Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile
LA FLESSIBILITÀ NEI TEMPI, RICHIESTA DALLA MELONI, VERRÀ RIMBALZATA DA UNA UE CHE NON HA PER NULLA DIGERITO IL SUO RICATTO: IO FIRMO IL MES IN CAMBIO DI QUESTO E QUELLO
Dimenticate di sognare i fantastici 209 miliardi del Pnrr destinati all’Italia. Sarà un miracolo se si riuscirà a incassarne la metà visto lo stato della macchina burocratica (un appalto de’ noantri va avanti per decenni), da una parte. Dall’altra, c’è l’incapacità a “mettere a terra” i progetti da parte del sistema industriale italiano.
Del resto il 40 per cento dei fondi settennali europei non siamo riusciti a spenderli. E l’impossibilità italica di gestire risorse e realizzare progetti è stato uno dei motivi di conforto per Mario Draghi nel lasciare Palazzo Chigi. Essì: una cosa è riempire un foglio di investimenti, un’altra è realizzarli.
Nel suo recente e disastroso viaggio a Bruxelles, Giorgia Meloni ha chiesto flessibilità nei tempi spostando alcune spese dal 2026 al 2029. “Ma il problema è molto più grosso: fra l’Italia e la Commissione europea c’è uno scontro in atto su investimenti già deliberati e riforme che avrebbero dovuto essere già completate”, sottolinea Alessandro Barbera su “La Stampa”.
Non solo. La dilazione richiesta dalla Meloni verrà rimbalzata da una Unione europea che non ha per nulla digerito il ricatto italiano: io firmo il Mes in cambio di questo e quello. A Bruxelles si tratta con la vaselina, non col pugno sul tavolo. Vedi la sonora sconfitta del governo Meloni sullo stop alla vendita di auto a combustione interna dal 2035.
(da Dagoreport)
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Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile
TRE GIORNI PRIMA DELL’USCITA DI USS DAL CARCERE IL DEPARTMENT OF JUSTICE AMERICANO AVEVA INVIATO UNA LETTERA UFFICIALE AL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA. UNA MISSIVA RIMASTA INASCOLTATA… CHI HA VOLUTO FARE UN FAVORE AI SERVIZI SEGRETI RUSSI?
Artem Uss non è il primo ricercato per l’estradizione dagli Stati Uniti che riesce a evadere dai domiciliari in Italia. Era già successo in passato, almeno altre sei volte. Ma nel caso del ricchissimo imprenditore russo 40enne la consegna per gli Usa era di vitale importanza.
Per questo, il 29 novembre scorso, tre giorni prima dell’uscita di Uss dal carcere su decisione della corte d’Appello, il Department of Justice americano ha scritto una lettera ufficiale al ministero della Giustizia per esortare una misura più rigida nei confronti dell’indagato, accusato di associazione criminale, frode in danno dello Stato, commercio illegale del petrolio venezuelano sotto embargo, frode bancaria e riciclaggio, e considerato molto vicino al Cremlino.
“Le autorità statunitensi – si legge nel testo della missiva – hanno recentemente appreso che nei confronti di Artem Uss, ricercato per l’estradizione negli Stati Uniti, è stato o sarà presto disposta la misura degli arresti domiciliari in seguito a un provvedimento della Corte d’Appello di Milano”.
La preoccupazione manifestata dalle autorità americane già all’epoca era molta: “Dato l’altissimo rischio di fuga che Uss presenta, come indicato nella lettera del sostituto procuratore statunitense del 19 ottobre 2022 esortiamo le autorità italiane a prendere tutte le misure possibili per disporre nei confronti di Uss la misura della custodia cautelare per l’intera durata del procedimento di estradizione, compreso un ricorso alla Corte di Cassazione contro il provvedimento degli arresti domiciliari della Corte d’Appello di Milano”.
E in effetti la possibilità era stata vagliata dalla procura generale, che si era opposta agli arresti domiciliari richiesti dalla difesa e che alla fine però ha rinunciato, calcolando che i tempi dell’eventuale decisione della Cassazione sarebbero stati probabilmente più lunghi di quelli del procedimento per l’estradizione
Perché gli americani sottolineano l’esistenza di “uno schema consolidato di latitanti che sono fuggiti dall’Italia mentre era in corso una richiesta di estradizione dagli Stati Uniti” che “rafforza il fatto che gli arresti domiciliari non garantiscono efficacemente al disponibilità del latitante per un’eventuale consegna”.
A dimostrazione della tesi, nella mail vengono elencati nomi e cognomi di sei ricercati che negli ultimi anni sono riusciti a evadere in attesa di estradizione: una spagnola, un tedesco, una svizzera, un nigeriano e uno statunitense.
Gli americani mettono nero su bianco i loro timori che di fatto si sono poi verificati. “Pertanto richiediamo rispettosamente che le autorità italiane si assicurino che Uss sia rimesso in custodia cautelare per l’intera durata del procedimento di estradizione – concludono -, in modo che possa affrontare la giustizia negli Stati Uniti se l’estradizione dovesse essere concessa”.
Tutte queste cautele però, di fatto, sono servite a poco. Uss è riuscito a fuggire grazie a una rete di persone su cui oggi i carabinieri del Nucleo investigativo e della compagnia di Corsico stanno indagando. Dietro queste persone c’è l’ombra dei servizi segreti russi.
Del resto già a ottobre il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, lo aveva annunciato: “Le missioni diplomatiche russe faranno del loro meglio per proteggere gli interessi di Uss”.
(da agenzie)
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Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile
LA LIFE SUPPORT E’ SBARCATA OGGI DOPO 4 MESI DI MARE E 564 VITE SALVATE DALLE CARCERI LIBICHE
«In prigione in Libia mi hanno picchiato: ogni sera sceglievano una donna da violentare, ma per fortuna a me non è mai toccato». «Ho passato tre giorni in mare, senza mangiare nè bere, senza poter usare un bagno, cosparsa di benzina: non riuscivo a reggermi in piedi». «In mare abbiamo incontrato tanti pescherecci ma non ci hanno aiutato, dicendoci che rischiavano una denuncia».
Le testimonianze dei migranti soccorsi da Emergency sono terribili e raccontano sia i pericoli e i timori delle traversate in mare, sia il dramma di quelli che sono veri e propri lager, dove chi vuole partire alla volta dell’Europa viene costretto per lunghi mesi, a volte anni.
I naufragi sbarcati oggi a Ortona (Chieti) erano partiti da Zwara, in Libia, nel primo caso, e da Sfax, in Tunisia, nel secondo e nel terzo.
Gli stranieri che hanno vissuto o transitato in Libia riportano di episodi di violenza. «Io e la mia nipotina di 4 anni, che accudivo all’epoca – riferisce una donna – siamo rimaste in prigione in Libia per un anno. Mi hanno picchiata in qualsiasi parte del corpo. Ho ancora le cicatrici. Ogni sera sceglievano una donna da violentare. Per fortuna a me non è mai toccato. Mentre ci picchiavano, fumavano come se fosse un gioco».
Le persone provenienti dalla Tunisia hanno passato più di tre giorni in mare navigando alla deriva. «Ho 45 anni e soffro di ipertensione – spiega una donna delle Costa d’Avorio, tra i superstiti -. Ho passato tre giorni in mare, senza bere, né mangiare, senza avere la possibilità di usare un bagno, sotto il sole cocente e nel freddo notturno. Quando ci avete soccorsi, avevo ovunque sul corpo la benzina che si era rovesciata dalle taniche. Non riuscivo a camminare, a reggermi in piedi. Mi hanno dovuta portare di peso».
E ancora: «Appena ho visto peggiorare la situazione in Tunisia ho deciso di far partire subito mia moglie con la nostra bimba. Non vedo l’ora di ristringerle tra le mie braccia – racconta un uomo della Costa d’Avorio -. Io sono rimasto in mare tre giorni. Abbiamo incontrato tanti pescherecci, ma i pescatori ci dicevano che non potevano farci imbarcare sulle loro navi perché rischiavano denunce penali. Avrebbero chiamato i soccorsi. Quando abbiamo visto la vostra nave abbiamo capito che non ci avreste lasciato morire».
Attiva in operazioni di ricerca e soccorso dal dicembre 2022, la Life Support termina oggi la sua quarta missione. In questi quattro mesi, ha salvato la vita di 564 persone.
(da Open)
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Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile
IL CADAVERE DELLA MIGRANTE AVVISTATO QUESTA MATTINA, SOLO DOPO DUE ORE DALLA SEGNALAZIONE E’ ARRIVATA UNA MOTOVEDETTA DELLA GUARDIA COSTIERA
All’inizio sembra solo una macchia, con le onde e la loro schiuma a confondere i contorni. Poi quando l’occhio si abitua e impara a riconoscere i profili, appare. Sembra una grande bambola, con i capelli lunghi e neri che il mare fa ondeggiare, ma è, anzi era, una donna. Si vede una maglia grigia, dei pantaloni neri, più in là, confuso fra i rottami, quello che sembra un giubbotto rosso. Si vede una macchia bianca a una delle estremità, forse è una scarpa, forse un calzino. Attorno pezzi di barca, rifiuti, altri indumenti.
E subito vengono in mente tutti i naufragi di cui è arrivata notizia. Davanti a un corpo che le onde minacciano di sbattere su una scogliera che scende a picco, levandogli nella morte anche la dignità dell’integrità, si comprende l’immensità della tragedia che accade ogni giorno all’orizzonte delle nostre coste. A Cutro è diventato evidente, con le bare che si riempivano di corpi che uno dopo l’altro sono stati tirati fuori dall’acqua, i familiari che davano una storia a quelle che inizialmente erano solo sigle.
Qui a Lampedusa non c’è neanche la pietà della memoria, di una storia ricostruita, anche solo di un nome.
Quando sarà morta questa ragazza? Insieme a chi? Dove? Le risposte sono sul fondo del Mediterraneo insieme a chissà quanta gente, a cui non si potrà dare neanche nome, volto. Forse li cercheranno i parenti dall’altra parte del mare, forse cercano anche lei. Ma al momento è solo un corpo che va giù e poi riemerge, torna ad andare giù e riemerge ancora.
“Hanno visto un corpo a Punta Alajmo”, hanno detto. Sta a qualche chilometro da alcune delle spiagge più note di Lampedusa, dieci minuti dal centro del paese. È stato facile fare una verifica. È bastato affacciarsi alla scogliera per vedere quella che era una donna o forse solo una ragazza – da su non si comprende – ondeggiare a faccia in giù vicino alla scogliera. Quella che fra poco promette di fare scempio di quel corpo.
“Pronto, Capitaneria, vorrei segnalare la presenza di un corpo a Punta Alajmo”. Spieghi dove, chi sei, cosa vedi. “Ah ok, grazie per la segnalazione. Ci era già arrivata poco fa”.
Passano venti minuti. Non si vede nessuno. “Pronto, vigili del fuoco di Lampedusa? Vorrei segnalare la presenza di un corpo”. La squadra in poco tempo arriva, ma per loro le condizioni meteo sono proibitive. Arrivano anche i carabinieri. Dopo quasi due ore finalmente all’imbocco della cala arriva una motovedetta della guardia costiera.
(da La Repubblica)
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Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile
UNA SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA AVEVA GIA’ STABILITO CHE IL NUMERO DELLE PERSONE SOCCORSE NON PUO’ ESSERE MOTIVO DI FERMO E CHE E’ UN OBBLIGO IL “DOVERE DI SOCCORSO”
“Adotteremo tutte le misure necessarie per combattere questo fermo”. Promette battaglia la Louise Michel, la nave umanitaria finanziata dal misterioso artista Banksy, da domenica bloccata a Lampedusa da un provvedimento di fermo amministrativo di 20 giorni.
Motivo? Troppi salvataggi, a detta della Guardia Costiera portati a termine senza informare le autorità competenti, ignorando l’ordine di raggiungere “senza ritardo” il porto di Trapani. e finendo per caricare a bordo troppe persone.
Nel merito l’ong ancora non commenta, i legali stanno ancora studiando il provvedimento. Ma anticipano: “come nave umanitaria siamo obbligati a fare tutto ciò che è in nostro potere per prevenire qualsiasi perdita di vite umane. È nostro dovere rispondere e reagire”.
Di quei mayday diramati da Frontex si dà atto nello stesso provvedimento di fermo, da cui emergono una serie di elementi che di fatto smentiscono le stesse accuse mosse dalla Guardia Costiera.
Un esempio? Nonostante fra le accuse ci sia anche quella di aver operato senza comunicare con le autorità, nel provvedimento è la stessa Guardia Costiera a dare atto che la Louise Michel ha sempre informato sulle operazioni.
In più, secondo quanto filtra da ambienti ong, se Louise Michel, come qualsiasi nave, avesse ignorato imbarcazioni in pericolo che si trovavano in prossimità avrebbe violato il “dovere di soccorso” architrave delle norme internazionali.
E già in passato la Corte di giustizia europea aveva chiarito che il numero di persone soccorse – non può essere motivo di fermo. Adesso toccherà nuovamente ai tribunali intervenire nella guerra fra governo e ong.
“È chiaro che questo decreto al suo interno, e il fermo della nostra nave in particolare, non si rivolge a noi come ong, si rivolge alle persone in movimento”, dicono dall’ong. “Questo decreto porterà a ancora più perdite di vite umane nel Mediterraneo, già il confine più mortale del mondo”.
(da La Repubblica)
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Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL SENATO SI È COSTRUITO UNA “TRUPPA” DI RISERVA NEL CASO I PROGETTI DELLA MELONI INIZINO A ZOPPICARE: INVITA LA DUCETTA AD ASCOLTARE GIANNI LETTA E HA SCONGELATO BISIGNANI
Lui, confida sorridendo, si meraviglia di chi si meraviglia. “Perché lo avevo detto, in fondo”. Innegabile. Che sarebbe stato un presidente del Senato un po’ unconventional, ecco, Ignazio La Russa lo aveva detto fin dall’inizio. Politico, dunque. Politicissimo, anzi. E lo dimostra il suo attivismo cauto e ostentato al tempo stesso sulle nomine; e lo testimonia, perfino, il cambio degli assetti dentro Forza Italia. Su cui La Russa ha avuto il suo ruolo.
Del resto, si era reso protagonista di un estremo tentativo di mediazione con Arcore, quando ormai a Via della Scrofa davano per irrimediabilmente compromessi i rapporti tra il Cav. e la premier.
“Fammi fare ancora un tentativo, Giorgia”. Di lì è nata una stagione della distensione che s’è concretizzata prima nel ritiro della costituzione di parte civile da parte di Palazzo Chigi nei processi in cui era coinvolto Berlusconi, e poi altro che si dovrà ancora disvelare, di più decisivo e riservato.
E lui, dallo scranno più alto di Palazzo Madama, questa sua passione per la politica può esercitarla come da un piedistallo privilegiato: compiendo cioè scorribande nella polemica di giornata salvo poi subito invocare l’immunità presidenziale, l’extraterritorialità del suo ufficio.
“Refugium peccatorum”, lo chiama lui quel suo dorato cantuccio al terzo piano di Palazzo Madama, lo stesso davanti al quale è stato avvistato, giovedì pomeriggio, Giancarlo Giorgetti, al termine del suo question time sul Mes.
Di certo c’è che pure sulla partita più delicata del momento, e cioè quella delle nomine, La Russa dice la sua. Perché è vero che nel sancta sanctorum meloniano, quello più intimo e più prestigioso, La Russa non ha accesso. Non pienamente, almeno, ché i suoi rapporti con Francesco Lollobrigida, quando si parla di nomi e di partecipate, non sono sempre felicissimi.
E però lì, stando sulla soglia, il presidente del Senato costruisce una sorta di truppa di riserva, di piano alternativo pronto a essere preso in considerazione non appena i progetti di Meloni e dei suoi iniziano a zoppicare. (In questo trovandosi davvero in sintonia con Giorgetti: pure lui tagliato fuori dalle riunioni di partito sulle nomine, pure lui costretto a saperle dai giornali, certe presunte trovate di Alberto Bagnai e Andrea Paganella, e però pure lui convinto che, al dunque, bisognerà passare dalle sue mani, dalla sua scrivania, per trovare l’intesa.)
Del resto è stato lui, La Russa, a suggerire a Meloni di non ignorarli, i consigli di Gianni Letta, ché quando c’è da trattare, l’ex sottosegretario è certamente più affidabile, più attento alla grammatica istituzionale, di altri possibili mediatori azzurri. Pure Luigi Bisignani, a quanto pare, è da La Russa che ha ottenuto il lasciapassare per incontrare Meloni a Palazzo Chigi, ed essere riammesso al gioco grande.
(da Il Foglio)
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Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile
TRA AUTOGRAFI E SELFIE, SPUNTA L’IMMANCABILE SCOLARESCA CHE, “DAVANTI ALL’F35, SVENTOLA LE BANDIERINE E SCANDISCE ME-LO-NI, ME-LO-NI (LEI RICAMBIA MANDANDO BACI CON LE MANI)”
“Eh, ma io devo dirle una cosa importante”. “E perche’ quel signore l’autografo ha potuto farlo e io no?”. “Un attimo solo, un selfie e me ne vado. Prometto”.
Quando i cronisti attraversano i capannelli di folla che assediano i leader politici ascoltano e vedono ripetersi sempre la stessa scena – mentre devono a loro volta provare a farsi strada nel muro di scorte e security aggiuntive, sia pure per altri motivi, e magari cercando di dare meno nell’occhio – proprio come e’ accaduto oggi a piazza del Popolo all’Air Force Experience.
Rapido conciliabolo (andiamo, ma no torniamo un’altra volta, ma perche’? siamo gia’ qui) e alla fine passa la linea Meloni: conclusa la cerimonia alla Terrazza del Pincio, si scende anche in piazza del Popolo, dove si trova il ‘villaggio’ allestito per i cento anni dell’Aeronautica Militare.
Ecco, solo viene respinta l’idea di andare a piedi, momento aggiuntivo di ‘decompressione’ – e meno complicato, in apparenza, rispetto allo spostamento del corteo di auto – che non sarebbe dispiaciuto a Meloni. E cosi’, protocollo da reinventare letteralmente al volo, ed ecco tutti in piazza, colonizzata da migliaia di persone che fanno la fila per vedere aerei ed elicotteri, e per salire in cabina di pilotaggio.
Proprio quello che fa anche Meloni, oggi dunque in versione ‘presidente pilota’ come si potrebbe dire sulla scia della formula coniata a suo tempo da Silvio Berlusconi, e rinverdita di recente dalla stessa leader FdI.
Dopo aver assistito, naso all’insu’, insieme alle altre autorita’ dello Stato, Sergio Mattarella in testa, al passaggio di oltre settanta tra aerei e elicotteri, il presidente del Consiglio guadagna la scaletta di quelli a terra ed entra nell’abitacolo di un F35, di un Eurofighter, e di un elicottero HH139, a bordo del quale – per un’evidente questione di corporatura – puo’ stavolta unirsi anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che l’accompagna per tutto il giro come ‘padrone di casa’.
Quando i curiosi che affollano l’area si accorgono del fuori programma si scatena appunto una corsa alla foto, all’autografo. Scatenata la scolaresca che, davanti all’F35, sventola le bandierine e scandisce Me-lo-ni, Me-lo-ni (lei ricambia mandando dal cockpit baci con le mani) come ormai e’ consuetudine nella ‘Repubblica pop’ dove si mescolano consenso e emozione del contatto con i volti resi familiari da media tradizionali e social. A un certo punto. Meloni entra nelle ‘bolle’ dedicate alla storia dell’Aeronautica a oggi e lascia la piazza da li’, mentre la voce comincia a spargersi e a richiamare altri curiosi.
A chi le chiedeva della reazione festante della scolaresca, Meloni ha detto che “vedere tutti questi bambini con le bandierine tricolore e’ fantastico, vivaddio riusciamo ancora a trasferire il sentimento della patria”. Ai militari che l’hanno accompagnata tra gli stand ha detto che “l’Aeronautica e’ innovazione, gioventu’ e storia, e’ uno dei grandi fiori all’occhiello di questa nazione, una grande ambasciatrice della nostra credibilita’, del nostro coraggio, della nostra serieta’ e della nostra umanita’”. “La patria non esiste senza il vostro lavoro, la dedizione, la disponibilita’ al sacrificio, l’umanita’, senza valori che si rischiano di perdere e che, ringraziando Dio, noi non perdiamo, grazie soprattutto al lavoro che fanno questi uomini e queste donne”, ha detto ancora il presidente del Consiglio.
(agenzia AGI)
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Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile
CONFERMATO IL NO ALL’ESTRADIZIONE… REAZIONI DIVERSE TRA I FAMILIARI DELLE VITTIME
Restano in Francia i 10 terroristi italiani coinvolti nell’operazione di due anni fa denominata «Ombre rosse». La Cassazione francese ha confermato il rifiuto della Francia all’estradizione l’ex militante di Lotta Continua Giorgio Pietrostefani, già condannato in Italia per essere stato tra i mandanti dell’omicidio del commissario Calabresi a Milano.
Le domande di estradizione riguardavano poi gli ex Br Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella, Sergio Tornaghi, Maurizio Di Marzio ed Enzo Calvitti, l’ex militante di Autonomia Operaia Raffaele Ventura, l’ex militante dei Proletari armati Luigi Bergamin e l’ex membro dei Nuclei armati contropotere territoriale, Narciso Manenti, condannato all’ergastolo per l’omicidio del carabiniere Giuseppe Gurrieri nel 1979.
Il precedente no all’estradizione
Il rifiuto di accogliere il ricorso alla Corte di Cassazione sull’estradizione era atteso. In precedenza, il 29 giugno 2022, il tribunale francese aveva negato l’estradizione chiesta dall’Italia.
La presidente della Chambre de l’Instruction aveva motivato il no all’estradizione con il «diritto a un processo equo» e il «rispetto della vita privata e familiare», come garantito dagli articoli 6 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il presidente francese Macron, il giorno dopo la sentenza del giugno 2022, aveva dichiarato che «quelle persone, coinvolte in reati di sangue, meritano di essere giudicate in Italia». Dopo le parole del presidente francese, il procuratore generale della Corte d’appello di Parigi, Rémy Heitz, in rappresentanza dell’esecutivo, aveva presentato un ricorso alla Corte di Cassazione, ritenendo necessario appurare se gli ex terroristi condannati in Italia in contumacia beneficeranno o meno di un nuovo processo se la Francia li avrebbe estradati. Lo stesso procuratore contestava la decisione del tribunale sulla presunta violazione della vita privata e familiare degli imputati.
Chi sono i dieci ex terroristi italiani a cui la Francia ha negato l’estradizione
Tra gli ex terroristi a cui la Francia ha negato l’estradizione c’è l’ex militante di Lotta Continua Giorgio Pietrostefani, già condannato in Italia per essere stato tra i mandanti dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi a Milano.
Tra i 10 ex terroristi c’è anche l’ex Br Giovanni Alimonti, accusato del tentato omicidio di un vicedirigente della Digos e condannato a 11 anni per banda armata e associazione terroristica.
Negata l’estradizione anche all’ex Br Roberta Cappelli, condanna all’ergastolo per associazione con finalità di terrorismo, concorso in rapina aggravata, concorso in omicidio aggravato, attentato all’incolumità.
Tra i 10 ci sono anche altri quattro ex terroristi delle Brigate rosse: Marina Petrella (condannata per l’omicidio del generale Galvaligi), Sergio Tornaghi (ondannato all’ergastolo per l’omicidio di Renato Briano, direttore generale della Ercole Marelli), Maurizio Di Marzio (condannato a 5 anni per tentato sequestro dell’ex dirigente della Digos di Roma, Nicola Simone, e il suo nome è legato anche all’attentato del 1981 al dirigente dell’ufficio provinciale del collocamento di Roma Enzo Retrosi) ed Enzo Calvitti (condannato a 18 anni, 7 mesi e 25 giorni, oltre che a 4 anni di libertà vigilata per i reati di associazione sovversiva, banda armata, associazione con finalità di terrorismo, ricettazione di armi).
Negata per la seconda volta l’estradizione anche all’ex militante di Autonomia Operaia Raffaele Ventura, condannato a 20 anni per concorso morale nell’omicidio a Milano del vicebrigadiere Antonio Custra, così come all’ex militante dei Proletari armati per il comunismo (Pac) Luigi Bergamin, condannato a 25 anni per associazione sovversiva, banda armata e concorso in omicidio.
Tra i 10 ex terroristi che non verranno estradati in Italia c’è anche l’ex membro dei Nuclei armati contropotere territoriale, Narciso Manenti, condannato all’ergastolo per l’omicidio del carabiniere Giuseppe Gurrieri nel 1979.
Alberto Cataldo, il figlio di Francesco, maresciallo ucciso a Milano dalle Br il 20 aprile 1978, trova giusta la sentenza della Cassazione francese. «Ormai sono passati più di 47 anni, la pena in sé mi interessa fino a un certo punto», dice sottolineando che l’obiettivo è quello di restituire verità sulle vicende. «La vera partita non è l’estradizione quanto misurare se queste dieci persone daranno un contributo per capire quanto è successo in quegli anni», ha detto.
Non sono d’accordo, invece, Mario Calabresi, che ha espresso la sua amarezza, Roberto Della Rocca, uno dei sopravvissuti agli attentati delle Brigate rosse. «È una vergogna che non ha fondamento giuridico. Io e la mia associazione facciamo appello al ministro Nordio affinché la giustizia italiana intervenga. E chiedo alla Francia: se fosse successa la stessa cosa al contrario con le vittime del Bataclan?».
(da agenzie)
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Marzo 28th, 2023 Riccardo Fucile
ECCO I MOTIVI, LE STORIE DI CHI CI LAVORA
Il corriere si fa male durante il lavoro? «Evitiamo di chiamare l’ambulanza. Facciamolo portare in ospedale da una persona di fiducia». Questo è una delle storie che emergono dai verbali dei lavoratori di Brt (ex Bartolini), storica azienda di spedizioni italiani.
Un colosso della logistica che è finito in amministrazione giudiziaria per un anno. La decisione l’ha presa la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Milano presieduta da Fabio Roia. E fa il paio con quella per Geodis, che per un anno dovrà restare in amministrazione controllata.
Le due aziende sono di proprietà di due gruppi francesi. E avevano subito negli scorsi mesi sequestri per 126 milioni di euro. Sotto accusa la gestione dei cosiddetti “serbatoi di manodopera”. Ovvero dei lavoratori messi a disposizione, senza tutele, da società intermediarie e cooperative per le due grandi aziende.
Le coop
Le verifiche della Procura (il pm è Storari) solo sul fronte di Brt riguardano «controlli di transumanza». Ovvero il passaggio da una cooperativa all’altra in rapporti con l’azienda, su quasi 3mila fornitori di manodopera per una forza lavoro in totale di 26.105 autisti.
Nel provvedimento dei giudici (Rispoli-Cernuto-Spagnuolo Vigorita) si riassumono le dichiarazioni di decine di lavoratori. Che raccontano storie incredibili.
Non avevano diritto a visite mediche né a corsi di formazione. E dovevano contribuire a volte per comprarsi anche il furgone. Passavano da una cooperativa all’altra perdendoogni diritto di carattere economico come gli scatti di anzianità. Non venivano pagati durante le ferie e non avevano la tredicesima. Mentre il versamento dello stipendio, hanno raccontato, veniva qualificato «come ‘trasferta Italia’ in modo da evitare il pagamento dei contributi».
In alcuni casi le aziende pagavano i lavoratori solo a cottimo. E poi c’era il Caporale dei Caporali che sceglieva i capi delle cooperative «su base etnica».
Il sindacalista
Il sistema, spiega il tribunale, va avanti almeno da dieci anni. E «ha consentito a Brt di risparmiare a tutto detrimento dei lavoratori e dell’Erario» 100 milioni di euro all’anno.
Un sindacalista che ha detto di aver subito anche un tentativo di corruzione ha messo a verbale che «quella attuata da Brt deve essere considerata una chiara forma di intermediazione e interposizione di manodopera. Poiché tutti gli autisti delle società fornitrici di Brt, anche i cosiddetti finti padroncini o ibridi dipendono direttamente da Brt».
Il teste ha riferito che «si assiste a un forma di sfruttamento di questa tipologia atipica di lavoratori». E che ci sono «corrieri che lavorano da più di vent’anni presso le filiali Brt, seppure questa circostanza non sia mai stata certificata». Ma devono accettare turni massacranti. «La maggior parte – si legge nel verbale – non sono di nazionalità italiana e sono soggetti in difficoltà economica».
L’amministratore delegato
Durante l’interrogatorio di garanzia l’amministratore delegato di Brt Costantino Dalmazio Manti (indagato insieme al presidente Giorgio Bartolini) ha ammesso di aver ricevuto denaro dal 2016 al 2022 da fornitori per farli lavorare. Si parla di un milione di euro.
Un consulente giuslavorista di Brt ha detto che gli appalti avevano una gestione opaca. E ha parlato di 200 mila euro incassati da Manti e girati alla moglie. Ieri in una nota la società ha fatto sapere di aver già «iniziato molteplici investigazioni interne volte ad analizzare alcune situazioni critiche». E che l’8 febbraio 2023 ha rimosso dalla carica Manti. Sostituendolo con Mathieu Wintgens, presidente del Cda.
I subappalti
Il sistema di società subappaltatrici, racconta oggi La Stampa, prevede sigle fantasma che poi spariscono. E che sono inafferrabili per i lavoratori ma anche per i sindacati. I lavoratori raccontano che i loro capi non si fanno mai sentire, dovrebbero fare visite annuali che però saltano e non hanno nemmeno l’assicurazione medica. Sulla base di accordi individuali le aziende della logistica si sono accordate con tanti “finti padroncini”. Gli accordi prevedono l’acquisizione del mezzo dall’azienda e la detrazione delle rate del veicolo e dell’assicurazione. Oltre alle riparazioni e al costo del carburante. Alla fine per portare a casa un guadagno dignitoso a fine mese tutti si sottopongono a turni massacranti e vengono pagati a cottimo.
(da Open)
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