Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO CON I COSTI IN PERIFERIA È DI UNO A CENTO: NELLE ZONE POCO CENTRALI SI POSSONO STIPULARE CONTRATTI ANCHE A 400 EURO AL MESE
C’è una differenza fondamentale tra gli affitti delle case a Milano e quelli dei negozi: i primi sono cari dappertutto, i secondi variano moltissimo a seconda dell’appeal commerciale della strada in cui si trova il negozio.
Il rapporto tra i prezzi più bassi della città, nella periferia dove si stipulano contratti a meno di 100 euro all’anno per metro quadrato (che significa per 50 metri circa 400 euro al mese) e i valori top di Monte Napoleone dove occorrono, se si calcolano la buonuscita a chi lascia gli spazi liberi, oltre 12 mila euro al metro (più di 50 mila euro al mese per 50 metri), arriva infatti a superare il livello incredibile di uno a cento.
Non è sempre stato così, ma la crisi del piccolo commercio ha portato a chiudere centinaia di negozi e ha polarizzato il mercato, condannando le strade con poco passaggio. E non solo in periferia. Basta percorrere una strada centralissima come via Mazzini, costellata da serrande abbassate da anni, per rendersene conto.
C’è una ripresa dei negozi alimentari, con il proliferare dei piccoli supermercati di vicinato, ma per il non food la vita è sempre più difficile mentre aumentano anche gli spazi lasciati vuoti dalle filiali bancarie, che in genere occupano immobili problematici da riciclare. C’è sì un aumento della presenza dei pubblici esercizi, ma bar e soprattutto i ristoranti hanno bisogno di locali ad hoc.
Le vie commerciali di Milano si possono dividere in almeno quattro fasce. La prima è costituita dalle strade della moda: sostanzialmente il Quadrilatero, con via Monte Napoleone che ormai secondo la classifica annuale di Cushman & Wakefield è al terzo posto nella classifica degli affitti commerciali del mondo. Secondo questa classifica il costo, comprendendo buonuscita e spese di gestione, arriva a superare i 14 mila euro al metro per anno.
Secondo le rilevazioni della Filma per un negozio da 70 metri, mettendo la buonuscita nel conto, si arriva comunque oltre i 12 mila euro. Le vie laterali e via della Spiga, pur avendo un fascino architettonico paragonabile se non maggiore rispetto a quello di Monte Napoleone, hanno costi inferiori ma comunque si arrivano a sfiorare i 10 mila euro.
Ci sono poi le strade commerciali, dove le vetrine non sono esclusive come nel Quadrilatero, perché sostanzialmente l’offerta è la stessa che si trova nei grandi centri commerciali e nei centri storici delle altre città italiane. Quindi soprattutto catene di abbigliamento. In questa categoria primeggia senza confronto corso Vittorio Emanuele, dove pure si arriva a quasi 10 mila euro al metro per anno
Altra strada commerciale di grande valore è corso Buenos Aires, dove si superano i 3.000 euro al metro per anno, anche se dal punto di vista degli affitti questa strada va divisa in tre porzioni: la prima da piazza Oberdan a piazza Lima, la seconda fino a piazza Argentina, la terza fino a Loreto, dove gli affitti sono un terzo rispetto a quelle del segmento centrale. Di pregio anche corso Vercelli, con via Belfiore e via Marghera.
Più bassi i canoni in altre strade a vocazione commerciale, come corso Ticinese, corso Genova, corsa San Gottardo, corso Garibaldi e corso Como. C’è un sistema quasi infallibile per capire se una strada affollata ha canoni cari: l’assenza di ristoranti, perché l’incidenza dei costi del personale e della materia prima è tale da non permettere di sostenere anche un costo elevato dell’affitto.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile
“CI SONO POLITICI ITALIANI CHE CONTINUANO A DIALOGARE COL DIAVOLO PUTIN. AVETE ANCHE LA STRANA POSIZIONE DELLA CHIESA. SE RITIENE GIUSTO ACCETTARE LE CONDIZIONI DI SATANA, ALLORA CAPISCO, MA NON CREDO. I RUSSI DEVONO RITIRARSI E BASTA. NOI NON DIAMO APPUNTAMENTI AL NEMICO”
“Noi non diamo appuntamenti al nemico. Noi siamo pronti, ma agiremo nel momento migliore. La strategia: liberare i territori occupati e tornare ai confini del 1991. La tattica si aggiusta di volta in volta”. Così, al Corriere della Sera, Oleksiy Danilov, segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale ucraino, considerato uno dei ‘falchi’ di Kiev, parlando della controffensiva.
“Dal 24 febbraio del 2022 ad oggi è cambiato tutto – spiega – La maggior parte del mondo ha capito che la Russia non ha il secondo esercito del pianeta e ha un presidente che ordina di uccidere i bambini. Vinceremo e lo porteremo a un tribunale per crimini di guerra”. Rispetto alla possibilità di una trattativa, Danilov risponde: “Volete che ci arrendiamo? So che ci sono politici italiani che continuano a dialogare col diavolo Putin. In Italia avete anche la strana posizione della Chiesa. Che Chiesa è quella che preferisce gli assassini di bambini? Se la Chiesa ritiene giusto accettare le condizioni di Satana, allora capisco, ma non credo”.
“Noi non vogliamo il russifascismo perché abbiamo imparato la lezione della storia. Non dovete spingerci o insistere. Devono ritirarsi e basta. Questa è casa nostra”. L’atomica “vada a farsi f… – dice ancora – Se dovessimo spaventarci, vorrebbe dire che solo i Paesi con l’atomica possono difendersi. Noi no, non ci pieghiamo”. Contro la Russia gli alleati possono fare di più, afferma: “Il totale isolamento, blocco di ogni transazione e persona. Molti russi passeggiano ancora per Venezia, Firenze, Roma”.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile
“IL TALK FINIRÀ SOTTO L’ETICHETTA “ATTUALITÀ”. MA IL GIORNALISTA NON RINUNCERÀ AD OCCUPARSI ANCHE DI TEMI POLITICI COME FA GIÀ OGGI NELLA SUA TRASMISSIONE: OGNI GIORNO SI OCCUPA DI QUESTIONI CHE RIGUARDANO IL GOVERNO LANCIANDOSI IN LODI SPERTICATE NEI CONFRONTI DELLA PREMIER, INCIDENTALMENTE SUA COMPAGNA DI VITA”
Mentre inizia il nuovo corso della Rai sovranista, anche Mediaset prepara le sue contromosse. Oltre a provare a trattenere i propri giornalisti di punta, ci potrebbe essere una new entry speciale: Andrea Giambruno.
L’indiscrezione rivelata a marzo dal settimanale Oggi ora trova le prime conferme. Il compagno della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, da settembre potrebbe essere promosso alla conduzione di un talk show in prima serata su Rete 4, rivela una fonte che frequenta il mondo Mediaset dietro la garanzia di anonimato.
Questa è l’idea ai vertici del Biscione, da far coincidere con i palinsesti (già molto pieni) di Rete 4. Il talk, ancora in fase di studio, finirà sotto l’etichetta “attualità”. “Stile Del Debbio”. Quindi un talk show che tratti di temi politici ma senza mai perdere di vista “i problemi reali delle persone”. Un tipo di trasmissione che Giambruno sta già sperimentando nella sua striscia quotidiana nel primo pomeriggio di Rete 4 Diario del Giorno.
“Giambruno chiede sempre di occuparsi del Paese reale”, dice chi lo ha conosciuto in questi anni da conduttore Mediaset. Ma il giornalista non rinuncerà ad occuparsi anche di temi politici come fa già oggi nella sua trasmissione: ogni giorno invita ospiti politici e si occupa di questioni che riguardano il governo lanciandosi in lodi sperticate nei confronti della premier, incidentalmente sua compagna di vita.
In Mediaset si stanno scervellando per trovare un incastro giusto. Se alla fine Giambruno non dovesse ottenere un posto in prima serata, comunque gli sarà garantito uno spazio quotidiano tutto suo in un orario migliore rispetto a quello di oggi. È anche per questo che da inizio maggio il compagno di Meloni ha iniziato a condurre in prima persona la sua striscia pomeridiana. E lo fa prendendo sempre le difese della premier e del suo governo.
La maggioranza è sempre privilegiata: martedì, per dirne una, ha mandato un inviato in ogni città dove la destra aveva vinto per eleggere i nuovi sindaci. Mercoledì invece Giambruno ha criticato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco che si era permesso di dire che “il salario minimo per legge può servire”.
Replica Giambruno: “Ma…in realtà c’è qualcuno che dice che il salario minimo già esiste: ci sono i contratti nazionali e basta estenderli ai lavori che non godono di alcun tipo di tutela”. Coincidenza: la stessa posizione della premier Meloni, spiegata nel discorso di insediamento al Senato.
Prima della formazione del governo, era metà ottobre, la destra era in difficoltà sulla trattativa per i ministeri e per gli audio pro-Putin di Berlusconi. Prima Meloni lo attaccò spiegando che “non era ricattabile”, qualche giorno dopo Berlusconi le ricordò: “Il suo uomo lavora per Mediaset”.
Dopo la formazione del governo, Mediaset decise di non mandare più in onda Giambruno : una vendetta dopo la decisione di Meloni di tenere fuori Licia Ronzulli dal governo.
A inizio anno, però, dopo le tensioni continue con Forza Italia, il patto tra Meloni e Marina Berlusconi fu, come hanno rivelato Luigi Bisignani e Paolo Madron nel loro ultimo libro, favorito proprio dal mediatore Giambruno. Da quel momento Forza Italia è diventata governista e Giambruno è tornato stabilmente in tv.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile
ECCO COSA DOBBIAMO ASPETTARCI
È pronta la controffensiva dell’Ucraina. Da tempo sichiacchierava della controffensiva ucraina e di quando sarebbe stata attuata.
È in un’intervista all’Wall Street Journal che il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha infine annunciato che la controffensiva è pronta e che crede che avrà successo.
Il presidente ucraino ha presentato l’iniziativa con ottimismo, ma allo stesso tempo chiedendo agli alleati occidentali della Nato di rispettare gli accordi presi sull’invio delle armi. Questo perché, secondo quanto affermato da Zelens’kyj, ogni arsenale – in particolare i sistemi di difesa aerea Patriot – sono decisivi in questa fase della guerra.
Il governo di Kyiv punta alla riconquista dei territori finiti sotto il controllo russo e allo stesso tempo a proteggere la Capitale, vittima negli ultimi giorni dei droni e dei missili russi.
Il vice ministro della difesa ucraino Volodymyr Havrylov ha utilizza toni più cauti nel dichiarare la controffensiva pronta ad agire, spiegando che i piani sono ancora in corso, ma che l’obiettivo e l’ambizione è quello di “liberare i nostri territori quest’anno”.
Lo scambio di informazioni tra Ucraina e Stati Uniti si è fatto sempre più intenso nelle ultime settimane e da una prima impressione preoccupata sulla buona riuscita della controffensiva, negli ultimi giorni è stato dichiarato che potrebbe essere invece “molto impressionante”.
L’ex capo della Cia, David Petraeus, per esempio ha commentato i piani della controffensiva spiegando che si potrebbero ottenere ottimi risultati combinando gli effetti di diverse armi.
Mentre le dichiarazioni sulla controffensiva vengono rimbalzate una parte all’altra del globo, il piano di pace proposto dal ministro della difesa indonesiano è stato respinto dall’Ucraina. Secondo il portavoce degli esteri infatti ogni proposta di cessate il fuoco permetterebbe all’esercito di Mosca di riorganizzarsi e rafforzarsi, rendendo ancora più difficile la liberazione dei territori e permettendo all’esercito russo di continuare a commettere crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Al momento le ripetute raffiche di missili balistici dei russi, soprattutto sui centri urbani e sulla Capitale, hanno l’obiettivo di fermare la controffensiva Ucraina, ma questa è già piuttosto avanti per subire rallentamenti.
Durante l’intervista rilasciata al Wall Street Journal il presidente ucraino ha spiegato che “tutti i nostri partner occidentali devono capire cosa hanno paura di perdere. Le sue (N.d.r di Vladimir Putin) continue minacce in stile sovietico sulle armi nucleari, tutti questi sono segni di un uomo debole. Ed è così che dobbiamo agire”.
Per Zelens’kyj la Russia deve essere messa con le spalle al muro attraverso un’operazione di isolamento, agendo in maniera sera: niente visti, niente commercio. “Se i valori autoritari sono più vicini, scegli la Russia. Ma se dici di essere un paese democratico che si vede nell’Unione Europea, nella Nato… beh, allora non mentire, semplicemente non mentire. Sii dalla parte di questi valori”, ha concluso, rivolgendosi ai leader dei Paesi alleati e non, prima di spostarsi sul tema delle prossime elezioni americane.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2023 Riccardo Fucile
MISMATCH DI COMPETENZE, CARENZA DI LAVORATORI E FRAMMENTAZIONE DEGLI ENTI SONO I PRINCIPALI OSTACOLI
L’Italia non riesce a spendere i soldi del Pnrr. Fatto ribadito spessissimo nelle ultime settimane, non tanto frequentemente quanto le sue cause. Ma le risposte sono contenute nella relazione del governo sul tema e le conclusioni sono chiare: o si riscrive il piano, o il nostro Paese rischia di vedersi sfuggire già la prossima rata, del valore di 16 miliardi di euro (sui 191,5 totali).
Il tutto, però, con l’approvazione da parte di Bruxelles, che libererà il denaro solo se l’Italia centrerà i 27 obiettivi fissati per il primo semestre del 2023. E l’Ue ha già detto che osserverà l’operato con attenzione, soprattutto dopo la decisione di sospendere i controlli in itinere («concomitanti») della Corte dei Conti, che arriveranno, invece, solo a lavori finiti. Una scelta, che a Bruxelles non è vista di buon occhio.
I progetti possono far saltare la prossima rata
Per la prossima rata, l’Italia è in ritardo su almeno sei progetti, riporta il Corriere della Sera. Nello specifico, si tratta delle previste 40 stazioni di rifornimento di idrogeno, dell’acquisto di treni Intercity per il Sud; della realizzazione di 2,5 mila colonnine elettriche per auto sulla rete autostradale e 4 mila nelle zone urbane; l’aggiudicazione di tutte le gare di appalto per offrire almeno 264.480 nuovi posti negli asili nido e nelle scuole per l’infanzia; gli investimenti in 9 studi cinematografici a Cinecittà; infine, c’è la partita aperta con l’Ue. L’Italia vuole usare i soldi del piano per sostituire le caldaie a gasolio con altre dello stesso tipo. Ma Bruxelles non ci sta.
Pochi lavoratori e il mismatch delle competenze
Le difficoltà sono iniziate nei primi mesi dell’anno scorso, quando le materie prima scarseggiavano e i prezzi si impennavano di conseguenza. Tuttavia, a questi problemi si è sommata la carenza di lavoratori adeguatamente qualificati. Soprattutto, si legge nella relazione, nell’edile e nei settori «connessi alla transizione digitale e green, provocando una dilatazione dei tempi di attuazione o persino compromettendone la piena realizzazione». Un esempio dei risultati si ha quando si guarda la voce di spesa del Pnrr dedicata alle opere pubbliche: si scopre che questa vale 91 miliardi. Di questi, l’Italia ne ha spesi appena 7 (ovvero l’8%). Vuol dire che nei prossimi 3 anni si dovrebbe trovare il modo di impiegare gli altri 84.
Enti frammentati e impreparati
Un problema simile si riscontra negli enti che si devono occupare di far progredire i progetti. Comuni, provincie, regioni, Città Metropolitane, società concessionarie, università ed enti di ricerca. Un contesto frammentato, che non aiuta, dove tutti dovrebbero spendere molto di più del solito, e per farlo mancano risorse umane e competenze gestionali e tecniche. Ostacoli – continua la relazione – «difficilmente superabili». Solo le municipalità vedrebbero aumentare le proprie spese del 66%. Ciò anche se i costi singoli sono relativamente contenuti. Su 152mila progetti previsti dal piano da assegnare tramite appalto, la metà, ovvero 76mila, ha un importo inferiore a 70 mila euro, mentre solo 16mila si piazzano tra 1 e 5 milioni di euro, e appena 3.301 sopra 5 milioni.
Il bilancio finale
Guardando al quadro generale, e non solo alla prossima rata, si vede che sono 120 i progetti in difficoltà. E 11 di questi presentano tre o quattro punti critici. Fra cui, le «misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico»; gli «investimenti in fognatura e depurazione»; lo «sviluppo del biometano»; l’alta velocità ferroviaria Brescia-Verona-Vicenza-Padova; il Piano Italia 5G. Vista la situazione, conclude l’esecutivo, «risulta ineludibile affrontare un ampio processo di riprogrammazione delle misure, in accordo con le istituzioni europee». L’idea è di chiedere che alcune scadenze vengano posticipate, mentre i progetti proseguono «a carico della programmazione 2021-2027 dei Fondi strutturali e del Fondo Sviluppo e coesione 2021-2027».
(da “Open”)
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