IL SILENZIO DEI LAVORATORI
IL MONDO NUOVO VA AFFRONTATO IN MODI DIFFERENTI… METTERCI TOPPE NON SARA’ LA CURA PER IL DOMANI
È il silenzio, paradossalmente, a dare la misura sconfinata della Festa dei lavoratori nell’anno 2020. Ammutoliti i cortei, i concerti di piazza, la vasta scenografia della festa antagonista, e spesso logora, novecentesca come ogni soluzione che ci ostiniamo a proporre per ogni nuovo problema, e si finisce con l’aggravarlo.
Intendiamoci, il Novecento è stato un secolo formidabile, nel male e nel bene, ci sono state le grandi guerre e le grandi dittature e i grandi genocidi, ma nel Novecento i lavoratori hanno compiutamente guadagnato tre traguardi impensabili per i lavoratori delle epoche precedenti: assistenza, tempo libero e denaro eccedente a quello necessario alla pura sopravvivenza. Nella storia dell’uomo, il lavoratore si è sempre alzato all’alba per rincasare al tramonto, e spaccarsi la schiena ogni santo giorno gli bastava a combinare il pranzo con la cena, se andava di lusso. Non c’erano welfare nè sanità e istruzione gratuite. Nel Novecento, si è ottenuto tutto questo e si è ottenuto un tempo della vita, la vecchiaia, nel quale abbandonare il lavoro, riposarsi e riscuotere una pensione. A noi sembra normale, dopo l’ufficio o la fabbrica, sedersi al cinema o in pizzeria, e avere per diritto gli weekend da trascorrere in campagna e le settimane estive al mare. Ma basta pensarci un secondo per comprendere che nello scorso secolo, e soprattutto nella seconda metà , i lavoratori dell’Occidente democratico hanno toccato una qualità della vita davanti alla quale un nostro trisavolo resterebbe muto a occhi spalancati.
Poi, per fortuna, l’uomo è un essere ambizioso, desidera sempre più, e il desiderio diventa sinonimo di progresso. Di colpo, però, ci siamo ritrovati a desiderare il passato, le garanzie e la sicurezza dei nostri genitori e dei nostri nonni. La rivoluzione del digitale e le crisi economiche hanno svilito molte conquiste e siamo ripiombati nella precarietà , nella disoccupazione, nell’allentamento dei diritti. Il lavoro sottopagato è la regola e noi stessi riforniamo il mercato della schiavitù, con le colf e i rider e i raccoglitori di frutta retribuiti vergognosamente e spesso in nero.
Le risposte che proviamo a opporre, inscenate in un normale Primo Maggio, non funzionano. Covid ci uccide e ci paralizza, inceppa la capacità di produzione, sgretola il benessere. Ma se ha un pregio, oltre a ricondurci alla nostra dimensione infinitesimale e immensamente fragile, per cui un pipistrello cinese inchioda l’intero pianeta, è di metterci faccia a faccia, senza scampo, davanti al molto che non funziona più, che già non funzionava, e che abbiamo trascurato o affrontato con armi ormai inefficaci. Pensate anche soltanto alla democrazia, al ruolo del parlamento, ai tempi e ai modi dei provvedimenti, in mesi in cui il virus corre a una velocità insostenibile per le istituzioni, obbligandole a strappi illiberali e a rinnegare sè stesse per rimanere al passo. Lo sapevamo già , ma adesso è evidente a chiunque.
Altrettanto vale per il lavoro. Il mondo nuovo, globalizzato e interconnesso, va affrontato in modi completamente differenti. Ora si può forse rimediare attaccandoci delle toppe, con i criteri classici, ma non funzionerà più di un po’ e non sarà la cura per il domani. Il silenzio del Primo maggio del 2020 non è altro che il silenzio di tutti noi davanti all’enigma. Nessuno ha la soluzione, e nessuno fin qui l’ha davvero cercata. Ma, per il dopo, o per il subito, appuntiamocelo: è l’enigma di tutte le democrazie occidentali, non dell’Italia o della Spagna o degli Stati Uniti. Metterci mano, insieme, è questione di sopravvivenza, la nostra personale e del mondo libero in cui siamo cresciuti.
(da “Huffingtonpost”)
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