Maggio 4th, 2023 Riccardo Fucile
I VIDEO AUTOPRODOTTI DELLA MELONI PER SFUGGIRE ALLE DOMANDE SONO TIPICI DELLE DITTATURE… ALTRIMENTI LA PREMIER SI INNERVOSISCE E COMMETTE GAFFE
Meloni fa benissimo ad autoprodurre video promozionali. Si promuovono da soli anche illustri sconosciuti, narcisi senza arte né parte, influencer di terz’ordine, perché non dovrebbe farlo la presidente del Consiglio, che ha qualche ragione in più per curare la propria immagine pubblica?
La cosa grave è la prontezza con la quale i telegiornali – specie quelli del servizio pubblico – hanno rilanciato senza fare una piega quel prodotto concepito e confezionato per la propaganda, come se a qualificare ciò che chiamiamo “giornalismo” non fosse la capacità di proporre contenuti propri: altrimenti non è giornalismo, è farsi contenitore passivo di contenuti altrui.
I video autoprodotti sono pensati per correre nella prateria dei social, che diavolo c’entrano i telegiornali? So che è solo una domanda retorica. La Rai è piegata da sempre a un vassallaggio umiliante nei confronti dei partiti, che sono di fatto i suoi padroni.
Mette a disposizione le sue telecamere, da anni, per raccogliere ogni sera il ridicolo diadema di dichiarazioni appaltate agli onorevoli portavoce, frasetta per frasetta, il nulla organizzato e soprattutto la negazione del concetto stesso di “lavoro giornalistico”. No, non è giornalismo portare microfono e telecamera nel tinello dei politici. È un servizio a domicilio, come i rider che portano la pizza.
Va detto che mandare direttamente in onda i video di Palazzo Chigi, o dei partiti in genere, potrebbe essere un risparmio. Si evitano i costi di una troupe a disposizione di Tizia e di Caio. Si rimane comodamente in redazione, tamburellando con le dita per ingannare il tempo, e si aspetta che ogni singolo leader, ogni singolo partito, mandi il suo video già pronto per la messa in onda.
(da Repubblica)
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Maggio 4th, 2023 Riccardo Fucile
LA MAFIA DEL CARO-AFFITTI CHE IMPEDISCE A UNO STUDENTE NON BENESTANTE DI ALLOGGIARE NELLA CITTA’ DOVE SEGUE I CORSI UNIVERSITARI… E IL GOVERNO SE NE FOTTE
C’è una ragazza che ha piantato la tenda davanti al Politecnico di
Milano per far sapere a tutti quanto sia diventato difficile mettersi un tetto sopra la testa nella città considerata da sempre, e con ragione, la più accogliente d’Italia.
Ilaria Lamera è una studentessa bergamasca al quarto anno di Ingegneria ambientale: per sfuggire ai disagi di una vita da pendolare si è ostinata a cercare un pertugio non troppo lontano dall’università, vedendosi proporre stanzette non più grandi di una scatola a 6-700 euro al mese. Ne ha infine accettata una, ma questa settimana ha deciso di «tradirla» per la tenda.
Ci accorgeremo di Ilaria? Oppure la spernacchieremo da destra, bollandola come la Greta degli alloggi, e la ignoreremo da sinistra perché si batte per un diritto poco ideologico e dannatamente pratico?
Come fanno lo studente che non ha una famiglia benestante alle spalle e il giovane lavoratore che guadagna meno di mille euro al mese a permettersi uno straccio di indipendenza in città, ma ormai anche in provincia?
Un tetto massimo agli affitti e uno minimo ai salari sono rivendicazioni veteromarxiste o non piuttosto dei saggi correttivi a un libero mercato che, senza qualche regola dettata dalla politica, produce disuguaglianze sempre meno sopportabili?
Quando i proprietari di case sostengono che non possono abbassare gli affitti per colpa delle tasse, dicono tutta la verità o soltanto un pezzo?
Tante domande, ma qualcuno risponda, per favore. Non a me. A Ilaria.
(da il Corriere della Sera)
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Maggio 4th, 2023 Riccardo Fucile
L’ARROGANZA DI CHI E’ STATA ESCLUSA IN TEMPI PASSATI E ORA DIMOSTRA DI NON AVERE CLASSE DA STATISTA
Siamo solo a maggio ma Matteo Salvini già annuncia un’edizione speciale del raduno di Pontida a settembre. L’ultimo bollettino medico su Silvio Berlusconi conferma la necessità di proseguire la degenza, ma Forza Italia continua a far girare la voce di un ritorno in campo del Cavaliere sabato a Milano.
La fase due del governo di Giorgia Meloni, ben raccontata ieri da Lucia Annunziata, è una evidente fonte di nervosismo dei suoi alleati che cercano uno spazio di visibilità e di intervento politico sempre più difficile da trovare. Persino la polemica sulle grandi ricorrenze civili italiane, il 25 aprile e la Festa del Lavoro, sembra aver rafforzato la primogenitura assoluta della premier nel suo campo e chissà che Berlusconi e Salvini non abbiano persino nostalgia dell’epoca in cui i grandi nemici pubblici, i sospetti autocrati, gli antagonisti ideologici del sindacato erano loro, e contro di loro si esponevano manifesti scandalosi e pupazzi da bruciare in piazza.
E tuttavia l’irritazione si esprime al massimo nel mugugno o in qualche dispetto d’aula, rovesciando uno schema che è stato abituale in tutte le precedenti esperienze di governo della coalizione. Anche Berlusconi, come Meloni, era dotato di una supremazia numerica assoluta ma con lui il controcanto degli alleati era storia quotidiana: Pierferdinando Casini, Umberto Bossi, Gianfranco Fini, per non parlare degli ex-pupilli come Raffaele Fitto o Angelino Alfano, gli fecero vedere i sorci verdi in una catena di scissioni, litigi, separazioni elettorali, minacce e riconciliazioni che per anni rese il Centrodestra un’area ad alto rischio sismico, dove ogni partita elettorale era incerta fino all’ultimo e la mitologica “unità della coalizione” aveva bisogno di essere ribadita ogni sei mesi con un pranzo, un comizio tutti insieme, una convention.
Sotto il segno di Giorgia Meloni nulla di tutto ciò è visibile, tutto è sotterraneo. La presidente del Consiglio ha portato a termine con concessioni minime le nomine nei grandi enti pubblici. Ha ristrutturato integralmente la catena di comando del Piano Nazionale di Ripresa intestandola a Palazzo Chigi. Si appresta a chiudere con lo stesso piglio di marcia la partita della Rai. Oscura ogni altro componente di governo con una comunicazione dove nessuno è mai citato, ringraziato, segnalato nemmeno per i provvedimenti di sua diretta competenza, vedi il recente intervento sul taglio del cuneo fiscale. Non una mosca vola. Se l’opposizione deve ancora trovare la chiave per esercitare il suo ruolo, Lega e Forza Italia sembrano nella stessa situazione, davanti alla stessa domanda: come fare per contare qualcosa? O almeno far vedere di contare qualcosa?
Il fatto è che il rodaggio della premier, il “momento underdog”, è finito e adesso è arrivata l’ora di sviluppare un progetto di consolidamento del potere che Meloni in tutta evidenza vuole giocare in proprio. Non soltanto per motivi politici. Lo spirito di rivalsa contro le vecchie egemonie che tanti segnalano negli interventi della destra mica ha come bersaglio solo gli avversari, anzi: un pezzo importante di quel sentimento di rivincita riguarda gli alleati, i vecchi padroni della coalizione che hanno sempre trattato FdI e prima An come socio minore, da accontentare con le briciole e talvolta da trattare con disprezzo.
E il sottotesto della fase due è appunto questo: Lega e FI cerchino attenzione come credono, si facciano Pontida o la convention con la videochiamata. Le cose serie le decidiamo noi, siamo noi i primattori sulla scena, non la lasceremo ad altri.
(da La Stampa)
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Maggio 4th, 2023 Riccardo Fucile
“GLI AUMENTI SBANDIERATI SONO LORDI E SOLO PER POCHI MESI”… “UNA FAMIGLIA POVERA SE NON HA UN AZIANO O UN DISABILE E’ STATO ABBANDONATO A SE STESSA”
Dopo le polemiche sul Consiglio dei ministri tenutosi il 1º maggio e i
contenuti del decreto Lavoro, facciamo il punto con il segretario della Cgil, Maurizio Landini,
Che Primo Maggio è stato per la Cgil?
Per le manifestazioni che si sono tenute è stato un bel Primo Maggio con la crescita della presenza dei lavoratori e delle lavoratrici. Si è confermato l’aumento della partecipazione come già il 25 aprile, e questo ci fa ben sperare per le manifestazioni interregionali di Bologna, già sabato prossimo, e poi Milano e Napoli.
Il Consiglio dei ministri il 1º maggio è sembrato una provocazione?
La convocazione la domenica sera e poi il Cdm il 1º maggio hanno rappresentato un atto di propaganda e una mancanza di rispetto per i lavoratori. Il 1º maggio è una festa perché è stata conquistata con le lotte e gli scioperi. Non è la festa del governo, ma la giornata della dignità di lavoratori e lavoratrici.
Non c’era motivo di riunire il governo quel giorno?
Basti pensare che il testo del decreto non è stato ancora pubblicato, segno che non c’era nessuna urgenza, se non quella della propaganda.
La presidente del Consiglio ha illustrato i contenuti del decreto in un video. Una provocazione anche quella?
Uno sgarbo nei confronti dei giornalisti sotto la pioggia, non mi è sembrata rispettosa verso quelli che lavorano. Ma mi preme confermare il giudizio negativo sui contenuti. Il governo dice che è stato fatto un provvedimento per il lavoro: ma chi ha chiesto i voucher o la liberalizzazione dei contratti a termine? Non certo il sindacato o i lavoratori. Noi chiediamo di superare le forme assurde di precarietà, e di introdurre un contratto unico di ingresso nel lavoro fondato sulla formazione e sulla stabilità dell’occupazione.
Il governo ha modificato anche il Reddito di cittadinanza.
È davvero grave. Lo chiamano Reddito di inclusione, ma comincia con un’esclusione. Con i nuovi criteri, infatti, una famiglia povera, se priva di un anziano o un disabile, non ha diritto al sussidio. Non è accettabile che si facciano soldi sulla povertà invece di colpire profitti ed extraprofitti e l’evasione fiscale.
Cosa dice delle misure sul salario?
È vero che la riduzione dei contributi sul salario è parte delle nostre richieste, tanto che organizzammo uno sciopero generale contro Draghi. Ma siamo di fronte a un provvedimento non sufficiente a tutelare i salari dall’inflazione, con aumenti sbandierati che sono lordi e soprattutto una tantum, da luglio a dicembre. In più non è stato introdotto il meccanismo del drenaggio fiscale e quindi il maggior prelievo fiscale depotenzia il vantaggio. Per aumentare i salari occorre anche rinnovare i contratti nazionali, ma il governo non mettendo un euro per il rinnovo di quelli del lavoro pubblico, ha deciso di inviare un messaggio molto negativo.
La Cisl sembra avere una reazione più positiva.
Abbiamo una piattaforma comune e facciamo assemblee in tutti i luoghi di lavoro. Oltre al giudizio sul decreto con il governo stiamo rivendicando una vera riforma delle pensioni e una vera riforma fiscale, maggiori investimenti su sanità e scuola pubblica, la realizzazione degli investimenti del Pnrr.
Ma potreste arrivare a uno sciopero generale? Anche senza Cisl?
Intanto riempiamo le piazze. Poi dovremmo discutere come proseguire, senza escludere nulla. Per ora è importante che siamo in piazza insieme, dare sostegno alle manifestazioni unitarie e portare a casa i risultati.
Da organizzatore del Concertone, che dice delle polemiche sul fisico Carlo Rovelli?
Le persone che partecipano al Concertone da sempre hanno il diritto di dire quel che pensano. Senza censure preventive.
Le manifestazioni saranno un’occasione di unità delle opposizioni?
Il movimento sindacale quando manifesta ha sempre un carattere politico perché chiede di cambiare le politiche del governo. Ma noi ci rivolgiamo alle persone a prescindere da cosa votano e le nostre manifestazioni sono aperte a chiunque voglia partecipare e condivide le nostre posizioni.
Ma da segretario Cgil e uomo di sinistra è contento se si realizza una unità delle opposizioni?
Al nostro congresso abbiamo invitato tutti, sia il presidente del Consiglio che le opposizioni, perché pensiamo che attorno al lavoro si debba ricomporre la distanza tra la politica e le persone. Oggi si continua a considerare il lavoro come una merce.
Le piacerebbe ci fosse anche in Italia una dinamica alla francese?
Alla fine di maggio c’è il congresso del sindacato europeo a Berlino e la discussione è su come le lotte in Francia, Spagna, Inghilterra, possano avere una prospettiva unitaria per l’Europa per il superamento della austerità.
Inviterebbe di nuovo Meloni al congresso Cgil?
Assolutamente sì, perché abbiamo dimostrato che non abbiamo pregiudiziali e rispettiamo tutti. Per questo esigiamo rispetto per i lavoratori e le organizzazioni che li rappresentano. Cosa che non è avvenuta in questo Primo Maggio.
(da agenzie)
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Maggio 4th, 2023 Riccardo Fucile
IL FONDO E’ IN ROSSO, SI PENSA DI SALVARLO CON I SOLDI DEL BILANCIO UE CHE E’ FINANZIATO DAI CONTRIBUENTI DEI PAESI MEMBRI
Il fondo pensionistico per gli ex eurodeputati si sta esaurendo e l’Unione europea rischia di dover prendere i soldi dal proprio bilancio, finanziato dai contribuenti, per pagare gli assegni dovuti. Per coprire il deficit, di oltre 300 milioni di euro, potrebbero servire più di 23 milioni all’anno che potrebbero essere presi dal bilancio comunitario, finanziato con i soldi dei contribuenti Ue. Anche per questo il Parlamento di Strasburgo sta valutando altre opzioni come la modifica dei requisiti per accedere ai benefici pensionistici.
Il Parlamento ha istituito un regime pensionistico complementare nel 1990, e lo ha tenuto in funzione per 30 anni fino a quando non è stato chiuso ai nuovi iscritti nel 2009, quando è entrato in vigore un regime pensionistico unificato. A causa, in parte, dell’interruzione dei contributi dei legislatori 14 anni fa, il fondo, che continua a pagare assegni a centinaia di ex politici, si trova ora in condizioni disastrose, scrive Politico. Il deficit, di circa 308 milioni di euro, potrà essere difficilmente colmato, con previsioni di esaurimento del fondo già nel 2024.
Il fondo, i cui investimenti sono gestiti da una società con sede in Lussemburgo, dispone attualmente solo di circa 55 dei 363 milioni di euro che si prevede dovranno essere versati oltre il 2074. “A causa della cessazione dei pagamenti dei contributi da parte dei deputati e del Parlamento, dei rendimenti insufficienti degli investimenti e delle successive crisi finanziarie, dal 2009 la situazione del fondo si è rapidamente deteriorata”, si legge in una nota del segretario generale Alessandro Chiocchetti.
“Il fondo esaurirà presto il suo capitale”, ha scritto Chiocchetti nel documento visionato da Politico, mentre c’è ancora incertezza sul da farsi. Sarebbero tre le potenziali opzioni, dove la prima prevede di non fare nulla e lasciare che il fondo fallisca, sottintendendo che il Parlamento (e i contribuenti) dovranno “molto probabilmente” farsi carico degli obblighi pensionistici. La seconda opzione sarebbe quella di liquidare il fondo e poi offrire una grossa somma forfettaria ai beneficiari. Infine, si potrebbe evitare il disastro apportando una serie di modifiche come, ad esempio, innalzare l’età pensionabile o semplicemente ridurre l’importo che i beneficiari ricevono.
“Penso che non si debba più sprecare denaro dei contribuenti per una struttura che, onestamente, è impostata un po’ come uno schema Ponzi”, ha dichiarato Daniel Freund, eurodeputato tedesco dei Verdi. Gli schemi Ponzi (dal nome dell’ideatore) alludono ad un modello economico che promette grandi guadagni ai primi investitori a discapito di quelli che entrano in un secondo momento, creando quindi una forma di investimento fraudolento che può sopravvivere solo grazie all’ingresso di nuovi membri.
Stephen Hughes, presidente del fondo, ha detto che il Parlamento dovrebbe onorare il suo impegno a pagare i pensionati. “Il Parlamento è entrato in questa situazione con gli occhi ben aperti”, ha ribadito Hughes. “Quei membri hanno prestato anni di fedele servizio e ora si sentono offesi per come vengono trattati”, ha poi aggiunto.
Più a lungo una persona ha prestato servizio come parlamentare, più alto è il suo diritto alla pensione: secondo i dati, 914 persone (la maggior parte delle quali ex deputati o loro familiari superstiti) ricevono attualmente una media di 2.206 euro al mese. Il Parlamento ha combattuto diverse battaglie legali contro i beneficiari del fondo, riuscendo ad esempio ad ottenere l’innalzamento dell’età pensionabile (ora 63 anni). Dopo i ricorsi presentati dai rappresentanti del fondo, a marzo la Corte di giustizia dell’Unione europea ha emesso una sentenza definitiva che dà ragione al Parlamento e conferma che l’Ufficio di presidenza ha il diritto legale di ridurre i diritti in modo proporzionale.
Lara Wolters, europarlamentare olandese del gruppo dei SocialistDemocratici, ha sostenuto che “qualsiasi strada da percorrere non dovrebbe avere un costo per i contribuenti europei”. Anche se “il Parlamento potrebbe essere obbligato a mantenere ‘in vita’ questo Fondo, non è legalmente obbligato a garantire gli attuali livelli di pagamento”.
(da europa.today.it)
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Maggio 4th, 2023 Riccardo Fucile
“L’OBBLIGO DEL POS CI HA FATTO PERDERE UN MILIONE”
La ‘ndrangheta guadagnava con i ristoranti. In tutto il mondo. E negli
esercizi faceva confluire anche i proventi dello spaccio di droga. Per ripulire i soldi. L’operazione Eureka che ieri ha portato in galera un centinaio di affiliati all’associazione mafiosa ha anche certificato la transnazionalità delle cosche. Che avevano interessi in otto paesi europei, tra cui la Germania. Ma Il Messaggero racconta oggi una storia che riguarda invece Roma. Dove la ‘ndrangheta aveva in gestione alcuni ristoranti. Domenico Giorgi, arrestato ieri, era il dominus di un vero e proprio “impero”, composto da una società italiana (la “Caffè In srl”) che controllava il ristorante “Antica Trattoria da Pallotta” di Roma, e da nove società portoghesi con cinque ristoranti in Portogallo, i cui proventi confluivano in una cassa comune e vengono suddivisi tra i soci, anche occulti.
Il Gip
Ma nelle intercettazioni si racconta anche un’altra storia. Che riguarda il metodo utilizzato per pulire i proventi. Gli uomini del clan, intercettati dal Ros, contavano i soldi da dividersi. E anche il “nero” realizzato nel locale di Ponte Milvio e nei cinque ristoranti in Portogallo. Lamentandosi perché l’obbligo del Pos aveva arrecato danni notevoli: «C’abbiamo perso un milione di euro». Il gip: «I due si lamentano dei pagamenti effettuati tramite Pos, circostanza che limita notevolmente il margine di manovra per distrarre somme dagli incassi della società». È il 22 novembre del 2021, quando Francesco Giorgi e Francesco Nirta «offrono ulteriori elementi in ordine alle divisioni mensili tra i soci del contante proveniente sia dal circuito dei ristoranti portoghesi, sia dalla gestione del ristorante romano; i due ripercorrono le spartizioni dei mesi precedenti, fino a giungere a quella più recente del mese di ottobre, mensilità durante la quale i quattro membri del gruppo hanno percepito una quota pro capite pari a 16.135 euro».
La pandemia
Si rammaricano: «Nel 2018 – dicono – erano 29mila euro di spartizione, 116mila abbiamo diviso, 29mila euro a testa. Proprio, in assoluto è stato nel 2017, 48mila euro a testa. Ci siamo divisi 194mila euro». E sostengono che un risultato analogo avrebbero conseguito anche nel 2021 senza le chiusure dovute alla pandemia: «Ci ha rovinati, che se era con il lavoro normale, ci saremmo divisi un sacco di soldi».
(da agenzie)
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Maggio 4th, 2023 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DEGLI INTERNI FRANCESE DARMANIN: “MELONI COME MARINE LE PEN”
Il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin si è scagliato contro la presidente del Consiglio. A rischio l’incontro a Parigi tra Tajani e la sua omologa d’Oltralpe
Nuovo capitolo del braccio di ferro tra Italia e Francia sulla questione migratoria. Nel giorno in cui il decreto Cutro diventa legge, il ministro degli Interni francese, Gérald Darmanin, torna ad accusare la premier italiana Giorgia Meloni, definendola «incapace di risolvere i problemi migratori» a “casa sua” in Italia, un «Paese – continua – che conosce una gravissima crisi migratoria».
Senza mezzi termini, il funzionario francese – intervistato da Rmc sulla situazione migratoria al confine franco-italiano – critica inoltre «Madame Meloni», bollata dallo stesso come «capo del governo di estrema destra scelto dagli amici di Marine Le Pen», di non sapere gestire «i problemi migratori per i quali è stata eletta».
Ma non solo: «Meloni è proprio come Le Pen», dice «C’è un vizio nell’estrema destra, che è quello di mentire alla popolazione». Addossando poi la colpa al vicino italiano, il responsabile dell’Interno ammette ci sia stato «un afflusso di migranti e soprattutto minori» nel sud della Francia. «Ma la verità – spiega Darmanin – è che in Tunisia c’è una situazione politica grave e l’Italia non è in grado di gestire questa pressione migratoria», conclude. L’attacco del ministro francese al governo italiano rischia di far saltare l’incontro previsto a Parigi tra Antonio Tajani e l’omologa francese Catherine Colonna.
(da Open)
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Maggio 4th, 2023 Riccardo Fucile
LE DUE ESPLOSIONI SONO AVVENUTE STRANAMENTE A CIRCA 30 MINUTI DI DISTANZA L’UNA DALL’ALTRA
«Chi sono queste persone e perché stavano salendo sul tetto del
Cremlino subito prima dell’esplosione?» domanda in un tweet il consigliere del ministero degli Interni ucraino Anton Gerashchenko.
Quesito lecito, non è facile comprendere come ci possano essere due figure “bianche” nella scalinata che porta in cima alla cupola del Senato (Senatskiy Dvorets) a breve distanza dalla denotazione del velivolo. Analizzando i video a disposizione riusciamo a comprendere che sono due i droni che hanno colpito il bersaglio in due momenti diversi e in due zone diverse della cupola. La scena condivisa da Gerashchenko riguarda il secondo drone e le due persone riprese stavano molto probabilmente controllando gli eventuali danni causati dal primo colpo.
I tre video
Sono tre i video che ci permettono di ricostruire la vicenda, soprattutto i due che riprendono l’orologio della Torre Spasskaja. Nella prima clip, possiamo osservare che le lancette dell’orologio indicherebbero le ore 2:13 circa del mattino. Il fuoco derivante dall’esplosione non si spegne immediatamente, le fiamme rimangono accese fino alla fine del video.
La scena risulta ripresa da una telecamera che si trova nell’area sud rispetto alla Cattedrale di San Basilio. Grazie a Google Maps possiamo osservare che il punto dell’esplosione è nell’area della scalinata che porta in cima alla cupola del Senato.
Un secondo video, quello condiviso da Gerashchenko, viene ripreso da una telecamera posizionata in un edificio di fronte alla Piazza Rossa. La scalinata, rispetto all’inquadratura, si trova sulla sinistra e non “frontale” come nel precedente video.
L’esplosione
L’esplosione in questo video non avviene nello stesso punto della prima clip, bensì dalla parte opposta della cupola rispetto alla scalinata e ad un’altezza diversa. In un altro video, ripreso dalla stessa telecamera del primo filmato, notiamo che l’esplosione avviene al di là dell’antenna sulla cima della cupola, mentre l’orologio della torre indica un altro orario: le 2:44 circa del mattino.
A questo punto abbiamo un riferimento temporale, che ci porta a intuire che i due droni sono giunti a destinazione e sono esplosi l’uno mezz’ora dopo l’altro e in due zone diverse della cupola.
Nell’ultimo video dove si osserva la torre dell’orologio notiamo due puntini bianchi nell’area della scalinata, non presenti nella prima scena diffusa. Considerando questi aspetti, è molto probabile che quelle due persone siano salite per controllare gli eventuali danni subiti a seguito della prima esplosione, trovandosi fortunatamente dalla parte opposta della cupola rispetto alla seconda.
(da Open)
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Maggio 4th, 2023 Riccardo Fucile
IL SEGNALE DELLO STRATEGA UCRAINO BUDANOV PER DIMOSTRARE CHE L’UCRAINA PUO’ COLPIRE MOSCA O UNA MANOVRA ORCHESTRATA DA PUTIN PER GIUSTIFICARE UN FUTURO ATTENTATO A ZELENSKY?
Ci sono due verità dietro l’attacco al Cremlino con i droni. La prima coinvolge l’Ucraina e punta il dito sull’intelligence di Kiev. Che aveva l’obiettivo di colpire il pennone della bandiera sull’edificio e non il presidente Vladimir Putin. Per dimostrare la debolezza di Mosca.
In linea con le altre operazioni in territorio russo. Di cui però Volodymyr Zelensky ha sempre smentito la paternità.
L’altra invece prevede la teoria della false flag. E quindi il sospetto dell’operazione orchestrata dalla Russia per giustificare i bombardamenti dell’Ucraina. Alla vigilia dell’offensiva di primavera che nei piani di Kiev dovrebbe ricacciare indietro gli invasori. Mentre c’è chi ricorda un precedente storico. Quello di Mathias Rust nel 1987 che atterrò sulla Piazza Rossa con il suo aereo da turismo “bucando” le difese russe.
La geolocalizzazione
Intanto la Cnn ha geolocalizzato il drone che ha colpito il Cremlino. Un video che mostra il fumo che si alza dal palazzo alle 2,37 di mercoledì (ora locale) pubblicato su Telegram mostra l’incidente e supporta quindi la tesi dei russi. Mark Warner, presidente della Commissione Intelligence del Senato statunitense, dice che non ci sono ancora prove del coinvolgimento ucraino. Mentre l’Isw sostiene che Mosca potrebbe aver orchestrato l’attacco nel tentativo di trasmettere l’importanza della guerra alla popolazione russa. E di creare le condizioni per una più ampia mobilitazione sociale.
Le autorità russe, spiega il think-tank, hanno recentemente adottato misure per rafforzare le proprie capacità di difesa aerea interna. Anche nella stessa Mosca. Ed è quindi «altamente improbabile» che due droni possano penetrare diversi strati di difesa aerea ed esplodere o essere abbattuti proprio «sopra il cuore di il Cremlino», sotto le lenti delle telecamere, afferma Isw.
Il Cremlino, i droni, i precedenti
Le immagini di geolocalizzazione del gennaio scorso mostrano le autorità russe che dispiegano sistemi missilistici antiaerei Pantsir vicino a Mosca per creare perimetri di difesa aerea intorno alla città, ricordano gli esperti. Se invece l’attacco fosse stato lanciato da Kiev questo rappresenterebbe «un notevole imbarazzo per la Russia». il generale Giorgio Battisti, primo comandante del contingente italiano della missione Isaf in Afghanistan e membro del Comitato Atlantico, dice all’AdnKronos che «il tentativo di attentato al presidente Putin tramite droni esplosi sul Cremlino lascia dubbi e perplessità. Prima di tutto perché ne parlano solo gli organi della pubblica informazione russa e non ha avuto nessun risalto e nessun confronto da parte dell’Ucraina che ha smentito tale azione. Churchill durante la seconda guerra mondiale ha rischiato di essere ucciso con un attacco tedesco e ancora Stalin si dice che avesse dieci sosia proprio perché temeva di subire attentati quasi quotidianamente. Queste sono situazioni in cui l’aspetto della propaganda gioca un ruolo di grande importanza».
La strategia Budanov
Repubblica invece scrive che il primo sospettato per l’azione ucraina è il generale Kirilo Budanov. Che è a capo del Gur, i servizi segreti militari ucraini. Gur aveva pubblicato un video girato all’interno di una base militare russa a Pskov che mostrava alcuni sabotatori piazzare cariche su elicotteri da guerra e scappare. Per l’attacco al ponte di Kerch la Russia ha incriminato proprio Budanov. Tra fine febbraio e l’inizio di aprile i russi hanno trovato droni dalle parti di Mosca. Un terzo si è schiantato su un distretto industriale alla vigilia della visita di Putin. L’amministrazione Biden ha avvertito proprio Budanov il 24 febbraio, anniversario dell’Operazione Speciale di Putin. Diffidandolo dall’attaccare in territorio russo. Anche l’attentato in cui ha trovato la morte Darya Dugina potrebbe portare la sua firma.
Il complotto russo
L’altra ipotesi è il complotto russo. Per giustificare una controffensiva a tappeto sul territorio ucraino e l’omicidio del presidente Zelensky. Del quale l’opinione pubblica russa potrebbe essere convinta a chiedere la testa proprio dall’attacco al luogo simbolico. Si tratta come sempre in questi casi di speculazioni. I servizi russi potrebbero aver architettato un piano. Mentre dalle carte riservate del Pentagono emerge che gli Usa avrebbero bloccato i progetti ucraini di bombardamenti su scali portuali russi. L’intelligence americana attualmente è molto cauta anche su Kiev. Sostiene di non essere sempre informata delle azioni dell’Ucraina. Forse per evitare ulteriori conflitti con la Russia.
Il 9 maggio
Nella capitale russa il timore si diffonde per possibili clamorosi attacchi mentre si avvicina la data del 9 maggio, anniversario della vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale. In diverse città sono state annullate le tradizionali parate militari. Ma non sulla Piazza Rossa, dove tutto si svolgerà da programma, ha fatto sapere il Cremlino. Mentre su Mosca e San Pietroburgo sono vietati da oggi i voli di droni. Ieri è scoppiato anche un incendio di una cisterna di carburante da 20.000 metri cubi provocato dall’impatto di un drone in un deposito nella regione di Krasnodar, sul Mar d’Azov, non lontano dal ponte di Crimea, preso di mira da un attentato nell’ottobre scorso. Poco dopo i servizi di sicurezza interni (Fsb) davano la notizia dell’arresto di sette agenti ucraini in Crimea, accusati di volere organizzare attentati contro i dirigenti politici della penisola annessa alla Russia nel 2014. Il canale Telegram Baza, inoltre, ha parlato di un attacco con cinque droni durante la notte contro un aeroporto militare nella regione russa di Bryansk, vicino al confine ucraino.
La controffensiva
Intanto Zelensky lascia l’Ucraina per una visita a sorpresa in Finlandia, fresca di ingresso nella Nato. E annuncia la controffensiva: «Presto faremo nuove azioni offensive, e dopo sono certo che riceveremo i caccia» tanto desiderati da Kiev per dare una svolta alla guerra. I media hanno poi fatto trapelare la notizia che dopo il nord, il presidente ucraino visiterà Berlino il 13 e 14 maggio su invito del cancelliere tedesco Scholz. Ma il viaggio rischia di saltare proprio a causa della fuga di notizie. Secondo il Tagesspiegel, gli ucraini sarebbero infatti molto delusi che siano trapelate «in modo consapevole da fonti tedesche informazioni di politica della sicurezza molto sensibili». A seguire, Zelensky ha partecipato a un vertice con i leader dei Paesi nordici: oltre a Niinisto, il premier svedese Ulf Kristersson, la danese Mette Fredriksen, il norvegese Jonas Gahr Store e la premier islandese Katrin Jakobsdottir. Le cinque nazioni hanno espresso il loro sostegno per un’Ucraina membro della Nato e dell’Ue, confermando il loro sostegno politico, finanziario, umanitario e militare a Kiev «per tutto il tempo necessario».
(da Open)
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