LAVORO SOTTOPAGATO, TRA PRECARIETA’, ORARI RIDOTTI E CONTRATTI PIRATA; IN POVERTA’ 6 MILIONI DI LAVORATORI
UN DIPENDENTE SU TRE ARRIVA A GUADAGNARE 12.000 EURO LORDI L’ANNO
Abbiamo imparato il significato di “working poor” vent’anni fa con i film di Ken Loach, venendo a conoscenza di una grande massa di lavoratori che non guadagnano abbastanza da superare la soglia della povertà. Un fenomeno che adesso sembra diventato tipicamente italiano, visto che il nostro è l’unico tra i Paesi Ocse ad aver registrato un valore negativo (-2,9%) nella variazione dei salari medi tra il 1990 ed il 2020. In Francia, solo per fare un esempio, in questi ultimi trent’anni le retribuzioni sono aumentate del 31%.
Secondo uno studio commissionato dal precedente ministro del Lavoro Andrea Orlando ad un gruppo di esperti, un quarto dei lavoratori italiani è a rischio povertà. Se gli occupati in Italia sono oltre 23 milioni, ecco che ci troviamo di fronte a una platea di 5 milioni e ottocentomila persone in grande difficoltà. Precari, immigrati, part time, personale a servizio della gig economy, giovani del Sud e donne: sono loro gli “ultimi” che fanno fatica ad arrivare a fine mese.
L’economista Ocse Andrea Garnero, che ha partecipato allo studio del ministero di via Veneto, spiega: «Il lavoro povero deriva dai bassi salari, ma soprattutto dal fatto che molti dipendenti sono costretti a lavorare meno ore di quante vorrebbero. L’Italia ha il dato più alto dei Paesi Ocse di part time involontario. A questo bisogna aggiungere il precariato».
Un anno fa si cominciò a parlare di salario minimo a 9 euro e 50, tuttavia l’allora governo Draghi non riuscì a mettere in piedi una proposta sostenuta da tutta la maggioranza, e la premier Giorgia Meloni la settimana scorsa è andata al congresso della Cgil per ribadire il suo no al salario minimo.
Collaboratori e Partite Iva
Mezzo milione di lavoratori, soprattutto giovani e donne, non solo fanno fatica a vivere dignitosamente, ma non avranno neanche una pensione sufficiente. L’indagine sui redditi dei parasubordinati, realizzata da Nidil Cgil e Fondazione Giuseppe Di Vittorio, porta alla luce una vera e propria emergenza sociale.
Il reddito medio di 211 mila collaboratori nel 2021 è stato di 8.500 euro lordi, 11 mila per gli uomini e 7 mila per le donne, che costituiscono il 60% del totale. La fascia di età fino a 34 anni rappresenta il 48% e guadagna in media 5.700 euro, mentre gli adulti da 34 a 64 anni sono il 49% e guadagnano 11 mila euro lordi all’anno. I senior, oltre i 65 anni, sono poco più del 2% e hanno un reddito lordo annuo di quasi 15 mila euro.
Ci sono poi 341 mila professionisti che hanno portano a casa 15.800 euro lordi: 18.400 euro gli uomini e 13.200 le donne, che sono circa la metà. Le partite Iva under 34 sono il 33% e guadagnano mediamente 12.300 euro lordi l’anno, quelli tra i 35 e i 64 anni hanno un reddito lordo medio di 17.600 euro. Gli over 65 sono il 3% del totale e dichiarano circa 18.300 euro.
I dipendenti
«Il 30% dei lavoratori dipendenti guadagna meno di 12 mila euro lordi all’anno», evidenzia Elena Granaglia, docente di Economia di Roma Tre e membro del coordinamento del Forum Disuguaglianze e Diversità, che aggiunge: «Il grosso del lavoro povero si riscontra in settori come il turismo, ma anche nei servizi alla persona. È molto grave che attività così importanti come quelle svolte da chi assiste bambini, anziani e disabili vengano svalorizzate. E anche quello che sta facendo il governo con la riforma del reddito di cittadinanza non aiuta».
Nel rapporto che Granaglia ha curato insieme a Michele Bavaro e Patrizia Luongo si legge che l’incidenza dei bassi salari tra le donne è molto più alta che tra gli uomini, sia in termini di salario annuale che settimanale. Sebbene in Italia l’occupazione femminile sia stata in aumento negli ultimi decenni (seppure ancora sotto le medie europee), è la diffusione dei contratti part-time a penalizzare le donne rispetto agli uomini. Inoltre, i giovani (tra i 16 e i 34 anni) hanno un’incidenza di bassi salari quasi doppia rispetto al gruppo più anziano (tra i 50 e i 65 anni).
I contratti pirata
Michele Faioli, docente di diritto della Cattolica e consigliere del Cnel, ricorda che su mille contratti depositati ce ne sono 800 pirata: «Sempre più datori di lavoro puntano al ribasso, oltre al problema della retribuzione mensile questi contratti sono più deboli per quel che riguarda gli straordinari, la malattia, la maternità e in generale le tutele legate alla persona».
Equo compenso
Si avvicina il via libera definitivo delle norme sulla giusta remunerazione dei professionisti, orfani dal 2006 delle tariffe abolite con le “lenzuolate” di Bersani. Dopo l’ok del Senato di ieri sarà necessario un terzo passaggio alla Camera. Il provvedimento prevede che banche, assicurazioni e aziende con più di 50 dipendenti, o con un fatturato di oltre 10 milioni, debbano versare al professionista a cui affidano un incarico un compenso “equo”. Gli accordi per pagamenti al ribasso saranno considerati nulli. Gli ordini e i collegi potranno sia sanzionare gli iscritti che accettano di incassare somme al di sotto di quelle fissate dai parametri ministeriali, sia promuovere una “class action” per difenderli.
(da La Stampa)
Leave a Reply