è trovata a fare i conti con la pandemia, sono morti 51 pazienti in terapia intensiva su 94. A oggi, il tasso di mortalità in Lombardia per i pazienti gravi è del 49%
«Mentre pensavamo a come affrontarla, la pandemia succedeva». Le parole di Enrico Storti, primario di terapia intensiva al Maggiore di Lodi, sono una fotografia perfetta dei primi giorni del Coronavirus in Italia.
I primi pazienti Covid-19 in Lombardia hanno pagato più di tutti lo scotto dell’impreparazione, così come gli stessi ospedali e medici e operatori sanitari che li hanno trattati. Soprattutto nel lodigiano, primo focolaio dell’epidemia, si è cercato di gestire l’emergenza ben prima che si capisse quale fosse la strategia migliore per contenerla.
Uno studio pubblicato su Jama, una tra le riviste americane più autorevoli al mondo, ha indagato la situazione delle terapie intensive in 72 ospedali lombardi durante il primo mese di emergenza, dal 20 febbraio al 25 marzo.
Prendendo in considerazione 1591 pazienti, gli autori dello studio hanno analizzato i trattamenti riservati ai pazienti in terapia intensiva a seconda delle patologie, l’età dei ricoverati e il tasso di mortalità . Tra gli autori c’è anche lo stesso Storti.
«Lo studio descrive come è costituita la popolazione delle strutture, le patologie, le età , a quali trattamenti è stata sottoposta e la mortalità », spiega Storti. Ed è proprio nel suo ospedale di Lodi che si registra uno dei dati più significativi: «Fino al 15 aprile abbiamo ricoverato 94 pazienti — spiega Storti -. La mortalità è stata del 54% e ha riguardato, cioè, 51 malati. La degenza media in terapia intensiva è stata di 9 giorni per i malati poi deceduti (che avevano tutti malattie associate rilevanti) e 11 per gli altri».
La difficoltà dell’ospedale di Lodi è stata segnata, appunto, dal triste primato temporale che è toccato all’area. «Altri ospedali per raggiungere lo stesso numero di malati che noi abbiamo avuto nel giorno zero hanno impiegato almeno 7 giorni», ha spiegato Storti. «A differenza di altri che hanno potuto allestire aree senza pazienti, noi abbiamo dovuto farlo con un flusso di malati che continuava a incrementarsi, senza ridurre il livello di assistenza».
In generale, in Lombardia l’indice di mortalità nelle terapie non è stato di molto inferiore. Se fino al 26 marzo è stato del 26%, man mano che la macchia pandemica andava espandendosi i numeri sono saliti: a partire dal 15 aprile, la media è arrivata al 49%.
(da Open)
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Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile
GLI INDICATORI DICONO IL CONTRARIO DI QUELLO CHE LA GIUNTA SOVRANISTA VUOL FAR CREDERE… MA PER OTTENERE VOTI BISOGNA FARE FAVORI
In Liguria, dal 22 al 29 aprile, i contagiati totali da Covid-19 sono aumentati del 14%: il dato più alto in Italia.
Nello stesso periodo l’8,6% dei tamponi è risultato positivo: anche questo è il dato più alto in Italia.
Negli ultimi dieci giorni, con 210 morti, la Liguria è stata spesso in testa a livello nazionale per il numero di decessi quotidiani rispetto alla popolazione.
Dall’inizio dell’epidemia la letalità tra i malati è del 14,6%, il secondo dato peggiore in Italia dopo la Lombardia.
Eppure la Regione è una delle prime ad aver allentato le misure del lockdown, con il presidente Giovanni Toti che il 27 aprile ha restituito la libertà di uscire di casa. “L’epidemia è in discesa — ripete — Tutti i principali indicatori lo confermano”.
È uno strano caso quello della Liguria, dove il primo malato di Covid-19 risale al 25 febbraio e l’epidemia è subito dilagata anche grazie ai possessori di seconde case che dal Nord si sono riversati in riviera.
Dei 205.463 casi totali in Italia censiti il 30 aprile, 7.993 sono in Liguria. “Che non ha un numero di abitanti tali da distinguersi per decessi o contagi a livello nazionale”, segnala l’epidemiologo Valerio Gennaro, ex direttore del Registro Mesoteliomi della Liguria nell’ospedale San Martino di Genova. “Ma se si guarda in percentuale, è una delle più colpite dal Coronavirus”.
I dati del Ministero della Salute parlano chiaro. Pur essendo la dodicesima regione per popolazione (un milione e 550mila persone) la Liguria è infatti sesta per numero di contagi dopo Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana.
In percentuale la Toscana è però sorpassata, perchè ha più del doppio di abitanti ma 9.352 casi; lo stesso discorso vale per il Veneto, che ha 17.960 casi ma più del triplo di abitanti. Nella provincia di Genova, dove abitano 841 mila persone, ci sono stati 4.616 casi: più che quelli di tutta la Campania, oppure di Molise, Basilicata, Calabria, Val d’Aosta e Sardegna messi insieme.
La Liguria si distingue inoltre per la letalità del Coronavirus, ovvero la percentuale di deceduti tra i contagi accertati: è al secondo posto con il 14,6% di morti dopo il 18,2% della Lombardia, mentre la media nazionale è del 13,6%.
La situazione non migliora neppure con il tasso di mortalità , ovvero il rapporto tra decessi e popolazione.
L’associazione Medici per l’Ambiente di cui il dottor Valerio Gennaro è membro del comitato scientifico stima che mentre in Italia ci sono stati da inizio epidemia 45 morti ogni 100mila abitanti, in Liguria sono stati 74.
Fanno peggio Lombardia, Valle d’Aosta, Emilia Romagna e Piemonte.
“Ma negli ultimi dieci giorni di aprile il trend ligure è peggiorato: la Liguria è stata per metà delle volte la regione italiana con il più alto tasso di morti quotidiani, ed è sempre stata superiore al livello italiano”, sostiene Gennaro.
I 15 decessi del 30 aprile, seppur dimezzati rispetto ai 33 del 20 aprile, significano 9,7 morti per milione di abitanti mentre l’Italia è a 4,7. “Solo il Piemonte ha un tasso superiore”.
La settimana dal 22 al 29 aprile ha attirato l’attenzione anche della Fondazione Gimbe, che segnala come l’80% percento dei nuovi contagi e dei nuovi decessi siano stati in cinque regioni del Nord Italia.
Tra queste c’è la Liguria con un incremento di contagi del 14%: il dato più alto in Italia, seguito dal 13,7% del Piemonte e lontano dalla media nazionale dell’8,7%.
Secondo i dati del Ministero della Salute, negli ultimi sette giorni di aprile la Liguria è stata inoltre la regione con più casi positivi per tampone: l’8,6%, mentre in Piemonte sono stati 8,1% e in Lombardia 7,5%.
Ogni 100mila abitanti in Liguria ci sono stati 9 nuovi casi di contagio: prima di lei solo la provincia di Trento e il Piemonte con 10 casi.
Eppure dal 27 aprile la Regione Liguria ha dato più libertà di spostarsi in auto, a piedi e in bicicletta; di correre, andare a cavallo e pescare sui moli, di riparare la barca o controllare la seconda casa; ha autorizzato il take away per bar, ristoranti e pasticcerie, e pure la toelettatura per cani.
Dal punto di vista medico non si segnalano critiche, anzi. Tra le voci più autorevoli c’è il professore Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova e componente della task force della Regione Liguria.
Per Bassetti ogni giorno “continuano le buone notizie”. Il riferimento è ai ricoverati per Coronavirus in terapia intensiva e in altri reparti, che scendono stabilmente come a livello nazionale: il 22 aprile la Liguria aveva 952 ospedalizzati di cui 92 in terapia intensiva; il 30 aprile sono 745 e 69.
Per il presidente Giovanni Toti i dati degli ospedali “sono l’indicatore più importante”.
I dati della Fondazione Gimbe, spiega, non tengono conto della politica regionale sui tamponi che privilegia i sintomatici e si concentra in luoghi come le residenze per anziani. “Andiamo a effettuare i tamponi in modo mirato, su campioni che hanno bisogno di essere tenuti sotto stretto controllo”.
Giovanni Toti ribadisce che in Liguria “il numero dei contagi sta calando in modo importante”. Eppure mentre il 30 aprile in Italia il numero degli attualmente positivi è sceso di 3.016 persone (- 3%), in Liguria è salito di 19 unità .
I nuovi contagiati (ovvero il dato che comprende nuovi positivi, più i guariti, più i decessi) a livello nazionale sono stati 1.872 in più rispetto al giorno precedente, con aumento dello 0,9 percento.
In Liguria sono saliti di 104 unità , ovvero dell’1,3% cento: è il secondo peggiore aumento in Italia, dopo il Piemonte. Il sindaco di Genova Marco Bucci, intanto, sgrida i suoi abitanti perchè mercoledì 29 aprile gli spostamenti in città sono aumentati dell’8 percento. Chiede un piccolo sforzo per restare a casa fine settimana e infine annuncia: “Da lunedì a Genova riapriranno parchi, spiagge e passeggiate”.
(da TPI)
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Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile
E ANCHE L’ESPERTO INFETTIVOLOGO SCELTO PER LA TASK FORCE LA SCONFESSA: “NON MI HA CONSULTATO, L’AVREI SCONSIGLIATA”
Sconfessata da tutti gli ordini provinciali dei medici calabresi e persino dall’infettivologo che lei ha chiamato nella pachidermica task force costruita per affrontare l’emergenza Covid19.
Mentre la governatrice calabrese Jole Santelli continua a difendere l’ordinanza con cui ha autorizzato bar e ristoranti a ripartire con il servizio ai tavoli già dal 30 aprile e risponde picche al governo che minaccia diffide e impugnazioni, si allarga il fronte di chi ne chiede l’immediato ritiro.
Dopo i sindaci che hanno bloccato a forza di ordinanze il provvedimento regionale, attualmente applicato solo in un pugno di Comuni di tutta la Calabria, chef e ristoratori, sul piede di guerra per essere stati mandati allo sbaraglio senza neanche essere interpellati, sindacati, consiglieri regionali, cittadini comuni più confusi che persuasi dalla nuova ordinanza, a far sentire la propria voce sono anche i medici.
Incluso l’infettivologo Raffaele Bruno, direttore del reparto di “Malattie Infettive” del “San Matteo” di Pavia, che Santelli ha voluto a tutti i costi come esperto della sua task force. Peccato che abbia dimenticato di consultarlo.
A rivelarlo è lo stesso Bruno, che ai microfoni dell’emittente calabrese Cosenza channel ha detto “la presidente non mi ha interpellato, ho appreso questa cosa dai giornali. Come medico, l’avrei vivamente sconsigliata”.
Poi, certo, “gli esperti possono dare indicazioni tecniche e tocca ai politici prendere decisioni”
Assai più netta la presa di posizione dei medici calabresi, che fanno appello “ai governanti della nostra Regione affinchè recedano dai loro propositi”.
È necessario mettere fine all’isolamento assoluto “anche per motivi sanitari” sottolineano, ma bisogna procedere con “la massima prudenza e una attenta gradualità di tempi e modi contraddetta invece dalla volontà di riaprire locali di ritrovo”.
Quell’ordinanza invece è di fatto, dicono chiaro i camici bianchi calabresi “un indiscriminato via libera per tutti, che potrebbe avere conseguenze negative, che nessuno vuole e che vanificherebbe i sacrifici finora compiuti con enorme senso civico dai calabresi”.
Per riaprire in sicurezza – sottolineano – serve altro, a partire da “una serie di garanzie fra cui l’obbligo di test specifici e recenti oltre che della doverosa quarantena controllata” per i fuori sede che dal 4 maggio potranno tornare a casa. “Non è in ballo il consenso, ma il primo bene per ogni essere umano: la vita e la salute” tuonano.
Ma le loro indicazioni sono rimaste sostanzialmente lettera morta. La governatrice non ha nessuna intenzione di ritirare la sua ordinanza.
Anche sul rientro ordinato dei fuorisede però le indicazioni dei medici sono state sostanzialmente ignorate. Con un nuovo provvedimento Santelli ha blindato le frontiere della Calabria a chi non abbia residenza o domicilio in regione e obbliga chi fa ritorno a casa a registrarsi sul sito della Regione, comunicare il rientro a medico curante e Asp, come a quattordici giorni di quarantena.
A casa, magari con i familiari e senza previo test. Al rientro in Calabria nessuno avrà l’obbligo di sottoporsi a tampone, al massimo toccherà al “dipartimento di Prevenzione valutarne la necessità /opportunità “, mentre “l’isolamento” previsto sarà “volontario” e “domiciliare”. Con buona pace delle indicazioni di medici ed esperti che da settimane mettono in guardia dal pericolo di focolai domestici.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile
LO STUDIO DELLA FONDAZIONE HOME: “LONTANI DALLA FINE DEI CONNTAGI, TASSO LENTO DI CADUTA DEI CONTAGI”
Uno studio pubblicato stamattina dalla Fondazione Hume (l’integrale del bollettino su www.fondazionehume.it) pone implicitamente dubbi sull’opportunità della riapertura, per quanto parziale, di lunedì 4 maggio.
L’analisi, basata esclusivamente sui dati dei morti giornalieri della Johns Hopkins University, molto più affidabili di quelli sui contagi, evidenzia che l’Italia è ancora piuttosto lontana da una situazione rassicurante.
Posta quota cento come quella del picco, e quota zero quella della meta finale della fine dei contagi, dei ventisei paesi testati, l’Italia è messa molto meglio di Stati Uniti, Regno Unito e Germania, ma peggio di Spagna e Francia.
Nel dettaglio, nella scala da zero a cento, l’Italia è a quota 40.5, quindi decisamente lontana da soglie di sicurezza.
Una seconda tabella che calcola il tasso di caduta dei contagi, e cioè la velocità con cui in ogni paese i contagi si riducono, ci vede fra quelli più deboli. Soltanto in Usa, Canada, Svizzera, Portogallo, Regno Unito e Iran i contagi rallentano a una velocità più bassa della nostra. Tutti gli altri hanno un passo più deciso verso un allentamento dell’epidemia.
Anche questo studio contribuisce ad alimentare le perplessità sul passaggio di lunedì prossimo.
Siamo pronti? Siamo abbastanza sicuri? Parrebbe di no.
Se vogliamo ripartire, è meglio sapere tutto, e comportarsi con la necessaria e conseguente prudenza.
(da agenzie)
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Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile
SOLO NEGLI USA SI PUO’ PERMETTERE CHE DELINQUENTI ARMATI TRAVESTITI DA CITTADINI GIRINO PER STRADA CON L’AVALLO DELLE ISTITUZIONI… VOGLIONO DARE VIA LIBERA AL COVID-19? INIETTATEGLIELO, COSI’ SI TOLGONO DAI COGLIONI
In Michigan, negli Stati Uniti, la protesta contro il lockdown si fa sempre più violenta: i manifestanti, alcuni di loro armati, questa volta non si sono fermati all’esterno del Campidoglio locale ma vi sono entrati e hanno chiesto alla governatrice di revocare le restrizioni imposte per arginare la pandemia di Covid-19.
Alcuni parlamentari locali hanno indossato i giubbotti anti-proiettile, temendo la situazione potesse sfociare nello scontro armato.
Decine di manifestanti hanno riempito l’atrio dell’edificio a Lansing, dove hanno chiesto di poter entrare alla Camera.
La polizia di Stato, che al contrario dei manifestanti indossava le mascherine, lo ha però impedito. «Direttamente sopra di me, ci sono uomini con i fucili che ci urlano contro», ha twittato la senatrice Dayna Polehanki, allegando una foto che mostra quattro uomini, di cui almeno uno porta un’arma, vestiti con tute mimetiche.
«Alcuni dei miei colleghi ora indossano giubbotti antiproiettile. Non ho mai apprezzato i nostri Sergeants at Arms (gli agenti del Parlamento) così tanto», ha aggiunto
La protesta era stata organizzata dal “Michigan United for Liberty”. «Non accettiamo o acconsentiamo a limitare o sospendere i nostri diritti inalienabili per nessun motivo, inclusa la pandemia di Covid-19», si legge sulla pagina Facebook di gruppo, che conta più di 8.800 membri. «Riteniamo che tutti gli americani e tutti gli abitanti del Michigan abbiano il diritto di lavorare per sostenere le proprie famiglie, viaggiare liberamente, radunarsi per il culto religioso e altri scopi, radunarsi per protestare contro il governo e dirigere la propria assistenza sanitaria».
La protesta ha seguito di un giorno la sentenza di un tribunale del Michigan secondo cui le direttive di confinamento emanate da Whitmer il 24 marzo non hanno violato i diritti costituzionali dei residenti, secondo i media locali.
«L’ho detto nel passato, e lo dirò di nuovo: il Michigan è un posto straordinario in cui vivere per le persone che lo chiamano casa. Ci sono milioni di cittadino che fanno la loro parte per fermare insieme ogni giorno la diffusione del Covid-19», ha twittato la governatrice dopo la protesta, senza fare riferimento diretto all’episodio.
(da agenzie)
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Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile
COSI’ IL PAESE RIESCE A CONTENERE IL CORONAVIRUS E L’OPPOSIZIONE DI CENTRODESTRA NELL’EMERGENZA NON FA POLEMICHE E COLLABORA
‘Solo’ 25mila casi, nemmeno mille decessi. Nel suo piccolo, il Portogallo fa scuola in Europa. E’ riuscito a contenere l’epidemia da coronavirus, pur essendo confinante con la Spagna, che ormai è seconda dopo gli Stati Uniti nella triste classifica mondiale sulla pandemia, con oltre 213mila casi e quasi 25mila morti.
Secondo gli esperti, uno dei motivi di questo risultato è il fatto che il governo portoghese ha deciso di riconoscere la cittadinanza a lavoratori stranieri e richiedenti asilo, in via temporanea, almeno fino al primo luglio. In controtendenza in tutta Europa e anche a livello globale
Dall’altro lato dell’Atlantico, Donald Trump ha invece bloccato le domande della nota ‘carta verde’, il documento necessario per poter vivere da immigrati negli Stati Uniti. Lo ha fatto al primo affacciarsi dell’epidemia che pure il presidente degli Stati Uniti all’inizio negava.
Di fronte a quanto deciso dalla Casa Bianca, la scelta del governo portoghese, guidato dal socialista Antonio Costa e sostenuto da una coalizione di sinistra, appare ancora più singolare.
Ma lo è anche guardando al panorama europeo, dove nessuno Stato membro si sogna nemmeno lontanamente di regolarizzare i lavoratori stranieri. Eppure in molti paesi ce ne sarebbe bisogno, come testimoniano numerosi appelli che guardano anche alle esigenze del settore agricolo a ridosso della stagione del raccolto.
In molte regioni, la manodopera viene a scarseggiare perchè i lavoratori non regolarizzati temono i controlli, rafforzati per verificare il rispetto delle norme di distanziamento sociale.
Ma in Portogallo la scelta del governo si poggia anche su basi sanitarie. Regolarizzare gli stranieri significa garantire loro accesso ai controlli medici e alle cure. In altre parole: risponde anche all’esigenza di controllare la diffusione del virus nelle loro comunità .
Ancora più stupefacente il fatto che il governo Costa abbia deciso subito, il 29 marzo scorso, nemmeno dieci giorni dopo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale per coronavirus.
E l’opposizione di centrodestra? Bassa polemica politica, collaborativa con il governo anche su una decisione di questa portata che farebbe infuriare qualsiasi altro partito sovranista in altri Stati europei. A cominciare dall’Italia, dove l’argomento non è nemmeno trattato, al di fuori degli appelli delle associazioni più interessate al tema e dei sensibili ai diritti degli ultimi.
Naturalmente, il segreto del ‘successo’ del Portogallo nella lotta al virus non sta solo nelle regolarizzazioni dei migranti. C’è anche il fatto che il paese si è trovato a gestire i primi casi tre settimane dopo l’emergenza Covid-19 in Italia e una settimana dopo la Spagna.
Questo ha dato al governo il tempo di preparare le strutture sanitarie e alla popolazione la possibilità di fare pace con l’idea di stare a casa, sull’esempio degli altri paesi europei. Ma il caso portoghese resta comunque particolare, considerato che la popolazione è molto anziana.
“E’ importante garantire i diritti dei più fragili, come nel caso dei migranti”, sono le parole del ministro degli Interni portoghese Eduardo Cabrita. “In tempi di crisi è dovere di una società solidale assicurare che gli immigrati abbiano accesso alla sanità e al welfare”. Parole che suonerebbero come bestemmie in molti degli altri paesi europei, anche nei più ricchi del nord.
Eppure il Portogallo che solo dieci anni fa ha patito le cure della troika per rimettere i conti a posto, si prepara ad affrontare un’altra crisi forse ancora più pesante della precedente. Ma evidentemente nel paese vale quanto scriveva uno degli scrittori nazionali Fernando Pessoa: “E dopotutto ci sono tante consolazioni! C’è l’alto cielo azzurro, limpido e sereno, in cui fluttuano sempre nuvole imperfette”.
Capacità di pianificazione, malgrado l’orizzonte non lasci ben sperare. Possibile a patto che non ci sia una propaganda politica ad inquinare i pozzi.
(da agenzie)
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