LA RUSSA NON HA CAPITO CHE SIGNIFICA ESSERE LA SECONDA CARICA DELLO STATO: BRIGA, SI INFILA NELLE POLEMICHE E ORA SMANIA ANCHE PER LE NOMINE
IL PRESIDENTE DEL SENATO SI È COSTRUITO UNA “TRUPPA” DI RISERVA NEL CASO I PROGETTI DELLA MELONI INIZINO A ZOPPICARE: INVITA LA DUCETTA AD ASCOLTARE GIANNI LETTA E HA SCONGELATO BISIGNANI
Lui, confida sorridendo, si meraviglia di chi si meraviglia. “Perché lo avevo detto, in fondo”. Innegabile. Che sarebbe stato un presidente del Senato un po’ unconventional, ecco, Ignazio La Russa lo aveva detto fin dall’inizio. Politico, dunque. Politicissimo, anzi. E lo dimostra il suo attivismo cauto e ostentato al tempo stesso sulle nomine; e lo testimonia, perfino, il cambio degli assetti dentro Forza Italia. Su cui La Russa ha avuto il suo ruolo.
Del resto, si era reso protagonista di un estremo tentativo di mediazione con Arcore, quando ormai a Via della Scrofa davano per irrimediabilmente compromessi i rapporti tra il Cav. e la premier.
“Fammi fare ancora un tentativo, Giorgia”. Di lì è nata una stagione della distensione che s’è concretizzata prima nel ritiro della costituzione di parte civile da parte di Palazzo Chigi nei processi in cui era coinvolto Berlusconi, e poi altro che si dovrà ancora disvelare, di più decisivo e riservato.
E lui, dallo scranno più alto di Palazzo Madama, questa sua passione per la politica può esercitarla come da un piedistallo privilegiato: compiendo cioè scorribande nella polemica di giornata salvo poi subito invocare l’immunità presidenziale, l’extraterritorialità del suo ufficio.
“Refugium peccatorum”, lo chiama lui quel suo dorato cantuccio al terzo piano di Palazzo Madama, lo stesso davanti al quale è stato avvistato, giovedì pomeriggio, Giancarlo Giorgetti, al termine del suo question time sul Mes.
Di certo c’è che pure sulla partita più delicata del momento, e cioè quella delle nomine, La Russa dice la sua. Perché è vero che nel sancta sanctorum meloniano, quello più intimo e più prestigioso, La Russa non ha accesso. Non pienamente, almeno, ché i suoi rapporti con Francesco Lollobrigida, quando si parla di nomi e di partecipate, non sono sempre felicissimi.
E però lì, stando sulla soglia, il presidente del Senato costruisce una sorta di truppa di riserva, di piano alternativo pronto a essere preso in considerazione non appena i progetti di Meloni e dei suoi iniziano a zoppicare. (In questo trovandosi davvero in sintonia con Giorgetti: pure lui tagliato fuori dalle riunioni di partito sulle nomine, pure lui costretto a saperle dai giornali, certe presunte trovate di Alberto Bagnai e Andrea Paganella, e però pure lui convinto che, al dunque, bisognerà passare dalle sue mani, dalla sua scrivania, per trovare l’intesa.)
Del resto è stato lui, La Russa, a suggerire a Meloni di non ignorarli, i consigli di Gianni Letta, ché quando c’è da trattare, l’ex sottosegretario è certamente più affidabile, più attento alla grammatica istituzionale, di altri possibili mediatori azzurri. Pure Luigi Bisignani, a quanto pare, è da La Russa che ha ottenuto il lasciapassare per incontrare Meloni a Palazzo Chigi, ed essere riammesso al gioco grande.
(da Il Foglio)
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