Maggio 8th, 2020 Riccardo Fucile
TAGLIATI I RIFORNIMENTI A MILANO, LODI E A BRESCIA PER PAGARE GLI INCENTIVI AI DIRETTORI: COSI’ LA REGIONE LOMBARDIA E’ RIMASTA SENZA REAGENTI CONTRO IL CORONAVIRUS
Grazie ad un’inchiesta dell’Espresso a firma Fabrizio Gatti ora salta fuori che quando è scoppiata la pandemia, la Lombardia non aveva sufficienti scorte sanitarie per un motivo: perchè una delibera della giunta regionale aveva aumentato gli incentivi economici ai manager affinchè tagliassero le scorte negli ospedali.
Per questo motivo all’inizio non si è riusciti ad avviare uno screening di massa come in Veneto: le risorse erano state destinate ad altro. Agli stipendi dei manager.
Per esser più precisi, parliamo della delibera numero XI/1681, votata il 27 maggio 2019 su proposta di Gallera da tutta la giunta (tutta!).
Che indicava ai manager sanitari gli obiettivi di “tenere sotto controllo le richieste di ordinativi da parte dei laboratori”, ossia tagliare centinaia di migliaia di euro ai laboratori degli ospedali di Lodi, Brescia, Milano.
Quelli che poi si sarebbero ritrovati qualche mese dopo in guerra con le “scarpe di cartone”. In cambio di questo? Incentivi economici. Perchè giustamente andavano premiati.
Ben oltre ogni retorica, stavolta si rimane davvero basiti. Ma poi la sorpresa scompare, e sale la rabbia. Ma tanta, tanta rabbia. Perchè l’emergenza in Lombardia non è stata uno scherzo.
E i soldi dati ai direttori generali nominati dalla politica locale potevano consentire di gestire meglio tutto. Potevano aiutare quella terra a non ottenere l’osceno primato di regione più colpita al mondo dal covid.
E invece sono andati in busta paga ai manager. Mentre negli ospedali e nelle case a patire l’emergenza c’erano quelli che con le loro tasse avevano pagato quegli “incentivi”
Chi si è reso responsabile di questo ne risponda politicamente. E che lo faccia fino all’ultimo.
(da agenzie)
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Maggio 8th, 2020 Riccardo Fucile
UN DOCUMENTO DELL’ANTIMAFIA SVELA I PADRINI POLITICI DEI MANAGER DELLA REGIONE TRAVOLTA DAL CORONAVIRUS, SOGGETTI PAGATI ALMENO 10.000 EURO NETTI AL MESE
Bravissimi, capacissimi, veri tecnici preparati e indipendenti? Grandi medici, ottimi manager o magari scienziati impermeabili alle pressioni politiche?
No: fedelissimi della Lega. Anzi, dei capi-partito nazionali e regionali: Matteo Salvini, il governatore Attilio Fontana e il suo assessore Stefano Galli.
La Lombardia ha affrontato l’emergenza coronavirus con una classe dirigente sanitaria totalmente lottizzata dalla politica.
La regione più colpita dall’epidemia rappresenta un caso da manuale di spartizione degli ospedali tra i partiti al potere. Medici, infermieri e operatori sanitari, gli eroi dei nostri giorni stremati dai sacrifici e falcidiati dal virus, sono lavoratori dipendenti e devono obbedire a loro: i direttori di nomina politica da oltre 10 mila euro netti al mese.
E in Lombardia li comanda la Lega, che da anni controlla 24 delle 40 poltrone di vertice di un sistema sanitario regionale che ai cittadini costa 20 miliardi all’anno.
Tutti i particolari sulla lottizzazione degli ospedali sono scritti nero su bianco in un documento riservato, sequestrato dai magistrati antimafia di Milano cinque anni fa, recuperato dall’Espresso e finora mai pubblicato integralmente: la lista riservata dei direttori della sanità lombarda con la targa della Lega.
Una specie di manuale Cencelli applicato agli ospedali e alle Asl, con nomi, cariche e sponsor politici. Rispetto alle normali mappe dei manager lottizzati, ricostruite in questi anni dai cronisti lombardi dopo ogni tornata di nomine, l’elenco confiscato ha diverse particolarità : è un documento interno alla Lega, scritto a mano per non lasciare tracce nei computer, e non si limita a indicare che il dirigente sanitario è stato scelto dal partito, ma specifica anche il suo padrino politico.
La lista è ancora attualissima: la sanità lombarda è tuttora in mano a decine di questi direttori etichettati da anni come fedelissimi di Salvini o di altri big della Lega.
I vertici della Regione sono inzeppati da fedelissimi del leader leghista che ora è chiamato in causa per tutti gli errori. Intanto la macchina del consenso si è inceppata e la “Bestia” perde colpi sui social
Uno dei manager più importanti è Marco Onofri, l’affermato cardiologo varesino che il governatore Fontana ha promosso dal gennaio 2019 a capo dell’Acss, l’agenzia di controllo di tutta la sanità lombarda.
Cioè degli ispettori e tecnici responsabili della vigilanza e del coordinamento tra ospedali: compiti cruciali soprattutto in situazioni di emergenza.
Nella lista dei lottizzati sequestrata nel 2015, Onofri compare con l’incarico dell’epoca, numero uno dell’azienda ospedaliera di Como, e come sponsor politico ha il «gruppo di Varese» della Lega, capeggiato proprio dall’allora sindaco Fontana.
Che nel 2018 è diventato presidente della regione, ed è rimasto il suo santo protettore. Come raccontano le confidenze intercettate dall’antimafia di Milano, ancora una volta, nell’inchiesta che nel 2019 ha portato in carcere Nino Caianiello, l’eminenza grigia di Forza Italia a Varese, già allora pregiudicato per tangenti.
Quando il governatore leghista gli anticipa che vuole promuovere proprio il dottor Onofri alla direzione centrale del sistema sanitario lombardo, è Caianiello a fargli cambiare idea: «Mettilo a fare il responsabile dell’agenzia del controllo. Onofri è un amico, persona competente… Ma tu alla sanità hai bisogno di uno tonico». Profezia avverata.
Come «fedelissimo di Salvini», nella lista leghista, è etichettato Walter Locatelli, che vent’anni fa fece il suo primo balzo da perito chimico responsabile del laboratorio di Treviglio, a direttore generale di Asl, da Lecco a Milano. Dopo un’irresistibile carriera in Lombardia, oggi Locatelli è il commissario straordinario del sistema sanitario della Liguria con il governatore di centrodestra Giovanni Toti.
Mara Azzi, per anni a capo dell’agenzia per la salute (Ats) di Bergamo, dal 2019 siede sulla poltrona di direttore generale a Pavia. Già nel 2012, intervistata dalla Gazzetta di Mantova, aveva ammesso: «Sì, sono in carico alla Lega Nord, punto e a capo».
Nella lista sequestrata nel 2015 è però associata a due sponsor: «Stefano Galli e Lucchina». Il primo, professore e ideologo della Lega, era il capogruppo regionale del partito sotto il governatore Roberto Maroni: oggi, con Salvini leader, è l’assessore all’Autonomia della giunta Fontana. Che gli ha riconfermato fiducia anche dopo il coinvolgimento nell’inchiesta di Genova che più imbarazza la Lega: Galli, che respinge ogni accusa, figura infatti tra gli indagati per la sparizione di 46 dei 49 milioni della famosa truffa dei rimborsi elettorali dell’era Bossi.
Il secondo, Claudio Lucchina, era il direttore generale di tutta la sanità lombarda sotto Roberto Formigoni, governatore ciellino per vent’anni, poi condannato per corruzioni milionarie in cambio di sussidi pubblici a due ospedali privati. In questi mesi difficili Mara Azzi ha difeso fino all’ultimo la linea lombarda sugli ospizi, da lei stessa illustrata il 26 marzo scorso ai preoccupati cronisti della Provincia Pavese: «Per gli ospiti delle residenze per anziani non sono previsti tamponi».
Il manuale della lottizzazione leghista collega al professore e assessore Galli, con una vistosa freccia, anche il manager Mauro Borelli, già direttore generale a Mantova. Dove si era segnalato per le sue richieste di donazioni alla Lega spedite su carta intestata dell’azienda sanitaria. Oggi Borelli è il responsabile degli ospedali bresciani di Chiari, Iseo, Rovato, Palazzolo e Orzinuovi, dove il virus ha fatto strage.
La genesi del sequestro giudiziario di questa mappa dei lottizzati è inquietante, ma a suo modo istruttiva: se la sanità è dominata da una politica predatoria, anche la corruzione e perfino la mafia possono entrare negli ospedali.
In Lombardia lo si scopre nell’estate 2010, con la clamorosa retata (304 arresti tra Milano e Reggio Calabria) che porta in carcere anche il dottor Carlo Chiriaco: un complice della ‘ndrangheta diventato direttore sanitario dell’Asl di Pavia, una capitale scientifica della medicina italiana.
Da quella maxi-inchiesta partono molte altre indagini concatenate, che durano anni e svelano le tangenti dell’Expo di Milano e svariate corruzioni negli ospedali lombardi. Finchè nel 2015, perquisendo un manager di comprovata fede leghista, l’antimafia trova la lista dei lottizzati. Scritta a mano, in stampatello, ma conservata accanto a un documento originale del “comitato ristretto” dell’assessorato alla Sanità : le “pagelle” dei direttori generali, con i punteggi per distribuire i bonus. Ma anche qui c’è un’aggiunta a penna: accanto a ogni nome c’è la sigla di un partito, Lega o Pdl. Unica eccezione, un tecnico di area Pd, prontamente silurato.
Dopo quella perquisizione, mentre l’Espresso pubblica le prime parziali indiscrezioni, nella sanità lombarda sembra cambiare tutto.
Le indagini su Formigoni spezzano il ventennale predominio ciellino. E la Lega di Maroni annuncia una riforma della sanità . Basta raccomandati di partito, basta lottizzazioni: i direttori generali vanno selezionati «per merito e professionalità », con prove scritte e bocciature eccellenti.
Nel gennaio 2016, però, una manina rimasta anonima rovina tutto: sul sito dell’agenzia regionale Arca viene pubblicato «per errore» l’elenco dei direttori generali appena nominati, con le bandiere dei partiti di riferimento. Quella mappa, pubblicata da Il Fatto Quotidiano, riconferma il manuale leghista, con qualche aggiunta: altri manager sono saliti sul carro della Lega.
L’esempio più vistoso interessa il primo ospedale milanese per le malattie infettive. Nella lista sequestrata nel 2015, che riportava i nominati del 2013, il nome di Alessandro Visconti, allora direttore dell’Icp-Mangiagalli, era associato a due sponsor: il ciellino Lucchina e il berlusconiano Gianstefano Frigerio.
Un politico lombardo pluri-condannato come tesoriere di Tangentopoli per la Dc, poi eletto parlamentare con Forza Italia, quindi riarrestato e ricondannato per le tangenti dell’Expo.
Già nella mappa del 2016, però, sul nome di Visconti sventola la bandiera della Lega, che lo ha portato in Regione come direttore della «programmazione strategica». Una bella carriera, per un manager che fino a pochi anni prima, come mostra il suo curriculum, si occupava di tutto fuorchè di sanità : antifurti per automobili, compagnie aeree, ingegneria oleodinamica, valvole a sfera e calzature.
Oggi Visconti, anche lui varesino, è da tre anni il numero uno degli ospedali milanesi Sacco, Buzzi e Fatenebenefratelli. Il Sacco, con l’istituto Spallanzani di Roma, è uno dei centri nazionali di riferimento per il Covid-19.
Con l’ultima tornata di nomine, decise nel dicembre 2018, la Lega ha conquistato 24 poltrone su 40, lasciandone solo 14 a Cl e Forza Italia, 2 a Fratelli d’Italia. E ha fatto nuovi acquisti.
Come Walter Bergamaschi, nominato direttore dell’Ats di Milano, che comprende anche Lodi, dopo aver gestito la centrale regionale con Maroni. A Cremona, da Lodi, è arrivato Giuseppe Rossi, che non pubblica un curriculum aggiornato, ma ha un passato di ingegnere meccanico e chitarrista della band di Maroni. In un’altra provincia martoriata dal virus la Lega oggi schiera Claudio Sileo, promosso al vertice dell’Ats di Brescia grazie ai meriti acquisiti nella gestione del Pio Albergo Trivulzio.
Altri manager inseriti nella lista dei lottizzati del 2013-2015, invece, sono passati alla sanità privata. Danilo Gariboldi, ad esempio, era il direttore dell’ospedale bresciano di Chiari, accreditato come «fedelissimo di Salvini e Bruno Caparini», il grande amico di Umberto Bossi che è padre di Davide, per anni parlamentare e attuale assessore lombardo all’economia.
Oggi Gariboldi è il vicedirettore sanitario della rinomata casa di cura privata La Madonnina di Milano. Mentre Gilberto Compagnoni, dopo aver diretto l’Asl di Cremona, sfidando le polemiche per le consulenze esterne da 250 mila euro affidate alla società informatica di Luca Morisi (lo spin doctor della propaganda su internet di Matteo Salvini), ora è il direttore sanitario dell’ospedale privato di Volta Mantovana.
Ma c’è anche chi è partito dagli ospedali lombardi per salire ancora più in alto. Cristina Cantù, immortalata nell’elenco del 2013-2015 come «fedelissima di Salvini e Maroni», ha diretto le Asl di Milano e Monza, diventando anche assessore alla Famiglia della giunta Maroni, che le ha dato pure la delega alle Pari opportunità , regalandole per alcuni mesi l’ebbrezza del triplo incarico.
Eletta senatrice della Lega, è stata sottosegretario alla salute con il primo governo Conte. E oggi è vicepresidente della commissione sanità del Senato. Di salute, in effetti, se ne intende: nel 2015 ha cumulato le poltrone di manager a Monza e di responsabile dell’ufficio contratti del più famoso ospizio milanese, il Pio Albergo Trivulzio, carica mantenuta fino all’aprile 2019. La casa di riposo dove era nata Tangentopoli. E in questi mesi, sfortunatamente, è diventata il simbolo della catastrofe sanitaria in Lombardia.
(da “L’Espresso”)
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Maggio 8th, 2020 Riccardo Fucile
IN EUROPA PASSA LA LINEA ITALIANA, MA UN MINUTO DOPO RIPARTE LA SCENEGGIATA DEL M5S, CONTE PRESO NEL MEZZO RIMANDA AL RECOVERY FUND CHE AVRA’ TEMPI LUNGHI E MILLE INCOGNITE…L’ITALIA VUOLE SOLDI GRATIS, I PRESTITI NON GLI PIACCIONO
Com’era nell’aria già da giovedì, l’Eurogruppo sigla l’accordo sulle caratteristiche della nuova linea di credito istituita nel Meccanismo europeo di stabilità per la pandemia.
Passa la linea italiana: assenza di condizionalità , prestiti disponibili per un anno, estensibile fino a dicembre 2022, della durata di dieci anni (l’Olanda aveva chiesto che maturassero in 2-3 anni), a un tasso di partenza dello 0,1 per cento, nessuna troika, ma solo un controllo sulla destinazione delle spese dirette e indirette legate all’emergenza sanitaria.
Una prima vittoria, perchè semmai il problema si porrebbe dopo, con la riattivazione del Patto di stabilità e crescita che però non è roba che riguardi solo i prestiti del Mes, ma in generale il bilancio italiano. Eppure no. Un minuto dopo, nel Governo scoppia l’ennesima baruffa tra Pd e M5s. E il successo rischia di diventare un incubo.
Diametralmente opposti i commenti di Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti. Il ministro degli Esteri: “Il Mes? Come ha detto Conte, dobbiamo leggere i regolamenti. Si parla di circa 30 miliardi del Mes per l’Italia, ma noi stiamo lavorando su un accordo per il Recovery Fund che vale tra i 1.500 e 2.000 miliardi. Quindi, se ci sarà un poderoso Recovery Fund, non ci sarà bisogno di nessun altro strumento”.
Per i 5 stelle “il Mes è uno strumento inadeguato”. “Il Mes rischia di trasmettere un’immagine di debolezza del nostro Paese. Il futuro dell’Europa si gioca con il Recovery Fund che ha tutt’altra potenza di fuoco. Su quello concentreremo i nostri sforzi”, dice la capodelegazione del Movimento 5 Stelle all’Europarlamento Tiziana Beghin.
Per il segretario del Pd invece, ora “sarà possibile utilizzare il Mes senza condizionalità per gli investimenti in sanità . Una grande opportunità per l’Italia: 37 miliardi di euro per ospedali, assunzione di medici infermieri, personale, investimenti per nuovi farmaci e cure. Costruiamo un grande piano con le Regioni per la rinascita italiana e per migliorare la vita delle persone”.
Il Pd quindi non ha dubbi sul fatto che intanto il Meccanismo europeo di stabilità vada utilizzato.
Nel mezzo, Giuseppe Conte: “Le tre misure Sure, Bei, Mes sono insufficienti, ammontando a una frazione di quanto altre grandi economie, come quella Usa, stanno spendendo per sostenere le loro imprese e le loro famiglie.
Il prestito effettivo del “Recovery Fund” sui mercati (distinto dalle risorse totali che esso mobilita) deve essere di notevole dimensione, almeno 1 trilione di euro, per portare la dotazione totale della risposta europea in linea con le necessità finanziarie complessive dell’Ue”. La vera battaglia italiana, quindi, difficilissima, è un’altra.
Ma sul ‘recovery fund’ bisognerà attendere ancora altre due settimane per la proposta della Commissione europea. Negoziato in salita, perchè il fondo è legato al bilancio pluriennale dell’Ue su cui gli Stati membri devono ancora raggiungere un accordo e perchè ancora non è stata raggiunta un’intesa sulla percentuale di prestiti e di finanziamenti a fondo perduto (ancora nord contro sud Europa).
E anche il piano ‘Sure’ della Commissione, di sostegno alla disoccupazione, non si sente tanto bene: alcuni Stati europei devono ratificarlo in Parlamento e siccome il piano prevede una garanzia statale di 25 miliardi di euro, l’esito dei dibattiti nazionali non è scontato.
Per ora sul tavolo c’è il Mes e l’Italia non sa ancora se attivarlo o meno. Il direttore Klaus Regling esclude anche il cosiddetto ‘effetto stigma’ sui mercati, vale a dire un segnale negativo da parte di un paese che decida di ricorrere al prestito del Salva Stati. Insomma, secondo Regling, il fatto che le caratteristiche decise oggi valgono per tutti gli Stati membri, non farà fare brutta figura al primo che chieda il prestito, non sarà un avvertimento di rischio default.
Ad ogni modo i prestiti del Mes dovrebbere essere operativi a partire da giugno o anche prima. Dipenderà dai tempi di approvazione dell’intesa raggiunta oggi nei Parlamenti di Olanda e Germania.
Il Parlamento italiano invece voterà solo sull’eventuale richiesta di un prestito del Salva Stati da parte del Governo. Ma alla luce della spaccatura odierna, con Matteo Salvini che soffia sul fuoco continuando a dire no al Mes, i tempi della decisione dell’esecutivo non sono per niente chiari.
Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri è soddisfatto, twitta la svolta raggiunta in Eurogruppo, a distanza di un mese dalle due riunioni di aprile: la prima senza risultati dopo 16 ore di negoziato, un vero “incubo”, la descrivono così alcuni ministri Ue; la seconda con il pacchetto da 540 miliardi di euro tra i prestiti del Mes (240 miliardi da dividere tra gli Stati membri che ne vorranno fare uso per quote pari al 2 per cento del pil del 2019, per l’Italia circa 36 miliardi di euro), il piano della Bei e lo ‘Sure’ della Commissione di sostegno alla disoccupazione.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 8th, 2020 Riccardo Fucile
LEGA, FDI E M5S VOGLIONO RIFIUTARE IL PRESTITO AL TASSO 0,1% ? NESSUN PROBLEMA, NE CONTRAGGANO ALTRI A TASSI MOLTO PIU ALTI. POI OGNI DEPUTATO, DA CONTE A DI MAIO, DA SALVINI ALLA MELONI PAGHINO DI TASCA PROPRIA LA DIFFERENZA MILIONARIA SUGLI INTERESSI… E SI PROCEDA CON IL PIGNORAMENTO A GARANZIA DEI LORO BENI, GLI ITALIANI SI SONO ROTTI I COGLIONI DI PAGARE LE LORO CAZZATE
L’Eurogruppo ha trovato un accordo definitivo sul Mes.
E’ quanto si apprende da fonti Ue. L’intesa riguarda le linee guida della nuova linea di credito del Meccanismo Europeo di Stabilità , creata per far fronte alle spese sanitarie degli Stati membri dell’Ue nella pandemia.
I termini dell’intesa saranno resi noti in conferenza stampa dal presidente Centeno, dal commissario Gentiloni e dal dg del Mes Regling.
Fissata a 10 anni la durata media massima dei prestiti Mes agli Stati membri. Unica condizione: spese dirette e indirette per la crisi sanitaria.
La sorveglianza Ue sarà limitata agli impegni assunti per contrastare la crisi Covid.
Nell’accordo raggiunto dai ministri delle Finanze si conferma che il ricorso alle linee di credito del Mes saranno “disponibili per tutti gli Stati membri dell’area dell’euro per importi del 2% del PIL dei rispettivi membri alla fine del 2019”, “per sostenere il finanziamento interno di finanziamenti diretti e indiretti dei costi sanitari, di cura e di prevenzione dovuti alla crisi COVID-19″.
L’Eurogruppo inoltre concorda con le valutazioni della Commissione, secondo cui “tutti i membri del Mes soddisfano i requisiti di idoneità per ricevere il supporto”.
L’Eurogruppo ricorda che l’unico requisito per accedere alla linea di credito sarà che gli Stati membri dell’area dell’euro che chiedono il sostegno “si impegnino a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento interno dell’assistenza sanitaria diretta e indiretta, i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi COVID 19″.
(da agenzie)
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Maggio 8th, 2020 Riccardo Fucile
IL SINDACO: “E’ INUTILE CHE A ROMA RIVESTANO A QUESTI PROVVEDIMENTI I PANNI DI NOBILTA’, E’ COME DIRE CHE SERVITE PER IL RACCOLTO MA POI TOGLIETE IL DISTURBO”
“Le condizioni di vita dei migranti, costretti a vivere nella marginalità , sono una bestemmia nei confronti dell’uomo”.
Andrea Tripodi, il sindaco di San Ferdinando, in Calabria, è molto amareggiato per le notizie che arrivano da Roma, dove si sta negoziando dentro il Governo sul tema della regolarizzazione dei migranti.
Il compromesso fra Italia Viva che propone e M5S che frena è la regolarizzazione temporanea dei migranti, che secondo il sindaco è solo un modo di alimentare lo sfruttamento dei migranti, un compromesso che non serve a niente.
“È inutile che loro rivestano a questi provvedimenti i panni della nobiltà – dice Tripodi all’Huffpost – Lo capisce chiunque che nasce soltanto dalle esigenze di affrontare un momento di emergenza per non lasciare i prodotti per terra. Ma subito dopo devono andarsene e togliere il disturbo: è questo il concetto”.
L’ennesima non soluzione, specialmente se non verrà previsto nessun rinnovo dei permessi.
La tendopoli della sua città è ormai tristemente nota. E, nonostante tutto, è un presidio più sicuro rispetto agli insediamenti informali al di fuori: c’è l’acqua calda, associazioni e sindacati assicurano le visite mediche, l’aiuto per le pratiche burocratiche e il rifornimento di materiale sanitario.
“Dalla rivolta del 2010 quando i lavoratori africani, impiegati nelle terre della Piana di Gioia Tauro, scesero in piazza contro lo sfruttamento e la negazione dei diritti, le uniche forme di accoglienza esistenti per questi lavoratori, soluzioni temporanee che sarebbero dovute servire solo a tamponare l’emergenza subito dopo la rivolta, sono, ancora oggi, il campo container nel comune di Rosarno, (circa 200 lavoratori), con gravi carenze strutturali e senza alcuna gestione, e la nuova tendopoli situata nella seconda zona industriale di San Ferdinando”.
Spiega ad HuffPost Celeste Logiacco, Segretario Generale della Cgil nella Piana di Gioia Tauro con delega all’immigrazione a livello regionale, che lavora spesso all’interno della tendopoli per fornire assistenza ai residenti: “Già a partire dal 2015, oltre ad occupare la tendopoli e il campo container, continuano ad essere occupati da centinaia di lavoratori, maggiormente vulnerabili, spesso invisibili e ricattabili perchè privi del permesso di soggiorno, baracche, case fatiscenti e i numerosi casolari dismessi e diroccati senza luce, senza servizi igienici, senza riscaldamento, senza acqua, presenti nelle campagne del territorio (Rosarno, Rizziconi, Taurianova, San Ferdinando)”.
A marzo 2019, un secondo abbattimento della baraccopoli ha contribuito a rimodulare le presenze nella tendopoli: “Molti sono andati via per riuscire a trovarsi altri lavori, altri si sono integrati nei paesi vicini. Sono rimasti quelli più deprivati, che magari hanno dei profili professionali bassi, che non sanno riciclarsi in ambienti diversi da quelli agricoli”, continua il sindaco.
Secondo Tripodi, “sono da regolarizzare questi all’interno più gli altri delle contrade, negli insediamenti informali. Dovrebbero essere 600-700, più un numero imprecisato che riguarda Rosarno, cioè 1.500 circa. È una popolazione anche fluttuante, è difficile oggettivamente dare numeri precisi”. Infatti, stima Celeste Logiacco, “durante i mesi invernali della raccolta agrumicola e olivicola ruotano circa 3000 – 3500 lavoratori africani. Regolarizzare vuol dire migliorare le condizioni di tutti i lavoratori. Chi oggi è senza permesso è ricattabile e costretto a lavorare per pochi euro l’ora in condizioni disumane. Avere un documento vuol dire rivendicare un contratto di lavoro e un salario contrattuale”.
“Vogliono regolarizzarli per un mese per poi togliere il disturbo. Ma anche la stessa Bellanova che non sostiene con forza una regolarizzazione tout court non deve cedere alle pretese di costoro”, ci spiega il sindaco.
In particolare, si scaglia contro il Movimento 5 Stelle, che hanno proposto la regolarizzazione per un mese: “ Tutto questo sembra che sia un discorso lontano, distante dagli interessi di quelli che si muovono seguendo i sondaggi. Gran parte dei 5stelle sono contrari perchè quello non è un partito, è un insieme di cascami di rappresentazioni della società . Seguono le tendenze per non essere sorpassati chi a destra e chi a sinistra”
In tutto questo, ci sta l’emergenza coronavirus, che ha solo sfiorato la comunità . “Siamo stati fortunati che non ci sono stati casi positivi. Non perchè si sia potuto fare niente di più se non una attenzione diversa per quanto riguarda l’igiene, abbiamo fatto interventi di igienizzazione, sanificazione e distribuzione dell’igienizzante”. Della stessa linea è la Logiacco: “I tanti ghetti e accampamenti di fortuna sorti nel nostro Paese rischiano di diventare enormi focolai”
La mancanza di lavoro, dovuta alle misure di lockdown, “ha creato una paralisi produttiva, i ragazzi non lavorano, molti di loro sono ridotti alla fame”. E tutto ciò non fa che inasprire ancora di più le condizioni e l’umore di chi vive in questi insediamenti. Lo scorso 1 aprile la notizia falsa di una possibile redistribuzione agli abitanti della tendopoli di un milione di euro — che erano stati destinati per la gestione dell’emergenza — ha creato delle tensioni. A contrada Russo, un ghetto di Taurianova, un ragazzo maliano, Amadou, è morto, “aggredito da un altro abitante del ghetto. Questo l’ennesimo dramma, l’ennesima vita spezzata, vittima dalla violenza scaturita da una quotidianità impossibile”, ci racconta Logiacco.
Tripodi non si sorprende degli episodi di violenza: “Sembra che nessuno abbia imparato nulla, anche i partiti, che dovrebbero razionalizzare i fatti che avvengono all’interno delle nostre comunità . Si continua a mantenere questi ragazzi nelle tende, dove la mancanza di prospettive non fa altro che aumentare la frustrazione. Qui dovrebbe intervenire l’intelligenza della politica, utilizzare questo patrimonio di umanità e abilità , anche professionali, per metterli al servizio della crescita”.
Nemmeno la nostra storia, in fondo, ci ha insegnato niente: “terra di Xenia, è una storia plurale. I nostri cognomi sono di origine greca, araba, ebraica… Noi per primi abbiamo respirato questa necessità ”. Una regolarizzazione vera, permanente, che porti all’integrazione “è il minimo che un paese civile deve a questi ragazzi”.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 8th, 2020 Riccardo Fucile
TRA I 376 SCARCERATI SONO SOLO 3 AL 41 BIS… 120 ASPETTANO ANCORA LA PRIMA SENTENZA, 200 I CONDANNATI IN VIA NON DEFINITIVA
Non sono centinaia, ma si contano sulle dita di una mano i boss al 41 bis usciti dal carcere durante l’emergenza Covid.
Lo si può notare scorrendo la lista dei 376 detenuti per reati particolarmente gravi – allontanati momentaneamente dai penitenziari – che ha creato imbarazzo al Dap e al ministero della Giustizia.
Tra quelle pagine, fitte di nomi, cognomi e numeri di matricola, primo tra tutti balza agli occhi un numero: tre. Tanti sono i boss che – al 30 aprile – dal regime più duro di detenzione sono andati a casa. Non per fine pena, nè per una particolare concessione ai limiti della legge, ma per motivi di salute. E per un tempo ben definito.
Ma c’è un altro dato che, scorrendo quelle pagine, non può essere tralasciato: quasi 200 persone presenti nella lista non sono state condannate in via definitiva. La maggioranza di queste aspetta la prima sentenza.
I nomi dei boss al 41 bis, così come le loro storie, sono arcinoti. Parliamo di Pasquale Zagaria, Francesco Bonura e Vincenzo Iannazzo.
Per il primo, scrive il magistrato che gli ha concesso la misura, Riccardo De Vito, era stato chiesto al Dap il trasferimento in una struttura sanitaria per detenuti. La risposta, però, è arrivata troppo tardi.
C’è poi Antonio Sudato, che si trovava nel regime di A.S. 1, quello dove sono reclusi i detenuti nei cui confronti è venuto meno il decreto di applicazione del 41 bis. Tutti gli altri 372 erano diversi regimi di Alta sicurezza. Tutti imputati, o accusati, di reati molto gravi, non solo di mafia. Ma certamente non tutti boss. Tra loro ci sono presunti narcotrafficanti, alcuni soggetti che avrebbero compiuto altri reati con l’aggravante mafiosa. Altri che hanno, sì, legami con la criminalità organizzata, ma non ne sono stati al vertice.
Analizzando la colonna che si trova accanto alla data di nascita di ogni detenuto, poi, un elemento che non può essere trascurato. In gergo viene definito “posizione giuridica”. Nel caso di questa tabella, quella dicitura ci spiega che non tutti i detenuti presenti nella lista sono condannati in via definitiva.
Anzi, per la verità , circa un terzo di loro non lo è. Già , perchè in quella lista che qualcuno ha definito “della vergogna” ci circa 125 persone in attesa del primo giudizio. Tradotto, continuano a essere innocenti fino a prova contraria.
Ristretti perchè accusati di qualcosa di grave, ma pur sempre in attesa di una decisione di un giudice che attesti o meno la loro colpevolezza.
Se a questi si aggiungono i condannati in attesa di Appello o Cassazione, il totale è 196. Quasi 200 persone che sono in carcere ma aspettano un giudizio definitivo. Forse criminali, ma forse estranei ai fatti di cui sono accusati.
Dati, alla mano, i condannati in via definitiva presenti in questa lista sono appena 155 (alle quali si aggiunge qualcuno che è già stato condannato per altro reato ma è in attesa di un nuovo giudizio). Meno della metà del totale.
I boss fuori dal carcere dopo un provvedimento di un magistrato non sono quasi 400, dunque. Ma molti, molti meno. Un dato, questo, da tenere in mente, mentre sul tavolo di Roberto Tartaglia – vice capo del Dap – è giunta un’altra lista. Il numero, questa volta, è più alto 456.
Sono i ristretti al circuito di alta sicurezza che chiedono di uscire. “225 sono detenuti definitivi – si legge nella nota del Dap – 231 sono detenuti in attesa di primo giudizio, imputati, appellanti e ricorrenti”. Anche in questo caso sarà un giudice a valutare. Anche in questo caso, se il magistrato deciderà in base alle leggi e alla Costituzione, non ci saranno – come più di qualcuno teme – centinaia di capimafia liberi di uscire dalle carceri con la “scusa” della malattia.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 8th, 2020 Riccardo Fucile
TOMMASO ERA ALLA GUIDA DI UNO DEI MEZZI DELL’ESERCITO: “VORREI UN GIORNO CONOSCERE I PARENTI DI QUEI DEFUNTI”
A sentire molti politici e demagoghi che hanno sposato incondizionatamente la linea Trump, chi si oppone alle riaperture incondizionate è un irresponsabile.
E mediatamente sta piano piano passando l’idea che se bar e ristoranti sono ancora chiusi la colpa è della cattiveria di qualcuno e non perchè l’epidemia c’è ancora e una seconda ondata potrebbe essere devastante.
Adesso Tomaso Chessa, militare sardo alla guida di uno dei mezzi dell’esercito usati per trasportare le bare da Bergamo in altri luoghi perchè non c’era spazio ricorda quei momenti. “Quelle bare fanno parte di me, c’ho messo l’anima: vorrei un giorno conoscere i parenti di quei defunti – scrive in un lungo e commovente post su Facebook. – Ma la gente continua a non capire, facile dire qua non siamo a Bergamo”.
“Termina la fase uno…. che dire? Forse la gente non si rende conto, non ha materialmente avuto il tempo di percepire la realtà . Io vi dico la mia, anche se sono cosciente di non rendere (per fortuna l’idea)”.
Con queste parole inizia la lettera aperta che il caporalmaggiore capo scelto Chessa, 42 anni, sassarese, scrive per raccontare le sue settimane alla guida di un camion dell’Esercito adibito al trasporto delle vittime bergamasche di coronavirus
In servizio nel Reggimento di supporto tattico e logistico di Solbiate Olona (Varese), Chessa ripercorre i pensieri che hanno accompagnato “l’ultimo viaggio” di quei “compagni di viaggio”
“Essere alla guida di un camion, una giornata qualunque dove il pensiero ti porta oltre la tua quotidianità – scrive. – Tu guidi, scambi due chiacchere con il collega alla parte opposta della cabina, ma quando per forza di cose, per un istante il silenzio rompe la tua routine, il tuo pensiero si posa su di loro, realizzi che dentro quel camion non siamo in due, ma in sette…. cinque dei quali affrontano il loro ultimo viaggio… e sì…. l’ultimo”.
Ti rendi conto – continua – di essere la persona sbagliata, o meglio, qualcuno doveva essere al posto tuo, ma purtroppo non può… tocca a te…. ed è lì che sentì addosso quella grande responsabilità , qualcosa che ti preme dentro, ogni buca, ogni avvallamento sembra una mancanza di rispetto nei loro confronti… poi arrivi lì, alla fine del tuo viaggio, dove ti ritrovi ad abbandonare “il tuo carico”, oramai fa parte di te, come se ti togliessero una parte di cuore, ed è li che cerchi di capire l’identità del tuo compagno di viaggio… cosa difficilissima”.
“Delle otto persone che personalmente ho accompagnato, – ricorda – l’unico dei quali sono riuscito a risalite alla sua identità è il Signor Guerra, classe 1938. Pagherei oro per conoscere tutti i parenti delle otto persone e potergli dire che nonostante il contesto non avrebbero potuto fare un viaggio migliore”.
“La cosa che mi dispiace di più, nonostante questo, – continua, – è che amici e famigliari continuano a non rendersi conto che tutto questo non è uno scherzo, la gente muore, chi non muore soffre, facile dire qua non siamo a Bergamo… Bene, abbiate la coscienza e il buon senso di tutelare i nostri cari che hanno la fortuna di vivere in posti più sicuri, ma non dimenticate che sbagliare è un attimo”
Fino all’appello finale rivolto ai bergamaschi: “Spero un giorno di poter conoscere i cari dei miei compagni del loro ultimo viaggio, ma se cosi non fosse sappiano che c’ho messo l’anima!”
(da agenzie)
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Maggio 8th, 2020 Riccardo Fucile
SALA VA A FARE UN GIRO DI CONTROLLO DI PERSONA
Il giorno dopo, le immagini restituite dai Navigli di Milano in questi giorni di Fase 2 e di prime riaperture dopo lo stretto lockdown di 2 mesi per la pandemia di Coronavirus, sono decisamente differenti rispetto a ieri. Quando le persone erano tante, molto vicine, e con poche mascherine.
Oggi verso le sette e mezza di sera in pieno orario aperitivo la situazione sembra essere più tranquilla.
E dopo le polemiche sulle troppe persone all’ora dell’aperitivo sui Navigli il sindaco di Milano, Giuseppe Sala — che ha reagito molto duramente a quelle immagini, dicendosi “incazzato” per le foto che ieri mostravano decine di persone godersi allegramente un aperitivo qui — questa sera ha voluto fare un giro personalmente per verificare la situazione.
Ha postato anche una foto sulla sua pagina di Instagram mentre è insieme al capo della Polizia locale Marco Ciacci, proprio su uno dei Navigli.
«Navigli ora, meglio — ha scritto Sala nella foto -. Grazie. E io mi prendo la responsabilità di fare di più sui controlli», dice il sindaco.
C’è chi corre, chi va a fare la spesa, chi è in fila per un takeaway e chi si gode una birra in compagnia di amici o forse addirittura di un “congiunto”. Ma i mini assembramenti di persone sono meno di ieri.
Molte di più invece le pattuglie della polizia locale e qualche carabiniere che ricordano ai passanti che non è permesso sedersi (“Bisogna camminare”) e sorvegliano che vengono rispettate le distanze di sicurezza.
“È una follia”, protesta infastidita una signora quando viene avvicinata dalla polizia mentre si trova su una panchina. Sull’alzaia del Naviglio grande si parla del “blitz” del sindaco.
Ieri Sala aveva dichiarato che se la situazione non fosse migliorata avrebbe chiuso o Navigli e bandito il cibo di asporto.
Per il momento l’ipotesi sembra sfumare.
(da agenzie)
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Maggio 8th, 2020 Riccardo Fucile
E’ ORA CHE A DESTRA (QUELLA VERA) SI FACCIA CHIAREZZA: BOSSI NON HA MAI NASCOSTO LE SUE ORIGINI DI SINISTRA, MARONI ERA IN DEMOCRAZIA PROLETARIA E SALVINI ERA A CAPO DELLA LISTA DEI COMUNISTI PADANI
Ieri un deputato della Lega, tale Luca Toccalini, 29 anni, milanese, laurea “bene” alla Cattolica e carriera nei Giovani Padani, in Parlamento ha citato Sergio Ramelli per giustificare una polemica becera nei confronti del Governo.
Non è certo il primo e non sarà l’ultimo.
Sergio Ramelli era un giovane missino che frequentava l’istituto “Molinari” di Milano e non nascondeva le sue idee politiche. Dovette lasciate la scuola dopo aver subito due aggressioni: un suo tema, rubato al professore, in cui condannava le Brigate Rosse, venne esposto in bacheca come “capo d’accusa” di un processo politico farsa.
Il 13 marzo del 1975 venne aggredito sotto casa, in via Paladini, da un nucleo di Avanguardia Operaia, in un vero e proprio agguato.
Fu massacrato dai colpi di chiave imglese del peso di 3 chili e mezzo e morirà un mese e mezzo dopo, il 29 aprile, a causa dei traumi riportati.
I responsabili vennero arrestati 20 anni dopo, solo grazie a tre pentiti.
Durante il processo, militanti dio Democrazia Proletaria manifestarono solidarietà agli imputati in un presidio davanti a Palazzo di Giustizia.
In primo grado furono comminate pene tra i 12 e i 15 anni a otto imputati, in appello le pene vennero ridotte tra 6 e 11 anni.
Solo 2 di loro restarono in carcere (per la somma di altri reati) tutti gli altri uscirono per i benefici di legge.
Alcuni di loro (laureati in Medicina) oggi ricoprono incarichi di prestigio.
Questa la storia, ora vediamo se la Lega ha titoli per citare Ramelli e appropriarsi della sua memoria.
Umberto Bossi nei primi anni settanta ha militato, in rapida successione, nel gruppo comunista de il manifesto e nel Partito di Unità Proletaria per il comunismo
Nel 1975, anno dell’omicidio di Ramelli, risulta iscritto al Partito Comunista Italiano, previo versamento di un contributo d’iscrizione presso la sezione locale di Verghera di Samarate.
Roberto Maroni invece all’età di 16 anni (1971) milita in un gruppo marxista-leninista di Varese poi fino al 1979 milita nel movimento d’estrema sinistra Democrazia Proletaria (quello che al processo Ramelli solidarizzava con i suoi assassini)
Ultimo, appartenente a un’altra generazione, Matteo Salvini: tra i 16 e i 19 anni frequenta il centro sociale di estrema sinistra Leoncavallo.
Nel 1997 Salvini partecipa alle elezioni del Parlamento Padano, organismo consultivo istituito dalla Lega Nord e aperto a tutti i cittadini padani, al di là del loro orientamento politico. La sua lista si chiamava Comunisti Padani e sullo stemma comparivano la falce e il martello.
I comunisti padani ottennero cinque seggi quell’anno, uno riservato proprio a Matteo Salvini.
Questo per limitarci agli esponenti leghisti più noti e che si sono succeduti alla segreteria del partito.
Viene da porsi una prima domanda: chi sono le “zecche rosse” citate da Toccalini ne suo intervento alla Camera?
Forse quelli che militano nel suo partito?
Forse quel Bossi che minaccio’: “i porci fascisti li andremo a prendere a casa uno a uno” nell’agosto del 1995?
Forse quelli che si sono riciclati da estremisti di sinistra in sovranisti?
E’ ora che qualcuno a destra, quella vera, fatta di tanti giovani coraggiosi e leali che hanno rischiato la vita per difendere un’idea negli anni di piombo, prendano una volta per tutte le distanze da chi pensa che non esista memoria e decenza nella vita.
Noi lo abbiamo fatto da tempo: con questa fogna sovranista non vogliamo avere nulla a che fare, senza se e senza ma.
Distanziamento etico dagli untori dell’odio fino alla loro consunzione.
Anche in nome di Sergio.
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