Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
IN QUESTI DUE MESI FARÀ ARRIVARE A KIEV CENTINAIA DI CARRI ARMATI E VEICOLI BLINDATI: LA GUERRA VA CHIUSA IL PRIMA POSSIBILE
La fase dell’attesa e anche delle incertezze sta per terminare. Joe Biden ha deciso di tentare la spallata per sconfiggere l’armata putiniana in Ucraina.
Stando alle indiscrezioni, la controffensiva dovrebbe scattare nel mese di maggio. Tra circa due mesi, quindi.
Il tempo necessario per far confluire in Ucraina centinaia di carri armati e veicoli blindati, compresi otto mezzi in grado di gettare i ponti per guadare il fiume Dnipro, la linea di trincea che si è formata nel Sud Est del Paese.
L’addestramento
Le prossime settimane saranno utilizzate anche per addestrare altre centinaia di soldati ucraini a familiarizzare con gli ordigni più sofisticati nelle basi Usa, britanniche e della Nato.
I generali del Pentagono ritengono che l’Armata putiniana e le milizie mercenarie della Wagner siano allo stremo e a corto di armi. Possono essere battute, se non travolte, a patto di mettere in campo uno sforzo aggiuntivo e di fare presto. In realtà anche il blocco occidentale potrebbe presto avere problemi nell’assicurare continuità ai rifornimenti
Le industrie belliche americane ed europee faticano a tenere il passo delle esigenze sul campo di battaglia. Stanno già scarseggiando munizioni per l’artiglieria e per i sistemi di difesa aerea. Ecco perché Biden e Austin ora vogliono bruciare i tempi, prima che la mancanza di armi costringa l’esercito ucraino e i suoi sponsor a impantanarsi in un conflitto senza orizzonti.
Il messaggio del Pentagono è duplice: cercheremo di vincere la guerra in Ucraina, ma non vogliamo lo scontro diretto con Mosca. La reazione del governo ucraino è entusiasta. Il ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, ha twittato: «La riunione del gruppo di Ramstein ispira ottimismo…formeremo un pugno corazzato». Vedremo, invece, come risponderà Putin, nelle trincee dell’Ucraina e nella rete diplomatica internazionale.
(da il Corriere della Sera)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
IN ALCUNI SPOTTONI SUL SITO PORNO COMPARE LA SCRITTA: “NON TOCCARTI, UNISCITI ALL’ESERCITO PIÙ FORTE DEL MONDO” CON TANTO DI NUMERO DI TELEFONO DA CHIAMARE…IL SITO È STATO COSTRETTO A RIMUOVERE LA PUBBLICITA’
“Non toccarti, unisciti all’esercito più forte del mondo”, è questo il claim comparso in alcune pubblicità pubblicate dal gruppo Wagner su Pornhub, con l’obiettivo di reclutare nuovi soldati da combattere insieme all’esercito russo in Ucraina.
“Stiamo reclutando soldati da tutte le regioni della Russia” si leggeva nella pubblicità, che si concludeva con un numero di telefono .
Secondo quanto affermato dal Moscow Times, nello spot compariva una donna che leccava un lecca lecca e si sentiva una voce vantarsi dei risultati raggiunti dal gruppo Wagner, che con il leader Yevgeny Prigozhin è stato coinvolto nei combattimenti in Ucraina, incluso quello per la battaglia della città di Bakhmut.
Pornhub ha provveduto a rimuovere la pubblicità
(da tech.everyeye)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO AVER VISTO ALL’OPERA UN “QUESTURINO” INCAPACE. E’ IL MINIMO CHE POTREBBERO FARE
La sovranista diventata conservatore e l’ex adoratore di Putin hanno passato gran parte del loro tempo ad attaccare la ministra dell’Interno per qualsiasi cosa. Peccato che Piantedosi stia facendo assai peggio. E quindi?
Basta riportare il calendario indietro di qualche mese e si vedrà come Salvini e Meloni non perdevano occasione di attaccare la ministra Luciana Lamorgese per ogni stormir di foglie.
Uno sbarco? Colpa di Luciana Lamorgese. Aumentavano le partenze dalla Tunisia per la crisi economica-sociale scoppiata un paio di anni fa? Colpa della Lamorgese. Migranti a Lampedusa? Colpa di Lamorgese.
Senza poi considerare che un minimo problema di ordine pubblico diventava un attacco a testa bassa contro il Viminale, descritto come un covo di incapaci perché al vertice c’era Luciana Lamorgese.
Ora è arrivato il prode Piantedosi che oltre a far danni ogni volta che apre bocca si sta dimostrando incapace.
Dalle linee guida sulle Ong (quella della tristemente nota frase sul ‘carico residuale’) poi rimangiate dopo l’incidente diplomatico con la Francia (e gli attacchi di Germania e Spagna) al decreto anti-rave scritto con i piedi e modificato dopo le polemiche, al record di sbarchi (soprattutto dalla Tunisia) e disorganizzazione dell’accoglienza, al naufragio di Cutro per il quale non è stato ancora spiegato chi sia stato a prendere la decisione di non mandare la Guardia Costiera a soccorrere il caicco in difficoltà, fino a Napoli messa a ferro e fuoco per la presenza, largamente annunciata, degli ultras tedeschi.
Quindi Giorgia Meloni e Matteo Salvini chiedano scusa a Luciana Lamorgese.
Sarebbe molto più dignitosi che nascondersi dietro alla Wagner, all’Europa, a Frontex, al destino cinico e baro e alla fame in Tunisia.
(da Globalist)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
FINCHÉ FACEVA IL LAVORO SPORCO AL FRONTE, RIMANENDO SOTTOTRACCIA, ERA UN’ARMA PREZIOSA PER IL CREMLINO. MA DA MESI, OGNI GIORNO ATTACCA I VERTICI DELL’ARMATA RUSSA… PUTIN SI È STUFATO DELLA SUA SFRONTATEZZA E POTREBBE “SACRIFICARLO” COME CAPRO ESPIATORIO
«È solo un privato cittadino, che non rappresenta lo Stato». Vladimir Putin era in modalità sorniona. Quel giorno del luglio 2018 a Helsinki, dopo il primo incontro con Donald Trump, aveva molte ragioni per essere di buon umore. Così, lo Zar nominò per la prima volta in pubblico tale Evgenij Prigozhin, ex cuoco e ristoratore, accusato di gestire a San Pietroburgo una squadra di troll che aveva lavorato sodo per denigrare Hillary Clinton.
Cinque anni dopo, siamo ancora a quella espressione tipica del Kgb quando voleva negare qualunque coinvolgimento del Cremlino. Prigozhin è tornato a essere un privato cittadino. La sua creatura, la milizia mercenaria del Gruppo Wagner, ha sempre avuto un piede nelle istituzioni e un altro fuori.
Quando muoiono, i mercenari sono figli di nessuno.
Ma l’Operazione militare speciale e l’inattesa resistenza ucraina hanno travolto queste finzioni. Prigozhin e i Wagner si sono ritrovati in una posizione difficile. A livello ufficiale non esistono. Ma, al tempo stesso, i suoi uomini stanno reggendo lo stallo al fronte, con malumori sempre più evidenti.
Prigozhin non è un politico, che sa quando tacere. Lui viene dalla strada. Era appena ventenne quando fu condannato a 13 anni di carcere nella allora Leningrado. Dopo averne scontati nove, nel 1990 mise su assieme al patrigno un chiosco di hot dog col quale fece i primi rubli. Poi entrò nei casinò, e finalmente aprì i primi ristoranti. Putin ci portò il presidente francese Chirac e George Bush. Da quella frequentazione nasce il seguito della storia, con il gruppo Wagner impiegato per azioni «sporche» in Siria, Libia, Repubblica Centrafricana e Ucraina. Un personaggio del genere, più a suo agio in mimetica che in blazer, è difficile da tenere a bada.
Ogni giorno un attacco ai vertici delle Forze armate e al ministro delle Difesa Sergei Shoigu. Incompetenti, burocrati, incapaci. Colpevoli di alto tradimento perché non mandano munizioni a sufficienza.
Lo scorso 24 novembre, in risposta alla richiesta del Parlamento Ue di includere il gruppo Wagner nella lista delle organizzazioni terroristiche, ha mostrato un martello sporco di sangue da «regalare» ai deputati europei. Presumibilmente, l’arma con la quale era stato massacrato un disertore, esecuzione mostrata in un video che ha suscitato orrore in tutto il mondo.
Proprio questi eccessi, e la figura ingombrante del fondatore, sembrano essere all’origine del declino della Wagner. La parabola di Prigozhin sta prendendo una china discendente, e il suo prossimo ruolo potrebbe essere quello del capro espiatorio. Ma lui non sembra voler cambiare spartito.
Proprio questa sovraesposizione mediatica racconta delle sue difficoltà. E del suo probabile destino. Prigozhin andava bene quando c’era ma sembrava che non esistesse. Adesso è un problema. Il Cremlino ci convive, per i suoi meriti acquisiti sul campo. Ma il ghiaccio sul quale cammina l’ex privato cittadino del Gruppo Wagner sembra essere sempre più sottile.
(da Corriere della Sera)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
PERSONALIZZAZIONE TOTALE DELLO SCONTRO TRA LE DUE DONNE PIÙ POTENTI DEL PAESE… LA GRINTA DI ELLY: “SOTTO UNA CERTA SOGLIA NON SI PUO’ PARLARE DI LAVORO: E’ SFRUTTAMENTO” (ARGOMENTO LUNARE PER IL PD DEGLI ULTIMI ANNI)
L’ incarico: raccontare ogni dettaglio di questo primo incontro tra Giorgia ed Elly.
La premier: in tailleur nero (o di un blu talmente scuro da apparire nerastro). La segretaria del Pd: con giacca rosa pallido e camicia fantasia. E, già qui, gente brava tirerebbe giù ottanta righe.
Ma adesso Elly è in piedi e, subito, attacca Giorgia sulla necessità di introdurre il salario minimo. La chiama: «Signora presidente…» (è noto che la Meloni chiede invece di essere definita «il premier», o «il presidente»). Elly: voce meno spezzata del solito (sensazione: con un po’ di rodaggio può migliorare ancora), argomenti lunari per i dem degli ultimi anni («Sotto una certa soglia, non si può chiamare lavoro: ma sfruttamento!»), dito indice puntato verso Giorgia.
Strategia evidente: sono venuta qui per te, parlo con te, guardami mentre parlo con te.
Difficile dire se lo viva come un duello: di certo questa segretaria di 37 anni — determinata, libera, di puro fascino — Giorgia l’ha vista arrivare fin troppo bene; e sa certamente valutarne la travolgente freschezza (poi, tra qualche mese, vedremo se alla tramontana di novità, avrà saputo aggiungere anche solidità politica).
Comunque: il giochino del question time prevede, per la premier, una sola risposta (mentre Elly avrà diritto alla controreplica). Ma tanto Giorgia sa tutto, ha visto tutto
E che, oggi, adesso, ha appena una manciata di minuti a disposizione per la replica. E così: snobba la sua avversaria, definendola «gli interroganti». Poi, prima picchia duro sulle opposizioni («Chi ha governato finora ha reso più poveri gli italiani»), quindi propone l’estensione della contrattazione collettiva.
Con i deputati che l’hanno incalzata poco fa, è stata pacata, con botte di sarcasmo. Ora la voce gli va su. Scandisce le parole. Quanti comizi avrà fatto in vita sua? È una richiesta precisa: dai banchi della maggioranza, puntuale, rotola una standing ovation.
Calma. Sentiamoci Elly (che l’ha ascoltata tamburellando le dita della mano destra). Sensazione confermata: impara in fretta. «Signora presidente, le sue risposte non ci soddisfano!».
La premier ascolta con una vaga aria di sufficienza, il mento appoggiato sulla mano, mezza parola a Matteo Salvini, che le siede accanto, e che annuisce (è sempre emozionante vedere Salvini annuire alla Meloni: un po’ meno vedere il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, bello pacioso, mentre Napoli è in fiamme). Elly prende forza: «Le ricordo che ora sono io all’opposizione, e lei al governo…».
Aspettate. Elly dice — esattamente — così: «O-ra-so-no-io-all-oppo-si-zio-ne». Cioè: siamo io e te.
Personalizzazione totale dello scontro. Uno schema che, in questi minuti, tutti ci accorgiamo che è già quasi un classico.
Ecco: mentre la segretaria del Pd conclude il suo intervento, sugli appunti resta uno scarabocchio, un concetto: mondo nuovo. Perché davvero l’aver visto le due donne più potenti del Paese…
C’è una scena, completamente, rivoluzionata (e il primo ad averlo compreso è Giuseppe Conte, il capo dei 5 Stelle: muto, imbambolato, ingrigito, l’uomo con la pochette cammina dentro il suo precoce tramonto).
Fabrizio Roncone
(da il “Corriere della Sera)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
“RICONOSCERE IL FALLIMENTO DEL JOBS ACT, SPAZZARE VIA CONTRATTI PIRATA, LIMITARE QUELLI A TERMINE”… “SUL SALARIO MINIMO DISPOSTA A CAMBIARE LA PROPOSTA PD, LAVORIAMO A UNA UNITARIA”… IL SOLITO CALENDA SI PRENDE QUACHE FISCHIO: “NON POTREI MAI LAVORARE CON PD E M5S”
“Credo che ci siano battaglie comuni che come opposizione possiamo portare avanti in Parlamento e nel Paese e dobbiamo capire quali sono. Io metterò il mio piccolo contributo”.
Lo ha detto la segretaria del Pd, Elly Schlein, parlando al congresso della Cgil a Rimini, seduta al fianco degli altri leader dell’opposizione per una tavola rotonda con il segretario generale del sindacato Maurizio Landini. “Io sono disposta da subito a ragionare di come cambiare la nostra proposta sul salario minimo e di come trovare una proposta unitaria”, ha aggiunto la leader dem.
Il leader del M5S Giuseppe Conte ha proposto un patto tra le opposizioni partendo proprio da proposte concrete come quella sul salario minimo che è “una battaglia da sempre del M5S”. “Salario minimo, scuola, sanità e aggiungo una patrimoniale sui super ricchi che non è una cosa estremista – ha affermato il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni – Questo dobbiamo proporre da domani in Parlamento e nel Paese, da qui possiamo ricostruire la fiducia”.
“Le nostre tre proposte sul salario minimo divergono”, ha sottolineato però Carlo Calenda, che si è attirato fischi dalla platea quando ha detto: “Potrei governare con le persone che sono qua? No”.
Protetta dal servizio d’ordine della Cgil, la segretaria del Pd ha raggiunto il segretario della Cgil Maurizio Landini e il leader del M5S Conte per un breve colloquio prima dell’inizio della tavola rotonda.
“Oggi la domanda di fondo è vogliamo dare voce al mondo del lavoro e quali riforme fare? Oggi ci sono salari poveri e una precarietà senza precedenti, la politica industriale va rimessa in piedi”, ha domandato Landini aprendo il dibattito.
Il salario minimo
“Ci batteremo per un salario minimo perchè sotto una certa soglia non si può parlare di lavoro perchè è sfruttamento – ha dichiarato Schlein – Ci batteremo perché ci sono più di tre milioni di lavoratori e lavoratrici che sono poveri, anche se lavorano. Questo mi sono sentita di porre ieri all’attenzione del governo e della presidente Meloni. In una situazione di alta inflazione e rischio per le famiglie non possiamo accettare che ci siano salari così bassi e contratti precari. Accanto al salario minimo, ci sono le battaglie che abbiamo citato ieri, per la legge sulla rappresentanza che spazzi via i contratti pirata, e quella per riuscire a limitare i contratti a termine che condannano alla precarietà moltissimi giovani e donne di questi Paese”.
A chi le ha chiesto delle critiche di Carlo Calenda al suo discorso di ieri, risponde: “Abbiamo il piacere oggi di confrontarci” con Calenda, “il salario minimo è uno di quei temi su cui tutte le opposizioni hanno presentato mozioni e proposte di legge. Quindi ne discuteremo a breve”.
L’alleanza
“Penso che dobbiamo proseguire il confronto su tutti i contenuti per essere più efficaci nel nostro ruolo di opposizione”, ha affermato la segretaria del Pd a Conte, Calenda e Fratoianni dal palco di Rimini invitando i leader di M5s, Terzo Polo e Avs a vedersi anche dopo: “chiudiamoci in una stanza, anche fino a notte fonda, per trovare qualcosa da fare insieme”.
Poco prima di salire sul palco, Carlo Calenda aveva escluso una nuova ‘”foto di Vasto” che prefigurasse un’alleanza. “Pd e M5s sono una cosa, noi siamo una cosa diversa, non perchè mi stanno antipatici, ma perchè abbiamo idee diverse sul 90% dell’agenda politica”. Dal palco Calenda ha aggiunto: “Non potrei governare” con Pd, M5S e Sinistra “perché non condivido la linea di politica estera”. La platea di Rimini ha rumoreggiato, qualcuno ha fischiato.
“Altri suicidi come quelli delle elezioni politiche o quelli del Lazio: basta”, ha chiosato il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni.
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
CON IL PAESE ALLO SBANDO E LE COSTE SENZA CONTROLLI POTREMMO RITROVARCI CON UN AUMENTO DEI FLUSSI MIGRATORI … E L’ITALIA STA A GUARDARE
Quei 2 miliardi scarsi da prestare alla Tunisia stanno diventando un’ossessione, per Giorgia Meloni. Perché sa che è da lì che, se si potrà, si dovrà fermare l’esodo africano verso le coste siciliane.
La premier si accinge al prossimo Consiglio europeo, quello del 24 marzo, con l’inquietudine di chi sa che non ci sarà alcuna svolta, anzi. Ora gli sherpa che preparano il dossier hanno fatto sapere che, alla voce “risultati possibili” c’è, grosso modo, questo: nulla.
Gli sbarchi non si fermano, anzi proseguono a ritmi mai visti da quasi un decennio in qua. E, a fronte di questo allarme, perfino quell’altro supposto “significativo passo avanti ottenuto grazie alla posizione del governo italiano”, e cioè il riconoscimento della rotta del Mediterraneo centrale come una priorità europea, si rivela per quello che è. Poca roba.
Il punto è che la crisi tunisina spaventa davvero, il governo italiano. Diecimila arrivi a febbraio significa, nelle proiezioni elaborate dal Viminale, sessantamila sbarchi ad agosto.
Un flusso ingestibile per chiunque. E che potrebbe perfino assumere dimensioni peggiori se davvero, come si teme alla Farnesina, la crisi di Tunisi degenerasse sotto il peso dell’inflazione alimentare.
La guerra in Ucraina, per un paese che importava più dell’80 per cento del grano da Kyiv e Mosca, era un dramma annunciato. Ora inizia a prendere sostanza.
Per questo Meloni ritiene fondamentale accelerare il prestito di 1,9 miliardi di dollari negoziati dal governo Saied col Fmi a ottobre. L’accordo sembrava fatto, sennonché a Washington hanno poi frenato. Troppo scarse le garanzie politiche offerte da Tunisi per un programma di riforme molto stringente, da attuare in 48 mesi, che prevede la ridefinizione del quadro fiscale e sanitario, oltreché privatizzazione di enti parastatali, tagli a sussidi alle famiglie, norme contro la corruzione. In una parola: austerity.
“Ma se aspettiamo ancora per convincere il governo a varare le riforme, tra un po’ non ci sarà più alcun governo, a Tunisi”: questa è la tesi dei consiglieri di Meloni. E questo, grosso modo, è il senso della moral suasion che la premier sta svolgendo senza sosta (“Passo le giornate al telefono”).
Perfino nella sua trasferta ad Abu Dhabi ne ha parlato con lo sceicco Mohamed bin Zayed. E non a caso. Perché proprio l’intervento degli emirati, insieme a quello dei qatarini e dei sauditi, ha consentito all’Egitto di poter offrire al Fmi garanzie necessarie per vedersi concedere un prestito di 3 miliardi, a fine 2022. Operazione al momento improbabile, in Tunisia.
E Meloni non ha soluzioni alternative in caso di emergenza. Il suo “Piano Mattei” è un progetto di prospettive velleitarie. Tunisi di soldi ne chiede pochi, maledetti e subito. Ma spazio politico per negoziare, a Bruxelles, non sembra esserci. Senza un intervento della Casa Bianca difficilmente il Fmi si convincerà ad accelerare l’erogazione dei fondi.
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
LO STRAPPO DELL’ESECUTIVO MENTRE NEL PAESE SI MOLTIPLICANO LE PROTESTE
Il governo francese decide di giocarsi il tutto per tutto sulla riforma delle pensioni. L’esecutivo guidato da Elisabeth Borne ha scelto di ricorrere all’articolo 49 comma 3 della Costituzione, che consente all’esecutivo di far approvare il testo senza il voto del Parlamento ma lo ha esposto poi a una mozione di sfiducia che può provocare la caduta del governo.
La riforma, approvata questa mattina dal Senato, doveva essere votata nel pomeriggio dall’Assemblea Nazionale. Ma con questa decisione, presa per la mancanza di una maggioranza certa fra i deputati, il voto non avrà luogo e il testo diventa legge.
Duro il commento del leader del partito socialista francese, Oliver Faure. “Quando un presidente non ha una maggioranza nel Paese, non ha una maggioranza all’Assemblea Nazionale, deve ritirare il suo progetto. L’Eliseo non è un parco per accogliere i capricci del presidente”, ha scritto su Twitter.
La protesta e la Marsigliese
All’ingresso della premier Elisabeth Borne in Assemblée Nationale, i deputati dell’opposizione si sono alzati in piedi cantando per intero la Marsigliese e inalberando cartelli bianchi con la scritta “No ai 64 anni”. La seduta è stata sospesa per due minuti per consentire di riportare l’ordine in aula. La premier ha poi annunciato il ricorso alla fiducia del governo sulla riforma delle pensioni ma è stata costretta a interrompersi più volte per le grida “dimissioni, dimissioni, dimissioni”, i fischi e il canto ininterrotto dell’inno francese.
La sfiducia
“Assumo la responsabilità del mio governo”: così la premier si è rivolta ai deputati annunciando il ricorso all’articolo 49 comma 3 della Costituzione per far approvare la riforma delle pensioni senza il voto. La presidente dei deputati del Rassemblement National, Marine Le Pen, ha annunciato “Depositeremo una mozione di sfiducia”.
(da La Repubblica)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
“LA RIMODULAZIONE DELLE ALIQUOTE IRPEF RISCHIA SOLO DI CREARE ULTERIORI DISEGUAGLIANZE”
La riforma fiscale del governo Meloni è stata duramente criticata dai sindacati. L’incontro di ieri non è servito a risolvere i dubbi, anzi. Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, spiega in un’intervista a Fanpage.it perché il sindacato non considera accettabile la proposta dell’esecutivo. E soprattutto su quali punti Meloni e i suoi ministri continuano a non dare risposte ai lavoratori.
Segretario, cosa c’è che non va nella riforma del fisco del governo Meloni?
Non va perché è una proposta che non dà risposte alle emergenze del Paese. Per noi l’emergenza riguarda i salari dei lavoratori dipendenti che hanno perso potere d’acquisto. Non c’è nulla per loro. La proposta, che poi è quella del governo Draghi, è la rimodulazione delle aliquote Irpef, il che rischia solo di creare ulteriori disuguaglianze nel Paese.
Tradotto: non si parla di taglio del cuneo fiscale?
Non c’è assolutamente nulla. Tra l’altro abbiamo chiesto che i 20 miliardi di euro recuperati dall’Agenzia delle Entrate vengano utilizzati immediatamente per abbassare il cuneo fiscale. Nessuna risposta.
Si parla però di nuovo di flat tax…
La Costituzione viene violata. Se un lavoratore autonomo paga il 15% su 50mila euro di reddito mentre un dipendente paga più del 30% di tasse, dov’è la progressività?
La convocazione è stata abbastanza improvvisata, tanto che lei non c’era. Sul metodo?
Il metodo è assolutamente insufficiente. Il governo tenta solo di dire che ci ha sentiti, ma non è serio e non c’è volontà di prendere in considerazione le nostre proposte. Siamo stati convocati il giorno prima senza avere un testo scritto. Non so se il governo pensa che questo sia un confronto.
Però il governo ha detto che ci sarà tempo e spazio durante la scrittura dei decreti delegati…
Il fatto che ci convochino nelle commissioni per ascoltare i nostri pareri è previsto dai regolamenti parlamentari, non è una concessione del governo.
Quindi c’è aria di mobilitazione?
Abbiamo già cominciato da due mesi come Uil. Stiamo facendo il giro di tutti i luoghi di lavoro. Ieri ero a un’assemblea con lavoratrici e lavoratori di Poste Italiane. Abbiamo deciso già due mesi fa che le risposte del governo erano insufficienti e stiamo informando e ascoltando in giro per l’Italia. È una scelta che si sta dimostrando giusta, perché ci dicono di non avere risposta. Non c’è nulla sulla sicurezza sul lavoro, le persone continuano a morire, niente sull’alternanza scuola-lavoro e nemmeno sulla previdenza.
Si arriverà a uno sciopero generale?
Lo sciopero generale si fa, non si minaccia. È opportuno continuare questa mobilitazione sul territorio per condividere le preoccupazioni di lavoratrici e lavoratori. Poi se loro ci diranno che è necessario andare avanti noi saremo pronti.
Sulle pensioni c’è un tavolo aperto con il governo, si parla molto di Opzione Donna. Ci sono novità?
Ho forti dubbi che si possa chiamare tavolo, perché è stato aperto e lì è rimasto. Dopo il primo confronto non ce ne sono stati altri. Su Opzione Donna siamo a fine marzo e non solo non sono arrivate risposte sulla richiesta di reinserimento con le vecchie regole, ma non hanno neanche completato i decreti. Ci sono 20mila lavoratrici coinvolte che aspettano risposte. Poi avevamo chiesto pensioni di garanzia per i giovani, ma tutta la politica sembra essersene dimenticata.
Su un punto però il governo sta andando avanti rispettando le promesse: l’abolizione del reddito di cittadinanza. Cosa pensa della nuova Mia?
Se ne parla molto sui giornali, ma con noi il governo su questo non si è minimamente confrontato. L’esecutivo continua però con un errore di fondo, cioè collegare una misura di emergenza per chi non può lavorare alle politiche attive. Se nel Mezzogiorno non ci sono possibilità di occupazione, a quei ragazzi cosa diamo? L’opportunità di arruolarsi nella mafia? Allo stesso tempo non c’è nessun intervento sul lavoro, né sulle politiche industriali. Non sappiamo quali siano gli investimenti né come si possano creare nuovi posti di lavoro.
(da Fanpage)
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