Marzo 2nd, 2023 Riccardo Fucile
“FRONTEX È UN’ISTITUZIONE EUROPEA NATA A DIFESA DEI CONFINI. QUANDO È APPARSA, SI PENSÒ DI DARLE COME REFERENTE LA GUARDIA DI FINANZA, UN CORPO CHE NON SI OCCUPA DI SOCCORSO, MA DI POLIZIA. È LO SNATURAMENTO DELLA CULTURA MARINARA”
«È cambiato tutto, e in breve tempo. Un tempo andavamo a salvare la gente e potevamo vantarcene, eravamo ripagati solo da questo, adesso c’è una gravissima menomazione di chi per anni nella Guardia costiera ha svolto questo compito».
Vittorio Alessandro, ex portavoce del Comando generale della Capitaneria di Porto, ufficiale con lunga esperienza a Lampedusa, oggi fa parte del “Comitato per il diritto al soccorso”.
Cos’è cambiato e da quando?
«È cambiato da quando – diciamo dall’epoca del ministro Minniti e poi dall’avvio dei decreti sicurezza – la tendenza è stata quella di portare sul mare quello che è un problema di terra, la difesa dei confini. In mare non si fanno selezioni, in mare non si fanno attività di polizia, perché queste attività possono essere pericolose. Frontex è un’istituzione europea nata a difesa dei confini. Quando è apparsa sulla scena, si pensò di darle come referente nazionale la Guardia di finanzia, cioè un Corpo che non si occupa di soccorso, ma di polizia. È lo snaturamento della cultura marinara, per cui il soccorso recede di fronte alle esigenze di polizia. Ma la Guardia costiera ha un’altra storia…».
Possibile che la Guardia costiera non fosse al corrente fino a disastro avvenuto?
«Conoscendo non solo i metodi, i protocolli della Guardia costiera, ma anche l’impegno che versa alla causa del soccorso, mi sono fatto l’idea che non sia stata chiamata in causa. La vicenda è stata assolta da altri, con finalità che non riguardavano il soccorso. L’andazzo è questo, prevale l’idea di portare avanti un’operazione di polizia. Si è instaurata questa mentalità, che ha prodotto questo effetto e altri ne produrrà».
(da La Stampa)
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Marzo 2nd, 2023 Riccardo Fucile
“UNA NOTIZIA CON UN MINIMO DI ATTENDIBILITA’ DEVE ESSERE CONSIDERATA VERITIERA A TUTTI GLI EFFETTI”
Ecco i passaggi chiave del regolamento sui soccorsi in mare.
Si tratta di un documento redatto nel 2020 dalla Capitaneria di Porto-Guardia Costiera, entrato in vigore dal 2021: è stato voluto dalla ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli proprio per cancellare le ambiguità introdotte dal suo predecessore Matteo Salvini e dice chiaramente che le operazioni di salvataggio devono scattare alla minima segnalazione: “Quando si presume che sussista una reale situazione di pericolo per le persone, si deve adottare un criterio non restrittivo, nel senso che una notizia con un minimo di attendibilità deve essere considerata veritiera a tutti gli effetti. Alla ricezione della segnalazione l’U.C.G. deve intervenire immediatamente”.
E vengono anche specificate dettagliatamente le procedure da seguire per valutare ogni situazione.
Dopo che Frontex aveva segnalato il barcone diretto verso la costa crotonese nulla di tutto questo è stato fatto, lasciando centinaia di esseri umani in balia delle onde per cinque ore: almeno 67 persone sono morte.
(da La Repubblica)
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Marzo 2nd, 2023 Riccardo Fucile
POI UN INCONTRO PRIVATO CON LA MAMMA CHE HA PERSO ENTRAMBE LE FIGLIE… “QUI A CROTONE E’ DOVE DOBBIAMO ESSERE”
Concentrata sul dolore della vicenda. La scelta precisa di evitare passerelle, resse di telecamere, dichiarazioni tv.
“Siamo arrivati nel punto più vicino alla camera ardente, proprio per evitare sfilate. Niente passerelle, né comizi davanti a uno strazio del genere”, è il racconto all’Adnkronos di chi ha accompagnato Elly Schlein oggi a Crotone, prima uscita pubblica della segretaria Pd.
Lo scambio con il sindaco di Crotone, poi la camera ardente che ha scosso la delegazione dem arrivata con Schlein. “Appena entrati colpiva questo spazio enorme e la quantità di bare. Tante, troppe”. Comprese quelle bianche, dei piccoli vittime del naufragio.
Schlein non ha fatto dichiarazioni alla stampa ma ha parlato a lungo con una dei sopravvissuti, la mamma che ha perso entrambe le figlie, la cui storia tragica è stata raccontata dai cronisti in questi giorni. “E’ stato un momento di calore umano davanti a una persona disperata”.
Una parte della delegazione (con Schlein c’erano tra gli altri Nico Stumpo, Francesco Verducci, Nicola Irto, Vincenza Rando, Antonio Nicita) è andata poi al Cara a portare la solidarietà ai sopravvissuti.
A dare il senso politico della visita di oggi, Marco Furfaro, in predicato di diventare il vice di Schlein: “La presenza a Crotone della segretaria Elly Schlein è un messaggio importante per tutta la politica italiana. Abbiamo il dovere di praticare solidarietà e umanità e schierarci al fianco dei più fragili, a prescindere dalle loro origini. Oggi la segretaria del Pd -sottolinea – manda un messaggio preciso a nome di tutta la comunità democratica: qui a Crotone è dove dobbiamo essere”.
Intanto in Parlamento, il Pd non molla la presa sulla strage di Crotone e sull’accertamento delle responsabilità politiche. Come preannunciato ieri, la prima mossa è stata quella dell’atto di sindacato ispettivo, ovvero l’interpellanza urgente rivolta a ai ministri dell’Interno, Matteo Piantedosi, dei Trasporti, Matteo Salvini, e dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sottoscritta dalla segretaria Schlein, dalla capogruppo Debora Serracchiani e tutti i componenti dell’Ufficio di Presidenza.
Un’interpellanza in cui si chiede come funzioni la catena di comando per le attività di Gdf e Guardia Costiera, si chiede perché dopo la comunicazione di Frontex non si sia valutato “di classificare l’operazione in atto come operazione Sar, impedendo di fatto l’intervento della Guardia Costiera in tempo utile per salvare la vita dei naufraghi?”.
E quindi: “Quali responsabilità politiche e amministrative vi siano state nella gestione della catena di comando?”. Si tratta di “fatti che gettano ombre inquietanti sulla linearità della catena di comando che sarebbe stata seguita nel gestire i soccorsi tra il 25 e 26 febbraio scorso, e soprattutto sulle diverse responsabilità dei ministri coinvolti da cui dipenderebbero in ultima istanza la classificazione di un evento come ricerca e soccorso”.
(da agenzie)
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Marzo 2nd, 2023 Riccardo Fucile
AL SETACCIO AZIONI E COMUNICAZIONI DI GUARDIA COSTIERA, FRONTEX E GUARDIA DI FINANZA
La Procura di Crotone ha aperto un secondo fascicolo d’indagine sul naufragio avvenuto lo scorso fine settimana al largo della costa di Cutro, in Calabria. Distinto dal primo sul naufragio, aperto subito dopo la tragedia, questo secondo fascicolo si concentra specificamente sulle possibile carenze nella macchina dei soccorsi, su cui da giorni infuria la polemica mediatica e politica. Attualmente la procura procede a carico di ignoti e non sono noti i capi d’imputazione ipotizzati, ma i carabinieri del comando provinciale di Crotone hanno ricevuto il mandato – come riporta il Corriere della Sera – di indagare su possibili omissioni nei soccorsi. Le indagini procedono in particolare, a quanto si apprende, tramite la raccolta e il confronto delle ricostruzioni orarie e delle comunicazioni di servizio delle parti in causa: la Guardia Costiera, la Guardia di Finanza e l’agenzia europea Frontex. Gli accertamenti riguardano il periodo compreso tra la sera di sabato 25 febbraio, quando la barca dei migranti è stata avvistata per la prima volta da un aereo di ricognizione di Frontex, e l’alba di domenica 26, quando la barca si è infine schiantata contro una secca a poche centinaia di metri dalla costa calabrese, all’altezza di Steccato di Cutro.
Intanto il giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale dei minori di Catanzaro ha convalidato il fermo anche del secondo scafista che sarebbe stato al governo del barcone di migranti naufragato. Si tratta di un giovane di appena 17 anni, di nazionalità pakistana, per il quale il gip Garcea ha disposto l’invio in un istituto di pena minorile, avendone riconosciuto il ruolo determinante svolto prima come organizzatore del viaggio dei migranti e poi durante la navigazione. Ieri il gip di Crotone Michele Ciociola aveva convalidato il fermo di un altro scafista pakistano, Arslan Khalid, 25 anni, mentre un terzo scafista turco, Sami Fuat, di 50 anni, non è stato ancora interrogato in quanto sottoposto a quarantena per aver contratto il Covid-19.
(da agenzie)
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Marzo 2nd, 2023 Riccardo Fucile
TUTTE LE ACCUSE DELLA PROCURA SUI MORTI DI BERGAMO: “SI SAREBBERO POTUTE EVITARE 4.000 VITTIME”
«Di fronte alle migliaia di morti e le consulenze che ci dicono che questi potevano essere eventualmente evitati, non potevamo chiudere con una archiviazione». A parlare è Il procuratore della Repubblica di Bergamo, Antonio Chiappani: l’inchiesta sulla gestione Covid dei primi mesi nella provincia più martoriata d’Italia si è conclusa con un’accusa gravissime a carico dei massimi esponenti politici nazionali e regionali per le vittime della prima ondata di Covid nel marzo 2020. L’avviso di conclusione delle indagini notificato è stato notificato a 17 persone tra cui l’ex premier Giuseppe Conte, l’allora ministro della Salute Roberto Speranza, il governatore della Lombardia Attilio Fontana e il suo ex assessore Giulio Gallera: tutti accusati di aver «cagionato per colpa» la morte. Misure non adottate per tempo, restrizioni arrivate troppo tardi rispetto alla folle corsa del virus nei primi mesi di pandemia. «Con un decreto del 23 febbraio 2020 era stata richiamata la legislazione sanitaria precedente, per cui nel caso di urgenza c’era la possibilità sia a livello regionale sia anche a livello locale di fare atti contingibili e urgenti, cioè di chiudere determinate zone», spiega Chiappani. «C’era questa possibilità e poteva essere fatto proprio in virtù di questo diretto richiamo». Elementi che si aggiungono al mancato aggiornamento del piano pandemico italiano e che insieme ricostruiscono un quadro di inadempienze fatali. «Il nostro problema è stato sì quello del mancato aggiornamento del piano pandemico, e questo riguardava un lato ministeriale, ma anche la mancata attuazione di quegli accorgimenti preventivi che già erano previsti nel piano antinfluenzale comunque risalente al 2006».
Gli indagati
Oltre ai nomi influenti legati al governo di quei tempi, e quindi l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della salute Speranza, il governatore lombardo Attilio Fontana e l’assessore regionale alla Salute Giulio Gallera, le 35 pagine di avviso coinvolgono nelle accuse anche i componenti del Comitato tecnico scientifico tra cui il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, l’ex coordinatore del Cts Agostino Miozzo, l’allora capo della protezione civile Angelo Borrelli, il presidente del consiglio Superiore di sanità, il bergamasco Franco Locatelli, l’allora direttore dello “Spallanzani” Giuseppe Ippolito. Nel focus della provincia più colpita d’Italia, i nomi citati si riferiscono anche a importanti esponenti della sanità locale e lombarda: come il direttore generale dell’Ats Bergamo Massimo Giupponi, il direttore generale dell’Asst Bergamo Est Francesco Locati e l’ex direttore sanitario Roberto Cosentina dai quali dipende l’ospedale di Alzano Lombardo, un comune che sarà centrale in molte delle accuse spiegate dalla procura di Bergamo.
Il mancato aggiornamento dei protocolli e la sottovalutazione degli allarmi dell’Oms
Nella conclusione delle indagini, durate ormai quasi tre anni, la Procura di Bergamo parla di «gravi omissioni» e di «un’errata gestione dei primi due mesi di pandemia», quando i dirigenti del Ministero della Salute, della Regione Lombardia e della autorità sanitarie locali avrebbero sottovalutato il rischio Covid. E questo, nonostante ci fossero, secondo il parere di chi indaga, strumenti ed elementi per evitare o quantomeno limitare l’enorme diffusione del virus. Tra le principali criticità riscontrate dai pm di cui sono ritenuti responsabili anche Silvio Brusaferro, Giulio Gallera e Angelo Borrelli c’è:
la mancata adozione e il mancato aggiornamento dei protocolli già utilizzati nel 2002 e nel 2012 per contrastare prima la Sars e poi la Mers;
la mancata applicazione delle fasi 1-2-3 del piano pandemico del 2006;
la scelta di non applicare, nonostante le raccomandazioni dell’Oms, il piano pandemico nazionale antinfluenzale per farne uno nuovo sulla base delle esigenze emergenziali.
La mancata sorveglianza sui voli indiretti e l’assenza di dispositivi per operatori sanitari
L’ex capo della Protezione civile e il presidente dell’Istituto superiore di sanità, tra gli altri, sono accusati della mancata attuazione di protocolli di sorveglianza per i viaggiatori provenienti da aree affette con riguardo ai voli indiretti, limitando la sorveglianza solo ai voli diretti per l’Italia; nonché della mancata verifica sulla dotazione di mascherine, guanti, sovrascarpe e tute per tutti gli operatori sanitari. «Inoltrando solo il 4 febbraio 2020 specifica richiesta alle Regioni, non provvedendo tempestivamente all’approvvigionamento alla luce dell’insufficienza delle scorte», nonostante il Piano Nazionale di Preparazione e risposta per una pandemia influenzale del 9 febbraio del 2006 raccomandasse già nella fase interpandemica «l’approvvigionamento di DPI per il personale sanitario, e il censimento di una riserva nazionale di antivirali, antibiotici, kit diagnostici altri supporti tecnici per un rapido impiego nella prima fase emergenziale».
L’indicazione sui tamponi asintomatici e i disservizi dei numeri d’emergenza
Le accuse continuano con le disposizioni ministeriali che avrebbero fatto perdere tempo e ridotto l’incisività nel contrasto alla pandemia, come l’iniziale indicazione a non eseguire i tamponi agli asintomatici, la mancata predisposizione di un modello informatico per consentire alle Regioni di inviare i dati sui positivi; i ritardi e i disservizi del numero verde centralizzato 1500, i ritardi nell’attivare una piattaforma per il caricamento dei dati finalizzati alla sorveglianza epidemiologica, utile a comprendere la crescita esponenziale del contagio.
Le riunioni del Comitato Tecnico Scientifico che ignorarono la tragedia della Val Seriana
Nessuno, poi, avrebbe tenuto conto delle proiezioni dell’Istituto Kessler di Trento, secondo il quale in Bergamasca il contagio era fuori controllo e si sarebbero dovute attivare misure di contenimento almeno a partire dal 26 febbraio. A questo proposito il riferimento è anche alla mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana, per la quale dovranno rispondere non solo Conte e il presidente Fontana ma anche diversi membri del Comitato tecnico scientifico come Agostino Mozzo, lo stesso Brusaferro, l’ex capo della prevenzione del Ministero della salute D’amario, l’ex segretario generale Ruocco e l’attuale responsabile delle malattie infettive Maraglino. Secondo l’ipotesi dei pm di Bergamo la zona rossa a Nembro e Alzano avrebbe potuto risparmiare migliaia di morti: se fosse stata istituita il 27 febbraio, le vittime in meno sarebbero state 4.148; al 3 marzo 2.659. Nella riunione del 26 febbraio il Comitato tecnico scientifico secondo gli atti ha ritenuto «non sussistenti le condizioni per l’estensione a ulteriori aree della Regione, nella zona della Val Seriana, tra i quali i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, della zona di contenimento già istituita in Lombardia dal DPCM DEL 23 febbraio».
Una decisione presa nonostante durante l’incontro i membri avessero preso atto di come «i casi positivi al Coronavirus in Italia provenissero da aree della regione Lombardia diverse dalla zona rossa» fino a quel momento istituite. Stessa cosa succederà nella riunione del 28 febbraio, quando ai membri del Cts viene notificato un rapporto aggiornato dei casi registrati a quella data in Lombardia pari a 401, con aumento giornaliero di circa il 30% negli ultimi 5 giorni. Nessun parere espresso fino al 28 febbraio, quando il Comitato «si limiterà a proporre esclusivamente misure integrative» quali la sospensione degli eventi sportivi, la chiusura dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole, «senza invece proporre l’estensione per la zona rossa», nonostante a quella data il Cts fosse a conoscenza del numero di casi (351) registrati fino a quel momento in Lombardia e del relativo incremento nei giorni precedenti.
L’accusa sostiene che il Comitato avesse tutti i dati «per stabilire che in Lombardia si sarebbero raggiunti i 1000 casi dopo solo 8 giorni dall’accertamento del primo contagio» e che per questo fosse necessario anche ad altre zone le misure di distanziamento sociale da zona rossa. Parere che sarà lo stesso anche nella riunione del 29 febbraio. Valutazioni secondo chi indaga negligenti che avrebbero così lasciato il via libera a un contagio galoppante di 4.148 persone, «pari al numero dei decessi in meno che si sarebbero verificati in provincia di Bergamo, di cui 55 a Nembro e 108 ad Alzano Lombardo».
(da Open)
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Marzo 2nd, 2023 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL POLITOLOGO IGNAZI
Elly Schlein, all’età di 37 anni, si trova alla guida del primo partito di opposizione italiano. «Partito che non ha mai smesso di essere il perno del centrosinistra, è ridicolo pensare che avesse abdicato in favore dei grillini», sostiene Piero Ignazi.
«In confronto, Movimento 5 stelle e Terzo polo sono partiti di pasta frolla». Per il politologo, esperto in politica comparata, «all’organizzazione e alla capillarità territoriale, adesso, si aggiungono una leadership e una linea politica chiare», che renderanno il Partito democratico ancora più centrale nel contrasto al governo Meloni. «Giuseppe Conte e Carlo Calenda dovranno adeguarsi, inseguire un Pd che è tornato a dare la carte del mazzo delle opposizioni». Merito, secondo Ignazi, di una certa radicalità delle posizioni di Schlein, che porterà il centrosinistra fuori «da una specie di melassa indefinita, che ha fatto le sfortune del Partito democratico».
Professore, la vittoria di Schlein non era stata prevista dai sondaggisti. Qual è stato lo snodo che ha fatto cambiare passo alla sfidante di Stefano Bonaccini?
«Con tutto il rispetto per i sondaggisti, se non vengono utilizzati campioni mostruosi è estremamente difficile avvicinarsi alla realtà con gli strumenti dei classici sondaggi. Comunque, la differenza nel numero di partecipanti tra la consultazione nei circoli, nella prima fase, e il voto aperto ai gazebo contribuisce a spiegare molte delle ragioni. C’è stata una mobilitazione di persone a sostegno della Schlein che non sono parte integrate del Pd. Lo dicono anche le prime ricerche fatte per analizzare le primarie: una quota rilevante di chi ha votato Schlein non è iscritta al Pd. Non si può dire lo stesso per Bonaccini».
Eppure Bonaccini aveva dalla sua parte l’apparato del partito.
«Non lo definirei apparato: i partiti di oggi sembrano degli scheletri rispetto alle strutture imponenti che avevano un tempo. Il progetto di Schlein era più “mobilitante” rispetto a quello di Bonaccini. La figura del presidente dell’Emilia-Romagna è stata considerata dai più alla stregua di “un usato sicuro”. Per gli elettori, invece, era necessario un cambio di passo: la continuità con il passato non è stata ritenuta utile a risalire la china dove è caduto il Pd. La figura di Schlein, invece, è stata percepita come estremamente più nuova e innovativa. C’è stato processo di identificazione con lei e il suo progetto politico».
C’è anche un tema di polarizzazione dell’elettorato che, nell’ultimo decennio, ha dimostrato di propendere verso gli estremi della proposta politica?
«Finalmente si scopre un po’ di acqua calda. E non è una questione di ultimi anni, è un processo in atto da mezzo secolo. L’idea tipica degli anni ’50 e inizi ’60 che si vinceva al centro, con politiche più moderate, è tramontata da molto tempo. La realtà è che le elezioni si vincono se si presentano posizioni nette, precise, con un buon tasso di radicalità nell’agenda politica. Inoltre, consideri che non esiste un passaggio di consenso da centrodestra e centrosinistra. L’elettorato non si muove da uno schieramento ideologico a un altro. Chi vince lo fa perché pesca nell’astensione della propria area di riferimento».
Ha parlato di radicalità: vede delle assonanze con la parabola di Giorgia Meloni?
«La radicalità ha certamente favorito Meloni nell’imporsi alle scorse elezioni. Il caso di Schlein, però, è molto diverso: parliamo di una candidata che non si presentava in continuità con il partito che stava provando a scalare. Un partito che era qualcosa di indefinito: l’affermazione di Schlein restituisce al Pd un collocamento chiaro a sinistra. Capisco che chi proviene da un passato centrista, adesso, possa sentirsi in difficoltà».
Torno a utilizzare il termine apparato perché, quantomeno al Sud, ci si aspettava che le diramazioni territoriali del Pd garantissero la vittoria schiacciante di Bonaccini. Invece, la Sicilia ha addirittura preferito Schlein.
«Allora le propongo un altro termine. Parliamo di reti notabilari, di reti clientelari ai cui vertici ci sono politici importanti del territorio, ma anche sindaci, assessori, consiglieri regionali. “Clientelari” senza bisogno di distribuire risorse, ma nel senso di relazioni intessute, meglio essere chiari. È vero che al Sud i partiti funzionano più così: la rete di persone che controlla le amministrazioni locali e gestisce gli interessi dei cittadini riesce ad avere più influenza. In Campania e in Puglia, infatti, c’è stato comunque un forte sostegno a Bonaccini. In Sicilia no, ma lì il Pd non è partito di governo. In Toscana, ad esempio, dove erano schierati con il governatore emiliano sia il sindaco di Firenze che il presidente di Regione, le cose sono andate diversamente rispetto al Sud. Forse perché in Toscana esiste una cultura politica profonda. Sì, questa cultura politica è diversa rispetto alle Regioni del Sud. Per chiarire meglio e sintetizzare: laddove, in regioni importanti come Campania e Puglia, il Pd è ben presente nelle amministrazioni locali, il Pd è capace di creare una rete di consenso. Questo grazie alla presenza ramificata, non tanto come partito in sé, ma in quanto partito radicato nelle istituzioni locali».
Guardando avanti, cosa succederà adesso nel campo delle opposizioni?
«Succederà che le opposizioni dovranno confrontarsi con un Pd che è il perno del centrosinistra. Lo era anche prima, ovviamente, è ridicolo pensare che avesse abdicato in favore dei grillini. Ma in generale è ridicolo pensare che i rapporti di forza cambino sulla base dei sondaggi. La forza del Pd è che governa un numero rilevante di enti locali e, ancora oggi, è il partito egemone sui territori. Stiamo parlando di un’organizzazione fortissimamente impiantata a livello locale, con centinaia di migliaia di iscritti. Non c’è paragone con gli altri partiti di opposizione che, in confronto, sono fatti di pasta frolla. A questi rapporti di forza basati sull’organizzazione e la presenza sul territorio, mancava una leadership e una linea politica chiara. Adesso che ci sono entrambe, fanno la differenza nell’equilibrio con gli altri due piccoli partner di opposizione».
La leadership di Schlein costituirà un problema più per il Terzo polo o per i 5 stelle?
«Per entrambi. Al Terzo polo si è rivolto un elettorato che era insoddisfatto di una linea politica poco chiara del Pd. Ai 5 stelle, invece, sono andati i voti di chi era insoddisfatto di un’opposizione poco grintosa dal Pd. Un male, quest’ultimo, che deriva dal disastro della partecipazione del Pd al governo Draghi, durante la quale il Pd non è riuscito a ottenere nulla».
Il Terzo polo invece sembra esultare per l’appiattimento del Pd su posizioni di sinistra.
«Sono battute che lasciano il tempo che trovano. Gli elettori moderati, quando votano, votano l’originale di centrodestra, non la fotocopia terzopolista. Anche perché non si sa bene in cosa si distinguano i centristi del Terzo polo dai componenti non arrembanti del governo attuale».
Come sarà il rapporto tra Conte e Schlein?
«Competitivo. C’è sempre una competizione tra le forze che agiscono all’interno dello stesso campo politico. Questo varrà sia per il M5s che per il Terzo polo, la competizione sarà tra tutti. Qualche collaborazione ci sarà su qualche intesa, ma Conte e Calenda dovranno adeguarsi, inseguire un Pd che è tornato a dare la carte del mazzo delle opposizioni. È finita l’epoca di un Pd in preda agli incerti. Questa nuova leadership è in grado di esprimere una linea chiara. È cambiato lo schema, e credo che gli altri partiti di opposizione l’abbiano già capito».
Invece, vede la vittoria di Schlein come un problema per la leadership di Giorgia Meloni?
«È una costruzione mediatica quella che vuole Meloni vincente anche perché è giovane e donna. Vediamo che costruzione mediatica si farà su Schlein. Ma io sono convinto che Meloni non abbia attratto i voti dei giovani perché è giovane o delle donne perché è donna. Ha attratto i voti del centrodestra, perché ha espresso un’opposizione convinta al governo Draghi. Il disastro del Pd di Enrico Letta è stato dare un sostegno a Mario Draghi al punto da dichiarare di fare propria la presunta agenda Draghi. Non ha capito nulla della direzione in cui soffiava il vento».
Sarà difficile per Schlein cambiare questi paradigmi. Il Pd è ormai caratterizzato, ad esempio, per l’invio di armi all’Ucraina. Oppure, sul reddito di cittadinanza, il Pd è a favore, ma con delle ambiguità interne. Schlein, invece, su queste posizioni è quasi più vicina ai 5 stelle.
«Il sistema di welfare deve essere un elemento caratterizzante di ogni partito di sinistra. Altrimenti, se si hanno dei dubbi sull’assistenzialismo di Stato, si fa parte dello schieramento di centrodestra. Se il Pd è membro della famiglia socialista europea, allora è meglio non annacquare l’ideologia di sinistra. Si è parlato tanto di riscoprire l’identità del Pd, in questo congresso. La condizione per riprendere vigore è la radicalità. Salario minimo? Deve essere la prima battaglia, senza le ambiguità precedenti. Il reddito di cittadinanza? Pure, è un provvedimento di welfare state che hanno tutti i Paesi europei, a dimostrazione che l’Italia è spesso capofila di cortocircuiti logico-politici. Sul reddito, il Pd ha commesso un grandissimo errore. E pensare che era stato Paolo Gentiloni a introdurre la prima forma di questo tipo in Italia, il Rei. Poi, anziché abbracciare e fare proprio il reddito di cittadinanza, il Pd l’ha criticato. Quindi sì, certamente le posizioni di Schlein faranno esprimere una maggiore radicalità al Pd. E direi anche per fortuna: porterà il centrosinistra fuori da una specie di melassa indefinita, che ha fatto le sfortune del Pd»
(da Open)
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Marzo 2nd, 2023 Riccardo Fucile
SOLO UNA VOLTA INDIVIDUATO IL NUMERO DI ASSESSORI DI FRATELLI D’ITALIA (CHE NEL LAZIO NE VORREBBE 7 SU 10), DELLA LEGA E DI FI SI PASSERÀ ALLA FASE DEI NOMI DA INSERIRE NELLE CASELLE
La partita Regionale si fa ancora più complicata: non solo è necessario decidere quanti assessorati si aggiudicherà ciascun partito di centrodestra nel Lazio, adesso i leader delle principali forze politiche mettono nel computo anche quelli da assegnare in Lombardia. Regioni gemellate dalla vittoria di Francesco Rocca da una parte e di Attilio Fontana dall’altra, lo scorso 13 febbraio.
La premier Meloni, coadiuvata dal ministro Francesco Lollobrigida, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi con il sostegno di Antonio Tajani, stanno seguendo la pratica molto attentamente e per non creare squilibri che potrebbero avere un riverbero a livello nazionale, procedono nella spartizione delle due giunte con il bilancino accanto. Solo una volta individuato il numero di assessori di FdI (che nel Lazio ne vorrebbe 7 su 10), della Lega e di FI si passerà alla fase dei nomi da inserire nelle caselle.
Il presidente Rocca a quel punto entrerà in gioco, scegliendo tra la rosa di aspiranti assessori che i partiti gli presenteranno. Intanto il governatore domani alle 11 si recherà presso la Corte d’Appello di Roma per la proclamazione e subito dopo terrà una conferenza stampa lì dove prenderà il timone ovvero presso la sede dalla presidenza della Regione in via Cristoforo Colombo.
Chi deve ancora aspettare prima di prendere posizione sono i consiglieri: ieri si è riunita nuovamente la Corte d’Appello e la decisione presa è che le nomine ufficiali slittano a lunedì prossimo. Nel frattempo, dovrà decidere se accogliere le osservazioni di Forza Italia e Lega che hanno chiesto il riconteggio dei seggi e che, se ciò avvenisse, otterrebbero un consigliere in più per ciascuno. La fiducia nel fatto che la Corte accoglierà le loro osservazioni però, è sempre più fioca.
(da “la Repubblica”)
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Marzo 2nd, 2023 Riccardo Fucile
PROBLEMI BUROCRATICI E DOGANALI HANNO RESO LE MERCI PIÙ RARE E COSTOSE… UN SONDAGGIO DEL QUOTIDIANO ‘THE INDIPENDENT’ SOSTIENE CHE CIRCA DUE TERZI DEI BRITANNICI VORREBBE RI-ANDARE A VOTARE PER RI-ENTRARE IN EUROPA
Se William Shakespeare vivesse/scrivesse nell’Inghilterra di oggi, ai nobili dubbi di Amleto avrebbe probabilmente aggiunto anche che atteggiamento avere verso ‘sta nefasta Brexit.
Il Primo Ministro, Rishi Sunak, sfidando lo zoccolo duro dei conservatori più biliosi verso l’Unione Europea (Boris Johnson, Michael Grove, Jacob Ress-Mogg, David David, Liam Fox ed altri personaggi minori) ha proposto una soluzione alla questione più intricata (e fino a qualche giorno fa apparentemente insolubile): lo status dell’Irlanda del Nord.
L’accordo, frutto di un laborioso negoziato, ha sbloccato una accesa conflittualità che durava dal giorno dopo l’infausto referendum (24 Giugno 2016). I territori dell’Irlanda appartenente al Regno Unito (con capitale Belfast) sono stati in uno stato di “irregolarità giuridico-amministrativa di carattere doganale” fin dall’applicazione dei protocolli del 31 Gennaio 2020. Il fatto è che quella che un tempo era una enclave a forte maggioranza protestante (i famosi “Orangisti”) è diventata, in maniera progressiva e irreversibile, una terra di Cattolici che vedono il ricongiungimento con la Repubblica Irlandese un bersaglio, prima o poi, inevitabile.
Di sicuro sono politicamente determinati a mantenere un legame privilegiato con i fratelli di Dublino. E’ una semplice questione demografica (i Cattolici fanno più figli e sono quindi più numerosi, il che (in un sistema democratico) comporta ovvie conseguenza elettorali. La posizione dei precedenti governi (May, Johnson, Truss) non aveva trovato un compromesso per timore di perdere consenso tra gli (ormai pochi) elettori protestanti. Il governo di Theresa May era caduto proprio su questo scoglio.
In pratica il testo adesso approvato garantisce agli abitanti dell’Irlanda del Nord un regime doganale di tipo UE (fatte salve alcune piccole eccezioni). Esattamente quello che Bruxelles aveva sempre fermamente richiesto, senza far perdere però completamente la faccia a Downing Street (si parla enfaticamente di “linee rosse” e di “linee verdi”). In realtà la cosa è arrivata a buon fine anche perchè le alte sfere della UE hanno recentemente maturato un atteggiamento più morbido e flessibile nella trattativa (le emergenze geopolitiche hanno dimostrato ancora una volta la centralità militare e strategica in Europa degli “stramaledetti Inglesi”).
Subito dopo la storica intesa, il disgelo è stato suggellato in pompa magna dall’incontro, al Castello di Windsor, tra Ursula von der Leyen e il nuovo monarca, Charles III. Forse è un caso (o forse no), ma hanno girato a lungo indiscrezioni che sostenevano che nel 2016 l’allora Principe di Galles non avesse una personale simpatia per il credo Brexista. Psicologicamente e diplomaticamente potrebbero aprirsi finalmente spazi per negoziare nuove forme di collaborazioni tra Regno Unito e Unione Europea. La lista è bella lunga: Università, Cooperazione Scientifica, Difesa, Migranti, ecc. ecc.
In verità tutti i Britannici (anche e soprattutto quelli che l’anno votata) sono delusi e scontenti dai problemi causati, direttamente e indirettamente, dalla Brexit. Molte persone anziane che l’avevano votata pensando di “limitare il numero di arabi che si aggirano nelle nostre strade” hanno capito (decisamente in ritardo) che non riguardava gli arrivi dai paesi Asiatici o Africani.
Sì, il referendum è passato curiosamente anche per questa diffusa e assurda credenza. I danni più gravi sono stati per le Università e tutto il sistema di accoglienza direttamente correlato, per la Finanza (Londra ha visto erodersi il suo primato mondiale) e per molte attività commerciali e di ristorazione che hanno perduto la preziosa manodopera europea (efficiente, gentile e a basso costo) che le rendeva molto competitive. Problemi burocratico/doganali hanno reso in generale le merci più rare e costose. Le aziende Britanniche sono di fatto penalizzate nell’esportazione. Un disastro: le promesse dei vari Farage non sono state per niente mantenute e la qualità della vita si è (inutilmente) abbassata.
Ascoltando per strada e nelle file le chiacchiere della gente si coglie un profondo scetticismo su questo sfigato “esperimento sovranista”. Un sondaggio fatto recentemente dal quotidiano The Indipendent riporta che circa 2/3 dei Britannici vorrebbe ri-andare a votare per ri-entrare in Europa. Il Times quasi quotidianamente riporta opinioni critiche o di pentimento vario suIla questione.
I politici sono intimamente altrettanto critici ma pochi hanno il coraggio di rimettere in discussione apertamente “la solenne volontà del Popolo Britannico” (che comunque, poverino, ad un certo punto potrà pur cambiare idea…). Che questo accada soprattutto tra i Conservatori non c’è da meravigliarsi, anche se quello che ha fatto Sunak in questi giorni sfrutta evidentemente proprio una certa perplessità che si fa sempre più strada anche tra la compagine di governo. La cosa forse più strana/misteriosa è il quasi-silenzio del Partito Laburista sul tema: fin dall’inizio i quadri dirigenti hanno avuto un atteggiamento sostanzialmente ambiguo.
Se si voterà presto un contro-referendum è, per il momento, solo materiale per speculazioni di Fanta-Storia. Ma almeno un’inversione di tendenza ufficiale sembra apparire: meno ostilità, meno capricci imperiali, più collaborazione con il Continente.
Nel frattempo, intanto, i cittadini Europei che vivono nel Regno Unito viaggiano con le valige piene zeppe di frutta e verdura.
C’è gente che con il pretesto di passare a salutare l’anziana mamma nel Continente fa il viaggio di andata/ritorno con bagaglio quasi tutti i fine settimana (vale anche per gli orfani). I carciofi Italiani, quelli belli e buoni, sono diventati oggetti super-ambiti, degni ormai di attenzione per i celebri battitori d’asta londinesi. E una nuova tipologia si sta affacciando sul prestigioso orizzonte delle nuove professioni anglosassoni: il contrabbandiere di verdura.
(da Dagoreport)
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Marzo 2nd, 2023 Riccardo Fucile
GLI AGENTI SONO ENTRATI E HANNO PRESO I NOMI DEI RAPPRESENTANTI D’ISTITUTO… L’INTERVENTO DELLA PRESIDE A DIFESA DEGLI STUDENTI
Un’assemblea degli studenti regolarmente autorizzata è stata interrotta dalla polizia che ha preteso nomi e cognomi dei rappresentanti di istituto che la avevano organizzata. Il perché è il tema all’ordine del giorno dell’incontro: la legalizzazione della cannabis. Il come può accadere una cosa simile, invece, non ha avuto risposta: «Siamo noi a fare le domande», avrebbe risposto un agente agli studenti che chiedevano ragione di questo intervento all’interno di una struttura scolastica.
Accade all’Istituto «Majorana-Cascino» di Piazza Armerina, in provincia di Enna. Alcuni agenti del commissariato di zona hanno varcato le porte dell’aula fermando il dibattito per identificare gli organizzatori.
Ospite all’incontro c’era un dirigente dell’associazione «Meglio Legale» promotrice del referendum sulla legalizzazione della cannabis e di diversi incontri sul tema su tutto il territorio nazionale. Associazione di cui fanno parte parlamentari e medici, imprenditori e avvocati, giornalisti e semplici cittadini
«Quando gli studenti hanno chiesto il perché di quella visita della polizia, la risposta è stata “Le domande le facciamo noi”, conferma a Repubblica che ha rivelato il caso la dirigente dell’istituto superiore, Lidia Di Gangi.
La dirigente Lidia Di Gangi sta con gli studenti. «In questa vicenda la mia scuola è parte lesa», dice. «Ho chiesto ai ragazzi e ai professori presenti di raccontarmi l’accaduto e tutti mi hanno confermato l’intervento dei poliziotti durante l’assemblea».
La polizia sarebbe intervenuta su segnalazione anonima.
«Pare – prosegue la dirigente dell’istituto – sia arrivata alla questura di Enna, ma resta da capire il perché. L’assemblea era stata regolarmente autorizzata da me, così come il collegamento da remoto con l’associazione “Meglio Legale”, perché rientra in un percorso formativo che la scuola ha avviato da tempo».
(da La Stampa)
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