Maggio 6th, 2020 Riccardo Fucile
ACCORDO VICINO PER L’EUROGRUPPO DI VENERDI
L’Eurogruppo di domani dovrebbe raggiungere un accordo sulle linee guida che caratterizzeranno la nuova linea di credito del Meccanismo Europeo di Stabilità , creata per far fronte alle spese sanitarie degli Stati membri dell’Ue nella pandemia.
Lo si apprende da fonti europee.
Senza condizionalità , la sorveglianza sarà “light”, ma in futuro la Commissione europea potrà usare la sua autorità per chiedere ad un paese di rientrare nei ranghi, nelle regole del Patto di stabilità e crescita. Quest’ultima non è una novità del ‘nuovo’ Mes ma disposizione prevista dai Trattati (Six and two pact) che ora però, in piena emergenza, non viene considerata realistica a Bruxelles.
Non viene considerata realistica perchè il Memorandum che i paesi che vogliono il prestito dovranno firmare sarà — anche questo – “light”, solo un controllo sulla destinazione delle spese. E dunque, specificano le fonti europee, sulla base di un Memorandum siffatto sarebbe impossibile chiedere un programma di aggiustamento macroeconomico.
A Bruxelles dunque escludono una ‘troika’ ex-post. Ma, per precauzione, i funzionari europei hanno cambiato il nome del Memorandum in “Template response plan”, in modo che non ricordi i tempi bui dello scontro tra Atene e Bruxelles per la crisi del debito greca. Si tratta di un modello di piano di risposta che indicherà le spese eleggibili al finanziamento. Gli Stati che chiedono il prestito dovranno indicare su questo modello la struttura delle loro spese.
I prestiti del Mes, pari al 2 per cento del pil per ogni paese, potrebbero essere disponibili a partire dal primo giugno, insieme al piano di intervento della Bei ma non insieme al piano della Commissione europea ‘Sure’ di sostegno alla disoccupazione.
Per questo ci vorrà più tempo, gli Stati devono metterci la garanzia di 25 miliardi e i Parlamenti nazionali devono ratificare.
Ma il Mes dovrebbe essere pronto per giugno. Sulla durata dei prestiti, c’è ancora discussione tra nord e sud Europa.
Il nord spinge per una durata più breve. Il sud la vuole più lunga. Ma questo potrebbe essere oggetto di trattative dei singoli Stati nel momento in cui vanno a chiedere il prestito.
Nel senso che l’Eurogruppo di dopodomani potrebbe lasciare un’ampia forchetta nella quale trattare. Ad ogni modo, riferiscono a Bruxelles, la durata dei prestiti non è questione che possa far saltare il banco.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 6th, 2020 Riccardo Fucile
LA ALAN KURDI ERA STATO IN CANTIERE E COMPLETAMENTE REVISIONATO POCO PRIMA DELL’ULTIMA MISSIONE, NON ESISTONO ANOMALIE… DATO CHE IL GOVERNO NON HA LE PALLE PER DIRE CHE NON E’ CAMBIATO MOLTO DAI TEMPI DI SALVINI, RICORRE A PRETESTI
E’ di nuovo braccio di ferro tra l’Italia e le Ong. Con un doppio sequestro amministrativo che, in 24 ore, costringe a rimanere in porto le due uniche navi umanitarie ancora attive nel Mediterraneo che avevano soccorso i 118 migranti che ieri hanno concluso la loro quarantena a bordo della nave Rubettino noleggiata dal governo e gestita dalla Croce Rossa.
Dopo il fermo amministrativo della Alan Kurdi della Sea eye, oggi la Guardia costiera ha disposto analogo provvedimento per l’imbarcazione basca Aita Mari mentre la Ong tedesca denuncia a Berlino: ” Il governo italiano ci molesta”.
“Detenere la nostra nave è una pura molestia – sostiene il portavoce della Sea eye Julian Pahlke – per fermare gli sforzi di salvataggio in mare civili, un pò alla volta. Alan Kurdi, prima dell’ultima missione, era stata in cantiere ed è stata completamente revisionato. L’unico obiettivo di questo blocco è fermarci attivamente dal salvataggio in mare. Invece di proteggere i diritti umani, coloro che lo fanno sono ostacolati in ogni angolo “,
La “Alan Kurdi”, è ormeggiata al porto di Palermo, l’equipaggio ha trascorso la quarantena a bordo e ieri, allo sbarco, è stato sottoposto a tampone anti covid.
Aggiunge Gorden Isler, presidente di Sea-Eye: “L’abuso di autorità motivato politicamente dalla guardia costiera italiana sta impedendo la nostra missione, pianificata a maggio”.
Analoga sorte è toccata alla Aita Mari, all’ormeggio a Palermo.
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2020 Riccardo Fucile
LA MAGGIORANZA PRESENTA MILLE EMENDAMENTI AL DL IMPRESE, I PARTITI LITIGANO, IL PREMIER IRRITATO CON I GRILLINI PER IL NO ALLA SANATORIA SUI BRACCIANTI… CONTE PUNTA SU ALLEANZE CON LE PARTI SOCIALI PER USCIRE DAL GUADO
“Vogliamo chiudere entro la settimana”, ha ribadito per tutto il giorno Giuseppe Conte a chi ha incontrato nelle mille riunioni per il decreto aprile, cercando con le unghie e con i denti di salvare il salvabile non facendolo arrivare a metà maggio.
La fase 2 si sta rivelando un assedio. Prima di lunedì il fronte era uno: la gestione sanitaria, il contagio, i dpcm. Al primo assaggio di normalità il timoniere dei due mesi di lockdown ha visto sbandare la nave.
C’è un elemento di queste ore che è cartina tornasole perfetta della situazione. Alla Camera è arrivato il decreto liquidità per le imprese. La situazione di difficoltà lo farebbe immaginare blindato. E invece no. La sola maggioranza ha presentato più di mille emendamenti, 1025 per la precisione: 476 il Partito democratico, 304 il Movimento 5 stelle, 154 Italia viva, 91 Liberi e uguali.
Alcuni verranno stralciati, su altri si troverà un’intesa, ma il dettaglio particolare rivela una generale insoddisfazione sulla strada imboccata per far ripartire il paese. Senza contare che, escludendo il decreto maggio e tenendo conto di un Parlamento che lavora a regime ribassato, si rischia l’ingorgo per i sei decreti che ancora attendono di essere convertiti tra Camera e Senato. Senza contare quello sulle Semplificazioni già annunciato da Conte, e l’altro, sulla retromarcia sulle scarcerazioni, annunciato proprio oggi da Alfonso Bonafede.
La grana delle regolarizzazioni degli irregolari che ha portato Teresa Bellanova a minacciare le dimissioni, ha colto di sorpresa il presidente, convinto che si potesse e si possa trovare un punto di caduta e irritato per la posizione salviniana dei 5 stelle, al punto che Nicola Fratoianni di Leu ha tenuto a ricordare al capo politico M5s di non far parte dell’esecutivo precedente.
E’ solo l’ultimo intoppo di un accerchiamento.
Sul Reddito di emergenza continuano le schermaglie tra i 5 stelle da un lato e Pd e Italia viva dall’altro, sui capitali pubblici nelle grandi imprese i renziani hanno battagliato con così tanta foga che il premier si è presentato davanti alle imprese chiedendo ai leader industriali una loro opinione, nemmeno il governo fosse ancora nella fase dell’elaborazione delle proposte.
Il capo del governo sa di giocarsi tutto nel prossimo mese di maggio. “Ci attende un periodo di grande sofferenza”, ha spiegato durante l’incontro con Rete imprese Italia. Ma i ritardi e le approssimazioni continuano a sommarsi e il Palazzo ribolle. La Germania ha deciso oggi di far ripartire la Bundesliga, Conte ha candidamente ammesso al Fatto di non aver ancora messo mano al dossier.
Una pressione fortissima, che il presidente sente tutta sulle spalle.
Per uscire dall’angolo in queste ore l’avvocato del popolo ha battuto più volte su un tasto sul quale fino a qualche giorno fa era assai più prudente: le riaperture.
Perchè la narrazione delle ultime settimane è stata improntata alla più grande cautela, alla necessità di socchiudere anzichè spalancare, a un nemico non ancora sconfitto. Sentite la versione offerta a Rete imprese Italia: “Se c’è la possibilità di anticipare qualche data per la riapertura delle attività della vendita al dettaglio e degli esercizi commerciali lo faremo”.
“Dal 18 maggio” avverte Francesco Boccia, e “rispettando le linee guida Inail”. Ma la ricalibratura del mood con cui finora si è circoscritta la questione è evidente. Il presidente della Conferenza Stato-Regioni Stefano Bonaccini ha spronato proprio in questa direzione.
Dichiarazioni d’intenti, al momento. A Ferrara il prefetto ha fermato l’ordinanza del sindaco leghista Alan Fabbri che avrebbe anticipato a lunedì la riapertura della vendita al dettaglio non alimentare. La pratica rimane immutata, la comunicazione sta cambiando.
Il premier sa che la connessione con il paese è l’unica garanzia che lo tiene in sella, mentre i giochi di Palazzo fervono e persino il Quirinale fa filtrare che l’unica alternativa a Conte è il voto, per dissuadere i picconatori.
I numerosi incontri con le parti sociali (ma anche la tessitura con i partiti, fissando un inconro con i veriticidi Italia Viva) testimoniano la volontà di ricucire rapporti con sindacati e imprenditori (con i primi mai veramente deteriorati, con i secondi messi in discussione dall’arrivo di Carlo Bonomi), di riannodare i fili di una narrazione che per due mesi lo ha visto accreditato come il buon padre di famiglia di un paese in ginocchio.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 6th, 2020 Riccardo Fucile
LE PERENNI LITI INTERNE DEI FRATELLI (COLTELLI) D’ITALIA
La Jole nazionale da leader forzista era nota per aver sostenuto che Ruby era la nipote di Mubarak e per le passeggiate con Dudù a Palazzo Grazioli.
Ora, invece, da presidente di Regione Calabria la governatrice ha deciso di strafare, entrando in rotta di collisione col governo sull’ormai noto “affaire-tavolini“, ossia la possibilità (negata da Roma, ma concessa a Catanzaro) per i bar e i ristoranti di aprire con tavoli all’aperto.
Mentre la questione si è spostata sul piano giudiziario (sabato si discuterà il ricorso al TAR Calabria sul punto), Jole gira le trasmissioni e sogna Brad Pitt (come da lei spifferato a Un giorno da pecora). Ma, vista la sbronza da consenso elettorale (eletta con il 56 per cento lo scorso gennaio) e gli outfit di strass che sfoggia dalla D’Urso, c’è da chiedersi, è tutto Jole ciò che luccica?
In realtà lo scontro col Governo Conte e l’eccessiva mediaticità della questione, a cui si è unita la difesa d’ufficio di un Gasparri pronto a sfoderare le doti da fine linguista contro il Ministro degli affari regionali (Boccia bocciato!), non rappresenta il mero culto della personalità della Presidente, ma è sicuramente un escamotage utile e furbo per nascondere sotto il tappeto gli animi di un centrodestra calabrese tutt’altro che coeso.
Non solo gli imbarazzi per il vicepresidente leghista Nino Spirlì (“vecchia checca”, come lui stesso si auto-definisce); ma anche le questioni giudiziarie con l’arresto del subito ex consigliere regionale di Fdi Creazzo e lo scandalo di Villa Torano nel cosentino che ha coinvolto il ‘coordinatore preferito’ di una lista a sostegno di Jole, Claudio Parente, ex consigliere regionale di Forza Italia, ma anche contraddizioni, sgambetti reciproci e dissapori stratificati negli anni.
Basti pensare a Wanda Ferro, attuale commissaria regionale di Fratelli d’Italia e già candidata presidente della Regione per il centrodestra nell’era politica pre-Jole.
Il centrodestra di governo nel 2014 approvò una legge elettorale con un colpo di mano per tenere fuori dal consiglio regionale, quale candidata presidente perdente, l’attuale segretaria della Commissione parlamentare antimafia, divenuta deputata nonostante i ‘dispetti’ dello stesso centrodestra, probabilmente di Jole, che nel 2018 la candidò nel collegio uninominale di Vibo Valentia (quindi differente da quello della sua città ). L’unico in cui, in realtà , dai sondaggi era favorito il centrosinistra.
E chi propose la legge elettorale anti-Wanda? L’allora presidente del consiglio regionale Franco Talarico, attuale assessore al bilancio della giunta Santelli in quota UDC-Lorenzo Cesa.
Certo, all’epoca Wanda Ferro entrò in consiglio regionale della Calabria (nel 2017) dopo un ricorso alla Corte costituzionale che, una volta accolto, vide il plauso di Jole. Che però, più o meno sottobanco, invitava l’attuale senatore di Forza Italia Giuseppe Mangialavori a fare ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione del TAR che, applicando la decisione della Consulta (sentenza 243/2016) apriva alla Ferro (e chiudeva a lui) le porte del Consiglio regionale e del gruppo misto, anticamera del suo traghettamento nel partito della Meloni.
Il primo atto di Wanda consigliera regionale? Una formale proposta di costituzione di una commissione di inchiesta sulla legge elettorale, firmata anche da Domenico Tallini (attuale presidente del Consiglio regionale) e Fausto Orsomarso (attuale assessore regionale al turismo)
In tale occasione, la Ferro sottolineava che “le modalità del tutto inconsuete e i tempi (altrettanto anomali) con i quali il legislatore ha modificato la legge elettorale (i cui effetti si sono rivelati completamente differenti dagli obiettivi dichiarati), la declaratoria parziale di incostituzionalità della legge e il fondato dubbio che vi possano essere ulteriori profili di incostituzionalità impone lo svolgimento di un’inchiesta sull’attività amministrativa svolta, trattandosi di questione di interesse regionale e generale e avente ad oggetto la legge fondamentale dei diritti democratici e la garanzia della sovranità popolare”.
Certo, perchè quella legge elettorale regionale era stata approvata senza la preventiva assegnazione ad una commissione consiliare, con una relazione di accompagno identica al progetto di legge e con un testo abbondante di difetti e imprecisioni.
Del prosieguo di tale lodevole iniziativa non vi è traccia, ma la deprecabile prassi calabrese dell’interpretazione “elasticissima” di leggi e regolamenti per far fronte ad esigenze estemporanee e problematiche politiche, invece, continua.
Basti pensare che lo stesso bilancio di previsione della Regione Calabria è stato approvato il mese scorso senza il passaggio nella relativa commissione consiliare (ancora non costituita, unitamente alle altre, per mancati accordi nel centrodestra).
Ecco perchè forse Jole Santelli si rifugia in tutte le televisioni e si immola alla causa contro il Governo come una Giovanna D’Arco del tavolino, probabilmente per scampare dalle perenni liti interne al ‘suo’ centrodestra e, soprattutto, ai suoi Fratelli (coltelli) d’Italia.
(da TPI)
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Maggio 6th, 2020 Riccardo Fucile
CONTESTATE “IRREGOLARITA’ DI NATURA TECNICA E OPERATIVA”: FINO A QUANDO NON FARANNO MODIFICHE A BORDO RESTERA’ BLOCCATA IN PORTO… DOPO AVER SALVATO 149 ESSERI UMANI QUALCUNO VUOLE CHE ALTRI AFFOGHINO PER NON DISTURBARE IL GOVERNO
Ispettori della Guardia costiera hanno sottoposto la nave Alan Kurdi, ormeggiata a Palermo, ad un’ispezione per che ha evidenziato «diverse irregolarità di natura tecnica e operativa tali da compromettere non solo la sicurezza degli equipaggi ma anche delle persone che sono state e che potrebbero essere recuperate a bordo».
Lo fa sapere la Guardia costiera informando che la nave sarà sottoposta a «fermo amministrativo» fino alla rettifica delle irregolarità rilevate.
Fermo amministrativo anche per la nave spagnola Aita Mari dopo che un’ispezione della Guardia costiera ha riscontrato diverse irregolarità a bordo. La nave è ormeggiata al porto di Palermo.
La Alan Kurdi è attraccata nei giorni scorsi dopo il periodo di quarantena svolto a seguito del trasferimento sulla nave Raffaele Rubattino dei migranti presenti a bordo. Accertate anche alcune violazioni delle normative a tutela dell’ambiente marino.
Per la rettifica di alcune delle irregolarità rilevate, prosegue la Guardia costiera, sarà necessario l’intervento dello Stato di bandiera (la Germania) che detiene la responsabilità della conformità della nave rispetto alle convenzioni internazionali e alla legislazione nazionale applicabile in materia di sicurezza della navigazione e tutela ambientale.
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2020 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL SOCIOLOGO MARCO OMIZZOLO: “TANTE AZIENDE PAGANO 3 EURO ALL’ORA SFRUTTANDO IMMIGRATI, ANCHE REGOLARI, E POI CHIEDONO PURE UN CONTRIBUTO DALLO STATO”
Continua la discussione sulla regolarizzazione dei lavoratori, anche immigrati, per non bloccare il comparto dell’agricoltura.
La ministra Teresa Bellanova (Italia Viva) ha lanciato il suo ultimatum: “non è una battaglia strumentale per il consenso. Queste persone non votano. Se non passa, sarà un motivo di riflessione sulla mia permanenza al Governo. Non sono qui per fare tappezzeria”, ha dichiarato. Mentre la Lega insiste su una regolarizzazione che sarebbe, a loro parere, un ennesimo tentativo di invasione.
Per fare chiarezza ne abbiamo parlato con Marco Omizzolo, sociologo e presidente di Tempi Moderni che da anni studia lo sfruttamento dei lavoratori stranieri nell’agricoltura.
Professor Omizzolo, cosa ne pensa della proposta di regolarizzazione della ministra Bellanova?
La proposta di regolarizzazione sulle bozze è inadeguata perchè non tiene conto del fatto che il sistema di sfruttamento è trasversale e radicato in tutto il mercato. Nei ghetti esistono già migranti con regolare permesso di soggiorno e con un contratto che sono comunque sfruttati e nei confronti dei quali la regolarizzazione proposta non avrà nessun genere di ricaduta positiva.
Quindi non funzionerà ?
Nel Pontino esistono migliaia di migranti formalmente regolari e invece sfruttati e ridotti in schiavitù. Non funzionerà se non cancelliamo il decreto sicurezza che porta irregolarità , perchè cancella il permesso soggiorno umanitario e la buona accoglienza: è quel decreto che ha spinto quelle persone all’emarginazione determinandone la ricattabilità e facendole diventare vittime di caporali. A Forlì ad aprile sono stati liberati 40 pakistani che vivevano e lavoravano per 50 euro al mese, a Borgo Mezzanone ci sono centinaia di espulsi che resteranno nell’irregolarità a prescindere dall’idea di oggi.
Il problema è la regolarizzazione a tempo?
Che la regolarizzazione sia a tempo legittima l’idea che i diritti sono a tempo e che tu in quanto migrante sei accolto solo se sei utile a me, mentre quando non servi più al mio arricchiemento vieni espulso.
Cosa serve?
Più coraggio. La regolarizzazione permanente va allargata a tutti coloro che vivono in emarginazione e contemporaneamente bisogna porre come punto politico la discussione della cancellazione del decreto sicurezza. Poi servono politiche sociali e un nuovo welfare capace di emancipare la loro condizione di emarginati.
Ma esistono esempi che funzionano?
Nel Pontino, dove abbiamo agito con progetti lunghi e coraggiosi, registriamo la capacità di denunciare e costituirsi parte civile e avviare progetti economici alternativi allo sfruttamento e alle mafie. Non solo arriva la denuncia ma anche la costruzione di percorsi alternativi. È molto grave che in Piemonte, a Saluzzo, in condizioni di grande sfruttamento, le istituzioni locali a trazione Lega continuino a dire che gli italiani devono andare nei campi: a breve in quel territorio arriveranno lavoratori africani sui quali si sta agendo con razzismo e trattandoli come untori. Rischiamo rabbia.
Possiamo dire quindi che l’agricoltura italiana si basa sullo sfruttamento?
Assolutamente. Gran parte del nostro mercato del lavoro (agricoltura, servizi, logistica, cantieristica) si basa sullo sfruttamento sistematico del lavoro, in particolare migrante. Siamo gli unici che hanno migliaia di persone straniere che da 20 anni lavorano in Italia, pagano le tasse e non sono riconosciuti come cittadini italiani. Tenere una persona che da 30 anni vive in Italia e non riconoscerle la cittadinanza significa agire determinando le condizioni di una segregazione di fatto.
Come andrà a finire?
Questi comunque verranno impiegati, ci sarà il caporalato. In molte aziende già durante la quarantena sappiamo che il caporalato è aumentato, sono aumentati i turni di lavoro, è stata abbassata la paga oraria (da 4 euro a 3,20) e sono stati costretti a comprare di tasca loro i dispositivi. Ci sono alcune aziende in crisi e altre che stanno giocando su questa retorica per strappare provvedimenti che gli riconoscano contributi.
(da TPI)
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Maggio 6th, 2020 Riccardo Fucile
NEI GIORNI SCORSI HA RICEVUTO SINDACALISTI CHE SI BATTONO PER FARLI USCIRE DAL SOMMERSO
“Ho ricevuto diversi messaggi riferiti al mondo del lavoro e ai suoi problemi. In particolare, mi ha colpito quello dei braccianti agricoli, tra cui molti immigrati, che lavorano nelle campagne italiane. Purtroppo tante volte vengono duramente sfruttati. È vero che c’è crisi per tutti, ma la dignità delle persone va sempre rispettata. Perciò accolgo l’appello di questi lavoratori e di tutti i lavoratori sfruttati e invito a fare della crisi l’occasione per rimettere al centro la dignità della persona e del lavoro”.
Non è la prima volta che Papa Francesco scende in campo in difesa dei lavoratori. Lo fa ancora oggi, nel corso dell’udienza generale del mercoledì, al termine di una catechesi tenuta in streaming dalla biblioteca del palazzo apostolico in Vaticano. In un momento particolarmente difficile nel nostro Paese per interi comparti produttivi, il Papa si schiera ancora una volta in favore dei lavoratori meno tutelati, facendo proprie lettere e missive ricevute pochi giorni fa, in occasione della festa del primo maggio.
Già il 28 aprile scorso il Vaticano aveva affrontato il tema dei braccianti, dopo aver ricevuto una lettera da parte del segretario generale della Fai Cisl, Onofrio Rotas, che aveva chiesto conforto e incoraggiamento per i lavoratori della filiera e per sottoporre il tema della regolarizzazione dei braccianti irregolari come priorità .
In una lettera di risposta firmata dalla Segreteria di Stato vaticana si era letto che “è certamente condivisibile la necessità di venire incontro a quanti, privati di dignità , avvertono in modo più acuto le conseguenze di un’integrazione non realizzata, venendo ora maggiormente esposti ai pericoli della pandemia”.
E ancora: “È dunque auspicabile che le loro situazioni escano dal sommerso e vengano regolarizzate, affinchè siano riconosciuti ad ogni lavoratore diritti e doveri, sia contrastata l’illegalità e siano prevenute la piaga del caporalato e l’insorgere di conflitti tra persone disagiate”.
Oggi Francesco fa proprie le istanze di una categoria in difficoltà . Così come aveva fatto anche altre volte, non soltanto da Pontefice ma anche da arcivescovo di Buenos Aires.
Lo scorso 12 aprile, ad esempio, aveva firmato una lettera ai movimenti popolari nella quale scriveva: “Voi, lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare, non avete uno stipendio stabile per resistere a questo momento e la quarantena vi risulta insopportabile. Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti”.
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2020 Riccardo Fucile
MIGLIAIA DI LAVORATORI DEI DUE COLOSSI MONDIALI DEL LUSSO USUFRUISCONO DELLA CASSA INTEGRAZIONE IN ITALIA MENTRE I FRANCIA HANNO SCELTO DI PAGARE I DIPENDENTI CON LE PROPRIE RISORSE
I due maggiori gruppi al mondo del settore del lusso, titolari di marchi come Gucci e Louis Vuitton, hanno deciso di non gravare sui conti dello Stato in Francia durante l’emergenza Coronavirus, pagando di tasca propria i dipendenti, ma non hanno esitato ad attingere a piene mani dallo strumento della cassa integrazione e dagli altri ammortizzatori sociali messi a disposizione per i lavoratori in Italia durante il periodo di lockdown.
È quanto TPI è in grado di documentare riguardo alle scelte dei due colossi francesi del lusso: da una parte Kering, gruppo titolare di marchi come Gucci, Yves Saint Laurent, Bottega Veneta, Brioni, Pomellato, Dodo, con 38mila dipendenti nel mondo e un fatturato di 15,9 miliardi di euro nel 2019, e dall’altra LVMH, leader mondiale del settore, cui appartengono marchi come Louis Vuitton, Christian Dior, Sephora, Fendi, Givenchy, che conta 163mila dipendenti in tutto il mondo un fatturato pari a 53,7 miliardi di euro nel 2019.
Due p(a)esi e due misure
In Italia TPI ha potuto verificare, sulla base degli accordi raggiunti con i sindacati tra la fine di marzo e i primi di aprile, che sono in totale almeno 5mila i lavoratori di aziende del gruppo Kering che hanno usufruito di ammortizzatori sociali di vario tipo, tra il comparto produttivo e quello commerciale.
Tra le società che ne hanno fatto richiesta ci sono Gucci Logistica, Bottega Veneta, Guccio Gucci, Gpa, Kering Fashion Operations, Yves Saint Laurent Logistica, Brioni, Pomellato, Dodo, Balenciaga, Alexander McQueen.
Per il gruppo LVMH, solo una parte dei dati è accessibile sulla base degli accordi raggiunti, ma i lavoratori coinvolti sono sicuramente più di un migliaio (752 dipendenti della divisione moda di LVMH per il settore retail, 168 per la produzione del marchio Stella McCartney, una sessantina di lavoratori della manifattura orafa di Bulgari) cui si aggiungono i dipendenti del comparto produttivo di Fendi e Loro Piana e i dipendenti retail delle catene del settore profumi e cosmetici, come Sephora, i cui numeri non siamo riusciti a verificare.
Una situazione molto diversa da quella verificatasi in Francia dove i due gruppi inizialmente avevano preannunciato ai propri dipendenti l’intenzione di ricorrere alla cassa integrazione francese, ma poi — come riporta il Financial Times — dopo l’iniziativa di concorrenti più piccoli, come Chanel ed Hermès, di pagare i dipendenti di tasca propria per non gravare sulle tasche dello Stato, hanno fatto un passo indietro, rinunciando al chomage partiel, ovvero alla cassa integrazione francese.
A pesare sulla scelta compiuta in patria dai due gruppi, oltre all’iniziativa dei concorrenti, probabilmente è stata la posizione delle due figure che li controllano: nel caso di LVMH si tratta di Bernard Arnault, l’uomo più ricco di Francia secondo Forbes, e mentre l’amministratore e presidente delegato di Kering è il miliardario Franà§ois-Henri Pinault. Entrambi nelle scorse settimane, sottolinea il Financial Times, hanno donato fondi per combattere l’emergenza Coronavirus e LVMH ha convertito le sue fabbriche di profumo per produrre gel sanificanti per le mani.
Gran parte degli accordi del settore produttivo di Kering e LVMH, redatti su base aziendale insieme ai sindacati di categoria e quindi non sempre omogenei, prevedono l’utilizzo di ferie, ex festività e banche ore maturate e non fruite, oltre al ricorso al massimo di 9 settimane di cassa integrazione come previsto dal decreto “Cura Italia” del 17 marzo 2020, con l’integrazione salariale da parte delle aziende.
“Le produzioni sono state fermate per decreto, quindi si sono fermati tutti, ad eccezione di chi ha lavorato in smart working, e la richiesta di cassa integrazione l’hanno fatta tutti”, spiega a TPI Sonia Paoloni della divisione moda della segreteria nazionale di Filctem Cgil (Federazione Italiana Lavoratori Chimica Tessile Energia Manifatture). “Alcune di queste aziende sono ripartite la settimana scorsa ma solo per la prototipia e la modelleria, il resto sono ripartite il 4 maggio”, spiega la sindacalista.
Il settore retail, ovvero il commercio al dettaglio, dovrebbe ripartire invece a partire dal 18 maggio. In questo comparto, praticamente la totalità dei dipendenti sono sospesi e beneficiano di ammortizzatori sociali, come spiega a Luca De Zolt di Filcams Cgil.
“Per il gruppo Kering tutti i marchi, ad esclusione di Ginori, hanno la cassa integrazione in deroga o il Fondo di integrazione salariale (Fis), perchè alcuni hanno meno di 50 dipendenti”, spiega il sindacalista.
“In quest’ultimo caso l’azienda anticipa il trattamento dovuto dall’Inps, mentre per i lavoratori che hanno la cassa in deroga l’azienda anticipa tredicesima e quattordicesima per le prime 9 settimane, che ormai sono quasi esaurite. Per tutti le aziende integrano il 100 per cento della retribuzione dovuta”.
Un uso massiccio quindi — e legittimo — delle risorse messe in campo dallo Stato italiano per il momento di crisi dovuto alla pandemia di Covid-19.
Ma perchè questi due gruppi hanno scelto di utilizzare le risorse in Italia e di rifiutarle in Francia?
“La priorità del gruppo rimane quella di proteggere l’occupazione ed è questo il motivo per cui, caso per caso, paese per paese, marchio per marchio, a seconda della situazione, si è deciso di ricorrere a modalità di ammortizzatori sociali”, ha dichiarato Jean Marc Duplaix, Cfo di Kering, lo scorso 21 aprile, in occasione della presentazione dei risultati del primo trimestre.
“Il gruppo”, ha aggiunto, “si è impegnato a pagare il 100 per cento dello stipendio fisso e, in alcuni casi ha anche compensato la parte variabile che gli nostri addetti alle vendite non hanno più ricevuto in conseguenza della chiusura dei negozi”.
Kering, contattata da TPI per un chiarimento, rimanda alle parole del Cfo senza aggiungere ulteriori elementi, mentre nessuna risposta è arrivata finora da LVMH. Intanto, i contribuenti italiani — e lo Stato — hanno sulle loro spalle il peso di queste risorse, che viene invece generosamente risparmiato ai cugini d’Oltralpe.
(da TPI)
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Maggio 6th, 2020 Riccardo Fucile
LA MELONI NON SI VERGOGNA A FARE SELFIE CON UN SOGGETTO DEL GENERE?
Dopo circa un mese dall’adozione della legge che conferisce al premier ungherese Viktor Orban i pieni poteri, il Parlamento di Budapest ha respinto la ratifica della Convenzione di Istanbul per proteggere le donne dalla violenza, che per l’esecutivo promuoverebbe l’ideologia distruttiva di genere e della “migrazione illegale”.
Il suo “approccio ideologico è contrario alla legge ungherese e alle credenze del governo”, ha affermato davanti all’Assemblea il deputato Lorinc Nacsa, dei democratici cristiani, alleato di minoranza della coalizione con il partito sovrano Fidesz di Orban.
Il Parlamento e il governo ungheresi sono tra quelli in cui le donne sono meno rappresentate nell’Ue, ma Fidesz ritiene che tutte le garanzie per la sicurezza delle donne siano già previste dal legislatore a livello nazionale.
Adottata nel 2011 dal Consiglio d’Europa, la “Convenzione di Istanbul” è il primo strumento sovra-nazionale per stabilire standard giuridicamente vincolanti per prevenire la violenza di genere, che si propone di conseguire l’obiettivo di tolleranza zero verso questi abusi.
La mancata ratifica risulta particolarmente grave in un momento in cui, per via delle misure di confinamento dovute all’emergenza Covid, le violenze domestiche sono triplicate ed è sempre più difficile denunciarle perchè le donne spesso vivono a stretto contatto con il proprio aggressore.
(da agenzie)
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