Maggio 14th, 2020 Riccardo Fucile
L’ARTICOLO DELL’EX MINISTRO SMONTA LA NARRAZIONE SOVRANISTA
Il Decreto “Rilancio” contiene l’annunciata sanatoria degli immigrati irregolari. Una vittoria della ministra Bellanova, che si è pure commossa in conferenza stampa.
Sulla questione immigrati non si sono fatte attendere, ovviamente, le critiche del centrodestra, che accusa il Governo di avere più attenzione per i clandestini che per gli italiani.
Mi sono accorto che i passaggi fondamentali della nuova sanatoria (o come recita il decreto della “emersione dei rapporti di lavoro”) sono stati presi da un altro decreto, fatto nel 2009 dal governo Berlusconi: il DL 78/09 convertito nella legge 3 agosto 2009 n.102. State a sentire.
1) Soggetti interessati a presentare la domanda di emersione.
Decreto Berlusconi: “i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286 e successive modificazioni”.
Decreto Rilancio: “i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286 e successive modificazioni”. Uguale!
2) A chi si presenta la domanda di emersione.
Decreto Berlusconi: “all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per i lavoratori italiani o per i cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea; allo sportello unico per l’ immigrazione per i lavoratori extracomunitari”.
Decreto Rilancio: “all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per i lavoratori italiani o per i cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea; allo sportello unico per l’immigrazione per i lavoratori stranieri”.
Nel decreto del governo Conte la parola “extracomunitari” è stata sostituita con “stranieri”.
3) Settori di attività a cui si applicano le norme.
Decreto Berlusconi: “assistenza per se stesso o per componenti della propria famiglia, ancorchè non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza; lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare”.
Decreto Rilancio: “assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorchè non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza; lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare”. Copia incolla. Con una aggiunta: il decreto Rilancio fa emergere anche i lavoratori impiegati in “agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse”.
Nel 2009 noi non mettemmo queste attività perchè erano già state sanate (pardon, “fatte emergere”) con l’altra sanatoria contenuta nella legge Bossi-Fini del 2002.
4) Esclusioni dalla sanatoria.
Non possono essere ammessi alla procedura di emersione:
Decreto Berlusconi: “i lavoratori extracomunitari nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di espulsione, che risultino segnalati o che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva” per certi reati.
Decreto Rilancio: “i cittadini stranieri nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di espulsione, che risultino segnalati o che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva“ per gli stessi reati.
Uguale. Anzi no, il decreto Rilancio aggiunge (giustamente) altri reati che noi non avevamo previsto: quelli inerenti gli stupefacenti. E in più ci mette un’altra clausola: sono esclusi i cittadini stranieri che comunque siano considerati una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Noi non ci avevamo pensato, la Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese sì. Brava Ministra, meriti un applauso!
Il decreto Rilancio fa dunque un sostanziale copia incolla con quello che aveva scritto il centrodestra al governo nel 2009.
Come è possibile contestarlo, quindi? Semmai dovremmo chiedere le royalties sul testo…
Unica differenza
Il Governo Conte ha inserito una “sanatoria a tempo” per i clandestini senza lavoro. Un permesso di soggiorno provvisorio di 6 mesi per chi si trova irregolarmente in Italia. Cose che noi avevamo sempre escluso. Il “contratto di soggiorno”è ripreso nel decreto Rilancio, a riconoscimento (mi pare evidente) della persistente validità della legge Bossi-Fini.
A dimostrazione che il tema dell’immigrazione è un terreno difficile da arare, pieno di sassi che spaccano le lame e di trappole che bloccano anche i migliori propositi. Terreno di polemica bipartisan, a posizioni spesso (e curiosamente) invertite.
Indovinate chi ha fatto questa dichiarazione: “Abbiamo fatto qualcosa di ben più importante e ben più civile di una semplice sanatoria. Abbiamo restituito la dignità di lavoro agli immigrati che hanno un posto regolare”. La ministra Bellanova? No, Gianfranco Fini, dopo la maxi sanatoria di 700mila extracomunitari fatta nel 2002 con la legge che porta il suo nome.
E che fu una cosa buona e giusta perchè consentì a molti dei 700mila clandestini di regolarizzarsi e di diventare cittadini italiani.
Roberto Maroni
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 14th, 2020 Riccardo Fucile
QUANDO LA DESTRA E LA SINISTRA NON COSTRUIVANO MURI MA LI ABBATTEVANO
La lettera di Daniele Marantelli della direzione nazionale del Pd
“Sono trascorsi vent’anni dalla scomparsa di Marzio Tremaglia. Nel mio cammino ho avuto la fortuna di incontrare leader politici, uomini di governo e delle istituzioni, straordinari testimoni della Chiesa, intellettuali, campioni dello sport, personalità del cinema, della musica e dello spettacolo. Tante persone semplici. Non tutti hanno lasciato in me, uomo di sinistra fino al midollo, privo di pregiudizi, vaccinato da ragazzo al culto della personalità , tracce importanti. Marzio Tremaglia, uomo di destra, si. In questi giorni così tribolati ho provato a darmi una spiegazione.
Siamo stati entrambi eletti consiglieri regionali in Lombardia nel 1995.
A lui, di Alleanza Nazionale, fu assegnato il compito di Assessore alla Cultura. A me, del Pds., all’opposizione, quello di Segretario della Commissione Cultura.
Mi colpirono subito i suoi modi garbati, la curiosità intellettuale, la fantasia, i tratti di una persona priva di pregiudizi, la sua autonomia politica di fronte alla esuberante personalità del Presidente della Giunta Roberto Formigoni.
Era rimasto, a sua volta, sorpreso quando seppe che al congresso provinciale del partito di cui ero segretario, avevo invitato il Sen. Pellicini, responsabile locale di An.
Non era mai accaduto. Volevo abbattere un muro. Pellicini si commosse.
Purtroppo, a differenza della Germania, a tutt’oggi in Italia non abbiamo saputo costruire una memoria condivisa. Anche da lì dipendono molte delle nostre debolezze. Quella vicenda contribuì a rafforzare un dialogo personale che andasse oltre quello, naturale, di carattere istituzionale.
Mi stimolava sentire le sue tesi su un mondo che non poteva essere ridotto a mercato. Da convinto ammiratore di Carlo Cattaneo e Altiero Spinelli, ascoltavo con interesse la sua lucida difesa del ruolo dello Stato.
La critica più corrosiva rivolta al mio campo era che l’economia e la finanza erigevano muri contro i diritti dei popoli. Proprio così. Una contraddizione che, in effetti, negli anni successivi la sinistra avrebbe pagato a caro prezzo. Tremaglia attribuiva grande importanza alla cultura e al dialogo fra diversi.
Il 14 luglio 1998 il Ministro Luigi Berlinguer, persona a me cara, istituì l’Università dell’Insubria. Un risultato storico, tant’è che da allora nessuna Università pubblica è stata istituita in Italia. Reso possibile dal dialogo fra maggioranze politiche diverse tra loro. In Provincia di Varese la Lega, in Regione il Polo, al Governo l’Ulivo.
Tenevo molto a quell’obiettivo e in quel lavoro complesso potei sempre contare sulla leale collaborazione di quello “strano” assessore regionale di destra.
Pochi mesi dopo apprendemmo la tremenda notizia della sua malattia, affrontata con coraggio e dignità , che in meno di due anni lo avrebbe sottratto, giovanissimo, ai suoi cari e alla politica.
Cosa avrebbe fatto di fronte ad una pandemia che ha sconvolto il mondo, colpito duramente la Lombardia, scuotendo in profondità la sua amata terra bergamasca?
È impossibile rispondere. In Lombardia le preoccupazioni per il futuro sono grandi, almeno quanta la voglia di reagire.
La frattura fra Nord e Sud, tra lavoratori dipendenti e autonomi, assumerà nei prossimi mesi caratteri inediti. Il Covid-19 ha investito brutalmente un tessuto produttivo e un mondo del lavoro autonomo che sono una fonte indispensabile per l’apparato pubblico e i trasferimenti sociali dell’intero Paese.
Di fronte alle ansie di milioni di persone, famiglie, imprese, sarebbe necessaria una leale collaborazione istituzionale fra Governo, Regione Lombardia, Enti locali, forze sociali, associazioni di categoria. Sommando e unendo le forze, non sprecando energie in polemiche inconcludenti.
Guai se la paura si trasforma in rabbia in una regione che ha, aveva, 800.000 imprese e rappresenta oltre il 22% del Pil nazionale.
Il 95% dei cittadini non ha fiducia nei politici italiani. È allarme rosso per chiunque creda nella democrazia e nella libertà e voglia contrastare vecchie e nuove disuguaglianze.
Non credo che Marzio Tremaglia avrebbe ignorato il sacrosanto invito del Presidente Mattarella alla leale collaborazione fra Istituzioni. Si sarebbe impegnato, con proposte concrete, affinchè la locomotiva del Paese potesse essere all’altezza delle sfide che attendono l’Italia, così come è avvenuto nei momenti di svolta della nostra Storia.
Mi è chiara, fin dalle scuole medie, la differenza fra sinistra e destra. So che a me, militante del Pd, manca molto un interlocutore di “destra”, consapevole che nei momenti d’emergenza serve un respiro capace di abbattere i recinti del passato e guidarci verso un sentiero antico e modernissimo.
Quello che guarda al bene comune. Non è retorica. È politica.
Daniele Marantelli
direzione nazionale del Pd
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 14th, 2020 Riccardo Fucile
“IN QUEL CASO L’AVREBBERO PERDONATA”… “A NOI CHE LA CONOSCIAMO E’ BASTATO VEDERE IL SUO SORRISO”
«Cara Silvia, il verde mi piace da matti, sii quello che sceglierai di essere». A parlare al Corriere della Sera è Francesca, volontaria che si trovava insieme a Silvia Romano a Chakama, in Kenya: tornò in Italia poco prima che l’amica e cooperante, oggi 24enne, fosse rapita da un gruppo terroristico legato ad Al Shabaab, il 20 novembre 2018. «Lei è tornata. Io sono felice. Sono contenta che sia arrivata sorridendo».
Francesca prova a zittire le polemiche legate al rientro di Silvia in Italia dietro alla conversione della ragazza. «A quelli che oggi la insultano, noi amici abbiamo qualcosa da dire. Avete in testa uno schema semplificato e binario dove bianco è bene, nero è male, e grigio non interessa. Volevate scendesse dall’aereo come ve la eravate immaginata voi, emaciata, piangente, fiaccata nel corpo dall’aguzzino e nell’anima dal senso di colpa perchè come Icaro aveva preteso troppo dalle sue possibilità ?».
E aggiunge: «Tutto le avreste ”perdonato” se il cappuccio fosse stato grigio cenere e gli occhi tremolanti di lacrime cariche di senso di colpa?».
Poi, Francesca chiede rispetto per la situazione di Silvia Romano e di tutti i cooperanti che scelgono di partire verso Paesi lontani: «Basta, adesso. Basta odio, facciano silenzio. Abbiamo studiato tanto per occuparci di infanzia e cooperazione internazionale, siamo ragazzi e ragazze responsabili, in Africa volevamo costruirci un pezzo di esperienza per un futuro anche lavorativo».
«A Silvia è successo l’inimmaginabile, per un anno e mezzo — chiosa Francesca -. Vedere adesso che finalmente è tornata questo clima intorno a lei riempie di rabbia e amarezza, io spero che venga denunciato chi insulta e si permette di giudicare». La ragazza glissa sulle eventuali responsabilità della onlus Africa Milele: «Quando c’ero io eravamo in tanti, ma la magistratura farà le indagini».
Sul tema della conversione, Francesca dà la sua interpretazione: «L’islam era l’unico credo cui poteva appigliarsi per sopravvivere. Nessuno conosce il contesto in cui è maturata l’idea, io so solo che quando l’abbiamo vista in televisione abbiamo riconosciuto il suo sorriso e per un attimo è sembrato lo stesso di quando a settembre festeggiavamo i suoi 23 anni a Chakama con la torta e gli applausi. Non ci importava altro».
E conclude: «Avrà fatto leva su tutte le risorse e lo spirito di adattamento che ha in corpo. Ora che è tornata libera di scegliere, diventerà la donna che vuole. Ci vorrà pazienza ma sarà più forte di tutto. Ha ben altro cui pensare che a quattro hater da tastiera, ha bisogno di tempo e tranquillità per elaborare tutto quello che ha dentro».
(da Open)
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Maggio 14th, 2020 Riccardo Fucile
“IL PROBLEMA E’ DI CHI FA POLEMICA, SONO SCELTE RELIGIOSE PERSONALI, NEL CORANO NON ESISTE L’OBBLIGO DI CONVERSIONE”… “LA MOSCHEA E’ APERTA A TUTTI, VENGONO ANCHE CATTOLICI, NON VEDO IL PROBLEMA”… “GLI INSULTI SUI SOCIAL? MASSIMA FIDUCIA NELLA MAGISTRATURA CHE FARA’ CHIAREZZA”
Da quando è tornata in Italia, dopo 18 mesi di prigionia, la sua conversione all’Islam è stata al centro di polemiche e di attacchi. Per Ali Abu Shwaima si tratta di una scelta personale che quindi non va commentata, ma semplicemente accettata
La comunità musulmana di Milano ha accolto con calore il ritorno di Silvia Romano in Italia, convertitasi all’Islam «per libera scelta» durante la prigionia in Somalia, come ha più volte dichiarato la stessa Romano. A partire da Ali Abu Shwaima, presidente del centro islamico di Milano e Lombardia che all’Adnkronos dichiara: «Se Silvia vuole venire in moschea è libera di farlo, la moschea è aperta a tutti, musulmani e non musulmani. Silvia sarebbe la benvenuta, come tutti. A qualsiasi musulmano io dico “benvenuto”».
Shwaima è il primo a sottolineare che l’accoglienza riservata a Romano da parte sua e della comunità musulmana, non è diversa da quella di una parte del Paese che ha accolto positivamente il suo ritorno. «Ho reagito come qualsiasi italiano — sottolinea Ali Abu Shwaima — sono stato contento che una concittadina fosse stata liberata dopo una prigionia di un anno e mezzo».
Rispetto alla scelta di Silvia Romano di convertirsi all’Islam Ali Abu Shwaima dice che c’è poco da aggiungere rispetto a quanto già dichiarato da Romano, salvo specificare che «nell’Islam e anche nel Corano si dice che non c’è obbligo» di conversione. «I musulmani — fa notare — sono un miliardo e mezzo, uno in più o uno in meno non cambia nulla».
Nessuna polemica dunque. «Il problema è di chi fa polemica», aggiunge. «Non si può entrare nelle scelte di una persona. Siamo in un Paese democratico, dove ognuno sceglie la religione che ritiene più adatta a sè». Sugli insulti sui social, spiega: «Penso che ora sarà la magistratura a fare chiarezza. Noi abbiamo fiducia nei giudici che approfondiranno questi atti».
Per quanto riguarda la volontà di Silvia Romano di coltivare la sua fede Ali Abu Shwaima spiega che il suo caso, per quanto unico, non è del tutto isolato: «[…] riceviamo anche molti cristiani che vogliono sapere qualcosa sull’Islam, la moschea è aperta a tutti. Chi è convinto sceglie l’Islam come religione, ci sono anche quelli che seguono l’induismo o altre religioni, siamo in una società e in un Paese democratico che dà libertà di pensiero e di fede a tutti».
L’importante è l’approfondimento: «Ci sono i libri — spiega Ali Abu Shwaima — c’è il Corano, oggi disponibile anche online, ed è tradotto in italiano. Può studiare da sola oppure venire in moschea se ha delle cose da chiarire o approfondire».
(da Open)
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Maggio 14th, 2020 Riccardo Fucile
“NON SI SA CON CHI PARLARE, MANCA UNA GUIDA, CI VORREBBE PIU’ SERIETA’ E SENSO DELLE ISTITUZIONI”
Dubbiosi sin dall’inizio sull’alleanza con il M5s, i malpancisti del Pd appaiono particolarmente insofferenti in questo periodo per l’opposizione di una parte dei grillini su temi importanti, dal Mes ai migranti.
Il disagio è reciproco, anche se in Base riformista, la corrente dell’ex ministro Luca Lotti, e tra gli ex giovani turchi orfiniani, ma anche tra alcuni milanesi vicini a Lia Quartapelle ed emiliani legati al governatore Bonaccini, circola a tratti una disposizione compassionevole: “A volte ci viene da dire ‘aiutiamoli’, ‘diamogli una mano'”.
Il problema, spiegano, non è più soltanto ideologico. Il rifiuto ostinato di lavorare come un normale partito politico, la pretesa di restare un movimento senza strutture ben definite, sta creando il caos all’interno dei 5S.
E non si tratta solo di lotte intestine per la scalata alla leadership. La questione, per i dem, è che “non si capisce da che parte vogliono andare”.
L’andamento a zig-zag delle ultime settimane è la spia della mancanza di una guida, di un gruppo dirigente che sappia indicare dei binari lungo i quali muoversi senza incertezze. “Non si sa con chi parlare”, si lamentano alcuni democratici, “non si capisce la loro visione, il fatto di essere diventati una forza di governo non li ha fatti crescere”.
“A volte per capire cosa vogliono davvero i cinquestelle servirebbe un ‘cremlinologo’ – spiega scherzando Andrea Romano, deputato ed esponente di Base riformista – quegli analisti che al tempo dell’Urss cercavano di interpretare cosa si muoveva dietro le tende impenetrabili del regime sovietico. Il Pd discute alla luce del sole, spesso con veemenza, ma poi tutti capiscono cosa vuole e come intende arrivarci”.
Un Movimento “che non ha superato ancora l’età adolescenziale”, come ha sottolineato anche il grillino moderato Giorgio Trizzino in una recente intervista a Repubblica.it. Ma oltre al tema dei 5s allo sbando, ce n’è un altro e riguarda la serietà .
I pd più smaniosi sostengono che in una fase critica come quella attuale e in vista della ricostruzione che ci aspetta servirebbero meno “fenomeni” e più concretezza nelle scelte e nell’azione.
Meno rumore, meno dichiarazioni roboanti e spesso infruttuose e più “lavoro di cucina”. In una parola più serietà come si compete a una forza di governo che deve darsi modalità di decisione e condivisione più trasparenti, soprattutto in un tempo difficile come questo in cui gli italiani si aspettano dalla politica concretezza.
E’ pur vero che lo stesso Pd spesso rischia di fare solo da “cuscinetto” all’interno della maggioranza, mentre secondo alcuni, come Matteo Orfini che si definisce un “malpancista della prima ora”, dovrebbe dare con più forza un impianto e una direzione al governo in questa particolare fase storica. “Occorrono più sforzi per indirizzare meglio la gestione della crisi economica, che diventa sempre più grave, le fasce più deboli muoiono letteralmente di fame”, osserva il deputato ed ex presidente del partito. “Non possiamo far saltare i tavoli – replica a distanza Romano – la serietà è insita nella nostra natura. E’ più faticoso, certo, ma tutti noi siamo uniti dal senso di responsabilità “.
Quanto agli scenari futuri, per il Pd il tema dell’alleanza con i 5s non si pone quando si tornerà a votare. “Ho sempre considerato l’intesa con i grillini figlia di una fase emergenziale e non come una prospettiva futura e Conte sempre come un trasformista e non un progressista”, chiarisce Orfini.
Se la prossima legge elettorale, di cui le forze politiche avevano cominciato a discutere prima dell’emergenza coronavirus, manterrà un impianto proporzionale con soglia alta ci sarà una reale competizione fra i partiti.
Gli elettori non voteranno per delle coalizioni e le differenze politiche tra le formazioni in campo saranno chiare. Differenze che però per i dem più scontenti sono già evidenti: “Quello che accade quotidianamente dimostra che siamo forze alternative”, conclude Orfini.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 14th, 2020 Riccardo Fucile
DOPO LA CAPORETTO SULLE REGOLARIZZAZIONI I GRILLINI ACCUSANO IL PREMIER DI FARE ASSE CON IL PD NELLA CONVINZIONE CHE ALLA FINE SI DOVRA’ CEDERE
Quando è arrivata la notizia che il governo francese ha deciso di non far ricorso alla linea di credito del Fondo salva stati è scoppiata la bomba.
“È stato bravo a fare da solo con i dpcm, adesso scarica su di noi il Mes”. La vicenda regolarizzazioni ha lasciato uno strascico pesante. Mai come prima l’intero mondo del Movimento 5 stelle ritiene ormai Giuseppe Conte, imposto alla Lega e difeso strenuamente dal Pd, un corpo estraneo.
La riunione di domenica notte, la conferma dell’accordo e poi la ritrattazione, con un giro di comunicati tra Palazzo Chigi e il vertice pentastellato che si smentivano tra di loro, ha determinato la frattura.
Nelle chat 5 stelle gira con insistenza il video di quando il premier ha detto con convinzione sì agli eurobond e no all’utilizzo del fondo Salva stati. A quello ci si appiglia, nella convinzione, però, che il metodo regolarizzazioni rischia di essere imposto anche sul tema europeo.
E nella certezza che “ormai Conte ha stretto un asse con il Pd”, lasciando i 5 stelle estranei a casa propria.
Quando lunedì sera i parlamentari grillini si sono riuniti in un assemblea presieduta da sottosegretari Stanislao Di Piazza e Giuseppe Labbate, una vasta maggioranza si è detta contraria all’accordo pur siglato da Crimi la notte prima.
Ma allora perchè far passare l’accordo? Un esponente del governo spiega: “Eravamo alle strette, l’alternativa era far cadere al governo”.
Si narra di una telefonata durissima fra Conte (che in conferenza stampa ha definito la regolarizzazione “una misura di civiltà ”) e il capo politico pro tempore, che ha sbloccato la situazione non incamerando praticamente nessuna delle istanze pentastellate.
Ora si prepara la battaglia sul Mes, il voto sulla risoluzione dovrebbe arrivare nelle prossime due settimane. Sempre la stessa fonte incalza: “Ci prepara lo stesso trattamento: non vuole prendersi lui la responsabilità , ma sa benissimo qual è la situazione del gruppo”.
Alvise Maniero e Raphael Raduzzi sono i due giovani deputati che guidano la fronda. Studiano da mesi il dossier, la loro posizione barricadera si porta appresso la gran parte del gruppo. I più realisti, fra cui anche Luigi Di Maio, sono consapevoli che sarebbe una follia aprire una crisi in questo momento, capiscono che i pasdaran si attaccano a una battaglia di posizione, la condividono anche, ma iniziano a scendere in campo per mediare.
Non aiuta la cesura avvenuta tra il ministro degli Esteri e il premier sul caso Silvia Romano. L’intero corpo diplomatico che ha lavorato al caso della giovane cooperante italiana non ha preso affatto bene la volontà di Conte di intestarsi la liberazione, senza avvertire prima i suoi uomini. Nè l’arrivo non previsto a Ciampino quando è atterrato il volo ha contribuito a rasserenare gli animi.
“Il Mes per noi è una linea di trincea, è come il Tav”, dice un senatore con un esempio sgraziato di una battaglia che fu persa e che costò la sopravvivenza al Conte 1. I 5 stelle si sentono con le spalle al muro. Da Crimi, un no-Mes convinto, andando giù e passando per tutti i colonnelli pentastellati, tutti sanno che devono tenere sulle barricate fino all’ultimo secondo utile, sperando negli eventi, ma che probabilmente dovranno cedere il passo.
Il vuoto di potere al centro del Movimento fa il resto. Spiegano che a Beppe Grillo poco interessino le tecnicalità del Mes, ma che al fondatore interessa assai che l’alleanza con il Pd non vada a sbattere.
La debolezza dei vertici non aiuta. Alfonso Bonafede starebbe valutando un passo indietro da capo delegazione. Nel gruppo si è sparsa a macchia d’olio la sfiducia nei confronti del Guardasigilli.
“Lo difendiamo e lo salveremo dalla mozione di sfiducia perchè non possiamo fare altro – spiega un membro dell’esecutivo – ma cosa sarebbe successo se uno di Forza Italia o del Pd avesse consentito la liberazione di boss della mafia? Gli saremmo saltati al collo”.
La pattuglia al governo è tutt’altro che solida, con le ministre Lucia Azzolina e Nunzia Catalfo che sono già entrate da frontrunner nel frullatore del rimpasto.
È quasi tragicomico ma racconta bene la situazione la storia del vertice sulle regolarizzazioni di domenica notte. In difficoltà , Bonafede e Riccardo Fraccaro hanno chiesto l’intervento di Crimi per dirimere la questione. Crimi si è collegato, la riunione è proseguita, è stato dato l’ok.
La mattina dopo il capo pro tempore è stato sommerso dalle proteste, con un gruppo intero a sostenere che “non ha capito quello a cui ha detto sì”.
Sono uscite chat interne in cui l’interessato avanzava le sue vibranti osservazioni, con sconcerto di molti dei partecipanti a quella conversazione (ministri e sottosegretari) e veleni partiti subito dopo: “L’ha fatta uscire lui per difendersi”.
Davide Casaleggio è sempre più lontano, spiegano che abbia diradato i rapporti sia con Di Maio sia con Crimi, che voleva sostituire al comando passando per Rousseau, mossa sventata anche grazie l’intervento di Grillo.
Alice Salvatore, storico colonnello ligure e considerata vicinissima al figlio del fondatore, ha presentato ieri “Buonsenso”, la lista con cui correrà da sola alle regionali.
In questa cornice spappolata, la consapevolezza che la ridotta del Mes cadrà si sta insinuando con sempre più convinzione nel Movimento. Che addita Conte, il corpo estraneo, come responsabile della sempre più probabile capitolazione.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 14th, 2020 Riccardo Fucile
LE NORME LASCIANO FUORI MOLTI MIGRANTI NEL SETTORE EDILIZIA, COMMERCIO, LOGISTICA E RISTORAZIONE
Un esercito invisibile promette di uscire allo scoperto. Braccianti, colf, badanti, che lavorano in nero e senza diritti nelle campagne e nelle case degli italiani, potrebbero presto mettersi in tasca un permesso di soggiorno.
Il governo ha infatti dato il via libera alla regolarizzazione di parte dei migranti senza documenti che vivono nel nostro Paese.
Un provvedimento con luci e ombre, accolto con favore dalle associazioni in prima linea sul fronte dell’accoglienza, che avrebbero però voluto un maggiore “coraggio”: le norme infatti limitano la platea dei possibili beneficiari, rischiando di lasciare molti migranti nell’ombra.
Una “platea” ancora ristretta
“Ero straniero”, la Campagna promossa tra gli altri da Oxfam Italia, Arci, Asgi, Centro Astalli, Radicali Italiani, A Buon Diritto, ActionAid Italia, Legambiente, Acli, dà atto “ai membri del Governo di aver portato avanti con determinazione il provvedimento”. Ma aggiunge che per “una reale efficacia dell’intervento, sarebbe stato necessario un allargamento quanto più possibile della platea dei beneficiari: innanzitutto non limitando l’accesso alla procedura di regolarizzazione ai settori agricolo, di cura e lavoro domestico, ma aprendo anche agli altri comparti. Troppo restrittivi poi i requisiti richiesti al cittadino straniero per poter chiedere il permesso di soggiorno di 6 mesi per cercare un lavoro. Che senso hanno queste limitazioni se l’obiettivo della misura è il contrasto dell’invisibilità , con tutte le gravi conseguenze sul piano economico, sanitario e di sicurezza sociale che tale condizione comporta?”.
Il Consiglio italiano per i rifugiati
Il Cir giudica “una norma positiva, ma parziale, quella che renderà possibile la regolarizzazione di molti lavoratori nel nostro Paese. Il grande limite del decreto consiste nell’ampiezza della platea destinataria: la regolarizzazione si applicherà infatti esclusivamente ai lavoratori impiegati nell’agricoltura, nei servizi domestici e di cura, lasciando senza alcuna possibilità di legalità le migliaia di persone che lavorano nell’edilizia, ristorazione, logistica, commercio e in tanti altri settori produttivi”.
Non solo. “La norma dovrebbe prevedere un secondo canale di legalizzazione: il rilascio di un permesso di soggiorno per ricerca occupazione semestrale, ma solo per coloro che hanno perso un permesso di soggiorno dopo ottobre 2019 e che possono dimostrare un precedente lavorativo nei settori dell’agricoltura e lavori domestici. Un’accezione troppo ristretta, che lascia fuori decine di migliaia di persone che in Italia hanno investito molto e stavano costruendo un percorso positivo di integrazione”.
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2020 Riccardo Fucile
“SEI MESI NON SONO SUFFICIENTI MA LA NUOVA NORMA CI RENDE PIU’ TUTELATI DA CAPORALI E AZIENDE”
Mentre il Consiglio dei Ministri è riunito per quella che diventerà in serata l’approvazione definitiva del dl Rilancio, Raffaele Falcone della Flai Cgil sta distribuendo mascherine nei campi di Rignano, in Puglia.
Sono giorni difficili: la raccolta dell’asparago si intreccia con la semina dei pomodori e i braccianti agricoli faticano più del solito ad arrivare a fine giornata. Nonostante l’emergenza Coronavirus, infatti, il lavoro è andato avanti con gli stessi ritmi di prima.
Tra loro c’è Bamoussa, un ragazzo di 33 anni originario del Gambia che anni fa è venuto in Italia per lavoro.
La sua compagna ha partorito un bambino quando lui era già nel nostro Paese e sono 6 anni che non vede suo figlio. Prima aveva il permesso di soggiorno, ma non aveva abbastanza soldi per tornare indietro; ora, che qualcosa è riuscito a mettere da parte, non ha più i documenti.
Da quando i decreti sicurezza di Matteo Salvini (approvati durante il governo Conte I, insieme agli allora alleati di governo del Movimento 5 Stelle) sono entrati in vigore abolendo la protezione umanitaria, Bamoussa non ha più i documenti. Ogni spostamento gli è impossibile.
«Sei mesi possono sembrare pochi, e sicuramente non sono abbastanza», dice Falcone. «Ma per molte persone sono sufficienti per cambiare gli equilibri della loro vita».
Dopo l’approvazione dei Decreti Sicurezza, i ghetti si sono riempiti di persone diventate tutto d’un tratto irregolari. Una massa enorme di lavoratori si è trovata da un momento all’altro a non avere più i requisiti per essere in regola.
«C’è stata una catastrofe», dice Falcone. «Io parlo con le persone ogni giorno. Vorrebbero un contratto di lavoro, un permesso. Anche solo per tornarsene a casa».
Falcone da anni lavora nel foggiano, provincia cruciale per i contratti agricoli. Proprio in questi giorni si stanno discutendo le nuove condizioni: le associazioni dei datori di lavoro stanno chiedendo un abbassamento salariale notevole, usando i problemi con la grande distribuzione per pretendere di pagare meno i lavoratori.
L’approvazione della norma è cruciale perchè dà un’arma in più in mano ai lavoratori, che in questo periodo possono avanzare più pretese anche a fronte di una diminuzione della manodopera. «Prima della pandemia, i caporali e le aziende potevano minacciare di non assumere vista l’enorme richiesta di lavoro», spiega Falcone. «Ora, con bulgari e romeni bloccati nei Paesi di provenienza, queste persone hanno dalla loro un’arma in più per far valere i propri diritti».
Per chi viene sfruttato da caporali e aziende agricole, avere la legge dalla propria parte — anche se per poco — fa un’enorme differenza. Con l’approvazione del provvedimento, oltretutto, Falcone spera che ci sarà un aumento dei controlli da parte degli ispettori.
«Se ti trovano con decine di lavoratori non in regola le multe sono salate», spiega. «Questo potrebbe essere un altro incentivo per fare contratti di lavoro a queste persone».
Nell’ottica della ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, che si è intestata la battaglia dell’emersione degli “invisibili“, la messa in regola dei lavoratori stranieri nei settori ora riscoperti essenziali (come agricoltura e caregiving) deriva da una necessità sanitaria e di mercato.
Nel decreto appena approvato ci sono due vie per la messa in regola: da una lato i datori di lavoro possono presentare — pagando un contributo forfettario di 400 euro — un’istanza per regolarizzare lavoratori italiani o stranieri finora tenuti in nero. A patto che, però, gli stranieri siano stati fotosegnalati in Italia prima dell’8 marzo 2020 e non abbiano lasciato il territorio nazionale per tutto il periodo del lockdown.
Poi c’è la questione dei lavoratori non italiani con il permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019. In questo caso, pagando 160 euro (non una cifra da niente, ndr), otterranno un permesso di soggiorno temporaneo della durata di 6 mesi attraverso una domanda presentata al questore dal 1 giugno al 15 luglio. Se nei sei mesi di permesso temporaneo lo straniero esibisce un contratto di lavoro subordinato, il permesso verrà convertito in permesso per motivi di lavoro.
«Nei campi mancano i diritti, non le braccia», aveva scritto Aboubakar Soumahoro, ex bracciante e da anni sindacalista per i diritti dei lavoratori agricoli. Quello di Soumahoro, quello di Falcone e dei lavoratori agricoli è un punto di partenza opposto da quello offerto da Bellanova — che, spiegando la sua proposta, aveva detto che non si tratta di «fare un piacere a queste persone» ma di «risolvere un problema di manodopera» derivato dall’emergenza Coronavirus. In ogni caso, a prescindere dalle intenzioni politiche, può essere un’occasione per costruire qualcosa di più grande.
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2020 Riccardo Fucile
MA NELLA FRETTA I TAROCCATORI SOVRANISTI SBAGLIANO E TRADUCONO INTEGRALMENTE IL PRESUNTO POST ARABO DOVE SI SPECIFICA CHE “USUFRUISCONO DELLA SANATORIA SOLO COLORO CHE SONO IN ITALIA PRIMA DEL 9 MARZO” COME DA DECRETO… QUINDI NESSUNO PUO’ VENIRE ORA IN ITALIA PER QUEL MOTIVO
Con l’intelligenza tipica di chi fa il social media manager per Matteo Salvini, la pagina facebook della Lega ha appena pubblicato questo interessante status in cui sostiene che la notizia della sanatoria del governo si stia “diffondendo a macchia d’olio sulle pagine facebook di area nordafricana” perchè “tanti vogliono avvantaggiarsi di questa nuova possibilità , grande pubblicità anche per chi vuole venire in Italia”.
Si tratta naturalmente di una fregnaccia.
Perchè la sanatoria per colf, badanti e lavoratori dell’agricoltura è rivolta a chi è in Italia da prima del 9 marzo (a tal fine, i cittadini stranieri devono essere stati sottoposti a rilievi fotodattiloscopici prima dell’8 marzo 2020), e quindi chi venisse oggi non potrebbe usufruirne. Non solo.
Che sia una fregnaccia lo dimostra anche la traduzione (automatica) postata dalla Lega, dove si specifica, al contrario che nello status dei leghisti, che serve essere in Italia dal 9 marzo.
Naturalmente, al contrario di quel che si pensa, gli unici che vogliono “l’invasione” sono i propaganders leghisti, perchè così hanno materiale da postare su Facebook.
(da “NextQuotidiano”)
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