Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
CENTINAIA DI MIGLIAIA IN PIAZZA A PARIGI, MA LE PERCENTUALI DEGLI SCIOPERANTI NELLE VARIE CATEGORIE PRODUTTIVE NON SUPERANO IL 20%
Quelle di oggi sono per i sindacati francesi le prime manifestazioni massicce da quando il presidente Emmanuel Macron ha forzato il passaggio in Parlamento dell’innalzamento dell’età pensionabile senza un voto, applicando l’articolo 49.3 della Costituzione.
Poco prima della partenza del corteo, Laurent Berger, il segretario generale della Cfdt, Confederazione francese democratica del lavoro, uno dei più grandi sindacati nazionali francesi, ha lanciato un appello «al rispetto dei beni e delle persone, alla non-violenza».
Manifestanti anti riforma delle pensioni del sindacato Cgt di Roissy Charles de Gaulle, principale aeroporto di Parigi, hanno bloccato l’autostrada A1 che porta al terminal 1 dello scalo. Code interminabili di auto e taxi sono ferme in attesa di uno sblocco, mentre file di viaggiatori sono costretti a camminare a piedi ai bordi dell’autostrada per raggiungere il loro terminal.
Nelle scuole sta scioperando, secondo i dati del ministero dell’Istruzione, il 21,4% degli insegnanti.
Nell’ovest del Paese cominciano a registrarsi carenze di carburante dopo i blocchi delle raffinerie attuati nei giorni scorsi. Intanto l’Aviazione Civile chiede alle compagnie aeree di cancellare il 30% dei voli a Orly domani (venerdì) e il 20% in altri aeroporti a causa dello sciopero dei controllori di volo contro questa riforma.
Gli aeroporti interessati dalla cancellazione di un volo su cinque saranno Marsiglia-Provenza, Bordeaux-Merignac e Lione-Saint-Exupery, sia venerdì che sabato, ha dichiarato la DGAC in un comunicato. A Orly, la situazione migliorerà sabato per i viaggiatori con il 15% dei voli cancellati.
I cortei nella capitale
La manifestazione parigina contro la riforma delle pensioni ha preso il via da place de la Bastille e a Republique, poco prima dell’arrivo del corteo, si sono verificate delle prime tensioni. Gli agenti delle forze dell’ordine, riferisce Le Figaro, sono stati bersagliati con il lancio di oggetti e hanno risposto con gas lacrimogeni. Proprio per evitare disordini, sono stati circa duemila i controlli effettuati prima del corteo per cercare di individuare eventuali problemi durante la marcia e ci sono stati 5 fermi.
Secondo i sindacati, in piazza nella capitale francese ci sono circa 800 mila persone. Atti vandalici contro beni pubblici sono stati registrati sia a Parigi che in altre località francesi. Nel corso degli scontri di Parigi un poliziotto è stato colpito alla testa da un sampietrino. Lo riporta BfmTv.
La prefettura di polizia, citata da Le Figaro, riferisce di circa un migliaio di black bloc al corteo. Anche l’emittente Bfmtv, citando informazioni proprie, riferisce della presenza di circa mille black bloc al corteo e aggiunge che gli agenti intervengono e portano avanti cariche per provare a disperderli.
Secondo la ricostruzione fornita da Le Figaro, una pioggia di pietre e altri oggetti è stata lanciata sulla polizia e gli agenti hanno risposto con numerose cariche e con l’uso di gas lacrimogeni. A margine del corteo, riferisce ancora Bfmtv, dei manifestanti hanno acceso fuochi d’artificio all’altezza di Grands Boulevards: secondo l’emittente, la maggior parte è esplosa in aria, ma alcuni vengono diretti verso gli agenti.
Sono almeno 26 gli arresti compiuti fino al tardo pomeriggio a Parigi dalle forze dell’ordine durante i disordini e gli scontri a margine della manifestazione di protesta contro la riforma delle pensioni. Le forze dell’ordine hanno separato i partecipanti alla manifestazione sindacale dagli elementi più violenti presenti in testa al corteo.
Adesione allo sciopero
Per quanto riguarda l’adesione allo sciopero, a metà giornata, secondo il ministero della Funzione pubblica francese, nella pubblica amministrazione statale ha aderito allo sciopero contro la riforma delle pensioni il 15,5% dei lavoratori, nella pubblica amministrazione locale il 6,5% e nella sanità pubblica l’8,1%.
La partecipazione è inferiore rispetto al 7 marzo scorso, quando le adesioni furono rispettivamente pari al 24,4%, all’11% e al 9,4%. I sindacati si riuniranno in serata per decidere una eventuale decima giornata di mobilitazione generale.
Disordini a Bordeaux
Anche a Bordeaux, dove un gruppo di facinorosi ha dato fuoco ai cassonetti e affrontato gli agenti sul corso Pasteur.
A Lorient, in Bretagna, un gruppo di manifestanti ha attaccato il commissariato e un ufficio della prefettura. Il ministro dell’Interno, Gerald Darmanin, ha reso noto che alcuni funzionari sono rimasti feriti sottolineando che «tali atti non possono restare impuniti».
Tensioni sono scoppiate tra manifestanti e polizia durante i cortei contro la riforma delle pensioni in corso nelle città francesi di Nantes e Rennes. Lo riporta Bfmtv. I manifestanti a Nantes hanno rovesciato un cassonetto del vetro da cui hanno afferrato bottiglie da lanciare contro la polizia, che ha risposto usando gas lacrimogeni per disperdere il corteo.
Nel Sud della Francia, manifestazioni anche a Nizza e Tolone, le più grandi, con circa 35 mila e 30 mila persone, oltre che a Drauguignan e Brignoles.
Incidenti anche a Le Havre, nel nord, dove sono state fermate 8 persone per danneggiamenti di arredo urbano e incendio di cassonetti e materiale pubblico. Otto fermi anche a Rouen, in Normandia, dove altre 11 persone sono state curate per ferite riportate durante gli scontri. Fra questi, una donna che lamenta l’amputazione del pollice. Feriti anche due funzionari di polizia colpiti da sassi alla testa.
L’associazione degli albergatori e ristoratori di Francia ha scritto una lettera alla premier francese, Elisabeth Borne, per lanciare un grido d’allarme sulle conseguenze degli scioperi e delle manifestazioni a ripetizione che danneggiano gravemente il settore, già duramente provato dalla pandemia e dall’inflazione con l’aumento dei costi delle materie prime.
Nella lettera si citano gli scioperi dei trasporti, le immondizie non raccolte da giorni a Parigi, i blocchi stradali come elementi che tengono lontani i turisti.
E il conto è già salato, fanno notare i rappresentanti del settore: secondo quanto riferito dal presidente dell’associazione Pascal Mousset, riferisce BFM-TV, nei ristoranti, a Parigi e nelle grandi città, il calo di attività si aggira attorno al 25%. E riguarda soprattutto i locali che sorgono in «quartieri sporchi», quelli in cui la raccolta dei rifiuti non è più effettuata, e in quelli vicini alle stazioni ferroviarie.
Per questi ultimi locali, il calo di attività aumenta al 50%. Nei quartieri del centro di Parigi, «dove ogni sera vengono dati alle fiamme i cassonetti – dice a BFM Franck Trouet, delegato generale dell’associazione – gli annullamenti di gruppi di turisti, soprattutto americani, si moltiplicano».
Peggio di tutti stanno – aggiunge – «i locali che si trovano vicini a manifestazioni violente, che sono costretti quindi a chiudere o a ridurre la loro attività, con una caduta dell’80% del fatturato». In provincia, a dissuadere il turismo sono «i blocchi stradali e il timore di una penuria di carburante alle pompe di benzina». Nell’ultima settimana il calo d’attività è stato del 40%.
(da La Stampa)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
I DEM POTREBBERO CONTARE SU UN BACINO DI 6 MILIONI DI ELETTORI… LEGA E FORZA ITALIA INSIEME VALGONO LA META’ DEI VOTI DI FDI
Un’istantanea delle preferenze politiche degli italiani se non capovolta, quanto meno fortemente mutata: lo chiamano Effetto Elly Schlein, ma qualunque sia l’espressione che si vuole affiancare alla nuova segretaria del Pd il risultato è chiaro.
A renderlo noto è l’Istituto Demopolis, con i dati del Barometro politico del mese di marzo, che non lascia dubbi: «Se si tornasse oggi alle urne, Fratelli d’Italia – con 4 punti in più rispetto al voto del 25 settembre scorso – si confermerebbe con il 30 per cento primo partito nel Paese». Ma attenzione, con una variante: l’ascesa del Partito Democratico che «torna a superare la soglia del 20 per cento e stacca di oltre 5 punti il Movimento 5 Stelle, in calo al 15 per cento».
La percentuale di crescita dei dem corrisponde a numeri che non si vedevano da tempo: si parla di 1 milione e 800 mila voti. Elly Schlein, nonostante il pesante fardello di una recente storia politica del Pd tutt’altro che rassicurante, è riuscita a «riportare la motivazione tra gli elettori del partito fondato da Veltroni, che in meno di 2 mesi ha riguadagnato oltre 5 punti, portandosi al 20,2 per cento odierno».
Il Barometro politico dell’Istituto Demopolis diretto da Pietro Vento fa molto di più e analizza, per il programma Otto e Mezzo, come si sia evoluto il consenso dal primo mese del 2023 a oggi: si è passati da una riduzione degli elettori del Pd di circa 4 milioni ad un’affluenza cresciuta del 66 per cento, grazie alla quale «il Partito Democratico potrebbe contare su quasi 6 milioni di elettori: una crescita di 1 milione e 800 mila voti in circa 50 giorni».
Il bacino dell’elettorato dem proverrebbe non tanto da nuovi elettori, quanto dagli astensionisti (circa 1 milione e 250 mila elettori) che stanno virando velocemente verso la Schlein.
Le percentuali degli altri partiti
La rilevazione mette anche in evidenza l’andamento in negativo delle altre forze politiche, nello specifico la «leggera flessione della Lega di Salvini all’8,5 per cento, di Azione al 7,3 per cento, di Forza Italia al 6,6 per cento e Sinistra-Verdi al 3 per cento».
Più che esaustive le parole del direttore di Demopolis, Pietro Vento: «L’affluenza, pur lontana dal passato torna a crescere, soprattutto grazie ad una forte motivazione al voto che si rileva in particolar modo tra quanti si riconoscono nei 2 principali partiti italiani, guidati da Giorgia Meloni e da Elly Schlein».
(da La Repubblica)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
OGGI’ SARA’ A BRUXELLES: FOCUS SU SITUAZIONE ECONOMICA, CRISI MIGRATORIA E UCRAINA
Sarà un ritorno dopo gli anni da europarlamentare ma anche un «esordio» come segretaria del Pd al summit Pse.
Elly Schlein a Bruxelles dove oggi sarà al pre-vertice dei socialisti europei in preparazione del Consiglio europeo. L’incontro avrà come focus la situazione economica, la crisi migratoria e l’Ucraina.
Temi sui quali il Pd ha espresso la sua linea anche nelle risoluzioni presentate in Parlamento per le comunicazioni della premier Giorgia Meloni.
Sui migranti si chiede che «si intraprenda ogni azione finalizzata a favorire la revisione, in tempi brevi, del Patto su migrazione e asilo» per una politica comune europea nella «gestione dei flussi migratori» ispirata «ai principi di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario».
Insieme, alla riaffermazione del «dovere di accoglienza e protezione degli esseri umani». Il Pd spinge anche sulla transizione ecologica e chiede al governo di «attivarsi affinché si affronti la transizione ad un mercato dell’auto a zero emissioni mediante l’adozione di una strategia industriale europea che preveda lo stanziamento di adeguate risorse per la riconversione».
Quindi l’Ucraina su cui si chiede una maggiore sforzo diplomatico europeo insieme alla conferma del sostegno a Kiev e «al suo diritto all’autodifesa».
Temi di cui Schlein discuterà a Bruxelles dove incontrerà, tra l’altro, il presidente del Pse l’ex premier svedese Stefan Löfven e altri leader e primi ministri socialisti. Inoltre, la segretaria Pd incontrerà il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, il commissario Paolo Gentiloni.
Sul fronte delle questioni interne al Pd e quindi degli assetti dei gruppi, in quello europeo non è esclusa la conferma dell’attuale capogruppo Brando Benifei che al congresso è stato sostenitore di Stefano Bonaccini.
Intanto sul fronte sondaggi, mentre FdI scende nei consensi (-2,5%) attestandosi al 28,6%, il Pd risale sopra il 20% il PD, allungando sul M5S, che è al 16,2%.
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
FIOCCHI HA INIZIATO A RONFARE DURANTE UN INCONTRO IN COMMISSIONE A BRUXELLES, CON LA CONFEREDAZIONE ITALIANA AGRICOLTORI
Il potere logora, anzi, stanca! Dopo il ministro della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, che ieri si è appisolato mentre la cognata Giorgia Meloni parlava di geopolitica, al Senato, un altro esponente di Fratelli d’Italia è caduto tra le braccia di Morfeo in un contesto pubblico.
Stiamo parlando di Piero Fiocchi, eurodeputato meloniano, che si è addormentato in commissione a Bruxelles, durante un incontro con la Confederazione italiana agricoltori, mentre, al suo fianco, parlava la piddina Alessandra Moretti.
Delle due l’una: o il discorso dell’avvenente eurodeputata dem era soporifero, o i Fratelli d’Italia sono sfiniti dalle ciance sulla sovranità alimentare
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
HA CHIESTO A FAZZOLARI DI “SABOTARE” ANCHE LA CANDIDATURA DI CATTANEO. SPONSORIZZATO DA SALVINI E LA RUSSA… VELENI ANCHE IN CDP SULLO STIPENDIO DEL PRESIDENTE GORNO TEMPINI
Il gioco della sedia sulle nomine di stato continua. La musica non si è ancora spenta, e a Palazzo Chigi qualcuno crede che i tempi potrebbero allungarsi rispetto a quelli ipotizzati: da fine marzo, le decisioni sui nuovi capi di Eni e delle altre partecipate potrebbero slittare alla settimana santa.
Rispetto a quanto scritto in precedenza bisogna però annotare qualche novità. Claudio Descalzi, ad di Eni e consigliere di Meloni sicuro della riconferma, per quanto riguarda la presidenza del Cane a sei zampe non solo ha detto di no a un possibile arrivo di Paolo Scaroni, ma spera che la maggioranza individui una figura non ingombrante.
I decisori hanno nella busta nomi coperti, e qualcuno pensa che dopo Lucia Calvosa possa toccare a un’altra donna. Qualcuno fa il nome del capo del Dis Elisabetta Belloni, che però non sembra affatto intenzionata a muoversi anzitempo dal coordinamento dei servizi segreti. Tanto che risulta a chi scrive che la stessa Meloni, con cui la civil servant ha ottimi rapporti, crede che i suggerimenti siano strumentali a liberare la casella del dipartimento delle informazioni per la sicurezza, assai ambito.
Soprattutto, risulta che l’impasse sul risiko sia dovuto al muro che Lega e Forza Italia hanno alzato rispetto allo schema proposto da Meloni, che prevede di fatto come sia lei a scegliere quasi tutti i vincitori del gioco, lasciando agli alleati scranni di poco valore. «Qualcosa Giorgia la deve mollare: i ritardi sono dovuti al fatto che non ha ancora deciso a cosa rinunciare», dice a Domani un ministro leghista.
Una delle figure chiave che potrebbe scompaginare le previsioni della vigilia che danno, oltre all’Eni, quasi sicuro il ticket Stefano Donnarumma-Scaroni all’Enel e la riconferma di Matteo Del Fante a Poste, è quella di Flavio Cattaneo.
Cattaneo da giorni smentisce ufficialmente che sia interessato alla faccenda delle nomine, e ripete di essere concentrato solo sul business della sua Itabus e sulla possibile vendita miliardaria di Italo, prevista entro gli inizi del 2024. I bene informati, però, non gli credono. E sostengono che suoi sponsor di peso come Ignazio La Russa e Francesco Gaetano Caltagirone (che stravede per lui tanto da averlo cooptato di nuovo nel cda di Generali) hanno puntato su di lui come successore di Francesco Starace all’Enel.
Ex direttore generale della Rai, per nove anni capo di Terna, infine ad di Tim e poi di Ntv, il manager ha tutti i numeri per guidare il colosso elettrico. La sua possibile scalata, però, ha trovato l’opposizione di Meloni. Perché ha già promesso l’incarico a Donnarumma, innanzitutto. E perché su Cattaneo ha qualche riserva mentale. Tanto da aver chiesto a Fazzolari di trovare il modo di “sabotarla”. Seppur con eleganza.
Qual è l’origine dei dubbi di Meloni? I fattori sembrano essere due. Cattaneo, risulta a Domani, era stato invitato insieme a Donnarumma alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia del 1 maggio 2022, e aveva inizialmente accettato di parteciparvi. Solo poco prima dell’inizio del meeting, però, ha dato forfait. Chiamando Meloni e spiegandole che due giorni dopo, il 3 maggio, avrebbe avuto il suo primo cda di Generali, e che dunque la sua presenza a una kermesse politica forse non era opportuna.
Meloni ha fatto buon viso a cattivo gioco, ma non ha apprezzato il diniego: fanatica dell’affidabilità, teme che uno autonomo come Cattaneo (anche perché ricco come Creso) una volta nominato non risponda più a lei, ma ad altri.
Meloni crede pure che l’architetto diventato dirigente d’impresa sia infatti troppo vicino a una “cordata” di cui la premier non si fida affatto. Un network che andrebbe da Alessandro Daffina di Rothschild a Caltagirone, dallo stesso Scaroni a fondi d’investimento stranieri (quelli, per esempio, che hanno investito in Italo).
«L’assunto è reale. Meloni a volte soffre di una sorta di “sindrome da accerchiamento”. Per esempio vede male il nome di Scaroni spinto verso Enel da Berlusconi e Salvini, perché lo considera troppo legato al lobbista Luigi Bisignani. Ma qualcosa ai partner della maggioranza dovremmo pur dare», spiega un importante esponente di Fratelli d’Italia
Sia come sia, i dante causa di Cattaneo hanno mangiato la foglia. Così prima hanno allargato la base politica dei suoi fan, aggiungendo a La Russa anche Salvini, che ha pure invitato il manager e la moglie Sabrina Ferilli al compleanno dei suoi 50 anni. Poi hanno spostato le loro attenzioni su Poste.
Il piano, che a Salvini non dispiacerebbe affatto, ha però davanti un muro che appare insormontabile. Meloni ha infatti grande stima dell’ad Matteo Del Fante e del condirettore generale Giuseppe Lasco.
Sia come sia, Enel e Poste sono casematte che Meloni considera roba sua, e farà fatica a mollarle. Anche perché crede che Salvini non può esagerare con le richieste per la Lega. Il ministro delle Infrastrutture potrebbe comunque fare il pieno nel comparto omonimo, uno dei più ricchi e strategici del bouquet delle nomine.
L’ad di Fs scelto da Draghi Luigi Ferraris è in scadenza nel 2024, e non verrà cambiato in anticipo. Il Carroccio però indicherà quasi sicuramente il nuovo capo di Rfi, che ha in pancia oltre 20 miliardi di fondi del Pnrr.
Se è assai improbabile l’arrivo di Stefano Siragusa, ex Tim e amico di Bisignani, Salvini ha invece già incontrato gli “interni” Vincenzo Macello e Umberto Lebruto. Manager esperti che conoscono perfettamente la rete ferroviaria, ma che sono ancora imputati insieme a una decina di tecnici nel processo per il disastro ferroviario di Pioltello.
Se Ferraris resta di sicuro, anche Anas resterà ogni probabilità regno di Aldo Isi, uomo dell’ad che potrebbe tenersi la poltrona per qualche mese, nonostante qualcuno ne vaticini ancora la rimozione. Qualche media ha addirittura immaginato possa essere proprio Isi il futuro commissario del Ponte sullo Stretto.
In Rai il draghiano Carlo Fuortes è ancora in sella, anche se qualcuno è certo che sarà sostituito dalla coppia Roberto Sergio-Giampaolo Rossi appena Meloni gli troverà un altro incarico adeguato (la sovrintendenza del Teatro la Scala di Milano è un’offerta che il manager della cultura non rifiuterebbe).
Mentre in Cassa depositi e prestiti l’attacco ai vertici tentato qualche mese fa dalla cordata timonata dal sottosegretario Alessio Butti sembra essersi infranto sul niet della Meloni.
Palazzo Chigi manterrà con molte probabilità Dario Scannapieco al suo posto, sperando che il draghiano riesca a trovare il bandolo della matassa della partita della rete nazionale della fibra, che vede protagonisti anche Tim e alcuni fondi stranieri.
Il dossier è strategico per il paese, e foriero di tensioni e polemiche costanti. Sul governo. Su Tim, Open Fiber e l’ad Scannapieco, in primis. Ma da qualche tempo anche sul presidente di Cdp Giovanni Gorno Tempini, uomo forte delle fondazioni bancarie e già ad di Via Goito ai tempi di Franco Bassanini.
Dentro Vivendi credono che Gorno Tempini dovrebbe imitare Arnaud de Puyfontaine, ceo di Vivendi che qualche tempo si è dimesso dal cda di Tim per “semplificare” la trattativa sulla rete. Dentro Cassa e in qualche stanza di Palazzo Chigi, poi, qualcuno sottolinea non solo il potenziale conflitto d’interesse, ma è infastidito in merito agli emolumenti del presidente, “reo” di non riversare a Cdp alcuni gettoni che prende come membro di altri cda di società controllate.
Gorno guadagna come presidente di Cassa quasi 300 mila euro, a cui somma 40 mila euro come membro del cda di Cpd Equity e altre 20 mila per Cdp reti. «In tutto cuba 355 mila euro l’anno», dice il suo ufficio stampa. A questi aggiunge i 75 mila che prende come consigliere di Tim.
In merito al conflitto di interessi potenziale, il consigliere per la comunicazione di Gorno dice: «In Tim lui si astiene su ogni argomento che riguarda Cassa o rete unica, quindi il problema non esiste». Ad ora, comunque, non c’è alcun indizio che Gorno si dimetta da Tim. Né – suggeriscono fonti dal ministero dell’Economia che ha il controllo della società – che la sua posizione di presidente «venga messa a rischio da polemiche sul suo stipendioAnche perché, a questo giro di nomine, in Cdp non si muoverà niente». Salvo sorprese ad oggi non prevedibili.
(da Editoriale Domani)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
DALL’AEROPORTO DESERTO AI CONSORZI PER ORGANIZZARE SAGRE A QUELLI FANTASMA… GARANTISCONO 10 MILIONI DI GETTONI AGLI AMMINISTRATORI
L’ultimo carrozzone lo ha appena rimesso in vita il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini: la società Stretto di Messina spa nata nel 1981 e che negli ultimi anni ha avuto zero dipendenti ma ha pagato un liquidatore e una manciata di consulenti e revisori dei conti vari.
Adesso il leader della Lega l’ha rimessa in piena attività per realizzare, si fa per dire, il Ponte per unire Sicilia e Calabria. Ma difficilmente ci riuscirà, considerando che non c’è traccia dei dieci miliardi di euro per mettere in piedi la grande opera.
Si crea la scatola vuota, intanto, che si va a sommare alle 886 società pubbliche controllate da ministeri, Regioni, Comuni ed enti vari che hanno più amministratori che dipendenti.
Compiti inesistenti
Anzi, alcune di queste non hanno nemmeno un addetto ma pagano una pletora di componenti di cda, revisori dei conti ed esperti. In alcuni casi per compiti che potrebbero essere svolti dagli enti proprietari stessi o che poco o nulla hanno a che fare con il servizio pubblico. Si va dalla società che gestisce un aeroporto turistico per pochi intimi all’ente che dal 1979 andrebbe chiuso e che invece continua a restare in piedi malconcio. E, ancora, ci sono consorzi di Comuni che servono ad organizzare qualche sagra, ma anche una miriade di sigle sconosciute ai più e di cui si sono dimenticati in alcuni casi anche gli enti controllanti: ma non la politica che poi puntuale piazza qualche amico nel sottobosco di governo.
Il dossier
I numeri delle scatole vuote di Stato li ha messi nero su bianco l’ultima relazione del Servizio di controllo parlamentare della Camera sulla galassia delle società pubbliche. Si legge nel dossier, che riprende anche alcuni studi del ministero dell’Economia: “Su un totale di 3.240 società partecipate, 886 società, pari al 27,35 per cento, risultano prive di dipendenti (559) o con un numero di dipendenti inferiore al numero degli amministratori (327)”.
Il rapporto dipendenti-amministratori
La legge Madia del 2016 prevede la chiusura per le società che non rispettano alcuni parametri, a partire dal rapporto tra dipendenti e amministratori. Ma nonostante i rilievi della Corte dei conti, in Italia esistono ancora quasi 900 carrozzoni che pagano altrettanti amministratori per una spesa difficile da stimare (considerando che in diversi casi non c’è traccia di bilanci recenti): il valore del patrimonio amministrato comunque si aggira intorno al miliardo di euro (ma non produce alcun valore aggiunto), i costi vari si stimano intorno ai 100 milioni di euro e solo per gli emolumenti la spesa è di circa 9 milioni.
Le sigle sconosciute
Alcune storie sono davvero singolari. Scorrendo l’elenco del ministero dell’Economia, in base al quale l’Ufficio parlamentare ha calcolato il numero dei carrozzoni, ci si imbatte in sigle sconosciute ai più: chi si ricorda, a esempio, del Consorzio aziende sanitarie siciliane? Nessuno, nemmeno nelle Asp dell’Isola. Certo difficile arrivare al record dell’Eipli, l’Ente nazionale per l’irrigazione e la trasformazione fondiaria di Potenza ma con sedi anche in Campania e Puglia: messo in liquidazione nel lontano 1979 è stato salvato e prorogato grazie a 31 decreti ministeriali. E ancora ha in capo un amministratore con compenso da 50 mila euro all’anno.
Quelle strane rinascite
In alcuni casi si assiste al miracolo della rinascita, come per la Stretto di Messina spa: è accaduto a esempio all’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica. E a proposito di Stretto di Messina: qui l’ultimo compenso per il liquidatore era di 160 mila euro all’anno e per il nuovo cda è stata prevista pure la deroga al tetto dei 240 mila euro.
La galassia delle controllate
Nella galassia delle controllate con più amministratori che dipendenti c’è poi l’aeroporto Duca d’Aosta di Gorizia: una striscia di terra dove atterrano solo aerei da turismo, ogni tanto, con un hangar che ospita 15 piccoli aerei privati. In compenso ci sono tre componenti di cda e sei componenti del collegio sindacale: “Speriamo in un rilancio della struttura, i soci stanno approvando un nuovo piano”, dicono al telefono. I soci? Sono più degli aerei che vi atterrano giornalmente: i Comuni di Gorizia e di Savogna d’Isonzo, la Provincia di Gorizia e le Camere di commercio di Gorizia e Trieste. Nemmeno l’aeroporto di Fiumicino, 30 milioni di passeggeri, ha così tanti soci.
Il Consorzio nazionale per la ricerca per la gambericoltura
Ma nell’elenco delle scatole con più amministratori che addetti compare anche il Consorzio turistico della via lattea: tra le news sul sito una notizia medica del novembre scorso e un’altra sui certificati online del 2021. Un’attività intensa insomma. Poi ci sono il Gal i Luoghi del Mito o il Gal dell’Oltrepo Pavese, la Società consortile del Gran Sasso di Laga, il Consorzio nazionale per la ricerca per la gambericoltura, l’autodromo del Veneto, la società agricola di Cittadella. C’è di tutto tra le attività delle controllate pubbliche: pesce, grano, auto. Poco importa che di queste oltre 200 siano in perdita: tanto alla fine chi paga?
(da La Repubblica)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
UN DIPENDENTE SU TRE ARRIVA A GUADAGNARE 12.000 EURO LORDI L’ANNO
Abbiamo imparato il significato di “working poor” vent’anni fa con i film di Ken Loach, venendo a conoscenza di una grande massa di lavoratori che non guadagnano abbastanza da superare la soglia della povertà. Un fenomeno che adesso sembra diventato tipicamente italiano, visto che il nostro è l’unico tra i Paesi Ocse ad aver registrato un valore negativo (-2,9%) nella variazione dei salari medi tra il 1990 ed il 2020. In Francia, solo per fare un esempio, in questi ultimi trent’anni le retribuzioni sono aumentate del 31%.
Secondo uno studio commissionato dal precedente ministro del Lavoro Andrea Orlando ad un gruppo di esperti, un quarto dei lavoratori italiani è a rischio povertà. Se gli occupati in Italia sono oltre 23 milioni, ecco che ci troviamo di fronte a una platea di 5 milioni e ottocentomila persone in grande difficoltà. Precari, immigrati, part time, personale a servizio della gig economy, giovani del Sud e donne: sono loro gli “ultimi” che fanno fatica ad arrivare a fine mese.
L’economista Ocse Andrea Garnero, che ha partecipato allo studio del ministero di via Veneto, spiega: «Il lavoro povero deriva dai bassi salari, ma soprattutto dal fatto che molti dipendenti sono costretti a lavorare meno ore di quante vorrebbero. L’Italia ha il dato più alto dei Paesi Ocse di part time involontario. A questo bisogna aggiungere il precariato».
Un anno fa si cominciò a parlare di salario minimo a 9 euro e 50, tuttavia l’allora governo Draghi non riuscì a mettere in piedi una proposta sostenuta da tutta la maggioranza, e la premier Giorgia Meloni la settimana scorsa è andata al congresso della Cgil per ribadire il suo no al salario minimo.
Collaboratori e Partite Iva
Mezzo milione di lavoratori, soprattutto giovani e donne, non solo fanno fatica a vivere dignitosamente, ma non avranno neanche una pensione sufficiente. L’indagine sui redditi dei parasubordinati, realizzata da Nidil Cgil e Fondazione Giuseppe Di Vittorio, porta alla luce una vera e propria emergenza sociale.
Il reddito medio di 211 mila collaboratori nel 2021 è stato di 8.500 euro lordi, 11 mila per gli uomini e 7 mila per le donne, che costituiscono il 60% del totale. La fascia di età fino a 34 anni rappresenta il 48% e guadagna in media 5.700 euro, mentre gli adulti da 34 a 64 anni sono il 49% e guadagnano 11 mila euro lordi all’anno. I senior, oltre i 65 anni, sono poco più del 2% e hanno un reddito lordo annuo di quasi 15 mila euro.
Ci sono poi 341 mila professionisti che hanno portano a casa 15.800 euro lordi: 18.400 euro gli uomini e 13.200 le donne, che sono circa la metà. Le partite Iva under 34 sono il 33% e guadagnano mediamente 12.300 euro lordi l’anno, quelli tra i 35 e i 64 anni hanno un reddito lordo medio di 17.600 euro. Gli over 65 sono il 3% del totale e dichiarano circa 18.300 euro.
I dipendenti
«Il 30% dei lavoratori dipendenti guadagna meno di 12 mila euro lordi all’anno», evidenzia Elena Granaglia, docente di Economia di Roma Tre e membro del coordinamento del Forum Disuguaglianze e Diversità, che aggiunge: «Il grosso del lavoro povero si riscontra in settori come il turismo, ma anche nei servizi alla persona. È molto grave che attività così importanti come quelle svolte da chi assiste bambini, anziani e disabili vengano svalorizzate. E anche quello che sta facendo il governo con la riforma del reddito di cittadinanza non aiuta».
Nel rapporto che Granaglia ha curato insieme a Michele Bavaro e Patrizia Luongo si legge che l’incidenza dei bassi salari tra le donne è molto più alta che tra gli uomini, sia in termini di salario annuale che settimanale. Sebbene in Italia l’occupazione femminile sia stata in aumento negli ultimi decenni (seppure ancora sotto le medie europee), è la diffusione dei contratti part-time a penalizzare le donne rispetto agli uomini. Inoltre, i giovani (tra i 16 e i 34 anni) hanno un’incidenza di bassi salari quasi doppia rispetto al gruppo più anziano (tra i 50 e i 65 anni).
I contratti pirata
Michele Faioli, docente di diritto della Cattolica e consigliere del Cnel, ricorda che su mille contratti depositati ce ne sono 800 pirata: «Sempre più datori di lavoro puntano al ribasso, oltre al problema della retribuzione mensile questi contratti sono più deboli per quel che riguarda gli straordinari, la malattia, la maternità e in generale le tutele legate alla persona».
Equo compenso
Si avvicina il via libera definitivo delle norme sulla giusta remunerazione dei professionisti, orfani dal 2006 delle tariffe abolite con le “lenzuolate” di Bersani. Dopo l’ok del Senato di ieri sarà necessario un terzo passaggio alla Camera. Il provvedimento prevede che banche, assicurazioni e aziende con più di 50 dipendenti, o con un fatturato di oltre 10 milioni, debbano versare al professionista a cui affidano un incarico un compenso “equo”. Gli accordi per pagamenti al ribasso saranno considerati nulli. Gli ordini e i collegi potranno sia sanzionare gli iscritti che accettano di incassare somme al di sotto di quelle fissate dai parametri ministeriali, sia promuovere una “class action” per difenderli.
(da La Stampa)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
IL TIPICO CASO DI UNA POLEMICA SUL NULLA
La maternità surrogata in Italia è appannaggio di 250 coppie all’anno. E il 90% di chi la chiede è una coppia eterosessuale.
I numeri li fornisce oggi il Corriere della Sera, che parla di «stime empiriche». E aggiunge che non ci sono dati certi, ma sicuramente le coppie gay sembrano più numerose perché immediatamente riconoscibili. Con due padri, visto che l’adozione alle coppie dello stesso sesso è preclusa, è chiaro che i bambini sono nati con la maternità surrogata. Invece le coppie eterosessuali che vi ricorrono cercano di nasconderlo. Nel timore (comprensibile) che vengano loro tolti i figli. Anche se finora la giurisprudenza è stata unanime nel segnalare che il modo in cui è stato concepito un bambino non è un argomento per toglierne l’affido.
L’Ucraina e la Grecia
Fino a qualche tempo fa la meta preferita per la maternità surrogata era l’Ucraina. La guerra ha cambiato le prospettive ma non di molto. Poi c’è la Grecia. Entrambi i paesi non accettano coppie gay. Di solito i genitori tornano da quei paesi con un atto di nascita che li indica come padre o madre del bambino nato. Senza accennare alle tecniche di concepimento. Infine, ci sono i conti sulle registrazioni a Milano. Dal 7 luglio fino allo stop sono state in totale 38. La grande maggioranza riguarda madri che hanno effettuato la fecondazione eterologa nei paesi in cui è legale.
Ma anche bambini nati all’estero in paesi che riconoscono l’omogenitorialità. Un terzo delle trascrizioni milanesi (parliamo quindi di circa 13 casi su 38) riguarda bambini figli di due padri nati con la Gestazione per altri. Ma comprende anche i nati degli anni precedenti che non erano stati ancora trascritti.
I 150 mila presunti figli in attesa di riconoscimento
Infine c’è la cifra di 150 mila presunti figli in attesa di riconoscimento. Si tratta semplicemente di un numero sbagliato. Perché riguarda una ricerca realizzata nel 2005 da Arcigay con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità. Uno studio a campione da cui emergeva che il 17,7% dei gay e il 20,5% delle lesbiche con più di 40 anni ha figli.
Proiettando la percentuale sulla popolazione gay e lesbica italiana si arrivava a una stima di 100 mila figli. Aggiornata a 150 mila in questi giorni. Ma questo calcolo segnala semplicemente quanti genitori a un certo punto della loro vita si sono scoperti o dichiarati gay. Non quanti sono in realtà in attesa di riconoscimenti.
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2023 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER E’ LO STESSO CHE NELL’EVOCARE PIERSANTI MATTARELLA, IL FRATELLO DEL CAPO DELLO STATO ASSASSINATO DALLA MAFIA, LO DEFINÌ GENERICAMENTE ‘UN CONGIUNTO’… QUANDO CONFUSE (SI SPERA) L’8 SETTEMBRE CON IL VENTICINQUE APRILE
Può bastare un lapsus a impiccare un uomo, un politico, uno statista? Mercoledì, nel suo discorso alla Camera davanti a Giorgia Meloni, il vicecapo dell’opposizione Giuseppe Conte ha parlato del «delitto Andreotti», mai esistito, volendo in realtà alludere al «delitto Matteotti». Sui social lo hanno crocifisso, ma a chi non è mai capitato di sbagliare una parola e di accorgersene solo quando ormai gli era già scappata di bocca?
Diverso è il caso di quel presidente del Consiglio che, nell’evocare Piersanti Mattarella, il fratello del Capo dello Stato assassinato dalla mafia, lo definì genericamente «un congiunto» per non correre il rischio di sbagliarne il nome e il grado di parentela, a lui evidentemente ignoti. O di quell’altro premier che, nel commemorare la drammatica ricorrenza dell’armistizio, della fuga del Re e della consegna di mezza Italia e dell’intero esercito ai nazifascisti, definì l’Otto Settembre «una data particolarmente simbolica della storia patria perché pose fine a un periodo buio e diede inizio a un periodo di ricostruzione prima morale e poi materiale, il miracolo economico», confondendolo (si spera) con il Venticinque Aprile. A
ltro che gaffe o bisticcio verbale momentaneo: lì si trattò di un autentico ammutinamento nei confronti dei manuali di terza media.
Massimo Gramellini
(da il Corriere della Sera)
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