Marzo 25th, 2023 Riccardo Fucile
IL TENTATIVO DI NON FAR ANDARE IN ONDA IL SERVIZIO DELLE IENE, SCATTA LA DENUNCIA
Ha finto di essere avvocato e falsificato una sentenza del tribunale del lavoro di Firenze. Tutto per convincere la sua cliente, una badante, che la sua pratica stava andando avanti e che aveva vinto la causa.
Protagonista, secondo Il Tirreno, Diletta Chiara Verdini, figlia dell’ex senatore Denis. La vicenda è stata raccontata in un servizio delle Iene di Italia 1, in cui la donna viene solo definita “figlia di un noto politico fiorentino” senza rivelarne il nome.
Ora però sul caso indaga la Procura del capoluogo toscano, perché la badante una volta scoperta la truffa l’ha querelata.
La badante puntava ad ottenere dei soldi dalla famiglia presso cui aveva lavorato e aveva quindi avuto bisogno di assistenza legale. Verdini l’avrebbe offerta.
Quando la cliente ha chiesto come stava andando il procedimento e perché non aveva ancora ottenuto il risarcimento, le ha consegnato una falsa sentenza, su carta intestata del tribunale di Firenze. “Il documento è carta straccia – ha spiegato il nuovo avvocato della badante Mattia Alfano a Le Iene –, il giudice lo ha disconosciuto subito”.
La prima denuncia è scattata d’ufficio, da parte degli addetti degli uffici del Palazzo di Giustizia. Poi è arrivata quella della vittima. Che avrebbe ricevuto da Verdini anche false mail intestate al “dipartimento finanze del ministero della giustizia” – ricostruisce Il Tirreno – secondo le quali quell’ente avrebbe provveduto al pagamento.
Alla fine del servizio la donna si dice disposta a pagare pur di far sì che il video non vada in onda, cosa invece puntualmente avvenuta.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 25th, 2023 Riccardo Fucile
CON IL MARITO VICTOR HA FONDATO UN’ASSOCIAZIONE DI BENEFICIENZA A SOSTEGNO DEL POPOLO UCRAINO
La 24enne Giulia Schiff, ex allieva pilota dell’Aeronautica militare, è ritornata in Italia, ma solo per pochi giorni. Da mesi vive infatti in Ucraina, dove ha combattuto al fianco delle truppe di Kiev, con il nome di battaglia Kida.
Pochi giorni fa ha presenziato in tribunale a Latina all’udienza del processo a carico di otto sergenti dell’Aeronautica, accusati di aver commesso atti di nonnismo contro di lei, durante il rito di iniziazione per il suo battesimo del volo. In questo procedimento penale, a seguito dei fatti avvenuti nel 2018, Giulia Schiff si è costituita parte civile.
Non è stato facile per lei rivivere quei momenti in nell’aula del tribunale, dove è stato proiettato anche il video di quel rito di passaggio, che qualcuno ha considerato semplicemente un episodio goliardico, come ne avvengono tanti nell’Arma Azzurra: dopo la denuncia delle violenze e degli atti di mobbing che ha subito è stata espulsa dall’Accademia aeronautica, e ha dovuto mettere da parte il sogno di diventare pilota.
Giulia Schiff però guarda avanti, e per il futuro ha molti progetti, che intende portare avanti con il suo Victor, un 29enne israelo-ucraino che ha conosciuto lo scorso maggio al fronte e che ha sposato.
Domani intanto sarà nella sua città, a Mira (Venezia), per partecipare – in piazza Nove Martiri dalle 15 alle 17 – a una manifestazione per la pace in Ucraina, Paese che l’ha adottata e di cui si è innamorata.
Prima si è arruolata come volontaria nella Legione Internazionale dell’intelligence ucraina, poi nel team Masada con l’esercito di Kiev, dove ha conosciuto il suo compagno Victor.
A fine agosto suo marito è stato ferito in missione, a causa di un’esplosione, e lei si è unita alle Forze Speciali della Legione Internazionale.
“Dopo un periodo di riposo in Italia a novembre ho chiuso un contratto perché Victor da solo non ce la faceva, aveva bisogno di me. Lui adesso è direttore di una clinica e io mi occupo di un’organizzazione e fondazione di beneficenza che abbiamo fondato insieme. Facciamo missioni umanitarie al fronte: raccogliamo e spediamo aiuti umanitari, sia per i soldati, amici nostri e no, impegnati principalmente in Donbass, sia nella zona di Kharkiv. Ma portiamo anche gli aiuti umanitari alle persone in difficoltà, come anziani e disabili, che non si possono permettere i beni di prima necessità”, ha raccontato Giulia Schiff a Fanpage.it.
Cosa ti ha spinto a partire per l’Ucraina?
Il bisogno di avere uno scopo. Io ho deciso di essere militare e mi ero innamorata di quel tipo di vita quando ero in Aeronautica, non avendo potuto coronare quel sogno quando è scoppiata al guerra in Ucraina ho visto la possibilità di ritornare sui miei passi, anche se non più come pilota, per poter essere al servizio del prossimo.
Kida era il tuo nome di battaglia, da dove viene?
Quel nome lo ha scelto un mio compagno di team nella Legione Internazionale dell’intelligence. Un nome che proviene dal mondo ebraico, è un segno di rispetto che si usa prima degli incontri di combattimento.
Sei un militare, ti sei preparata per questo. Ma hai avuto momenti di crisi in cui hai pensato di tornare indietro?
Non ho mai avuto momenti di crisi, mai pensato di ritirarmi, di tornare indietro. Mai, nemmeno un secondo. Ci sono stati però tanti momenti difficili. Più di quelli in cui sono stata in pericolo io, i momenti più duri per me sono stati quando il mio compagno è stato ferito durante l’ultima missione. È stato durante il periodo della controffensiva di Kharkiv, c’era tanto bisogno di personale al fronte, non sono riuscita molto a stargli vicino, lui era il team leader del nostro team, mi sono dovuta unire ad un altro gruppo per continuare ad aiutare. Però quando mi ha detto che non ce la faceva da solo ho dovuto rompere il contratto per potergli stare vicino, come civile. Entrambi abbiamo iniziato questo percorso come volontari.
Mesi fa raccontavi che tua madre ti chiedeva ogni giorno di tornare a casa, mentre tuo padre è orgoglioso della tua scelta. Qual è oggi il tuo rapporto con loro?
Mia mamma non era d’accordo con la mia scelta. Diceva che quella non era una guerra mia, ed era preoccupata per la mia incolumità. Con lei comunque ho sempre avuto un rapporto molto distaccato, i miei sono divorziati, io vivevo a casa con mio padre. Anche lui era molto preoccupato, mi dice sempre che per giorni invece di mangiare cibo mangiava Maalox. A maggio era venuta anche a mancare sua moglie, io sono tornata per i funerali in gran segreto, mi avevano dato un permesso di una settimana. Lui non era contento che tornassi al fronte, mi diceva ‘ho appena perso lei non voglio perdere anche te’. Mio padre vive all’estero, fa il pilota istruttore, ma ci sentiamo quasi tutti i giorni.
Poi in autunno hai smesso di combattere. Cosa è successo?
Dopo le ferie in Italia sono rientrata, Victor mi ha chiesto di stargli accanto, così ho chiuso il contratto.
Insieme a tuo marito hai deciso di fondare un’organizzazione di beneficenza. Ci racconti questo progetto?
L’organizzazione si chiama Cloud Walker. Il nostro obiettivo è mandare aiuti umanitari al fronte, ma anche ai più bisognosi e ai civili nei punti più caldi.
C’è anche l’idea di aprire un orfanotrofio, come mai?
La gioia più grande che ho provato in Ucraina è stata quella dei bambini che quando ci vedevano in divisa correvano a salutarci. Una volta un bambino è venuto a regalarmi delle caramelle. Ci vedono come eroi lì, non è come l’Italia, dove fra un po’ le persone per strada ci sputano sulla divisa. L’idea del centro di riabilitazione per i legionari viene dal fatto che quando siamo rimasti feriti, o quando i nostri amici sono rimasti feriti, mi sono accorta che manca un po’ la concezione degli ospedali occidentali, magari non c’era nessuno che parlava inglese oppure non ci permettevano di andare a trovare i nostri colleghi. Stiamo facendo un ospedale mobile su un grosso van, con una parte anche di primo soccorso.
Il processo a Latina va avanti, per le violenze che hai subito al battesimo del volo presso il 70esimo Stormo di Latina. Speri ancora di riuscire a ottenere giustizia? Cosa è stato deciso in udienza?
Io esigo giustizia perché mi hanno rovinato anni di vita e condizionato tutta la mia esistenza. Ho pagato tantissimo le conseguenze di quel giorno del 2018. È giusto che qualcuno paghi, i responsabili o la catena gerarchica. All’udienza non è stato deciso niente, perché è stata la prima, hanno sentito me come testimone, e verranno sentite poi le altre parti il 16 ottobre. Sono stata molto contenta di come è andata l’udienza, perché i video sono stati sviscerati ampiamente. Però la controparte cerca di screditarmi facendo leva sulla mia attendibilità a seguito della mia espulsione: ma stanno cambiando le carte in tavola, perché l’argomento trattato è il mio battesimo del volo, non l’espulsione. Questo è estremamente offensivo per me come donna, come vittima. La mia attendibilità è dimostrata dalle urla in cui io dicevo di smetterla di frustarmi e dal fatto che io mi dimenavo per cercare di liberarmi. Tutto quello che è successo dopo ai fini del giudizio che riguarda quel rito di iniziazione è ininfluente. Ricordo che è stata l’Aeronautica stessa a denunciare il battesimo del volo, prima che lo facessi io ufficialmente. Si stanno arrampicando sugli specchi.
(da Fanpage)
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Marzo 25th, 2023 Riccardo Fucile
E’ IL PATTUGLIATORE 656, REGALATO DALL’ITALIA AI CRIMINALI DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA… UN VIDEO DOCUMENTA L’AGGRESSIONE: L’ITALIA FINANZIA UNA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
Il rumore degli spari nel video diffuso da Ocean Viking si sente distintamente. Sono diverse raffiche, probabilmente sparate in aria, ma straordinariamente vicine alla Ocean Viking. L’equipaggio della nave di Sos Mediterranée è stato pesantemente minacciato dalla Guardia Costiera libica e costretto ad allontanarsi da un barchino in difficoltà, che si stava apprestando a soccorrere.
“Guardia Costiera libica, Guardia costiera libica, stiamo lasciando l’area, smettete di sparare, ci state mettendo in pericolo”, ripete inutilmente la capomissione Luisa Albera alla radio. “Siamo una nave umanitaria, non potete spararci addosso, non potete spararci addosso”, scandisce. Nessuna risposta, come sempre. Lo stesso succede quando uno dei mediatori di bordo ripete il messaggio in arabo. L’unica reazione, sono nuove raffiche di armi da fuoco e la sirena che suona insistentemente.
“Questa mattina, l’equipaggio è stato minacciato con armi da fuoco dalla guardia costiera libica sponsorizzata dall’Ue”, fanno sapere dalla Ocean Viking. La nave umanitaria si stava avvicinando a un gommone con ottanta persone in pericolo segnalato nelle ore precedenti da Alarm Phone. Improvvisamente, in area è arrivata a tutta velocità una motovedetta della Guardia Costiera libica. Si tratta del pattugliatore 656, uno di quelli che l’Italia negli anni ha donato ai libici.
Nelle immagini registrate da bordo lo si vede puntare dritto contro la fiancata della Ocean Viking, per poi virare rapidamente a distanza di sicurezza ampiamente superata, mentre la sirena suona insistentemente. “Siamo stati costretti a lasciare l’area perché il nostro equipaggio era in pericolo”, dicono da bordo. Sea Bird ha continuato a monitorare l’area dall’alto. “Hanno visto persone lanciarsi in acqua mentre la Guardia costiera intercettava il barchino”. Almeno in ottanta sono stati deportati nuovamente in Libia.
(da La Repubblica)
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Marzo 25th, 2023 Riccardo Fucile
LO STORICO GIOVANNI DE LUNA BACCHETTA GIORGIA MELONI PER LE SUA PAROLE SULLE FOSSE ARDEATINE: “IN QUEL DISCORSO MANCA LA CHIAREZZA. MELONI HA CHIAMATO ‘ITALIANI’ LE VITTIME DELL’ECCIDIO. MA ‘ITALIANI’ ERANO ANCHE IL MINISTRO DELL’INTERNO DELLA REPUBBLICA DI SALÒ, GUIDO BUFFARINI GUIDI; IL QUESTORE DI ROMA, PIETRO CARUSO; IL CRIMINALE DI GUERRA E CAPO DI UNA “BANDA” DI AGUZZINI, PIETRO KOCH
A questo punto è meglio che stiano zitti. L’Italia della Resistenza è chiaramente un passato ostico per la destra che ci governa. Soprattutto in quei discorsi manca la chiarezza. È stato così anche per l’anniversario delle Fosse Ardeatine, nel ricordare quel 24 marzo 1944, quando i tedeschi fucilarono 335 ostaggi per rappresaglia, in seguito all’attentato partigiano di via Rasella, a Roma.
«Italiani»: così Giorgia Meloni ha chiamato le vittime dell’eccidio. Ma «italiani» erano anche quelli che collaborarono al massacro insieme ai tedeschi: il ministro dell’Interno della Repubblica di Salò, Guido Buffarini Guidi; il questore di Roma, Pietro Caruso; il criminale di guerra e capo di una “banda” di aguzzini, Pietro Koch. «Italiani» non è un termine che fa chiarezza.
Tra il 1943 e il 1945 italiani antifascisti lottarono armi in pugno contro gli italiani fascisti. Fu così in Italia, e fu così in Europa. In Francia, ad esempio, i francesi di De Gaulle combatterono contro i francesi di Pétain. E così in Belgio, in Olanda, in Norvegia, ovunque l’occupazione nazista obbligò i popoli a schierarsi.
I fronti non erano più quelli dettati dalla geopolitica della Prima guerra mondiale (italiani contro austriaci, francesi contro tedeschi) ma scaturivano direttamente dalla dimensione tutta ideologica della Seconda guerra mondiale: fascismo contro antifascismo, nazismo contro comunismo, dittatura contro democrazia, totalitarismo contro libertà. Si era obbligati a scegliere da che parte stare.
E i fucilati alle Fosse Ardeatine avevano scelto di essere antifascisti, pagando con la vita quella scelta. Tutti erano Todeskandidaten (persone da eliminare) già rinchiusi nelle prigioni fasciste e naziste, appartenenti alle varie organizzazioni politiche che partecipavano alla Resistenza, dal Partito d’Azione alla Democrazia Cristiana, in uno schieramento che accomunava comunisti e monarchici, anarchici e socialisti.
In particolare, 154 erano persone a disposizione dell’Aussenkommando, 23 in attesa di giudizio del Tribunale militare tedesco e altre già condannate dallo stesso tribunale a pene varianti da 1 a 15 anni; 75 appartenenti alla comunità ebraica romana; 40 persone a disposizione della Questura, fermate per motivi politici; 10 fermate per motivi di pubblica sicurezza; 10 arrestate nei pressi di via Rasella subito dopo l’attentato; una persona già assolta dal Tribunale militare tedesco; sette vittime non furono identificate e non fu possibile stabilirne l’appartenenza.
La faticosa compilazione delle liste con i nomi di chi sarebbe stato mandato a morte fu un esercizio tanto macabro quanto laborioso e non avrebbe potuto svolgersi senza la collaborazione delle autorità italiane, fasciste.
Non ci voleva molto a ricordarlo, aiutando i giovani a chiarirsi le idee su quel passato. Ma Giorgia Meloni non lo ha fatto e per di più ha chiamato i fucilati vittime «innocenti». E questo è proprio un aggettivo che non meritano. L’innocenza presuppone il candore di chi viene ammazzato senza colpe, travolto da un evento inspiegabile. Non fu così.
Quelli ammazzati alle Fosse Ardeatine erano colpevoli, di sicuro lo erano per chi li uccise. E la loro colpa era stata proprio quella di scegliere da che parte stare.
(da La Repubblica)
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Marzo 25th, 2023 Riccardo Fucile
E IL 45% E’ FAVOREVOLE ALLA REGISTRAZIONE IN ITALIA DEI BIMBI NATI CON QUESTA PRATICA ALL’ESTERO
Nelle ultime settimane il tema dell’omogenitorialità ha fatto irruzione nel dibattito radicalizzando le posizioni di leader e partiti. Si tratta di un tema che investe la sfera etica rispetto alla quale le opinioni dei cittadini sono solitamente meno influenzate dall’orientamento politico. […] La maternità surrogata, vietata in Italia e nella stragrande maggioranza dei Paesi, suscita reazioni diverse a seconda che avvenga a fronte di un corrispettivo in denaro o meno.
Nel primo caso, infatti, prevale nettamente la contrarietà (due italiani su tre, il 65,4%), i favorevoli sono il 19,7%, gli altri non rispondono. Nel secondo i contrari, pur prevalendo, diminuiscono al 40,3%, i favorevoli salgono al 34,6, mentre il 25,1% non si pronuncia.
I giudizi Il sondaggio odierno evidenzia che il 45% degli italiani si dichiara favorevole al fatto che i figli nati a seguito di maternità surrogata nei Paesi in cui questa pratica è consentita, vengano registrati nei comuni di residenza della coppia dopo il loro rientro in Italia, perché ritengono che sia un dovere dello Stato concedere anche a questi figli gli stessi diritti di tutti gli altri.
Viceversa, uno su quattro (26%) è contrario perché registrarli significherebbe dare il via libera alla maternità surrogata anche in Italia e il 29% non prende posizione. La contrarietà prevale solo tra gli elettori di FdI (49%) e della Lega (41%), tra i quali però si registra una minoranza numericamente molto rilevante di favorevoli, rispettivamente il 28% e il 37%.
La possibilità di adottare un figlio da parte delle coppie omosessuali vede prevalere i favorevoli (47%) sui contrari (32%).
Peraltro, gli atteggiamenti di apertura sono in aumento di 5 punti rispetto al 2021. Si conferma un atteggiamento di maggiore contrarietà tra gli elettori di FdI (58%) e Lega (48%), pur in presenza di una quota pari al 30% e al 39% di favorevoli.
Un italiano su due (53%) è convinto che la politica in Italia su questi temi stia arrancando rispetto alla società, mentre uno su quattro (25%) si mostra più benevolo, ritenendo che su un tema così complesso, l’assenza di una legislazione chiara per le famiglie omogenitoriali sia preferibile piuttosto che avere una legge «di parte».
L’idea di famiglia E a proposito dei cambiamenti della società, va osservato che gli italiani sono sempre meno legati ad una visione tradizionale di famiglia, dato che il 43% ritiene che la famiglia sia l’unione che nasce tra un uomo e una donna uniti in matrimonio civile o religioso (20%) oppure che convivano senza essere sposati ma semplicemente uniti da un legame affettivo (23%), mentre il 45% considera famiglia l’unione che nasce tra due individui anche dello stesso sesso che hanno un legame affettivo e decidono di convivere sotto lo stesso tetto uniti civilmente (15%) o meno (30%, ossia la maggioranza relativa). E va osservato che tra i cattolici praticanti oltre uno su tre consideri famiglia anche le coppie omosessuali, e questo la dice lunga sui cambiamenti che attraversano la Chiesa.
(da Corriere della Sera)
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Marzo 25th, 2023 Riccardo Fucile
LA RAGAZZA E’ LAUREATA E OPERATRICE DELLA COMUNICAZIONE… STIAMO DIVENTANDO UN PAESE DI MERDA
Una storia triste dalla quale traspaiono poca solidarietà ed empartia: Camilla, ragazza non vedente che vive a Bologna, il prossimo settembre dovrà lasciare l’appartamento in cui vive perché la padrona di casa non le rinnoverà il contratto d’affitto, visto che con lei ci sarà anche il suo nuovo cane guida.
La ragazza, Camilla Di Pace, 31 anni, originaria di Latina, laureata al Dams e operatrice della comunicazione, ha raccontato la sua storia sulle pagine del QN.
«Mi ritenevo fortunata – ha spiegato al quotidiano – perché ero in una stanza in affitto, una singola, in centro con tutti i comfort, 550 euro bollette incluse. I prezzi per le case, oggi, sono folli, quindi speravo di continuare dov’ero. E invece niente, mi è stato detto che la padrona non vuole per il cane».
La 31enne dice di sentirsi «discriminata e anche un po’ tradita da Bologna», sottolineando poi che altri proprietari di case le hanno detto che non affittano a chi ha dei cani. Camilla non ha tentato di nascondere la nuova `inquilina´. «Sono in un appartamento in condivisione, come faccio a non dirlo? Ma un cane non è mica un giocattolo, mi serve per vivere, faccio ad aprile l’esame con la Scuola Triveneta dei cani guida».
Ora sta pensando di lasciare la città. «Forse mi trasferirò a Padova, dove vorrei provare un percorso da assistente sociale, per lavorare con le Ong».
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2023 Riccardo Fucile
ELVIRA, 32 ANNI, E’ STATA AVVELENATA MESI FA CON SALI DI METALLO PESANTE, I SOLITI SISTEMI CRIMINALI EREDITATI DAL KGB
«Smettetela di seppellirmi prima del tempo. Morire non è assolutamente nei miei piani». Inizia così il lungo post pubblicato sui profili social da Elvira Vikhareva, la dissidente dell’opposizione russa avvelenata mesi fa con sali di metalli pesanti e le cui analisi avevano riscontrato nel sangue la presenza di bicromato di potassio, una sostanza altamente tossica e cancerogena.
Un messaggio, quello di Vikhareva, in cui spiega di aver taciuto sulla sua condizione per «timori ragionevoli e giustificati per l’incolumità della mia vita e di coloro che mi sono vicini oggi» e chiede ai giornalisti di «trattare con comprensione» la sua situazione.
La politica dell’opposizione si rivolge direttamente a chi l’ha avvelenata: «Non sperate, non rinuncerò alla mia posizione, non mi nasconderò in un angolo aspettando compassione e non starò zitta».
Ringrazia, invece, chi si preoccupa per lei e le chiede di lasciare la Russia, ma chiede loro di non fare di lei «un eroe o una vittima del regime» perché, «come molti altri, ho scelto da tempo la direzione e so che è ricoperta di mine».
«Per ora, intendo restare in Russia», aggiunge. Vikhareva si rivolge poi a chi non sostiene il regime dello zar ma ha paura a fare opposizione dicendo che «questo è ciò che vuole Putin e il suo apparato» e che bisogna dimenticare la «frase tossica» che molti ripetono: «Non dipende da me».
«Se vogliamo respirare dobbiamo continuare a resistere. L’indifferenza è figlia della guerra e del caos, e oggi ne stiamo raccogliendo i frutti». La giovane 32enne lancia infine un appello a chi leggerà le sue parole: «Il Paese è governato da assassini e codardi, ora lo so meglio di chiunque altro, sulla mia pelle. Il loro potere si basa sul dispotismo e sulla paura. Dobbiamo essere forti di fronte al nemico».
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2023 Riccardo Fucile
LA COLPA DI GALLYAMOV? ESSERE CONTRARIO ASLLA GUERRA IN UCRAINA
La polizia russa ha inserito nella lista dei ricercati Abbas Gallyamov, ex autore dei discorsi del presidente Vladimir Putin. Gallyamov ha scritto i discorsi per Putin mentre il leader ricopriva l’incarico di premier dal 2008 al 2012.
In seguito, è diventato un consulente e analista politico schietto, spesso citato dai media russi e stranieri. Negli ultimi anni ha vissuto all’estero.
Alcuni organi di stampa russi e un reporter dell’Associated Press hanno scoperto che Gallyamov era presente nel database del ministero dell’Interno, in cui si legge che l’uomo é ricercato «in relazione a un articolo del Codice penale», senza specificazioni su quale sia l’articolo in questione.
Il mese scorso il ministero della Giustizia russo ha aggiunto Gallyamov al registro degli agenti stranieri, una designazione che comporta un ulteriore controllo da parte del governo e una forte connotazione peggiorativa volta a minare la credibilità del destinatario.
Il ministero ha dichiarato che Gallyamov «ha distribuito materiale creato da agenti stranieri a una cerchia illimitata di persone, si è espresso contro l’operazione militare speciale in Ucraina (e) ha partecipato come esperto e rispondente a piattaforme informative fornite da strutture straniere».
Gallyamov ha dichiarato ad AP di aver appreso di essere sulla lista dei ricercati dai media. Nessuna agenzia di polizia si è messa in contatto con lui, quindi non sa quale sia l’accusa che deve affrontare in Russia.
“Presumo che formalmente si tratti del reato di discredito dell’esercito”, ha detto Gallyamov in un’intervista telefonica, «Viene usato contro chiunque si rifiuti di amplificare il manuale del Cremlino e cerchi di condurre un’analisi obiettiva e imparziale di ciò che sta accadendo».
Screditare le forze armate russe è diventato un reato in base a una nuova legge adottata dopo l’invio di truppe russe in Ucraina nel febbraio 2022. I critici del Cremlino sono stati regolarmente accusati in base a questa legge.
Gallyamov ha descritto l’azione contro di lui come parte della «strategia di intimidazione» del governo russo. «Non è un tentativo di arrivare a me – è impossibile. È un messaggio per gli altri», ha detto. «Come a dire: `Non criticate, non pensate che la vostra visione indipendente di ciò che sta accadendo rimarrà impunita´».
(da Globalist)
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Marzo 25th, 2023 Riccardo Fucile
“MOSCA E’ UNA MINACCIA PER LA SICUREZZA EUROPEA”
Con l’elezione del presidente Petr Pavel, l’ex generale della Nato che alle elezioni dello scorso mese ha archiviato i populisti del miliardario Andrej Babis, la Repubblica Ceca sembra aver allineato tutti i suoi pianeti in modo deciso e inequivocabile verso l’Alleanza atlantica, l’Unione europea e il sostegno all’Ucraina.
Messi da parte i due predecessori di Pavel, gli imprevedibili Miloš Zeman e Václav Klaus, il Paese che fa parte del Gruppo Visegrad e dei Nove di Bucarest 9, si è ricompattato con un governo e una presidenza che procede, almeno per ora, di pari passo.
Entrambe le istituzioni sono decise europeiste e determinate a mantenere il ruolo consolidato di Praga come uno dei primi dieci sostenitori militari di Kiev, smarcandosi dalle posizioni sempre più estreme di Budapest. «Mosca è una minaccia per la sicurezza europea – dice il ministro degli Esteri Jan Lipavský –. Noi, che sappiamo cosa vuol dire, non vogliamo rischiare di tornare ad essere una colonia russa».
Ministro, qual è la priorità della politica estera della Repubblica Ceca?
«Senza dubbio affrontare l’aggressione russa contro l’Ucraina. Stiamo facendo tutto il possibile per fermare questa barbara e ingiustificabile aggressione. Stiamo inviando a Kiev molti aiuti umanitari e militari, e stiamo facendo pressione in seno alla Ue affinché tutti i membri lo facciano. Inoltre, la Repubblica Ceca ha accolto il più alto numero pro capite di rifugiati di guerra, aprendo le porte a oltre mezzo milione di ucraini. Non da ultimo, stiamo facendo di tutto per ottenere sanzioni più pesanti contro Mosca, che incidano sulla capacità russa di produrre armamenti. Dobbiamo fare in modo che non possano produrre nuovi missili, tank e armi. Più armi producono, più ucraini verranno massacrati».
Dopo l’invasione cos’è cambiato all’interno del Gruppo Visegrad?
«Siamo decisamente in una situazione delicata. L’Ungheria ha formalmente aderito alla linea europea, ma Orban e il suo ministro degli esteri Péter Szijjártó continuano a dire cose completamente diverse. Sulla guerra i V4 non sono uniti».
Siete più vicini alla Polonia?
«Assolutamente, condividiamo posizioni strategiche e il convincimento che la Russia è la più grave minaccia alla sicurezza per l’Europa. E a questo proposito vorrei ringraziare l’Italia per quello che sta facendo, per gli aiuti all’Ucraina e per la promessa di inviare sistemi antimissile».
Tradizionalmente i Paesi del cosiddetto Blocco Est sono in prima linea nel contrastare le minacce russe. Anche i Baltici?
«A volte possiamo differire su come diciamo le cose, ma tutti i paesi dell’Europa centrale e orientale hanno una cosa in comune: la paura».
Di cosa?
«Dell’aggressività russa, che noi conosciamo molto bene. Non volgiamo tornare indietro di trent’anni, non vogliamo in alcun modo tornare a essere colonie di Mosca».
Quali sono le sue previsioni per il conflitto in Ucraina?
«Durerà a lungo, dobbiamo essere pazienti e chiederci ogni giorno che cosa possiamo fare di più, e continuare con gli aiuti a Kiev. Vorrei darvi un piccolo esempio di come vede il mondo la Russia: Vladimir Solov’ëv è uno dei maggiori propagandisti del Cremlino. Ogni giorno nel suo programma televisivo chiama alle armi i giovani russi per convincerli a combattere in Ucraina, li manda a morire. Ogni giorno. Allo stesso tempo si lamenta perché non può andare nella sua villa in Italia, sul lago di Como. Sono convinto che non dovremmo permettere a queste persone di venire in Europa, di godere della nostra prosperità, della nostra libertà, dei nostri valori, mentre stanno lavorando alla loro distruzione».
Cosa ne pensa dell’invio di caccia all’Ucraina?
«Penso che l’Ucraina debba avere tutto ciò di cui ha bisogno per proteggere se stessa e la sua integrità territoriale. Le armi non servono per attaccare la Russia, servono a difendersi»
Pensa che un attacco nucleare sia possibile?
«La politica russa si basa sulla paura, quindi nella loro retorica la minaccia della bomba atomica funziona benissimo, ma Mosca sa esattamente come reagirebbe la Nato a un attacco atomico. Vorrei anche ricordare che nel piano di pace in dieci punti di Zelensky la sicurezza nucleare è il primo punto. Non dobbiamo pensare solo all’eventualità di bombe nucleari, ma anche a possibili incidenti nelle centrali, come a Zaporizhzhia, attualmente sotto controllo russo».
(da agenzie)
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