Maggio 26th, 2020 Riccardo Fucile
RENZI GROTTESCO: FA DI TUTTO PER METTERE IN DIFFICOLTA UN GOVERNO CHE E’ STATO LUI A SPONSORIZZARE CONTRO SALVINI CHE FINISCE PER FAVORIRE… QUANDO IN TV DICEVA: “E’ UNA COSA SCHIFOSA CHE SALVINI ABBIA TENUTO IN MARE QUEI POVERI DISGRAZIATI”
Ricapitolando, i fatti (sempre prima i fatti): Matteo Renzi, il solito Renzi, che nelle giornate in cui i riflettori sono accesi ha un bisogno ontologico di entrare nel cono di luce, stavolta si inventa di non partecipare al voto in Giunta, dove si discute l’autorizzazione a procedere di Salvini, sul caso Open Arms.
Detto oggi, sembra un’era geologica fa, politicamente e sentimentalmente, ma la questione scosse assai le coscienze la scorsa estate, quando l’allora ministro dell’Interno bloccava più o meno ogni settimana una nave di poveri cristi a largo.
Tra le più scosse allora c’era quella di Davide Faraone, attuale capogruppo di Italia Viva al Senato, che a luglio salì sulla Sea watch di Carola Rakete (ricordate: la Capitana che resiste al Capitano) assieme a Delrio, Orfini e Fratoianni per denunciare l’indegno “traffico di esseri umani” da parte di Salvini.
Ma stiamo all’oggi: in Giunta, la pattuglia renziana, a sorpresa, decide di non partecipare al voto con i suoi tre senatori, mossa non particolarmente azzeccata dal punto di vista parlamentare perchè, anche senza il soccorso dei tre assenti, Salvini si sarebbe salvato lo stesso, numeri alla mano, il che rappresenta un evidente colpo all’autostima di chi ha l’ambizione di essere un novello Ghino di Tacco.
La motivazione, con cui viene spiegato il gesto, è che dal “complesso della documentazione prodotta non sembrerebbe emergere l’esclusiva riferibilità all’ex ministro dell’Interno” ma Salvini avrebbe agito “con l’avallo del governo”.
Il che può anche essere la verità , o un pezzo della verità , ma non si capisce perchè rappresenti un motivo per non andare a processo per rispondere di eventuali responsabilità penali che, come noto, sono personali. Che è poi esattamente ciò che proprio Renzi sostenne quando a gennaio si discusse di un caso analogo. Testuale, nel corso della trasmissione Piazza Pulita, disse: “È una cosa schifosa che Salvini abbia tenuto in mare dei poveri disgraziati. Ma non sono io che devo decidere se ha commesso un reato, io devo decidere se deve andare a processo. E voterei sì”.
Dunque, ciò che valeva sulla Gregoretti e, prima ancora, sulla Diciotti non vale sulla Open Arms, nell’ambito di una battaglia navale che ha già mietuto, come prima vittima, la coerenza su principi non banali. E qui siamo a un bivio in questa riflessione.
Si potrebbe imboccare la via del racconto del “perchè”, del “cosa accadrà in Aula”, se siamo davanti al solito mercanteggiamento oppure no, e anche dilettarsi su questa sfacciata corrispondenza tra i due Mattei, sfacciata come la ricompensa della non partecipazione al voto in Parlamento con la nomina, grazie i voti della destra, della consigliera regionale Patrizia Baffi alla guida della commissione d’inchiesta sul Covid in Lombardia.
Oppure, questa l’altra strada, si potrebbe proseguire il ragionamento sui principi. Imbocchiamo questa, perchè siamo davvero di fronte a una delle pagine più grottesche della storia della Repubblica, proprio nel momento più complicato della storia della Repubblica: il paradosso di una forza di maggioranza (Italia Viva) che non vota perchè ci sarebbero responsabilità più alte del governo attuale e così facendo ne favorisce il principale avversario, per contrastare il quale proprio Renzi fece nascere il governo attuale.
E ancora, per completare il quadro: il medesimo Renzi che era all’opposizione del Conte 1 si adopera per salvarne un atto rilevante, mentre un’altra componente della maggioranza, i Cinque Stelle, che quell’azione la avallò, la coprì e la giustificò, vota per spedire a processo il suo ministro dell’Interno di allora.
Ecco, al netto della tattica, delle dietrologie, dei tanti bla bla più o meno cacofonici, siamo al game over, grottesco e caricaturale, di ogni principio politico, proprio nel momento in cui il paese ha bisogno del massimo di chiarezza, coesione, determinazione, visione.
E invece il paradosso diventa sistema in quest’epoca eccezionale. Come è stata paradossale la vicenda Bonafede in cui il partito che ha nel dna la lotta alla mafia rinuncia ad approfondire l’affaire Di Matteo, mentre i cosiddetti garantisti del centrodestra ne votano le dimissioni.
Come è paradossale la discussione sugli assistenti civici, col Pd che propone un meccanismo di controllo sociale dei comportamenti e i Cinque Stelle che indossano i panni dei liberali.
È la fotografia di una politica che funziona sulle nomine quando il criterio è la convenienza, ma disinvolta e smarrita nei suoi principi di fondo. Di fondo.
A proposito di navi, Salvini e processi: i decreti sicurezza sono sempre lì, immutati, per non sbagliare neanche se ne parla.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 26th, 2020 Riccardo Fucile
DOMANI URSULA VON DER LEYEN LO PRESENTERA’ AL PARLAMENTO EUROPEO… L’ITALIA INTERESSATA CERTAMENTE AI SOLDI A FONDO PERDUTO, POI COME SEMPRE DIREMO CHE NON BASTANO (E NON SIA MAI CHE FACCIAMO QUALCHE RIFORMA SERIA)
Più sussidi che prestiti: i primi verrebbero finanziati da nuove tasse sui servizi digitali o del tipo
‘carbon tax’ per prodotti inquinanti di paesi terzi; i secondi invece verrebbero finanziati dai bond raccolti sul mercato dalla Commissione europea, ma sarebbero legati a un piano di riforme in linea con le raccomandazioni di Bruxelles.
Secondo indiscrezioni raccolte da Huffpost, l’attesissimo piano della Commissione europea sul fondo di ripresa anti-crisi, che domani Ursula von der Leyen presenterà al Parlamento europeo, dovrebbe essere una mediazione tra le richieste paesi del sud Europa, sostenute da Germania e Francia, e le condizioni chieste Nord su ‘riforme in cambio di prestiti’.
Le cifre del ‘recovery fund’ dovrebbero — il condizionale è d’obbligo — viaggiare su 500mld di sussidi (esattamente quanto hanno proposto Angela Merkel e Emmanuel Macron) e il resto in prestiti, per arrivare ad una dimensione totale di quasi mille miliardi.
Il pacchetto sarà ancora materia di negoziato tra gli Stati membri, ulteriore giro di trattative dopo quelle portate avanti dalla presidente von der Leyen con i leader europei, all’interno della stessa Commissione e con il Parlamento europeo che chiede fondo di ripresa di 2mila miliardi di euro: il doppio di quanto dovrebbe proporre la Commissione.
Difficile che il consiglio europeo del 18 giugno possa essere quello definitivo. Più probabile che si cerchi una ‘soluzione ponte’ per avere la disponibilità delle risorse a settembre, puntando all’operatività vera e propria del fondo a gennaio 2021.
Naturalmente, i prestiti — che dovrebbero maturare non prima della scadenza del prossimo quadro di bilancio Ue, nel 2027 – non saranno scorporati dal Patto di stabilità e crescita che per ora è sospeso e verrà riattivato a fine emergenza (non si sa quando, nessuna data ufficiale per ora, giorni fa il ministro francese Bruno Le Maire ha chiesto che la sospensione del Patto duri almeno fino alla fine del 2021).
Significa che, come tutti gli altri prestiti, anche quelli del recovery fund andranno a ingrossare il debito pubblico.
Ed è per questo che i quattro paesi ‘frugali’ – Austria, Olanda, Danimarca e Svezia — hanno chiesto che la loro erogazione venisse legata ad un piano di investimenti e riforme elaborato dagli Stati membri e approvato dalla Commissione e dal Consiglio europeo affinchè sia in linea con le raccomandazioni del semestre Ue. In sostanza, è la garanzia affinchè il debito venga riportato su un percorso sostenibile.
Nessuna sorpresa a Palazzo Chigi, dove però Giuseppe Conte punta a ottenere di più in sede di trattativa in Consiglio europeo, ritenendo la proposta franco-tedesca “un primo passo ma ancora insufficiente”.
Il premier ha parlato di riforme nelle comunicazioni al Parlamento il 21 maggio, fanno notare i suoi. Oggi Conte ha avuto un colloquio telefonico con l’omologo olandese Mark Rutte, che insieme a Danimarca, Austria e Svezia fa parte del gruppo dei ‘frugali’, i più ostili al nuovo piano europeo per affrontare la crisi da Covid-19.
Dopo aver diffuso la loro contro-proposta sabato scorso, i nordici ora sono disposti al compromesso. Rutte conviene con Conte che il ‘recovery fund’ è “componente fondamentale per una risposta europea tempestiva ed efficace alla sfida senza precedenti del Covid-19”.
Ciò non toglie che il compromesso resta complesso.
La parte riguardante i sussidi dovrebbe essere finanziata dalle risorse proprie del bilancio dell’Ue, il cui tetto la Commissione propone di aumentare dall’1,2 per cento attuale del pil dell’Ue al 2 per cento (sempre secondo indiscrezioni). Si tratta di nuove tasse, tipo la ‘carbon border tax’ sulle produzioni inquinanti che vengono da paesi terzi, oppure una digital tax sui colossi del web. Ma su questo gli Stati membri dovranno raggiungere un accordo in Consiglio. Cosa niente affatto semplice, basti pensare a quante divisioni conosce l’Ue sulla digital tax: Stati in ordine sparso.
L’alternativa all’aumento del tetto delle risorse proprie è aumentare i contributi nazionali al bilancio dell’Ue: cosa ancor più complicata e osteggiata sia dai ‘frugali’, per definizione non generosi col bilancio, sia dagli Stati del sud, che usciranno ancor più appesantiti dalla crisi del covid.
Ma la Germania spinge per l’accordo. E questo, a livello europeo, fa la differenza. Se altri Stati importanti dell’eurozona — tipo l’Italia — non riemergessero dalla crisi, anche i tedeschi ne subirebbero i contraccolpi. Oggi si è esposto il presidente della Repubblica federale tedesca, Frank-Walter Steinmeier, in una conversazione telefonica con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
L’iniziativa franco-tedesca, sono le sue parole, “è un segnale necessario”. “Raramente una crisi ha dimostrato in modo così chiaro quanto all’interno dell’Ue siamo legati da un destino comune — continua Steinmeier secondo quanto riferito dall’ufficio stampa della presidenza tedesca – L’insegnamento per noi da trarne: dobbiamo stare quanto più possibile vicini gli uni agli altri”.
Angela Merkel invece ha avuto un colloquio con il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, alla vigilia della presentazione del programma della presidenza di turno tedesca dell’Ue (che inizia a luglio) all’Eurocamera domani.
“Il semestre di presidenza tedesco — dice Sassoli – si troverà al centro del piano di ricostruzione con la necessità di dare un impulso all’Unione europea e rafforzare le politiche. Siamo convinti che questa sia la stagione giusta per avviare le riforme necessarie e per garantire ai nostri paesi standard sul modello sociale e sui parametri economici sempre più omogenei”.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 26th, 2020 Riccardo Fucile
LA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI DA’ UN GIUDIZIO POSITIVO SUL DECRETO RILANCIO
Nonostante i trend del contagio da molte settimane abbiano delineato una curva discendente, la paura è ancora fortemente sentita dagli italiani.
Anche in piena fase 2, il 57% teme di poter essere vittima del Covid. Per fare una comparazione e comprendere quanto il fattore paura sia determinante, bisogna pensare che all’inizio di aprile, nel periodo maggiormente critico dal punto di vista sanitario, il 67% della popolazione avvertiva la paura del contagio.
Pertanto se nel frattempo i decessi e i contagiati sono diminuiti dell’80%, il livello di paura invece ha fatto registrare una flessione solo del 10%.
Insomma, il sentiment degli italiani non è direttamente influenzato dagli indicatori ufficiali che descrivono l’andamento dell’epidemia. D’altronde nello studio dei comportamenti sociali questo è un fenomeno noto: non c’è una correlazione nei tempi tra la diminuzione di un fenomeno e la sua percezione, il livello paura rimane alto e non segue l’andamento discendente del numero dei contagiati e dei decessi.
Proprio per questo i cittadini reclamano “prudenza”, anche se sono consapevoli dell’accentuarsi della crisi economica.
Tra l’altro sarebbe sbagliato misurare il livello della paura collettiva con le foto e i video girati nello scorso weekend in cui si vedevano assembramenti soprattutto nelle aree della movida. Si tratta di un numero minoritario di cittadini che si comporta come se in questi mesi non fosse accaduto nulla, e che quindi rientra in quella percentuale del 35% che dichiara di non avere paura.
Infatti il 56% ritiene che sia stato giusto riaprire un po’ alla volta le varie attività e solo il 35% appoggia la linea contraria del “tutto e subito”, cavalcata dal presidente della regione veneta Zaia.
Così anche per la celebrazione delle messe: il 57% approva che fino al 26 maggio sia stato sospeso qualsiasi evento religioso. Anche per quanto riguarda la possibilità di poter oltrepassare i confini della propria regione prevale la cautela.
Infatti il 67% afferma che sarebbe favorevole a differenziare l’apertura delle regioni in relazione al numero dei nuovi casi presenti, al contrario solo 1 cittadino su 4 è invece per la linea maggiormente permissiva, cioè permettere a tutti di poter andare in altre regioni, indipendentemente dalla consistenza dei contagi.
Nel complesso il decreto Rilancio è giudicato positivo da parte del 51%, almeno nella logica che il governo stia cercando di aiutare gli italiani.
Al contempo non mancano però le preoccupazioni economiche. Al 42% che dice di non aver avuto contraccolpi economici in seguito al lockdown, si contrappone sia il 15% che dichiara di aver perso interamente il proprio reddito, che un ulteriore 12% che in questi mesi ha avuto dimezzati i propri ricavi. A questi si aggiunge un 15% che lamenta una diminuzione delle entrate fino al 25%. Insomma in totale è quasi un cittadino su due che nel periodo di lockdown ha registrato una netta diminuzione del reddito.
(da agenzie)
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Maggio 26th, 2020 Riccardo Fucile
TOTI RISPONDE DA PERMALOSO, BIZZARRI RINCARA LA DOSE: “IO NON HO ELEZIONI ALLE PORTE”
Luca Bizzarri, molto attivo sui social ha iniziato un botta e risposta con Giovanni Toti, governatore
della Liguria, sulla possibilità di un concerto il prossimo 27 luglio per celebrare la fine della costruzione del nuovo ponte di Genova.
Nella giornata di ieri, condividendo un articolo che ne parlava, Luca Bizzarri ha affermato di non trovarla una buona idea: «Se si può non essere d’accordo, io non sono d’accordo. Ci sono situazioni, per me, in cui il silenzio deve prevalere su tutto».
Solo qualche ora dopo Toti ha commentato il suo pensiero tramite un post Facebook che rimandava a un evento del genere a cui lo stesso Bizzarri ha partecipato.
Toti ha commentato quanto affermato da Luca Bizzarri su Facebook: «Proprio oggi mi sono capitate tra le mani le immagini di alcune manifestazioni passate, legate al ricordo della tragedia di ponte Morandi e alla celebrazione di Genova, come il concerto che Msc ha regalato alla città , con tanto di diretta su Rai1 seguita da milioni di telespettatori. E riguardando le foto dei presentatori, ritrovo chi in queste ore sta criticando l’ipotesi di un nuovo concerto. E su una cosa mi trovo pienamente d’accordo con lui: in certe situazioni il silenzio dovrebbe prevalere su tutto».
Al comico e conduttore non è andato giù l’intervento di Toti sulle sue parole, con la replica che non ha tardato ad arrivare: «Caro Presidente, lo show di Rai Uno era funzionale a una raccolta di fondi in un momento di difficoltà e urgenza», marcando la differenza con l’evento del prossimo luglio, che vuole «annunciare l’apertura di un ponte che non doveva crollare, che ha lasciato 43 famiglie distrutte e che chiedono quel rispetto discreto che a Genova conosciamo bene».
Poi la considerazione sulla campagna elettorale per le prossime elezioni regionali in Liguria: «Mi sono permesso di esprimere un pensiero, non ho altro che quello, non ho elezioni da affrontare, sono un cittadino e ho detto la mia. Il tuo invito al silenzio non mi pare affatto “consolatorio”, ma paternalistico e minaccioso, spero di aver inteso male». Toti su Twitter con tanto di menzione a Luca Bizzarri, che sottolinea come non sia suo costume minacciare nessuno e batte in ritirata.
(da agenzie)
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Maggio 26th, 2020 Riccardo Fucile
UNO SCENARIO DA DISCARICA: ALLA PRIMA MAREGGIATA CENTINAIA DI SACCHETTI DI PASTICA FINIRANNO IN MARE CREANDO ENORMI DANNI AMBIENTALI
Una distesa di sacchetti di plastica con logo e timbro della Protezione Civile della Regione Liguria. Centinaia di sacchetti riempiti di sabbia e no, non si tratta di uno scenario da discarica, ma delle spiagge libere del Comune di Genova, riempite in questi giorni da migliaia di sacchetti di plastica utilizzati dalla protezione civile locale per creare zone di distanziamento sociale tra i bagnanti.
Mentre in tutto il mondo si cerca di ridurre al minimo l’utilizzo della plastica, la Protezione Civile della Regione Liguria fa esattamente il contrario, muovendo un’azione che va contro il buon senso e contro molte normative locali, come quella varata dal Municipio Levante (che comprende alcune delle zone più ricche di spiagge della città ) che solo poco tempo fa aveva varato la prima ordinanza a favore di spiagge “plastic-free”, in collaborazione con il Comune.
La presenza di questi sacchetti rischia di creare enormi danni ambientali: è sufficiente una lieve mareggiata per spostare in mare tutti questi sacchetti, con l’ulteriore difficoltà di non poterli nemmeno recuperare in mare aperto, essendo ancorati al peso della sabbia.
Il caso sta scatenando l’indignazione della popolazione locale, tra chi propone di rimuovere i sacchetti, e chi di denunciare l’episodio all’autorità competente.
Il Sindaco e il consigliere alla Protezione Civile sostengono che a sorvegliare le spiagge e il rispetto del distanziamento da sacchetti, ci saranno i volontari della protezione civile. Ma proprio oggi il dirigente regionale della protezione civile ha firmato una circolare che afferma che non si possono utilizzare i volontari di protezione civile per questo obiettivo. Chi dovrebbe garantire la sicurezza brancola nel buio
Intanto si aspettano vento e mareggiate, assai frequenti in queste zone, per calcolare i primi danni.
(da TPI)
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Maggio 26th, 2020 Riccardo Fucile
LO SFOGO DEL PROFESSORE: “IN INGHILTERRA CERTE COSE NON ESISTONO”…”HO DOVUTO COMPRARE LE SONDE MOLECOLARI ALLIMPERIAL COLLEGE, SE ASPETTAVO QUELLE ORDINATE IN ITALIA…”
Non vuole entrare nella polemica politica intorno al suo ruolo e a quello delle autorità regionali
nella conduzione di quello che ormai è diventato il “modello Veneto” nella lotta al Coronavirus.
Andrea Crisanti, professore di Microbiologia dell’Università di Padova e a capo del team che ha condotto l’esperimento di Vo’ Euganeo, non ci sta a far diventare il suo lavoro il terreno di scontro per la prossima campagna elettorale. Neanche dopo che dal governatore Luca Zaia è arrivata l’accusa di presunte “invasioni di campo”.
Ma nella conferenza stampa in modalità telematica rispondendo a una domanda di TPI sulle difficoltà di lavorare in Italia per chi, come lui, lo ha sempre fatto all’estero, Crisanti si lascia andare a uno sfogo amaro: “Manca la cultura della trasparenza, del riconoscimento del merito e dell’indipendenza, tre fattori che sono legati l’uno con l’altro e che l’Italia ha difficoltà a implementare sistematicamente”, dice. “Le persone cercano sempre qualcuno che le supporti esternamente, in Inghilterra queste cose non esistono”
Il clima tra Crisanti e Zaia si è inasprito dopo che il governatore del Veneto ha indicato la direttrice del Dipartimento di prevenzione Federica Russo come la responsabile del “modello” della Regione. “Vogliono riscrivere la storia per accaparrarsi meriti che non hanno”, ha accusato il professore, definendo il piano regionale “una baggianata”. Poi la replica di Zaia, che accusa lo scienziato di “invasioni di campo”.
Oggi in conferenza stampa Crisanti rivendica il ruolo importante dell’Imperial College di Londra, dove lo scienziato ha lavorato a lungo prima di tornare in Italia e da dove — ricorda — sono giunte le sonde molecolari che rappresentano il “cuore” del test e che hanno consentito di metterlo a punto nonostante i ritardi dovuti alla burocrazia italiana. “La ragione principale è che una delle sonde che abbiamo ordinato qui non è mai arrivata”, dice. “Abbiamo ripetuto altri ordini, una è arrivata con grandissimo ritardo e di nuovo sono stato costretto a comprarle dall’Imperial College”.
“Vorrei rimanerne fuori”, dice oggi Crisanti a chi gli chiede la sua impressione sulle polemiche, se si senta tradito o strumentalizzato. “So quello che ho fatto e tutti voi l’avete visto. Volete che specifichi qual è stato il mio contributo? Sull’analisi di Vo’ ho verificato gli asintomatici, ho sfidato i nostri epidemiologi e quelli dell’Oms, mi sono battuto sul fatto che il tampone fosse usato come strumento di sorveglianza pubblica, per identificare chi ha trasmesso la malattia alle persone che stavano male. Questo non toglie che questo risultato sia stato ottenuto col contributo di tantissime persone. Il resto non mi riguarda e mi dispiace che sia successo, ma forse è inevitabile che a un certo punto ci siano incomprensioni e vengano fatti dei chiarimenti. Anche perchè questo successo del Veneto ha attirato moltissima attenzione, quindi qualcuno che ha fatto qualcosa di importante può essere valorizzato”.
Nella gestione dell’epidemia in Veneto rispetto ad altre Regioni, come la Lombardia, a fare la differenza, secondo Crisanti, è stata l’idea di utilizzare i tamponi non solo come mezzo diagnostico ma anche come strumento di sorveglianza attiva.
“La differenza tra il Veneto e le altre Regioni”, spiega, “l’ha fatta la capacità di aumentare rapidamente la produttività dei tamponi, passando da poche decine e decine di migliaia al giorno. Questo è stato associato all’uso dei tamponi, che noi abbiamo utilizzato come misura di sorveglianza attiva, per intercettare gli asintomatici. Abbiamo sempre pensato che se c’è un asintomatico vuol dire che qualcuno gli ha passato la malattia, e intercettandolo avremmo impedito che infettasse altre persone. Per questo abbiamo sistematicamente fatto in modo che i tamponi fossero accessibili a parenti, amici, a tutti coloro che pensavano di essere entrati in contatto con un malato”.
“Si è visto in altri paesi che hanno usato lo stesso approccio, come la Germania, l’Islanda, la Corea del Sud, Taiwan”, spiega. “Tutti i paesi che hanno adottato questo approccio hanno avuto un numero più basso di decessi e sono stati in grado di controllare l’infezione più rapidamente. E noi l’abbiamo proposto subito, dopo i risultati di Vo’, dove abbiamo fatto uno studio gigantesco per capire ciò che stava succedendo. Uno dei dati emerso subito era che il 3 per cento della popolazione era infetto — un’enormità che nessuno ha valutato correttamente — e che c’era il 40 per cento di persone asintomatiche”.
“Mi creda, quando faccio lezione agli studenti e spiego l’R0, la maggior parte la prima volta non lo capisce, e sono studenti di medicina”, sottolinea poi Crisanti rispondendo alla domanda di TPI, che gli ha chiesto un commento sulla gaffe dell’assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera a proposito dell’indice di trasmissibilità . “È un concetto complesso perchè richiede un certo livello di astrazione, che nella spiegazione dell’assessore manca. Ha detto che se l’Rt è 0,50 per essere contagiato devo entrare in contatto con due positivi, non è così. È una questione di probabilità ”.
(da TPI)
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Maggio 26th, 2020 Riccardo Fucile
GALLERA, DI FATTO “COMMISSARIATO”, FUNGERA’ DA CAPRO ESPIATORIO, SPERANDO CHE I GONZI CI CREDANO… SALVINI SI PIAZZA IN REGIONE CON LO STAFF DELLA PROPAGANDA E FINGE DI FIRMARE CARTE
Su “La Repubblica” di oggi Andrea Montanari pubblica un articolo dal titolo “Una task force per vigilare su Gallera. Gaffe, passi falsi e cadute dell’assessore showman che voleva fare il sindaco”.
Al suo interno si legge: “Il centrodestra avvia il commissariamento dell’assessore al Welfare Giulio Gallera e intanto prende corpo l’ipotesi di un rimpasto della giunta regionale prima dell’estate. Anche per mettere al riparo la squadra di Fontana nel caso arrivasse un avviso di garanzia riferito ad una delle diverse inchieste aperte dalla magistratura. Fino ad allora Gallera sarà affiancato da una squadra di tecnici, una sorta di task force anti Covid”.
Evidentemente il collega, sempre bene informato, ha raccolto dei retroscena rispetto al vertice svoltosi ieri nel tardo pomeriggio a Palazzo Pirelli tra il presidente della Regione Attilio Fontana, gli assessori e i consiglieri regionali leghisti ed il leader del partito Matteo Salvini, che al termine del summit ha dichiarato: “Presto si potrà parlare di modello ‘lombardo’ come traino della ‘Fase 3′ per taglio della burocrazia, investimenti e vicinanza al mondo produttivo”, smentendo peraltro l’ipotesi di rimpasti in giunta.
Non è la prima volta che Salvini si piazza in Regione, oltretutto postando sui social sue foto “al lavoro”, mentre firma dei misteriosi fogli.
Domande necessarie: cosa firma un senatore che non ha alcun incarico in Regione Lombardia, degli autografi per i fan? A che titolo siede in quegli uffici?
E’ vero che, come riportato da molti giornali, il suo celebre staff della comunicazione si sarebbe trasferito nella sede della Regione per gestire i momenti topici della crisi?
Non solo. La sede della Regione, come ogni ufficio pubblico, è la casa dei cittadini. Al suo interno è lecito incontrare chiunque, per finalità istituzionali, e i politici non fanno certo eccezione.
Ma è un po’ diverso se lo scopo dell’incontro riguarda solo una parte in causa. A meno che l’articolo di “Repubblica” non venga smentito, è difficile pensare che un incontro tra soli esponenti della Lega, compreso un senatore non più ministro (per i motivi che tutti ricordiamo) abbia finalità diverse da quelle di un summit di partito che, pur essendo ovviamente legittimo, doveva essere fatto in via Bellerio.
Il legittimo interesse della Lega è evidente: le sorti del partito sono legate a doppio filo a quelle della Regione dove esso è nato, salvo poi distanziarsene per un evidente quanto riuscito calcolo politico. Da qui la decisione di “commissariare” Gallera con la task-force messa in campo, almeno fino al probabile rimpasto estivo, che dovrebbe prevenire possibili imbarazzi giudiziari.
Gallera d’altra parte è il capro espiatorio ideale, sia per i tanti errori commessi, sia perchè è politicamente isolato, appartenendo a un partito in piena emorragia di consensi e oltretutto molto frammentato al suo interno, con tanta gente che si guarda in cagnesco mirando agli stessi (pochi) posti che verranno distribuiti con le prossime tornate elettorali. Già la nomina di Guido Bertolaso come commissario per l’operazione ospedale in Fiera (altro capolavoro della Giunta-Fontana) era stata interpretata da molti come un espediente per arginare l’inaspettata popolarità mediatica dell’assessore al Welfare, diventato di colpo una figura di rilevo nazionale, con tanto di conferenze stampa quotidiane in diretta.
Dopo averlo criticato quando lo meritava, cioè spesso, sento anche il dovere di dire che sarebbe davvero ingiusto pensare di risolvere tutto rimuovendolo dalla stanza dei bottoni. Sul piano politico (perchè quello giudiziario è un altro tema), buttare tutte le responsabilità sulle sue spalle significherebbe ignorare che il vero problema è il decantato sistema sanitario lombardo, che in questa crisi ha dimostrato tutte le sue pecche.
Il percorso che ci ha portato a questa situazione è stato lungo e la Lega ne è responsabile almeno tanto quanto Forza Italia, avendo governato la Regione in tandem ininterrottamente dal 1995.
Venticinque anni esatti di condivisione di tutte le scelte, a partire da quelle che hanno indebolito la sanità pubblica e promosso un modello fortemente sbilanciato sui privati. E adesso pretendono di essere il “traino della Fase 3”? Ci vorrà davvero tutta la documentata abilità della macchina della propaganda salviniana per far digerire questa idea a una regione le cui ferite impiegheranno molto tempo per rimarginarsi.
(da TPI)
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Maggio 26th, 2020 Riccardo Fucile
IL SOLE 24 ORE FA DUE CONTI: SIAMO ARRIVATI A 12 MILIARDI E 665 MILIONI
Gianni Dragoni sul Sole 24 Ore oggi fa il punto sul costo per tutti gli italiani del salvataggio infinito
di Alitalia, mentre altri tre miliardi sono stati stanziati dal governo senza piani di sviluppo industriale. In 45 anni lo Stato ha speso finora 12,6 miliardi:
Il ministro Gualtieri ha rigettato il confronto fra i 3 miliardi e i soldi che il decreto stanzia per gli ospedali (stessa cifra) o la scuola (la metà ): «C’è la possibilità di costruire una newco con del capitale: non si possono confrontare i 3 miliardi di Alitalia con altre misure». In questo caso si tratta non di «deficit ma di saldo netto da finanziaziare: è equity che rimane dello Stato quindi io non sto pagando, lo Stato ci può persino guadagnare».
Questa dichiarazione non è rassicurante. Sommiamo i 3 miliardi a quanto Alitalia è già costata allo Stato e alla collettività in 45 anni. Il punto di partenza è lo studio di Mediobanca, che ha calcolato in 7,4 miliardi i costi diretti di Alitalia dal 1974 al 2014.
Quel valore aggiornato a oggi è pari a 7,62 miliardi. Aggiungiamo i 75 milioni versati da Poste a fine 2014 per 1’operazione Etihad, i 900 milioni «prestati» nel 2017 dal governo di Paolo Gentiloni, si arriva a 8,6 miliardi, più 145 milioni di interessi, non rimborsati.
A fine dicembre 2019 il governo M5S-Pdha assegnato al nuovo commissario, Giuseppe Leogrande, altri 400 milioni, come «prestito» semestrale, che non verrà restituito, nè saranno pagati gli interessi per quasi 20 milioni.
Aggiungiamo l’ultimo colpo: i 3 miliardi per la Newco, più altri 350 milioni, residuo del decreto «Cura Italia» di marzo. Si arriva a 12 miliardi 515 milioni. Ancora: almeno 100 milioni per gli oneri della cigs nei tre annidi commissariamento.
In totale Alitalia è costata 12 miliardi e 615 milioni. Cioè 210 euro a testa per ogni italiano, neonati (e contaminati) compresi.
(da agenzie)
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Maggio 26th, 2020 Riccardo Fucile
GLI ALTRI AVRANNO I POLMONI A RISCHIO PER SEI MESI … MA FINO A CHE TOCCA AGLI ALTRI NON FREGA NULLA QUASI A NESSUNO
Dopo l’infezione da Covid-19 i polmoni sono a rischio per almeno 6 mesi ed il 30% dei guariti avrà problemi respiratori cronici.
È il nuovo preoccupante scenario che arriva dal meeting della Società Italiana di Pneumologia. Gli esiti fibrotici, cioè la cicatrice lasciata sul polmone da Covid-19, possono comportare un danno respiratorio irreversibile e costituiranno una nuova patologia di domani e “una nuova emergenza sanitaria”, avverte lo pneumologo Luca Richeldi, membro del Cts. Bisognerà quindi attrezzarsi e rinforzare le Pneumologie.
“In molti pazienti Covid-19 che sono stati ricoverati o intubati osserviamo dopo la dimissione difficoltà respiratorie che potrebbero protrarsi per molti mesi dopo la risoluzione dell’infezione e i dati raccolti in passato sui pazienti con SARS mostrano che i sopravvissuti alla SARS a sei mesi di distanza avevano ancora anomalie polmonari ben visibili alle radiografie toraciche e alterazioni restrittive della funzionalità respiratoria, come una minor capacità respiratoria, un minor volume polmonare, una scarsa forza dei muscoli respiratori e soprattutto una minor resistenza allo sforzo, con una diminuzione netta della distanza percorsa in sei minuti di cammino.
Ma, soprattutto – precisa Richeldi – il 30% dei pazienti guariti mostrava segni diffusi di fibrosi polmonare, cioè grosse cicatrici sul polmone con una compromissione respiratoria irreversibile: in pratica potevano sorgere problemi respiratori anche dopo una semplice passeggiata”.
“Questi problemi si sono verificati anche in pazienti giovani, con un’incidenza variabile dal 30 fino al 75% dei casi valutati – interviene Angelo Corsico, Direttore della Pneumologia della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e Ordinario di Pneumologia all’Università di Pavia – E i primi dati riferiti dai medici cinesi su Covid-19 e i nostri primi dati osservazionali, parlano di molti pazienti sopravvissuti nei quali viene diagnosticata proprio una fibrosi polmonare, ovvero una situazione in cui parti di tessuto dell’organo sono sostituite da tessuto cicatriziale non più funzionale”.
Gli esperti temono perciò che la fibrosi polmonare possa rappresentare il pericolo di domani e per questo richiamano l’attenzione alla necessità di specifici ambulatori dedicati al follow-up dei pazienti che sono stati ricoverati, specialmente i più gravi e gli anziani più fragili, che potrebbero necessitare di un trattamento attivo farmacologico e di percorsi riabilitativi dedicati.
“Reliquati polmonari purtroppo ci sono per questo avremo una nuova categoria di pazienti con cicatrici fibrotiche a livello polmonare da Covid con insufficienza respiratoria, che rappresenterà certamente un nuovo problema sanitario” sottolinea Richeldi.
“A Pavia un ambulatorio post-Covid, dedicato ai pazienti dimessi dalla Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, è già attivo dal 27 aprile scorso – aggiunge Corsico – i pazienti vengono sottoposti a esame radiografico del torace, prove di funzionalità respiratoria, test del cammino di 6 minuti, ecografia toracica e cardiaca e, se necessario, a TAC toracica per indagare la presenza di una pneumopatia interstiziale diffusa o di una embolia polmonare. I dati preliminari sembrano confermare le prime osservazioni cinesi su Covid-19: diversi pazienti dimessi, purtroppo, presentano ancora insufficienza respiratoria cronica, esiti fibrotici e bolle distrofiche. E’ quindi necessario seguirli con attenzione e soprattutto inserirli in adeguati programmi di riabilitazione polmonare”.
(da agenzie)
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