Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
LA REALTA’ DEI FATTI SMENTISCE LA MELONI: NON FURONO UCCISI “PERCHE’ ITALIANI”, MA SCELTI IN BASE A UNA SELEZIONE TRA OPPOSITORI POLITICI ED EBREI COMPILATA DALLE AUTORITA’ FASCISTE… BASTAVA AMMETTERLO INVECE CHE RIMEDIARE UNA FIGURA DI MERDA
«Il 24 marzo è una data indelebile nella storia italiana. Una data che ricorda il martirio di uomini la cui vita fu disprezzata e utilizzata per una rappresaglia vigliacca e brutale. Per questo è significativo essere qui insieme al presidente della Repubblica Mattarella, alle istituzioni, ai familiari delle vittime a nominare uno ad uno quei martiri», dice Ruth Dureghello a margine della cerimonia di commemorazione delle vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, celebrata come ogni anno con la semplice lettura dei nomi delle vittime e la deposizione di una corona di fiori da parte del presidente Sergio Mattarella.
Settantanove anni fa, infatti, 335 tra prigionieri politici, ebrei, militari e detenuti comuni, furono assassinati dai nazisti come rappresaglia all’azione partigiana del giorno precedente in via Rasella.
A ricordare quel giorno anche il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con un messaggio in cui ha detto che è da onorare e ricordare «una strage che ha segnato una delle ferite più profonde e dolorose inferte alla nostra comunità nazionale: 335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani. Spetta a tutti noi ricordare quei martiri e raccontare in particolare alle giovani generazioni cosa è successo in quel terribile 24 marzo 1944. La memoria non sia mai un puro esercizio di stile ma un dovere civico da esercitare ogni giorno».
Le dichiarazioni però sono state contestate dall’Anpi, come da diversi esponenti dell’opposizione, da Azione a Verdi-sinistra, passando per il Pd. Scrive l’Anpi: «La presidente del Consiglio ha affermato che i 335 martiri delle Fosse Ardeatine sono stati uccisi ‘solo perché italiani’. È opportuno precisare che, certo, erano italiani, ma furono scelti in base a una selezione che colpiva gli antifascisti, i resistenti, gli oppositori politici, gli ebrei. È doveroso aggiungere che la lista di una parte di coloro che, come ha affermato Giorgia Meloni, sono stati ‘barbaramente trucidati dalle truppe di occupazione naziste’, è stata compilata con la complicità del questore Pietro Caruso, del ministro dell’interno della repubblica di Salò Guido Buffarini Guidi, del criminale di guerra Pietro Koch, tutti fascisti».
Chiara Braga, deputata del Partito democratico, ha affidato al proprio profilo Twitter una sottolineatura ritenuta doverosa: le 335 persone non furono uccise in quanto italiane “ma perché partigiani, politici, ebrei, dissidenti, insieme a tante donne e uomini liberi”. “335 martiri in una cava poco lontano dalle case. La notte più buia della violenza nazifascista”, ha aggiunto.
Anche Nicola Fratoianni ha voluto ribattere alla presa di posizione del capo del governo. “No presidente Meloni. 335 persone non furono trucidate dai nazifascisti alle Fosse Ardeatine solo perché erano italiani. Perché erano italiani ed antifascisti, ebrei, partigiani. Un giorno o l’altro riuscirà a scrivere quella parola? Antifascista”, ha scritto sui suoi canali social il segretario nazionale di Sinistra italiana.
La premier da Bruxelles ha replicato: «Li ho definiti italiani, che vuol dire che gli antifascisti non sono italiani? Sono stata onnicomprensiva…».
Ma tra le vittime non c’erano “italiani fascisti” tali da rendere la frase “omnicomprensiva”. Ma ci vuole tanto ad ammettere una verità storica?
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
IL SOMMERGIBILE DELLA MARINA CHE HA SEGUITO (NON AVEVA DI MEGLIO DI FARE?) PER 17 ORE LA NAVE DELLA ONG NON HA RISCONTRATO ALCUNA “ANOMALIA” NEL COMPORTAMENTO DELL’EQUIPAGGIO… SEMMAI NON HA PRESTATO SOCCORSO ( E LA ONG SPORGE DENUNCIA)
Il ministro Matteo Salvini è nell’aula bunker del carcere
Ucciardone di Palermo, accompagnato dalla sua legale, l’avvocata Giulia Bongiorno, per partecipare alla nuova udienza del processo Open Arms, che lo vede imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti di ufficio.
La Procura di Palermo ha rinunciato a sentire in aula il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto dell’allora ministro Salvini, ma anche il prefetto Paolo Formicola e l’ambasciatore Maurizio Massari.
Non sono mancati momenti di tensione tra accusa e difesa. Dopo diverse opposizioni dell’avvocata Giulia Bongiorno alle domande poste dal pm Geri Ferrara al capitano di fregata Andrea Pellegrino, che sta deponendo in aula, il magistrato ha chiesto al Presidente della Corte Roberto Murgia di intervenire. E Giulia Bongiorno ha replicato: «Il pm è polemico». Immediata la risposta di Ferrara: «Polemico lo va a dire a qualcun altro ma lei non mi fa fare le domande perché mi interrompe in continuazione». A quel punto il Presidente Roberto Murgia ha sospeso per dieci minuti l’udienza.
«Il sottomarino ha semplicemente captato la comunicazione in lingua spagnola e l’abbiamo inviata alla nostra centrale operativa senza alcuna analisi. Gli interlocutori dovevano essere nella linea d’orizzonte per essere captati», ha dichiarato Stefano Oliva capitano di corvetta della Marina militare. «Open Arms si è avvicinata e ha messo la scaletta e fatto salire tutti a bordo – ha spiegato – dal barcone al gommone e poi dai gommoni alla Open Arms. E prima di fare questo salvataggio hanno consegnato i giubbotti salvagente. Uno dei due gommoni è stato recuperato, è stata messa una scritta “OA108”, e lasciato alla deriva. Anche il secondo gommone è stato recuperato e l’unità ha ripreso a navigare con direttrice est. Poi abbiamo continuato il nostro percorso. C’era anche un pattugliatore libico che poi abbiamo perso di vista».
A causa del mancato intervento del sommergibile è stato presentato ora un esposto alla Procura di Roma e alla Procura militare per omissione di atti d’ufficio (ne ha dato notizia il legale di Open Arm, Arturo Salerni) nei confronti dell’intero equipaggio del «Venuti»: 35 militari.
Nella zona era stata avvistata anche una motovedetta libica che si avvicinò alla barca dei migranti senza intervenire.
Su domanda del pm Gery Ferrara, il capitano Oliva ha detto che la sua relazione è stata inoltrata alla centrale operativa dei sommergibili e agli «altri organi competenti» tra cui la magistratura. Ma non sa quali soggetti della linea gerarchica siano stati informati. La pubblica accusa e le parti civili cercavano di capire se nella linea gerarchica ci fosse anche il ministro Salvini.
«Da questo processo mi aspetto una sola cosa: giustizia», ha dichiarato il fondatore della ong spagnola Open Arms, Oscar Camps, appena arrivato in aula bunker dell’Ucciardone. «Ascolto discorsi molto tecnici, del tutto fuori luogo. Stiamo parlando di persone, di esseri umani. Si è parlato tanto di quando una barca è in distress o di quando non lo è, quando in realtà stiamo parlando di situazioni drammatiche a bordo, molto dure. Donne violentate reiteratamente, ragazzine violentate reiteratamente, ragazzini che viaggiano soli, adulti torturati, violentati, detenuti per anni senza che avessero commesso alcun reato – dice –. E si omette di parlare di tutto questo e si preferisce discutere se queste barche avessero o meno bisogno di essere soccorse. Stiamo parlando di barche di 7 metri, con donne incinta, bimbi di pochi mesi, da giorni alla deriva, senza acqua né cibo, costretti a espletare i bisogni nella barca, disidratati, denutriti, che hanno bisogno di assistenza immediata, non solo di essere soccorsi, ma di essere curati immediatamente. E tutto questo non lo consideriamo, lo neghiamo, perché la verità è che ci sono vite che contano di più e vite che contano di meno e che possono essere abbandonate in mare».
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
CALANO LEGA E FORZA ITALIA, FLETTE IL M5S
Non si arresta la corsa del Pd nella conquista delle preferenze degli elettori.
Stando al sondaggio Agi-Supermedia/Youtrend effettuato nella settimana del 23 marzo, il partito guidato da Elly Schlein continua a guadagnare punti, conquistando lo +0,9 per cento e attestandosi al 19,7%.
Una tendenza che ricalca quanto rivelato anche dal Barometro politico di Demopolis, secondo cui i dem con la nuova segretaria hanno recuperato 1 milione e 800 voti.
Ma Supermedia-Youtrend rivela anche la coalizione di centrodestra, complice probabilmente la battaglia sulle nomine e la diffidenza del partito di Salvini rispetto all’invio di nuovi armamenti all’Ucraina, perde lo 0,9 per cento, ma con il 45,9 resta quasi 20 punti sopra al centrosinistra (25,1%) che comunque guadagna rispetto all’ultima rilevazione l’1,2 per cento.
Tornando ai singoli partiti, per il Carroccio e FI non ci sono buone notizie.
La Lega perde lo 0,7 per cento (e si ferma all’8,5), mentre il partito di Berlusconi scende al 6,6 per cento (-0,4).
Meloni invece può tirare un piccolo sospiro di sollievo, perchè FdI resta al primo posto tra le preferenze degli elettori e guadagna lo 0,7, ma non arriva alla soglia del 30 per cento e si blocca al 29,7.
In terza posizione resta il Movimento 5 Stelle che perde però lo 0.2% (15,7) e dopo la Lega il Terzo Polo cala al 7,3 perdendo 0,3 punti percentuali.
Guadagna lo 0,4 per cento Verdi/Sinistra (3,2) e cala dello 0,3 + Europa di Riccardo Magi (2,1 per cento). Noi moderati si ferma all’1 per cento (-0,2), mentre Italexit di Paragone resta stabile al 2,1 seguita da Unione Popolare all’1,8 per cento (+0,4).
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
BUDAPEST SI È ISOLATA IN EUROPA, E ANCHE GLI EX AMICI DI VISEGRAD L’HANNO ABBANDONATA. RISULTATO? IL “VIKTATOR” SI È LEGATO MANI E PIEDI A RUSSIA E CINA, CHE LO USANO COME CAVALLONE DI TROIA IN UE
Il piano inclinato su cui cammina il premier ungherese Viktor
Orban da quando è al potere è costellato di muri, strappi e alleanze pericolose. Ma ieri l’abilità del leader magiaro di tenersi in equilibrio tra proclami di rottura e prudenti marce indietro pare essere inciampata su un «no» di troppo. Un «no» che ha definitivamente reso chiaro – se ce ne fosse ancora bisogno – da che parte sta il padre-padrone dell’Ungheria.
In pieno Consiglio europeo Orban ha twittato: «La posizione ungherese è chiara e semplice: no all’immigrazione, no al gender, no alla guerra!», scritto come didascalia a una foto in cui è con la presidente della Commissione europea Von der Leyen, il segretario generale dell’Onu, Guterres e il nuovo presidente cipriota Christodoulides. Di spalle si intravede anche la premier Giorgia Meloni.
I migranti e la comunità Lgbtq sono da oltre dieci anni il nemico per antonomasia del teorico della democrazia illiberale e dei muri ai confini. Vengono usati come spauracchio per vincere le elezioni in patria e, allo stesso tempo, per scavarsi un ruolo nell’Unione europea a suon di veti.
Così nel 2021 Orban ha voluto una legge per vietare la rappresentazione dell’omosessualità all’interno dei film, delle pubblicità e delle scuole al fine di “proteggere” gli individui al di sotto dei 18 anni. A scuola, ad esempio, non si possono leggere libri che hanno protagonisti omosessuali o transgender, portatori di un’ideologia neomarxista, dice il premier, che distruggerà l’Ungheria e che usa i bambini come «pride-attivisti».
Ma con la guerra in Ucraina, e l’Ungheria isolata anche dagli storici alleati di Visegrad, a Orban non sono rimasti che gli amici cinesi e russi. La battaglia contro sanzioni troppo dure alla Russia, il «no» al boicottaggio olimpico, e infine l’ultimo «no»: «Non arresteremo Vladimir Putin se entrasse nel nostro Paese» ha fatto dire il premier a Gergely Gulyás, capo di gabinetto, nel giorno in cui a Bruxelles il Consiglio Europeo è tornato ad occuparsi del sostegno a Kiev.
Sebbene l’Ungheria abbia aderito alla Corte Penale Internazionale (Cpi), il trattato «non è stato ancora promulgato» poiché «contrario alla Costituzione». Ancora una volta Viktor Orban cerca di affermare con un «no» la posizione dell’Ungheria sulla scena internazionale. Perché Orban non è pro-Russia, è semplicemente pro-Orban.
(da La Stampa)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
ILARIA CUCCHI SI APPELLA AL CAPO DELLO STATO
Ilaria Cucchi, senatrice di Alleanza Verdi e Sinistra, si è appellata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Come mai? Per fermare la proposta di legge presentata da Fratelli d’Italia in commissione Giustizia, alla Camera, che punta ad abolire il reato di tortura.
La fattispecie è entrata nell’ordinamento italiano nel 2017, dopo un turbolento iter parlamentare, a circa 30 anni dalla ratifica della «Convenzione Onu contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti».
Da allora, stando all’articolo 613-bis del codice penale, chiunque «con violenze o minacce gravi ovvero agendo con crudeltà cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona privata della libertà personale» è punito con la reclusione da 4 a 10 anni. Se i fatti sono commessi da un pubblico ufficiale, «con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla sua funzione», la pena è inasprita, venendo compresa tra i 5 e i 12 anni.
Già nel 2018 Giorgia Meloni aveva chiesto, con un tweet, di «abolire il reato di tortura che impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro». Adesso che è al governo, il suo partito, Fratelli d’Italia, ci riprova.
Le opposizioni sono insorte. La prima a intervenire è stata Cucchi che, nel 2009, ha perso suo fratello a causa delle torture subite mentre era sottoposto a custodia cautelare. La senatrice, a Open, sottolinea: «È notizia di queste ore quella dei 23 agenti del carcere di Biella sospesi dal servizio perché indagati per reato di tortura di Stato. È sempre notizia di queste ore quella che qualcuno della maggioranza ha deciso che il reato di tortura non serve. Noi siamo molto arrabbiati, ma anche molto determinati: non ci fermeremo, il reato di tortura non si tocca».
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
PER INCASSARE LA TERZA RATA DA 19 MILIARDI DEL RECOVERY. PER FINE MESE IL GOVERNO DEVE RAGGIUNGERE 13 OBIETTIVI IMPOSTI DA BRUXELLES. E AL MOMENTO NE SONO STATI CENTRATI SOLO 5
Mentre va in scena il Consiglio europeo, sullo sfondo si
giocano partite meno appariscenti ma decisive per l’Italia. Il Pnrr è quella più urgente, i balneari quella più intricata. Il ministro per gli Affari Ue Raffaele Fitto, che ha accompagnato a Bruxelles Giorgia Meloni, ha incontrato ieri nella capitale belga il commissario all’Economia Paolo Gentiloni.
Sul tavolo c’è la terza rata del Piano, un assegno da 19 miliardi. L’Italia è indietro sugli obiettivi, bisogna raggiungerne 13 entro la prossima settimana, e secondo una stima del Sole 24 ore, finora ne sono stati centrati soltanto cinque.
Nel colloquio, Fitto ha ribadito la richiesta italiana di flessibilità nell’utilizzo dei fondi, con la motivazione delle condizioni diverse: l’inflazione, il costo delle materie prime e dell’energia.
Gli uffici tecnici dell’esecutivo di Bruxelles stanno poi portando avanti le verifiche sugli obiettivi di dicembre 2022, un controllo che continuerà fino al 31 marzo (un mese in più rispetto ai tempi stabiliti).
«Il colloquio – dice una nota di Palazzo Chigi – si è poi incentrato sulle prospettive di integrazione al Pnrr italiano alla luce delle possibilità offerte dal RePowerEu». Da fonti governative si spiega che si è trattato di un incontro interlocutorio.
L’altra partita che si gioca a Bruxelles è quella dei balneari. La Commissione non vuole più rinvii: le gare per le concessioni dei lidi vanno fatte. Il governo deve ancora trovare qualcuno che assuma le deleghe, vista la rinuncia della titolare del Turismo Daniela Santanchè (per ragioni di conflitto di interesse) e quella di Fitto, occupato con il Pnrr e inviso alle categorie.
La competenza dovrebbe finire al ministro del Mare Nello Musumeci o al sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Poi verrà aperto un tavolo con enti locali e associazioni per stabilire i criteri della mappatura delle spiagge, operazione che già si prevede molto complicata. Nel mezzo pende la sentenza della Corte di giustizia europea, attesa per il 20 aprile, che potrebbe accelerare la necessità di far svolgere le gare.
(da La Stampa)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
LA CORTE D’APPELLO DI MILANO AVEVA APPENA DATO IL VIA LIBERA ALL’ESTRADIZIONE NEGLI USA, DOVE È ACCUSATO DI CONTRABBANDO DI TECNOLOGIE MILITARI E PETROLIO… L’IPOTESI PIÙ SCONTATA È CHE GLI SIA STATO FORNITO AIUTO DA QUALCHE “MISSIONE DIPLOMATICA RUSSA”, COME EVOCATO DAL CREMLINO A OTTOBRE
E adesso che il 40enne uomo d’affari russo Aleksandrovich Artem Uss è fuggito dagli arresti domiciliari, rompendo il braccialetto elettronico ed evaporando nel nulla all’indomani del primo via libera dato dalla V Corte d’Appello milanese alla sua estradizione negli Stati Uniti per due dei quattro capi d’accusa contestatigli al momento dell’arresto il 17 ottobre 2022 a Malpensa, viene fin troppo facile elucubrare ironicamente su quanto davvero «del loro meglio» siano magari riuscite a fare quelle «missioni diplomatiche russe» evocate il 21 ottobre dal portavoce di Putin, Dmitri Peskov, per assicurare appunto che avrebbero «fatto del loro meglio per proteggere gli interessi di Uss».
Cioè del facoltoso imprenditore delle miniere di carbone che gli Stati Uniti accusano non solo di aver contrabbandato in violazione dell’embargo milioni di barili di petrolio dal Venezuela a beneficio di utenti finali russi e cinesi paganti in criptovalute; ma anche di essersi procurato illecitamente presso industrie di New York, e inviato a società russe, proprio quei microprocessori e semiconduttori americani utilizzati poi paradossalmente per rendere «intelligenti» alcuni sistemi missilistici e radar trovati su piattaforme di armamenti russi sequestrate in Ucraina.
Ma in una storia che ha tutti i connotati del giallo spionistico — a cominciare dal fatto che Uss si opponesse all’estradizione chiesta dagli Stati Uniti, e invece prestasse consenso alla parallela estradizione pure chiesta all’Italia dalla Russia, apparentemente intenzionata a processarlo (o a metterlo in salvo?) per un indefinito riciclaggio perseguito dalla Corte moscovita di Meshehanskij – sembrano solo suggestioni destinate a restare tali.
Perché l’unica traccia concreta sono le telecamere che inquadrano l’auto venuta a portarlo via: un’auto non rubata, una targa non clonata, eppure intestata a un teorico proprietario (non di Milano) la cui identificazione nulla propizierà.
Più istruttivo, a posteriori, il fatto che fosse rientrata da giorni in Russia la moglie Maria Ivanovna Yagodina: ossia colei che i giudici Fagnoni-Curami-Caramellino, concedendo a Uss il 25 novembre scorso i domiciliari dopo 40 giorni di carcere, indicava «moglie resasi disponibile ad assicurare tutte le esigenze di vita» pratiche del marito.
L’allarme del braccialetto spezzato è suonato alle 14.07 di mercoledì, e i carabinieri sono arrivati a casa in una decina di minuti, trovando chiusa la porta blindata d’ingresso e alto il volume della tv.
L’ultima beffa di una evasione che ora tocca al pm di turno Giovanni Tarzia indagare, coi paradossi a volte buffi delle norme italiane: come il fatto che l’evasione, essendo punita fino a 3 anni, non consenta intercettazioni, possibili solo per reati con pena da almeno 5 anni.
(da il Corriere della Sera)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
LA MAGGIOR PARTE DI CHI RICEVE IL SUSSIDIO STA NEL SUD ITALIA (IL 33,7%) – IL 60% DEI BENEFICIARI È DONNA… LE CRITICITÀ SULLA LAVORAZIONE DELLE DOMANDE: SOLO PER UNA QUOTA MINIMA DI RISPONDENTI, TRA IL 3 E L’8 %, VIENE ATTIVATO UN PERCORSO DI LAVORO
Sono prevalentemente donne (60%), sui 49 anni, le principali
beneficiarie delle misure di sostegno al reddito, quegli interventi – come il Reddito d’inclusione prima e il Reddito di cittadinanza poi – introdotti con l’obiettivo principale di contrastare la povertà nel nostro Paese.
È questo l’identikit tracciato dall’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) . Chi ha ricevuto questo tipo di sostegno è equamente distribuito nel nostro territorio, con una maggiore presenza nel sud (33,7%), mentre è bassissima la quota di chi proviene da paesi extraeuropei. Si tratta di soggetti caratterizzati da un livello di istruzione tendenzialmente basso e poco qualificati dal punto di vista della qualifica professionale (il 78% di coloro che dichiarano di essere occupati ha un basso profilo professionale).
Queste misure, dice Inapp, hanno intercettato non solo persone che si trovano in condizioni di mero svantaggio economico e materiale
Il nodo dell’occupazione
L’offerta di lavoro e di attività formative per i beneficiari del Reddito di cittadinanza è il punto dolente messo in evidenza dalla gran parte dei rispondenti, sia sul versante sociale che su quello dei servizi per l’impiego. Infatti, quasi il 60% degli ambiti territoriali sociali e dei centri per l’impiego individua come problematica tale dimensione attuativa della misura. Solo una quota minima di rispondenti, tra il 3 e l’8 % a seconda della tipologia di servizio, ritiene che la misura abbia prodotto risultati in termini di attivazione lavorativa e formativa.
Le criticità
Permangono alcune criticità, in particolare in merito ai tempi di lavorazione delle domande: in media trascorrono circa 4 mesi e mezzo tra l’autorizzazione ad ottenere il Reddito di cittadinanza rilasciata dall’Inps e la presa in carico del beneficiario da parte dei centri per l’impiego e dei servizi sociali comunali.
Solo la metà dei centri (51,6%) risulta in condizione di convocare entro i 30 giorni prescritti dalla norma i beneficiari della misura. I tempi di presa in carico da parte dei centri per l’impiego naturalmente risentono del volume di utenza che caratterizza i diversi territori sicché risultano più ridotti al Nord, dove l’attesa mediamente è di 3 mesi e mezzo, mentre al Sud si approssimano intorno ai 5 mesi e mezzo. Meno problematiche le fasi successive, ossia la stipula del patto, la definizione di un’agenda di appuntamenti e la verifica degli impegni e delle condizionalità posti a carico dei beneficiari.
(da La Stampa)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
ALLA CAMERA È GIÀ PARTITA LA RACCOLTA FIRME, 31 DEPUTATI SU 44 HANNO FIRMATO UN DOCUMENTO CONTRO CATTANEO… LA FIGLIA E LA MOGLIE DI SILVIO SI SONO PRESE IL PARTITO, E LO STANNO SPOSTANDO VERSO IL MELONISMO SENZA LIMITI
Forza Italia è diventata una polveriera. Una sorta di sotterraneo fiume in piena in cui si rompono rapporti, se ne creano di nuovi, si siglano e sfasciano alleanze, cadono big, ritornano in auge esclusi, e — alla fin fine — ognuno pensa per sé.
Il risultato non è tanto una linea politica oscillante ma la guerra per chi dovrà trovarsi in pole position a gestire prima o poi l’eredità del leader di FI è feroce. Ecco dunque che dopo settimane di spifferi, è Dagospia, sito bene informato sui veleni di Palazzo, a «ufficializzare» che le liti non possono più essere composte.
La compagna di Berlusconi, Marta Fascina, dopo anni di sodalizio con la potente Licia Ronzulli, su spinta di Marina Berlusconi che sembra aver ripreso a nome della famiglia le redini del partito ridando spazio anche all’opera mediatrice nella coalizione di Gianni Letta (è lui che sta gestendo la delicata partita delle nomine), ha già fatto capire che molte cose cambieranno.
E che riprenderà vigore l’ala più governativa del partito, quella di Antonio Tajani, capodelegazione azzurro in Consiglio dei ministri e molto vicino alla premier Meloni, che per l’impero Mediaset è troppo importante per entrare in collisione per mere ragioni di «visibilità personale», come ha scritto qualche giorno fa in una nota la stessa Fascina.
Sembra quindi a un passo il terremoto: i due capigruppo di Senato e Camera, la stessa Ronzulli e Alessandro Cattaneo, potrebbero essere ad horas defenestrati l’uno dal braccio destro del ministro degli Esteri a Montecitorio Paolo Barelli (oppure da Deborah Bergamini, che pure gode della fiducia generale ad Arcore), l’altra da uno dei favoriti di Fascina, Adriano Paroli, oggi vice capogruppo.
Un vero ribaltone: assicurano da FI che sono addirittura 31 i deputati su 44 ad aver firmato un documento contro Cattaneo, reo — secondo i racconti — di tenere troppo d’occhio gli onorevoli facendoli fotografare o comunque controllare se intrattengono rapporti troppo stretti con l’area dei fedelissimi di Tajani.
Più difficile capire la posizione di Ronzulli. Tutti confermano che in effetti il rapporto con chi oggi comanda ad Arcore è ai minimi termini, ma quello con Berlusconi — dicono — è storico e resiste. Come accantonarla definitivamente?
Ma perché tanta tensione? Al di là dei difficili rapporti personali al femminile non nuovi nel complicato universo berlusconiano, raccontano che motivi di forte agitazione sarebbero la formazione delle giunte del Lazio e della Lombardia e le ultime nomine parlamentari, come le presidenze delle commissioni bicamerali, tre delle quali spettano a FI.
«O si incassa qualcosa adesso — dicono nel partito — o si rischia che al prossimo giro il partito non c’è proprio più…».
Da capire adesso come avverranno i singoli passaggi. Non c’è dubbio che l’uscita pubblica di Marta Fascina — che è rarissimo si esponga — sulla necessità di avere gruppi coesi e mai più voci dissenzienti in libertà abbia nei giorni scorsi segnato un prima e un dopo. E pare quindi che l’allinearsi della stessa Ronzulli a posizioni molto filomeloniane delle ultime ore non basti per riequilibrare lo spostamento dei poteri in atto.
Una ipotesi è che a «pagare» sia il solo Cattaneo, ma tutto appunto è adesso nelle mani di Berlusconi. Che, giurano, non è particolarmente appassionato al tema (se non per alcune nomine nelle partecipate alle quali tiene, come quella di Scaroni) e lascia molto fare al nuovo duo potentissimo del partito, la figlia Marina che rappresenta la famiglia e la stessa Fascina che comunque gli sta accanto e si adegua, delle quali si fida ciecamente.
(da Il Corriere della Sera)
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