Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
ALLEATI CHE SI PUGNALANO ALLE SPALLE
Qualcuno ha ipotizzato che la presenza, in ritardo e centellinata, dei ministri della Lega durante le comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo, fosse un segnale lanciato da Matteo Salvini per alzare la tensione sulla partita delle nomine.
Il segretario del Carroccio non si è presentato ieri, 22 marzo, a Montecitorio. Come lui, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. «Non è stata una tattica per far valere il nostro peso in altre partite», giura una persona molto vicina a Salvini. Piuttosto, sbadataggine: «Erano concentrati sui propri impegni ministeriali».
Comunque, tutto ciò non smentisce il clima di tensione che c’è tra Lega e Fratelli d’Italia per accaparrarsi i vertici delle partecipate di Stato: soltanto che, in questa partita, le strategie sono decisamente più raffinate.
Open ha letto una carta che sta circolando negli uffici del Tesoro. Sarebbe stata preparata per alcuni uomini leghisti da consulenti esperti in materia di nomine.
Riguarda l’articolo 53 del decreto legislativo 165 del 30 marzo 2001, quello relativo a «Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi». Il documento approfondisce la norma applicandola al caso specifico dei rapporti tra Terna ed Enel, ovvero due delle grandi società partecipate per le quali il centrodestra si contende i posti di amministratore delegato. Non è un caso: oggi, l’ad di Terna – proprietaria della rete di trasmissione nazionale dell’elettricità in alta e altissima tensione – è Stefano Donnarumma.
Con una sorta di “promozione”, Meloni vorrebbe affidargli la più prestigiosa guida di Enel, lasciando ai leghisti la nomina del suo successore a Terna. Salvini e compagni non ci stanno: se Donnarumma ha fatto così bene a Terna, perché non gli lasciano continuare il suo lavoro? Un ragionamento che, però, nasconde una certezza condivisa dal Carroccio e da Forza Italia: Meloni vuole prendersi tutto e, agli alleati, non smetterebbe di far pesare che alle scorse elezioni politiche non hanno superato l’8%.
Forza Italia, per le nomine, ha schierato l’eminenza grigia per eccellenza, l’uomo che ha contribuito alle fortune romane del Cavaliere di Arcore: Gianni Letta.
Mentre nel suo ufficio in Largo del Nazareno si susseguono gli incontri, il documento che sta circolando in ambienti leghisti ha il sapore della vendetta: non è stato digerito lo stop di Fratelli d’Italia alla nomina di Paolo Scaroni. Lui, storico braccio destro di Silvio Berlusconi, era l’uomo che aveva messo d’accordo forzisti e leghisti per la designazione del vertice di Enel. Meloni, tuttavia, si sarebbe opposta al suo ritorno in Enel. E allora, se non può esserlo Scaroni, ecco la carta che punta a squalificare dalla corsa Donnarumma, voluto invece da Fratelli d’Italia.
Il documento fa leva su una presunta incompatibilità perché, tra Terna ed Enel, esiste uno stretto «rapporto di dipendenza». Che, stando a quanto scritto e «confermato da interpretazioni dell’Anac», impedirebbe il passaggio diretto di Donnarumma da una società all’altra. Nel testo, inoltre, si fa notare che Terna esercita un «potere autoritativo o negoziale» nei confronti dell’Enel, poiché è proprietaria «in regime di monopolio» della rete di trasmissione di cui si avvale l’operatore di energia elettrica. La terza condizione di incompatibilità risiederebbe nel fatto che Terna svolge la sua attività per conto della pubblica amministrazione, «sulla base di criteri e direttive determinati dall’Arera e dal Mimit».
(da Open)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
L’ITALIA DISATTENDERA’ L’IMPEGNO SOTTOSCRITTO ALLA COP26 DI GLASGOW SUI COMBUSTIBILI FOSSILI
Il governo di Giorgia Meloni si mostra ogni settimana che passa nemico della transizione ecologica. Prima si è schierato contro lo stop alle auto a combustione nel 2030, poi contro la direttiva europea sulle case green, due provvedimenti ritenuti essenziali dalla strategia europea per raggiungere la neutralità climatica, ora si rimangia gli impegni già presi in sede internazionale dall’Italia.
Nel novembre del 2021 ha Glasgow si è tenuta la Cop26, al termine della quale, non senza incertezze, l’Italia ha sottoscritto una dichiarazione assieme ad altri 33 paesi, per mettere fine ai finanziamenti pubblici ai combustibili fossili entro il 31 dicembre del 2022. Ora sappiamo che l’Italia disattenderà questo impegno: la Sace, società controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze, continuerà a finanziare all’estero progetti di estrazione di combustibili fossili almeno fino al 2028. La Sace si occupa di assicurazione al credito e alle esportazioni. E proprio intervenire sul settore assicurativo per non coprire le le operazioni di estrazione di nuovi combustibili fossili, è considerata una delle leve per fermare l’investimento in fonti di energia climalteranti.
Certo, non tutti i paesi hanno recepito la Dichiarazione sottoscritta a Glasgow alla stessa maniera. Come spiega l’associazione ReCommon “sette tra i principali paesi sostenitori dell’industria fossile attraverso soldi pubblici hanno adottato politiche che rispettano ampiamente la promessa fatta a Glasgow: Regno Unito, Francia, Canada, Finlandia, Svezia, Danimarca e Nuova Zelanda”, mentre altri hanno messo in campo “politiche deboli che lasciano ampi margini di supporto finanziario ai settori del petrolio e del gas”. Ma nessuno forse fa peggio dell’Italia.
Il punto è la scelta del governo italiano di puntare sul gas, che viene ritenuto un “combustile di transizione” verso le energie rinnovabili, con l’obiettivo di far diventare la penisola l’hub europeo del gas che arriva dall’Africa e non solo. È il cosiddetto Piano Mattei. Nel documento, che è datato gennaio 2023 ma che è stato reso pubblico solo ora, si chiarisce come “l’attuale crisi energetica” potrebbe “potenzialmente richiedere ulteriori investimenti” con l’obiettivo di “diversificare le fonti di approvvigionamento, in particolare in relazione al gas”.
Viene poi annunciato che l’azzeramento del sostegno a progetti che coinvolgono oil e gas sarà graduale, e che in ogni caso agli impegni generali si potrà derogare in caso ci siano sul piatto “progetti ritenuti strategici per l’Italia e per la sua sicurezza energetica”, e nel caso siano “in linea con il piano nazionale di decarbonizzazione del paese beneficiario e con l’obiettivo di 1,5°C dell’Accordo sul clima di Parigi”. Maglie così larghe che di fatto fanno ritirare l’impegno italiano preso a Glasgow.
Una scelta italiana che ha un impatto globale, vista che i sussidi ai fossili della Sace la collocano al primo posto in Europa e al sesto al mondo tra i finanziatori pubblici. “Tra il 2016 e il 2021, SACE ha emesso garanzie (assicurazioni sui progetti o garanzie sui prestiti per la realizzazione dei progetti) per i settori del petrolio e del gas pari a 13,7 miliardi di euro, che rappresentano una fetta importante dei cosiddetti ‘sussidi ambientalmente dannosi’ italiani”, sottolinea ancora ReCommon.
L’ultimo rapporto di sintesi dell’Ipcc dell’Onu è l’ultima chiamata per salvare le nostre società da uno sconvolgimento climatico incontrollabile. Già oggi, se fosse raggiunto l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature entro 1.5° a livello globale, i mutamenti ci consegneranno un mondo radicalmente diverso da quello che abitiamo.
Scienziati, movimenti per la giustizia climatica e lo stesso segretario generale dell’Onu António Guterres sono tutti concordi su una cosa: la prima cosa che i governi devono fare è tagliare i finanziamenti all’energia fossile. Secondo quello che l’Italia ha sottoscritto a Glasgow è già tardi per farlo.
A trent’anni dal Summit della Terra di Rio de Janeirio António Guterres si è espresso con grande chiarezza: “L’unico vero percorso verso la sicurezza energetica, la stabilità dei prezzi dell’energia elettrica, la prosperità e un pianeta vivibile sta nell’abbandono dei combustibili fossili inquinanti, in particolare il carbone, e nell’accelerazione della transizione energetica basata sulle rinnovabili”. Il sovranismo energetico del governo non ci salverà dagli effetti dei cambiamenti climatici. Come ci mostra la drammatica siccità che stiamo già affrontato.
(da Fanpage)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
L’AIA REPLICA: “BUDAPEST HA RATIFICATO IL GTRATTATO E HA L’OBBLIGO DI COOPERARE”… RIBADIAMO IL CONCETTO: L’UNGHERIA VA CACCIATA DALL’EUROPA
L’Ungheria non è nuova ai distinguo sulle responsabilità russe nella guerra in Ucraina; né sulle risposte politiche da dare all’aggressione – dagli invii di armi a Kiev alle sanzioni contro Mosca.
Ma ora la strategia della “differenziazione” del governo di Viktor Orbán si spinge oltre, sul piano del diritto internazionale. Budapest ha fatto sapere oggi infatti che non arresterebbe Vladimir Putin, dando seguito al mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale, nel caso il presidente russo dovesse mettere piede sul suo territorio nazionale.
Lo ha detto il capo di gabinetto di Orbán, Gergely Gulyás, citato dai media locali. Sebbene il governo ungherese abbia aderito alla Corte penale internazionale, ha spiegato Gulyás, il trattato «non è stato ancora promulgato poiché contrario alla Costituzione».
Il mandato di arresto, ha aggiunto il capo di gabinetto, è «infelice» perché ostacola ulteriormente la fine della guerra. Immediata la replica della Corte dell’Aia: un portavoce interpellato dall’Ansa ha smentito la narrazione del governo-Orbán, precisando che l’Ungheria «ha ratificato il trattato nel 2001 e ha l’obbligo di cooperare con la Corte nel quadro dello Statuto di Roma».
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
L’ENTUSIASMO DEI COLLEGHI EUROPEI: “E’ FANTASTICA”
A Bruxelles è il giorno dell’atteso Consiglio europeo di primavera, chiamato – oggi e domani – a prendere decisioni o dare indicazioni rilevanti su un’ampia gamma di temi: dagli acquisti comuni di armi per l’Ucraina alla riforma del Patto di stabilità, dal piano di rilancio industriale alla discussa direttiva sullo stop alle auto a motore a scoppio. Sino – spera per lo meno il governo italiano – al cruciale dossier dell’immigrazione.
Ma come da tradizione a precedere il vertice dei capi di Stato e di governo sono gli incontri preliminari tra i leader delle diverse famiglie politiche.
E a quello dei Socialisti & Democratici, il raggruppamento cui appartiene anche il Pd, è stato oggi il giorno del debutto europeo della neo-segretaria Elly Schlein. Che a Bruxelles non è certo nuova, essendo stata per un’intera legislatura (2014-2019) eurodeputata.
Ma tornarci da leader (a sorpresa) del più grande partito di opposizione in Italia ha tutto un altro sapore. E Schlein si è calata appieno nel ruolo di anti-Meloni anche su scala europea.
Attaccando in particolare la rigidità sul tema del governo dopo il naufragio di Cutro, ma anche le sue difficoltà a far procedere in sede di Consiglio europeo iniziative concrete sul tema dell’immigrazione, belle parole a parte.
«Serve una Mare Nostrum europea, una missione comune di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo che abbia il mandato operativo di salvare le vite: di questo c’è bisogno», ha detto Schlein parlando coi cronisti dopo una serie di incontri politici. «Nella bozza del Consiglio europeo ci sono solo poche righe sulle migrazioni: ma questa destra dov’era quando si è cercato di riformare l’accordo di Dublino? Io non li ho visti. Oggi cercano di rivendicare la centralità del tema migratorio con tre righe che non vogliono dire nulla», ha continuato Schlein.
Incontri e apprezzamenti
La neo-segretaria del Pd ha partecipato al pre-vertice della famiglia socialista a fianco – tra gli altri – del cancelliere tedesco Olaf Scholz, del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez e della premier finlandese Sanna Marin. Ma ha anche avuto incontri in Commissione europea, nel corso dei quali ha potuto chiarire le sue posizioni sui grandi dossier di politica economica all’ordine del giorno. Schlein ha detto in particolare di volere che il Next Generation EU diventi «uno strumento permanente e strutturale». E quanto al nuovo Patto di stabilità, di augurarsi che esso prevedrà «l’introduzione di una maggiore flessibilità», poiché sarebbe «assurdo tornare indietro» alla situazione pre-pandemia.
Il tour brussellese – secondo le dichiarazioni seguite – è valso alla segretaria Pd grande approvazione da parte di alcuni “pesi massimi” delle istituzioni Ue.
«Schlein? È fantastica. La nostra famiglia politica ha guadagnato una grande leader che può aiutarci a combattere per un’Europa più giusta e più donna», ha detto all’Ansa la capogruppo dei Socialisti e Democratici (S&D), Iratxe García Perez.
«Ho apprezzato molto i contenuti, l’energia e la visione di Schlein. Sono fiducioso che darà al Partito Democratico nuova forza e un contributo solido ai progressisti europei», le ha fatto eco il commissario Ue al Lavoro, Nicolas Schmit.
E felice di ritrovare la giovane collega di partito si è detto il vicepresidente italiano della Commissione Paolo Gentiloni: «Grande piacere incontrare Elly Schlein a Bruxelles. Abbiamo discusso delle sfide economiche e dei maggiori temi di attualità», ha twittato l’ex premier, condividendo due foto in compagnia della “sua” segretaria.
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
IERI AD ARCORE BERLUSCONI HA ATTOVAGLIATO I CINQUE PRESIDENTI DI REGIONE ESPRESSIONE DEL PARTITO AZZURRO, CHE SONO DECISI A SQUADERNARE TUTTE LE LORO PERPLESSITÀ SUL DISEGNO DI LEGGE CALDEROLI
Assicurare la «parità dei punti di partenza» tra le Regioni. E quindi, per prima cosa, dire addio al criterio della spesa storica, che avvantaggia il Nord e danneggia Sud. E soprattutto finanziare i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite a tutti i cittadini italiani, a prescindere dalla zona in cui vivono.
«Altrimenti è una presa in giro, e Forza Italia non ci sta». Una nuova tegola rischia di abbattersi sul discusso progetto caro alla Lega dell’autonomia differenziata. L’altolà, questa volta, arriva da Arcore. Dove ieri, nella grande sala da pranzo della villa di Silvio Berlusconi, si sono attovagliati i cinque presidenti di Regione espressione del partito azzurro.
Decisi (quelli del Sud in primis) a squadernare tutte le loro perplessità sul disegno di legge targato Roberto Calderoli, approvato una settimana fa dal Consiglio dei ministri. Una riforma che rischia, secondo molti osservatori, di accrescere le diseguaglianze tra le aree più ricche del Paese e quelle meno sviluppate.
Il Cavaliere ha ascoltato con attenzione. E annuendo di tanto in tanto, ha condiviso quelle preoccupazioni. Rassicurando tutti i presenti sulla posizione che Forza Italia terrà in parlamento, dove il ddl approderà a stretto giro. «Prima vanno finanziati i Lep, superando la spesa storica e garantendo una vera perequazione tra Nord e Sud», è la linea. «Poi, si può approvare la legge».
Non un distinguo da poco, se si considera che il ddl era passato in Cdm senza particolari scossoni soltanto giovedì scorso […]. E che finanziare i livelli essenziali delle prestazioni e non soltanto «definirli», come prevedeva il progetto del ministro degli Affari regionali non è un’operazione a costo zero: le stime indicano in almeno 4-5 miliardi all’anno i fondi necessari per colmare i divari Nord-Sud su scuola, sanità, infrastrutture (ma c’è chi, come il governatore pugliese Michele Emiliano, parla di 60 miliardi).
E se i fondi non verranno stanziati? «Chiederemo che lo siano», tagliano corto gli uomini più vicini al Cav. Secondo i quali, la linea del partito non è cambiata. I toni, però, sì. Molto più perentori rispetto al passato.
Ospiti del Cav e della compagna Marta Fascina, i presidenti Alberto Cirio (Piemonte), Donato Toma (Molise), Vito Bardi (Basilicata), Roberto Occhiuto (Calabria) e Renato Schifani (Sicilia). Ma dopo l’aperitivo di benvenuto, uno dei piatti principali sul menù (insieme a gnocchetti, spaghetti alla chitarra, roast-beef e cassata siciliana per dessert) ha finito per essere proprio quello dell’autonomia. «Nessuno vuol sottrarsi alle proprie responsabilità», la linea “aperturista” di Occhiuto. «Purché il Sud sia messo in condizione di partire alla pari con il Nord». Tradotto: purché si finanzino i Lep.
(da Il Messaggero)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
SU 221 MILIARDI MESSI SUL TAVOLO DA BRUXELLES, OGGI È STATO SPESO SOLO IL 27,9% DEL TOTALE: BISOGNA ARRIVARE ALMENO AL 39% (ALL’APPELLO MANCANO DUNQUE 25,7 MILIARDI)
Mentre l’Italia è in attesa dell’esito dell’ultima richiesta di finanziamento, inviata alla Commissione europea il 30 dicembre, insieme alla documentazione che dovrebbe provare il raggiungimento delle 55 scadenze previste per il secondo semestre del 2022 (in ballo c’è una nuova rata da 19 miliardi di euro di fondi), il Pnrr nei primi mesi dell’anno segna un netto rallentamento. E soprattutto non decollano gli investimenti, anzi.
Secondo l’ultima verifica effettuata lo scorso 16 marzo da un soggetto indipendente, la Fondazione Openpolis, […] delle 12 scadenze previste per il primo trimestre del 2023 solo tre risultano infatti «a buon punto», mentre altre 9 sono definite «in corso» e quindi, specifica l’ultimo report di Openpolis, «sono lontane dall’essere conseguite». A questo si aggiunge che rispetto al secondo semestre 2022 su 55 adempimenti, 12 non risulterebbero conseguiti (uno del terzo trimestre e 11 del quarto) e questo, salvo i chiarimenti che Roma ha fornito a Bruxelles, rende problematico il via libera della Commissione atteso entro la fine di questo mese.
Emerge che mentre le riforme scontano un lieve ritardo rispetto ai programmi (siamo a 66,84% di quanto previsto contro il 74,38% che andrebbe completato a fine mese) sono gli investimenti a segnare il passo: su un totale di 221,5 miliardi messi sul tavolo, a ieri la spesa aveva infatti toccato quota 27,9% del totale contro il 39,5% che andrebbe realizzato entro il 31 marzo, ovvero fra una settimana. In pratica 61,81 miliardi anziché 87,51: all’appello ne mancano dunque ben 25,7.
Stentano gli investimenti in infrastrutture, vanno male i piani per la logistica, le rinnovabili ed il lavoro, e malissimo quelli legati al trasporto pubblico locale e mobilità dolce, scuola e università e inclusione. Bene solo la giustizia.
Ma se si arriva tardi con gli impegni del primo trimestre, viene segnalato, sarà ancora più difficile poi completare il programma del secondo trimestre che va da aprile a giugno quando ci saranno altre 15 scadenze da raggiungere per poter richiedere una nuova rata di fondi pari a 18,4 miliardi (16 al netto della restituzione di una quota di anticipo).
In base all’«Indicatore originale Openpolis» che monitora l’implementazione del Pnrr giunti a questo punto si può dire che è stato completato il 66,84% delle riforme (mentre a fine trimestre si dovrà arrivare al 74,38%). Più lenta, come è noto, la messa a terra degli investimenti con una percentuale di completamento ferma al 27,9% contro il 39,5% programmato entro il 31 marzo.
In particolare, per quanto riguarda le infrastrutture, che nel complesso pesano per il 30,65% del Pnrr (68,07 miliardi di fondi) gli investimenti hanno raggiunto quota 23,81% contro il 32,02% previsto nel trimestre e in questo campo le Ferrovie hanno speso l’11,52% delle risorse loro assegnate (27,26 miliardi) contro il 15,57% del target trimestrale, «Tpl e mobilità dolce» il 3,29% contro il 6,37%, interventi sul patrimonio edilizio arrivano al 43,35% (contro il 56,12%), mentre la «Logistica» è al 20,15% contro il 32,46%.
Per la «Transizione ecologica», 34,64 miliardi a disposizione, è stato speso il 18,76% e in 8 giorni dovrebbe arrivare al 28,22%, con gli investimenti in rinnovabili (8,94 miliardi a disposizione), al 13,47% ben lontano dal 26% di fine mese) e i piani per la tutela del territorio (9,15 miliardi) al 17,68% (25,53%).
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO TOSCANO, “MINNIE” PER GLI AMICI, SI ERA RITAGLIATO UN RUOLO DI PRIMO PIANO NEL PARTITO… ORA NESSUNO LO CALCOLA PIÙ COME UN TEMPO. E LA SUA COMPONENTE IN REGIONE PERDE PEZZI
È dalla frequenza con cui un politico è sulla bocca di tutti, che si capisce quanto comanda. E, da quel che si apprende, nessuno ormai più parla di Giovanni “Minnie” Donzelli, il braccio destro del presidente Giorgia Meloni al quale sta per essere affibbiato il prefisso ‘ex’ all’aggettivo potente
Già, perché dopo la catastrofe in aula sulla vicenda Cospito, che lo ha obbligato a un purgatorio di settimane e lontananza dalla tv, la sua componente nel Lazio, e a Roma, si sta sfaldando a tutto vantaggio delle due correnti maggioritarie che si spartiscono consiglieri, nomine e territori.
Donzelli è toscano e ha ereditato quello che una volta era il feudo dell’ex ministro Altero Matteoli, scomparso in un tragico incidente.
Diventato parlamentare di Fratelli d’Italia, e poi responsabile dell’organizzazione di Fdi, il fiorentino ha colonizzato Roma sfidando l’egemonia pluridecennale dei Gabbiani, capeggiati dal vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, e la sua alternativa, guidata dal ‘cognato d’Italia’ Francesco Lollobrigida.
A Roma Donzelli conta – anzi contava – tra le proprie fila il ministro alla Cultura Gennaro Sangiuliano, il deputato Roscani e l’ex senatore Domenico Gramazio, chiamato ‘il Pinguino’ per via delle braccia (non proprio alla Celentano), ex ras della sanità laziale ai tempi di Storace Governatore.
L’ultimo comunicato di Gramazio la dice lunga sul senso di frustrazione che prova nel non toccare palla: «Confidiamo nel presidente Rocca per far sì che siano evitate conferme e salvataggi di dirigenti alla guida delle Asl ». Nel Lazio, campo di contesa tra i ‘gabbiani’ e “lolliani”, è difficile per Donzelli e i suoi poter ottenere qualcosa, mentre a livello nazionale la decisione di ‘Io so’ Giorgia’ di affidarsi a società di cacciatori di teste esterne sta a indicare chiaramente la scarsezza di manager di area.
Per Donzelli niente da fare: se stai fuori dai giochi stai fuori dal potere e viceversa. Nel frattempo, si vede sempre più spesso nel palazzo della presidenza della Giunta del Lazio la Sorella d’Italia, Arianna, che dal partito, in via della Scrofa, non fa più fa tappa alla Camera, dove prima andava spesso: ora va diretta a via Cristoforo Colombo, dove s’intrattiene, spesso ricevendo confidenze dai nuovi capi e desiderata degli aspiranti tali.
(da Dagoreport)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
IL MOTIVO LO SPIEGANO I DIPENDENTI: “C’È QUALCUNO CHE LO PERMETTE…” CHI? FUORI I NOMI!.. IL MINISTRO GIORGETTI NON HA NULLA DA DIRE?
A distanza di giorni dall’aggressione con minacce a Jimmy Ghione e nonostante i provvedimenti promessi dal capo settore Comunicazione dell’Agenzia delle Entrate Sergio Mazzei, il bar che non fa gli scontrini all’interno dell’Agenzia Eur 6 – Roma (zona Torrino) sembrerebbe ancora aperto.
Di sicuro è “regolarmente” al suo posto il barista-aggressore, che stavolta chiude con violenza una finestra in faccia all’inviato di Striscia. Questa sera a Striscia la notizia (Canale 5, ore 20.35), Jimmy Ghione torna a Roma per cercare risposte ai molti interrogativi ancora in sospeso: quanti soldi sono stati evasi dal 2018, anno in cui il tg satirico ha realizzato il primo servizio sul caso? Come è possibile che un bar dentro l’Agenzia delle Entrate non emetta scontrino e che alcuni dipendenti nemmeno lo chiedano?
«Evidentemente c’è qualcuno che lo permette…», la risposta di uno degli unici dipendenti che ha voluto fermarsi con Ghione, mentre la maggior parte ha preferito anche stavolta tirare dritto ed entrare nella palazzina, il cui ingresso è stato nuovamente vietato all’inviato di Striscia. Ghione continuerà a indagare sulla vicenda.
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
SIAMO RIUSCITI A FARE SCAPPARE UN SOGGETTO CHE RISCHIA 30 ANNI DI GALERA, PROTETTO DAL CREMLINO
Il figlio del governatore della regione siberiana Krasnoyarsk, Artem Uss, è evaso dai domiciliari dopo aver rotto il braccialetto elettronico. L’imprenditore russo era stato fermato il 17 ottobre 2022, su mandato d’arresto internazionale dell’autorità giudiziaria di New York. Due giorni fa, la Corte d’Appello di Milano aveva concesso l’estradizione negli Stati Uniti.
Uss era in attesa di impugnare il provvedimento dei giudici, quando ieri pomeriggio, 22 marzo, è scomparso dall’abitazione nel Milanese dove stava scontando i domiciliari.
L’imprenditore 40enne era stato arrestato lo scorso 17 ottobre all’aeroporto di Malpensa, mentre si stava imbarcando su un volo diretto a Istanbul. Il suo nome è compreso tra le cinque persone incriminate dalla giustizia statunitense perché ritenute colpevoli di aver venduto tecnologie americane alla Russia.
Di queste, secondo Washington, alcune sarebbero usate nel conflitto in Ucraina. Come, per esempio, semiconduttori avanzati e microprocessori usati in aerei da combattimento. Ma anche sistemi missilistici, munizioni intelligenti, radar e satelliti.
Uss, inoltre, è accusato di aver contrabbandato petrolio dal Venezuela verso Cina e Russia, eludendo così le sanzioni, e anche di frode bancaria.
L’imprenditore si è sempre dichiarato innocente e chiesto l’estradizione in Russia. Se processato negli Usa, infatti, rischierebbe 30 anni di carcere. Il suo arresto era stato condannato anche da Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino: “Faremo tutto il possibile per difendere i connazionali”, aveva detto all’indomani dell’arresto.
(da agenzie)
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