Marzo 30th, 2023 Riccardo Fucile
IN UN MESE E MEZZO LA SCHLEIN HA RECUPERATO 7 PUNTI ALLA MELONI
Si riduce ancora il gap tra Fratelli d’Italia e Partito Democratico.
Secondo un sondaggio di Ixé, la distanza del partito guidato da Elly Schlein rispetto a quello della premier Giorgia Meloni è diminuita ancora, portandosi a meno 8 punti, contro i 15 punti registrati a metà febbraio.
Segno che la vittoria della giovane leader dem alle primarie, avvenuta a fine febbraio, continua ad attrarre consensi.
Oggi il Pd si colloca così al 21,1% (+1%), contro il 28,9% di Fratelli d’Italia.
Allo stesso modo, la vittoria di Schlein sembra drenare consensi a discapito del Movimento 5 Stelle, dato al 15,5% (-0,7%), dato simile a quello delle politiche di settembre dopo le quali aveva tuttavia iniziato a raccogliere consensi dai banchi d’opposizione.
Altri partiti: Lega 8,1%, Forza Italia 6,8%, Azione 6,7%, Verdi-Sinistra 3,9%, + Europa 1,9%
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 30th, 2023 Riccardo Fucile
LA COMMISSIONE INDIPENDENTE ONU ACCUSA LA GUARDIA COSTIERA LIBICA DI ESSERE PARTE DELLA FILIERA DEL TRAFFICO DI ESSERI UMANI, MA MELONI, SALVINI E PIANTEDOSI FANNO FINTA DI NULLA… EVVIVA LA SEDICENTE DESTRA DELLA LEGALITA’
Il dossier sulla Libia è arrivato sul tavolo degli inquirenti dell’Aa. Le accuse all’Italia sono pubbliche, documentate, gravissime.
Eppure coloro che governano il Belpaese tace. Come se la cosa non li riguardasse. Un misto di arroganza e irresponsabilità. Tace Palazzo Chigi. Tace la Farnesina. Tace il Viminale.
Quel silenzio assordante
Al silenzio governativo fa da contraltare il risalto che a questa vicenda viene dedicato dal mondo cattolico e da alcuni giornali di riferimento di assoluta autorevolezza.
Scrive su Avvenire, il giornale della Cei, Nello Scavo: “Il dossier sulla Libia su cui indaga la Corte penale Internazionale nelle ultime ore ha visto arrivare sul tavolo degli inquirenti dell’Aja un nuovo atto d’accusa contro le autorità di Tripoli. Lo firma la Commissione indipendente Onu sui diritti umani, che accusa la cosiddetta guardia costiera libica di essere parte attiva nella filiera del traffico di esseri umani.
«Centinaia di migranti e rifugiati intercettati o salvati in mare dalla Guardia Costiera e da altri enti sono scomparsi dopo essere stati sbarcati nei porti libici. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) – si legge nel report visionato da Avvenire – ha riferito che questi individui sono esposti al sequestro da parte di gruppi armati impegnati nel traffico di esseri umani o nel contrabbando ».
Il testo di 46 pagine è stato trasmesso al Consiglio di sicurezza Onu e acquisito dalla Corte penale dell’Aja, che sta esaminando le richieste di mandato di cattura internazionale depositate dal procuratore Karim Khan. I nomi degli esponenti libici indagati sono ancora coperti da segreto istruttorio, in attesa che il tribunale si pronunci sulla convalida delle richieste d’arresto in campo internazionale.
La Commissione indipendente ha raccolto anche la denuncia del “panel of expert”, il gruppo di esperti nominato dal Consiglio di sicurezza e che da anni indaga sulle violazioni dei diritti umani, i crimini di guerra e i traffici illeciti in tutta la Libia.
Gli specialisti «nell’ambito della loro indagine sugli incidenti di naufragio hanno segnalato che il Centro di coordinamento e salvataggio marittimo (di Tripoli, ndr), l’autorità governativa responsabile, ha violato il diritto alla vita di circa 130 migranti e rifugiati non avendo adottato misure appropriate».
Si tratta solo di uno degli episodi ricostruiti, a cui seguono abusi ampiamente provati.
La centrale di coordinamento libica è stata finanziata e attrezzata dall’Italia, che chiede alle organizzazioni del soccorso civile di rivolgersi al centralino dei guardacoste libici. Nonostante anche secondo l’Onu i funzionari di Tripoli non garantiscano neanche i minimi standard operativi e di rispetto dei diritti fondamentali.
«Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia ha documentato che le guardie del Dcim (Il Dipartimento del governo per il contrasto dell’immigrazione illegale, ndr), così come i membri di gruppi armati non statali, commettono abitualmente violenze sessuali per controllare e umiliare i migranti. Gli osservatori hanno riferito che lo stupro è stato spesso usato come forma di tortura e in alcuni casi ha portato alla morte».
A confermare che le sevizie siano una regola di gestione dei campi di prigionia statali ci sono prove definite «schiaccianti».
L’agenzia Onu per i diritti umani (Ohchr) e la Missione Onu in Libia (Unsmil), hanno infatti «ottenuto video e fotografie delle torture subite» da migranti e profughi «e del fatto che alle loro famiglie è stato chiesto di pagare un riscatto». In uno dei video «un uomo viene torturato a morte». Secondo l’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani Onu «le donne migranti nei centri di detenzione sono trattenute in strutture prive di guardie femminili e sottoposte a “perquisizioni” da parte di agenti uomini». Donne adulte e ragazze minorenni migranti «sono costrette a praticare sesso a scopo di lucro (gli introiti vanno ai capi delle strutture, ndr) in centri di detenzione sia ufficiali che non ufficiali, in condizioni che a volte sono assimilate alla schiavitù sessuale». Molte donne migranti vittime di abusi «non sono potute tornare nei loro Paesi d’origine a causa della stigmatizzazione».
(da Globalist)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 30th, 2023 Riccardo Fucile
A YEYSK. SUL MARE DI AZOV, BAMBINI COSTRETTI A MARCIARE COME SOLDATI E INDOTTRINATI DAL REGIME
“Siamo i pronipoti di grandi vincitori”. Con questa parola d’ordine, in Russia, a Yeysk, vicino al mare di Azov, si istruiscono i bambini dell’asilo e delle scuole elementari a marciare come soldati e ad essere i protagonisti di una parata militare.
Si addestrano per una grande parata che si terrà il 29 aprile. Ogni asilo ha scelto il tipo di truppa da rappresentare durante la parata, i genitori stanno preparando le divise.
La parata di Yeysk colpisce perché coinvolge i più piccoli, ma dall’inizio della guerra e con l’invasione dell’Ucraina la propaganda del Cremlino si è spesa massicciamente nelle scuole, incidendo sui corsi di studio e reintroducendo riti che sembravano legati al passato sovietico.
Invece sono stati rispolverati nel nome dell’imperialismo nazionalista putiniano.
(da Globalist)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 30th, 2023 Riccardo Fucile
L’EX PREFETTO PUNTA IL DITO CONTRO IL TRIO MANTOVANO-CROSETTO-TAJANI, CHE A SUO DIRE LO STANNO OSTACOLANDO DI PROPOSITO
Matteo Piantedosi è arrivato al limite della sua pazienza. Quando accettò l’invito a sedere come ministro al Viminale di un governo di destra, l’ex prefetto, l’ex capo di gabinetto del leader leghista Matteo Salvini, non si aspettava di percepire così presto un senso di isolamento.
Nelle stanze del ministero i volti dei funzionari e dei collaboratori di Piantedosi sono perplessi. Nascondono con difficoltà l’umore del capo, che ogni giorno si fa più nero. L’emergenza migranti è una valanga che rischia di travolgere il governo.
La tragedia di Cutro ha diffuso un sentimento di diffidenza tra i ministri.
Piantedosi è finito sotto accusa per le frasi sbagliate, e le difese d’ufficio che pure si aspettava, anche da parte di Giorgia Meloni, ai suoi occhi sono state parziali e tardive.
L’emergenza migranti ha scavato una distanza tra la Lega da una parte, che si è stretta a sostegno del ministro dell’Interno, e i meloniani dall’altra, convinti che il titolare del Viminale non abbia furbizia politica e parli troppo.
Piantedosi sa chi è ad avercela con lui, ma – come fanno trapelare fonti dell’Interno – «non starà qui a fare da parafulmine» del ministro della Difesa Guido Crosetto, del ministro degli Esteri Antonio Tajani e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano.
Un cordone di sicurezza che è scattato attorno a Meloni ma che rischia di intorbidire i rapporti con la Lega.
A gennaio venne dissuaso dal recarsi in Libia, e al suo posto ci andò il capo della Polizia Lamberto Giannini. È un precedente che ancora oggi brucia. L’attività del ministero dell’Interno ha bisogno del supporto della Difesa, cioè di Crosetto, degli Esteri, cioè di Tajani, e dell’intelligence, che è in capo al sottosegretario Mantovano, «ma questa collaborazione finora non si è vista».
C’è poi anche l’amarezza per l’atteggiamento della presidente del Consiglio. Un ministro della Lega spiega quale sia l’impressione su Meloni. Sembra aver dimenticato le promesse fatte in campagna elettorale sul fronte migranti: «Si barcamena tra la suggestione di presentarsi come il volto pulito della destra e il problema di rispondere agli elettori. Dove sono andati a finire i tanto sbandierati “blocchi navali”? E comunque tra i blocchi navali e il nulla ci sarebbero molte cose da fare e invece Piantedosi è lasciato solo».
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 30th, 2023 Riccardo Fucile
IN UN ANNO LE RISERVE MONETARIE DA 640 MILIARDI DI DOLLARI SONO SCESE A 580 MILIARDI, MA DI QUESTI 300 SONO STATI “CONGELATI” DALLE AUTORITÀ STRANIERE. DEI RESTATI 280, UN TERZO E’ IN ORO E UN TERZO IN VALUTA CINESE. SOLO 100 MILIARDI SONO SPENDIBILI SUI MERCATI
Vladimir Putin ammette infine che l’arma delle «sanzioni illegittime» occidentali comporta conseguenze pesanti per il suo Paese. ha dichiarato ieri pubblicamente che, almeno «sul medio termine», le sanzioni hanno in effetti un impatto negativo. Ma l’annuncio non sembra affatto precludere al desiderio di aperture per avviare dialoghi di pace
Al contrario, l’ammissione delle difficoltà è volto ad avvisare i russi che devono stringere la cinghia, prepararsi ad affrontare tempi difficili per continuare l’offensiva
I toni di Putin su questi temi non cambiano: al momento la via diplomatica «è impossibile», occorre che il Paese si stringa al suo presidente con «fermezza e fiducia», la «guerra ibrida» con l’Occidente è destinata a durare a lungo e le responsabilità non sono di Mosca, bensì della Nato.
Nelle riunioni tra funzionari europei e americani circolano cifre e tabelle sulla tenuta «nel medio termine» dell’economia russa. Ne abbiamo viste alcune. Nell’ultimo anno (gennaio ‘22—gennaio ‘23) l’esportazione di gas si è quasi dimezzata: -46%. A Mosca, il ministero delle Finanze ha di recente comunicato che all’inizio del 2023 gli introiti per la vendita del petrolio erano diminuiti del 60% rispetto a marzo 2022.
Come sappiamo, gas e petrolio sono le fonti vitali, le basi materiali del potere putiniano.
La guerra le sta erodendo, nonostante lo sforzo del Cremlino di sostituire i vicini mercati europei con quelli cinese e indiano. Il 5 dicembre 2022 l’Unione europea ha vietato l’importazione del greggio via nave e il 5 febbraio 2023 l’acquisto di prodotti derivati dal petrolio. Due misure che, evidentemente, cominciano a dare risultati, come di fatto ha riconosciuto ieri lo stesso Vladimir Putin.
A febbraio la quotazione del greggio russo era pari a 52,5 dollari al barile, 30 dollari in meno rispetto alla media del mercato globale. I 27 Paesi della Ue oggettivamente non potevano azzerare immediatamente le forniture di gas; hanno però concordato un tetto sul prezzo che ha inciso sugli introiti dei russi.
Negli ultimi mesi si è discusso molto di semiconduttori, una componente cruciale per assemblare una miriade di prodotti elettronici per uso sia civile che militare. Prima dell’aggressione all’Ucraina, il fabbisogno russo era coperto al 90% dalle forniture occidentali. Le sanzioni hanno costretto il governo di Mosca a cercare altrove, soprattutto in Cina. Tuttavia, stando ai dati che circolano a Washington e a Bruxelles, l’import di semi conduttori è crollato del 74% in un anno.
Le riserve monetarie, vale a dire le risorse statali da mettere in campo per fronteggiare crisi economiche o finanziarie. Prima del 24 febbraio ammontavano a 640 miliardi di dollari. Oggi sono scese a 580 miliardi, ma di questi 300 sono stati «congelati» dalle autorità straniere. Ne restano, dunque, 280: un terzo in oro, un terzo in valuta cinese e solo l’ultima parte, circa 100 miliardi, facilmente spendibile sui mercati mondiali.
Tirando le somme, emerge il profilo di un Paese dalle prospettive economiche piuttosto cupe. Finora Putin è riuscito a mascherare le difficoltà
I rapporti commerciali con la Cina, l’India e altri Stati fuori dal perimetro americano ed europeo hanno contenuto al 2,1% la caduta del prodotto interno lordo nel 2022, rispetto a previsioni che si spingevano fino al -15%. […] la spesa pubblica per le armi ha provocato un deficit statale pari a 34 miliardi di dollari (1,5% del pil) solo nei primi due mesi del 2023.
L’Occidente non ha ancora vinto la guerra delle sanzioni. Si moltiplicano le accuse rivolte a Paesi che accettano di comprare beni da aziende Usa e Ue per poi girarli a Mosca. La lista comprende [Cina, Turchia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Emirati Arabi e altri ancora. I governi di questi Stati respingono le accuse
(da Il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 30th, 2023 Riccardo Fucile
ITALIANI OSTAGGIO DI GRUPPI DI PRESSIONE CHE PENSANO SOLO A SPECULARE
La lobby degli evasori non ha ragione sociale o nomi e cognomi dichiarati, ma di certo ha esultato alla notizia del condono infilato nel decreto bollette.
Non è l’unica ad aver festeggiato nei primi cinque mesi del governo Meloni. Martedì è toccato agli agricoltori, che hanno ottenuto quello che chiedevano sui cibi sintetici, e ai commercianti contrari alla liberalizzazione dei saldi.
Prima di loro, nelle settimane scorse, era successo a tanti altri: gli intramontabili balneari (niente gara per gli stabilimenti), i tassisti (il settore resta ingessato e le app penalizzate), gli ambulanti (avanti piano con i bandi per le concessioni).
A perdere è sempre il cittadino: la concorrenza significa meno corporazioni, condizioni migliori e prezzi più bassi.
GLI AGRICOLTORI
Parte lo stop alla carne sintetica ha vinto il pressing di Coldiretti
No alla carne sintetica. L’Italia vieta la produzione e la commercializzazione di alimenti e mangimi sintetici. Il governo ha approvato un disegno di legge che va incontro alle richieste di Coldiretti e delle altre confederazioni dell’agricoltura e del food. Palazzo Chigi nega che ci sia un atteggiamento persecutorio, e lo stop nasce anche per escludere effetti negativi sulla salute.
Allo stesso modo, secondo il governo, la guerra ai cibi sintetici serve a tutelare il patrimonio agroalimentare del Paese e quindi anche le imprese e l’occupazione. In caso di violazione delle norme, le multe sono pesanti: sono previste sanzioni amministrative da un minimo di 10 mila fino ad un massimo di 60 mila euro, ovvero fino al 10% del fatturato totale annuo.
Esulta la Coldiretti: «Lo stop al sintetico salva 580 miliardi di Made in Italy. Il cibo è diventato la prima ricchezza dell’Italia». Lo schema di disegno di legge del governo, ha commentato il presidente della confederazione Ettore Prandini, «risponde alle richieste di mezzo milione di italiani che hanno firmato la petizione che abbiamo promosso per salvare il Made in Italy».
I NEGOZIANTI
Lo stralcio dei saldi senza limiti piace a parte dei commercianti
Dopo le proteste dei commercianti, il governo ha stralciato la liberalizzazione dei saldi dal ddl Concorrenza. Le associazioni dei commercianti hanno chiesto e ottenuto dall’esecutivo di avviare un tavolo di confronto per evitare che l’ipotesi dei saldi liberi possa manifestarsi nuovamente. Il governo avrebbe voluto consentire la liberalizzazione totale delle vendite promozionali nei negozi, anche a ridosso della stagione dei saldi, mentre oggi sono richiesti almeno 30 giorni di distanza tra le date. In più, l’intenzione era quella di sottrarre alle Regioni la disciplina dei periodi e della durata delle liquidazioni e delle vendite di fine stagione, in nome della semplificazione delle attività commerciali. Progetto che è stato bloccato dall’insorgere dei commercianti.
Confesercenti spiega: «Liberalizzare i saldi voleva dire creare una deregulation che avrebbe finito per favorire solo le grandi catene e il commercio online che possono investire somme cospicue, cannibalizzando i prodotti di qualità». Per l’Unione nazionale consumatori, invece, la difesa della lobby dei commercianti è «un autogoal» che limita le vendite e i consumi.
LE LICENZE
Esultano tassisti e ambulanti che restano senza concorrenza
I tassisti sono un’altra categoria che la premier Giorgia Meloni non vuole scontentare. Da anni si dibatte su come aumentare le corse e le licenze, magari lasciando che le grandi città italiane si affidino a nuove società come Uber, che in tutto il mondo garantiscono maggiore concorrenza e un tassametro meno salato.
L’estate scorsa la proposta di Mario Draghi di voler aprire il mercato della auto bianche fece scoppiare una rivolta nel centro di Roma, con decine e decine di tassisti che cinsero d’assedio Palazzo Chigi e le vie del centro della capitale, sfiorando lo scontro con la polizia.
Per i tassisti, nella bozza della nuova legge sulla Concorrenza non c’è nulla. C’è invece qualcosa che riguarda gli ambulanti, anche se le gare che vengono previste per evitare l’infrazione Ue fissano dei criteri a vantaggio degli attuali titolari delle concessioni. Le licenze, inoltre, potranno essere prorogate fino al termine del 2024. Le associazioni degli ambulanti hanno chiesto un incontro al ministro delle Imprese Adolfo Urso e attaccano: «Siamo allibiti, chiediamo certezza sulle concessioni, altrimenti nessuno investirà più».
LE CONCESSIONI
Rinvio del decreto sulle spiagge l’eterna resistenza dei gestori
Il Milleproroghe ha rinviato di un anno le attuali concessioni balneari (fino al 31 dicembre 2024) e ha rimandato di cinque mesi (da fine febbraio a fine luglio) il decreto legislativo che prevede la mappatura aggiornata delle concessioni.
Il pressing dell’Europa che chiede le gare è forte, la premier Meloni vorrebbe un’intesa per non andare allo scontro con Bruxelles, ma Forza Italia e Lega difendono i titolari degli stabilimenti.
Sul tavolo ci sono due ipotesi. La prima è verificare se c’è scarsità di spiagge tramite la mappatura. La tesi del centrodestra è che non ci sia scarsità del bene perché ci sono migliaia di chilometri di spiagge inutilizzate da mettere all’asta. Se così fosse la direttiva Bolkestein non si applicherebbe.
La seconda ipotesi è quella del “doppio binario”, dove tutte le concessioni in essere prima del 2009, anno di recepimento della direttiva Bolkestein in Italia, non vengono considerate, mentre per quelle successive è prevista la messa a gara.
Alla fine, gli unici delusi tra le categorie sono i benzinai, che hanno perso il braccio di ferro con la politica e dovranno esporre sui cartelloni il prezzo medio dei carburanti.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 30th, 2023 Riccardo Fucile
IL GOVERNO CHIEDE ALTRI DUE MESI DI TEMPO PER LA REVISIONE, MA C’E’ CHI LANCIA UN GRIDO DI ALLARME
Il primo obiettivo è ottenere il via libera alla seconda rata del 2022. Poi il governo Meloni cercherà di ottenere più tempo: due mesi per una completa revisione del Recovery Plan. Possibilmente, senza addossare le responsabilità al governo precedente. Perché c’è il rischio che Mario Draghi si arrabbi.
Il feeling tra l’Unione Europea e Giorgia Meloni non sembra ancora scoppiato. Anche se i suoi elettori mostrano di avere una fiducia crescente in Bruxelles. La relazione sul Pnrr arriverà ad aprile insieme al Documento di Economia e Finanza. Ma l’obiettivo dell’esecutivo è ambizioso: travasare i progetti più a rischio nei Fondi di Coesione. In modo da liberare risorse per «RepowerEu».
Ma intanto c’è chi lancia grida d’allarme. Come Carlo Luzzatto, ad dell’impresa di costruzioni Pizzarotti. Per il quale il piano è semplicemente «irrealizzabile».
Gli obiettivi e il governo
Con ordine. Come ha ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quella del Pnrr è la madre di tutte le battaglie. La spesa del piano per la ripresa dopo la pandemia è ferma. La tranche del secondo semestre dell’anno scorso vede ancora fondi non impegnati.
Il ritardo maggiore è ascrivibile al ministero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini. Per questo ci sono 19 miliardi in bilico. Bruxelles e Roma, fa sapere Repubblica, hanno concordato una seconda proroga di un mese per fare il punto. La Commissione Europea attende che il governo Meloni faccia i compiti a casa. Ma il problema è anche di prospettiva. Il ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto ha ammesso che alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 «non sono realizzabili». Mentre rispettare i tempi sulle riforme è semplice perché basta un intervento legislativo, è il ragionamento (che evidentemente non tocca i balneari), aprire i cantieri è più complicato. Ma l’Italia ci deve riuscire. Perché altrimenti poi sarebbe difficile chiedere altre risorse.
Gli ostacoli che frenano il Pnrr
Il Sole 24 Ore oggi riepiloga gli ostacoli che frenano il Pnrr. Dieci punti per dieci dossier su cui il governo si deve impegnare il prima possibile. Ovvero:
l’attuazione finanziaria: i numeri della Corte dei Conti sono impietosi, l’Italia ha speso 23 miliardi dei 120 di dotazione. Ma c’è di più: tolti i crediti d’imposta, il livello di spesa scende a 10 miliardi;
la selezione e i bandi: i ritardi ci sono negli asili nido e nelle scuole d’infanzia, e poi dalla scarsità di progetti dai comuni del Sud;
le semplificazioni: il governo ha varato il nuovo Codice degli Appalti Pubblici, ma le semplificazioni chiedono di estendere il meccanismo a tutti i fondi del Pnrr;
il personale, i concorsi, le rinunce: qui c’è un problema di partenza piuttosto difficile da superare, che riguarda i contratti a tempo determinato e i compensi troppo bassi;
i prezzi: l’inflazione ha cambiato di molto la spesa per le materie prime; naturalmente il tutto si riverbera su appalti e cantieri.
Accanto ai problemi strutturali ci sono poi quelli tecnici. Come per esempio:
il problema degli anticipi: le imprese che si aggiudicano gli appalti possono chiedere anticipi fino al 30% per la realizzazione delle opere, ma gli acconti del Mef si limitano al 10%; questo crea un problema di liquidità alle aziende;
il sistema Regis: si tratta del cervellone elettronico che dovrebbe monitorare lo stato d’attuazione del Pnrr, ma il problema è che ciascun ministero ha il suo metodo e tutto è ancora da armonizzare;
la governance: si tratta di un problema che in teoria è risolto con la regia a Palazzo Chigi e l’architettura tecnica al ministero dell’Economia; anche qui però l’attuazione è più difficile dell’annuncio;
le riforme e i problemi con la Ue: le battaglie del governo sui balneari non aiutano la concordia con l’Unione Europea;
il problema politico: sta sorgendo perché il governo continua a spingere su altri dossier (l’immigrazione). E va a saldarsi con l’ostilità dei nordici nei confronti dei latini.
Il Pnrr irrealizzabile
E qui si innesta il problema dell’irrealizzabilità di alcuni punti del Piano. Ne parla oggi l’ad di Pizzarotti Luzzatto con La Stampa. «Guardi che tutti sapevano che quei 200 miliardi da spendere erano fuori portata per l’Italia. Lo sapevano fin dall’inizio Conte, Gentiloni e lo stesso Draghi. Ciò non toglie che sia stato giusto cercare di portare a casa più risorse possibile E che si tratti di una sfida senza precedenti davanti alla quale non dobbiamo arrenderci, ma trovare una soluzione».
Per Luzzatto «il problema delle stazioni appaltanti e della macchina dello Stato è enorme, ma anche per le imprese la sfida è insostenibile a queste condizioni e con queste scadenze».
Per lui però «la Commissione deve semplicemente rendersi conto che così com’è il piano non può funzionare, al di là di tutti i problemi che l’Italia certamente ha, e che però è un’occasione storica da non sprecare. Il governo deve presentarsi con proposte il più possibile credibili per allungare i tempi o spostare le risorse subito sulle opere effettivamente realizzabili».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 30th, 2023 Riccardo Fucile
“SERVONO OPERAZIONI DI RICERCA E SOCCORSO”
L’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, ha comunicato che almeno 441 migranti hanno perso la vita del Mediterraneo centrale dall’inizio del 2023. Sul suo profilo Twitter il portavoce a Roma dell’Oim, Flavio Di Giacomo, ha aggiunto che “Un sistema di pattugliamento per operazioni di ricerca e soccorso in mare è sempre più urgente”.
In base ai dati del Viminale relativi al primo trimestre dell’anno, rilanciati dall’Agenzia Nova, la Tunisia si conferma il primo Paese di partenza delle imbarcazioni cariche di migranti che arrivano in Italia via mare. Risulta infatti che almeno 15.537 persone sono arrivate sulle coste italiane dalla Tunisia da inizio anno fino al 28 marzo, oltre 180 sbarchi al giorno, un boom del 920 per cento rispetto ai 1.525 arrivi dello stesso periodo dello scorso anno: siamo già a circa metà dei 32.101 sbarchi complessivi dalla rotta tunisina dell’intero 2022.
Inoltre, secondo le autorità di Tunisi, la Guardia costiera del Paese nordafricano ha intercettato almeno 10.200 migranti diretti verso l’Italia dall’inizio del 2023 fino al 20 marzo scorso: si tratta di circa un terzo degli oltre 30mila salvataggi di migranti in mare realizzati dai guardacoste tunisini nel corso del 2022.
La Libia è il secondo Paese di partenza, dopo la Tunisia
Accelera anche la rotta libica, al secondo posto con 10.628 arrivi al 28 marzo, comunque in aumento del 152 per cento rispetto ai 4.207 arrivi dello stesso periodo dell’anno scorso. Più della metà dei nuovi arrivi è partito dalla Cirenaica, la regione orientale della Libia guidata dal generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) .
Un trend recentemente confermato ad “Agenzia Nova” da Laurence Hart, direttore dell’ufficio di coordinamento per il Mediterraneo dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e capo missione in Italia e Malta.
“Ci sono varie motivazioni per questo aumento. Una di particolare peso e’ il fermo pesca che ha imposto il governo libico in un certo periodo dell’anno scorso. Il 99 per cento dei pescatori della Libia si sono trovati da un giorno all’altro senza lavoro e senza risorse. In piu’, gli armatori libici non hanno più avuto la possibilità di usare le loro navi, che sono state poi acquistate da trafficanti o da contrabbandieri”, ha detto Hart.
I numeri del ministero dell’Interno italiano visionati dall’agenzia evidenziano poi un calo della rotta turca, la stessa della tragedia di Cutro: 693 arrivi al 28 marzo rispetto ai 916 dello stesso periodo del 2022, un dato ancora in linea con i 16.115 sbarchi complessivi dei migranti partiti dalla Turchia lo scorso anno.
Marginale invece la rotta dell’Algeria, che ha portato in Italia almeno 199 migranti irregolari, in aumento rispetto alle 55 persone arrivate in Sardegna nello stesso periodo del 2022, a fronte di 1.389 arrivi del 2022.
Costa d’Avorio primo Paese di origine dei migranti
Secondo i dati del cruscotto statistico giornaliero pubblicato nel sito del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale, i migranti subsahariani hanno ampiamente soppiantato i nordafricani nei primi mesi del 2023. Al primo posto degli sbarchi in Italia al 29 marzo 2023 c’è infatti la Costa d’Avorio con 3.815 arrivi, mentre nello stesso periodo del 2022 c’era l’Egitto con circa 1.600 sbarchi dalla rotta libica, in particolare quella “orientale” che dalle coste di Cirenaica punta alla Sicilia.
Segue poi un altro Paese dell’Africa occidentale, la Guinea, con 3.296 arrivi al 29 marzo 2023, mentre nello stesso periodo dell’anno scorso c’era il Bangladesh con circa 1.250 sbarchi. I cittadini del Pakistan risultano oggi al terzo posto degli sbarchi irregolari in Italia, con 2.066 arrivi via mare, mentre lo scorso anno erano i migranti provenienti dalla Tunisia (918) a occupare il gradino più basso del podio.
La quota di tunisini arrivati finora in Italia è comunque raddoppiata nell’arco di un anno, con 1.859 sbarchi registrati al 29 marzo. Ma è opportuno ricordare che dalla Tunisia partono soprattutto subsahariani, solo uno su dieci è di nazionalità tunisina.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 30th, 2023 Riccardo Fucile
LA BREXIT E’ COSTATA AL REGNO UNITO IL 4% DEL PIL
A quasi sette anni dal referendum Brexit, i britannici hanno (molta) più fiducia nella Ue che nel Parlamento di Westminster o nel governo in carica a Londra.
A rivelarlo è un sondaggio del World Values Survey che indica come il sentimento positivo nei confronti delle istituzioni di Bruxelles oltremanica sia crescente negli ultimi anni, a differenza di quello verso l’esecutivo britannico (oggi guidato da Rishi Sunak) e della “culla della democrazia moderna” (come la chiamano gli inglesi), i cui indici di gradimento paiono in sensibile calo dal 2018.
Lo studio, riportato dal Guardian, fa notare che da quando il Regno Unito ha votato per la Brexit, i britannici che hanno fiducia nel Parlamento di Westminster sono crollati dal 30% al 23%, anche a causa dei recenti scandali a sfondo sessuale, mentre nel governo dal 28 al 24%.
Il gradimento nell’Ue è invece salito: dal 30% a circa il 40%. E soprattutto, oggi il 49% dei britannici si dice “deluso” dal fatto che il Regno Unito abbia votato per uscire dalla Ue nel 2016, contro soltanto il 24% che invece approva quella decisione ancora oggi.
Intanto, arriva un’altra ammissione eccellente sui potenziali danni della Brexit all’economia britannica. Richard Hughes, presidente dell’Office for Budget Responsibility (una sorte di Corte dei Conti britannica ma con maggiori responsabilità rispetto a quella italiana) ha dichiarato come l’uscita dalla Ue abbia provocato una perdita di almeno il 4% per il Pil britannico
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »