Giugno 6th, 2023 Riccardo Fucile
LA VERA STORIA DI METROPOL CHE LA LEGA PROVA A CANCELLARE
«Bufala». «Falso scoop». «Macchinazione». Negli ultimi giorni la
Lega e alcuni suoi dirigenti apicali hanno descritto così il caso Metropol, la vicenda svelata per la prima volta da chi scrive nel febbraio del 2019 sull’Espresso, ossia la trattativa avvenuto nell’omonimo hotel di Mosca il 18 ottobre 2018 alla quale aveva partecipato il fedelissimo di Matteo Salvini, Gianluca Savoini, con l’obiettivo di ottenere dai russi un finanziamento per la campagna elettorale per le europee.
«Una simpatica manovra per creare a tavolino una menzogna per infangare Salvini», l’ha definita ad esempio il senatore leghista Claudio Borghi. Il Carroccio è talmente infuriato da aver annunciato una denuncia in procura (l’ennesima, per la verità, le precedenti le ha perse tutte) e ha chiesto che sia anche il Copasir, il Comitato parlamentare che controlla l’attività dei servizi segreti, a occuparsi del caso.
«Oltre a quello che appare come un agente provocatore dell’Espresso che cercava in tutti i modi di incastrare la Lega in accordo con un amico giornalista, al tavolo ci sarebbero stati anche uomini dei servizi segreti stranieri», ha infatti scritto il partito di Salvini in un comunicato stampa. Ma di che cosa stiamo parlando? Che cosa ha scatenato la reazione leghista?
Caccia alle fonti
Tutto è nato da una serie di articoli pubblicati tra sabato e domenica dal giornale La Verità. Leggendo le carte dell’inchiesta condotta dalla procura di Milano sulla trattativa del Metropol, il quotidiano ha messo in evidenza due fatti.
Primo: uno di noi è stato in contatto più volte con Gianluca Meranda, uno dei tre italiani che hanno partecipato alla trattativa, e ha viaggiato insieme a lui sullo stesso aereo diretto a Mosca il giorno prima del famoso meeting nella capitale russa (sullo stesso volo, l’unico, c’era anche l’allora ministro Salvini, dettaglio sfuggito al quotidiano diretto da Maurizio Belpietro)
Secondo: al tavolo dell’hotel moscovita quella mattina del 18 ottobre 2018 c’era anche un agente dell’Fsb, i servizi segreti russi. Da qui la conclusione del quotidiano: poiché Meranda, oltre a essere un massone era anche la “talpa”, saremmo stati noi, insieme a lui, a costruire ad arte una notizia che in realtà non esisteva, vale a dire la trattativa per finanziare la Lega con soldi russi.
Una balla sesquipedale, visto che la trattativa c’è stata davvero, come dimostrano l’audio e i documenti pubblicati. E come ha certificato il tribunale di Milano, secondo cui l’obiettivo della trattativa era proprio quello «di finanziare illecitamente il partito Lega, grazie ai rapporti che Savoini, presidente dell’associazione culturale Lombardia-Russia, aveva saputo tessere con influenti personaggi del mondo politico, economico, culturale russo».
Per chi non ha seguito la vicenda con attenzione, e magari non conosce alla perfezione le regole del lavoro giornalistico, la narrazione cavalcata dalla Lega può però risultare suggestiva. Anche perché nei vari articoli citati dal partito non viene mai ricordato un fatto: il ruolo attivo di Savoini nel negoziato.
Partiamo da una premessa. I giornalisti devono rispettare il segreto professionale: hanno il dovere di non rivelare le fonti delle proprie informazioni se queste chiedono di rimanere anonime. Perciò, come abbiamo fatto quando la procura di Milano ci ha convocato per indagare su quanto avevamo pubblicato, continueremo a non rivelare l’identità delle fonti.
Ci sentiamo però in dovere di fare chiarezza su alcuni punti. La Lega si dice scandalizzata per il fatto che dei cronisti abbiano incontrato e sentito più volte, sia prima che dopo la riunione del Metropol, uno degli italiani presenti al tavolo. Quale sarebbe l’anomalia non è chiaro: il cronista segue una storia e cerca di verificarla con tutte le persone coinvolte. Sulla trattativa per finanziare la Lega con soldi russi abbiamo lavorato per mesi. Avevamo saputo che, nell’ambito di questa trattativa, il 18 ottobre 2018 ci sarebbe stata una riunione importante all’hotel Metropol di Mosca, alla quale avrebbe partecipato Savoini, ex portavoce di Salvini e suo delegato per gli affari russi.
Quale occasione migliore per verificare la veridicità delle informazioni raccolte fino ad allora? Se davvero al Metropol avessimo visto Savoini trattare con dei russi, sarebbe stata una conferma utile. L’audio della riunione e le parole di Savoini hanno ulteriormente fortificato le nostre già solide prove. Vale la pena ricordare l’introduzione politica fatta da Savoini – e non da Meranda – all’inizio della riunione: «Il prossimo maggio ci saranno le elezioni europee. Vogliamo cambiare l’Europa, una nuova Europa deve essere vicina alla Russia…questo è solo quello che voglio dire sulla situazione politica. Ora voglio che i nostri partner tecnici continuino questa discussione». Da qui iniziava la discussione sui dettagli dell’operazione commerciale e di finanziamento.
Non c’è solo il Metropol però che fa capire quanto Savoini fosse parte attiva nella gestione dell’affare. Si tratta di un’interlocuzione con il colosso energetico russo Gazprom. Agli atti dell’inchiesta di Milano è citata una mail inviata a Savoini, definita dallo stesso «la risposta di Gazprom», datata 1° febbraio 2019 a firma del vicedirettore del Reparto logistica, Anatolii Moiseevich Cerner: il manager scriveva «che la società non era interessata a intraprendere un rapporto commerciale con EURO IB (banca d’affari legata a Meranda, ndr) a causa sia del prezzo di vendita che risulterebbe eccessivamente basso rispetto ai valori di mercato che delle perplessità sull’esperienza e competenza operativa di EURO IB nello specifico settore petrolifero». Non solo: per cercare di convincere Gazprom a prendere parte all’affare, nei giorni seguenti, Savoini scriveva a Dmitry Vadimovich Bakatin, «azionista di riferimento del gruppo Sputnik (holding dell’omonima rete di siti informativi controllati dal Cremlino, n), con pregresse cariche in aziende di stato russe tra cui Gazprom Media Holding Jsc».
Bakatin «si impegnava a intercedere presso il ceo (amministratore delegato, ndr) di Gazprom», è scritto negli atti dell’inchiesta di Milano.
La demenziale ipotesi cavalcata dagli uomini di Salvini in parlamento e nei giornali governativi (una trattativa creata ad arte dall’Espresso e da Meranda) perché Savoini cercava in autonomia di convincere Gazprom a partecipare all’operazione? Savoini forse tramava contro sé stesso? E come spiega il partito le 40 riunioni tra aprile e luglio documentate dalla Guardia di finanza propedeutiche all’affare leghista?
Tra i russi della trattativa, annotano i finanzieri, c’erano anche «Ilya Yakunin (presente al Metropol e legato a un avvocato – politico di Russia Unita, il partito di Putin) Aleksandr Dugin e Andrei Kharchenko «in qualità di rappresentanti di alti esponenti dell’establishment russo, i quali si sarebbero impegnati a favorire la conclusione dell’operazione sia con lo scopo di assicurare un sostegno finanziario al partito italiano Lega Salvini premier sia in vista di una remunerazione economica promessa loro».
Ecco dunque spiegata la presenza al tavolo del Metropol di Andrei Kharchenko, agente dei servizi segreti russi nonché collaboratore del filosofo sovranista e ortodosso Dugin. La notizia rilanciata con grande enfasi dalla Lega era già uscita sull’Espresso quasi due anni fa: secondo il partito sarebbe la prova che quello del Metropol è stato un complotto. In realtà è l’ulteriore conferma che quella riunione non era un incontro casuale fra tre russi e tre italiani, come aveva dichiarato inizialmente Savoini (prima della pubblicazione dell’audio), ma un meeting a cui erano presenti di sicuro un agente dei servizi russi e lui, l’ex portavoce di Salvini.
Kharchenko è molto legato Dugin, che i giornali di destra e lo stesso Savoini conoscono molto bene, il suo pensiero e carisma sono molto apprezzati nelle redazioni dei quotidiani sovranisti. L’ultima intervista apparsa proprio su La Verità è il 22 marzo 2022, titolo: «È una guerra alle oligarchie mondiali».
Il fatto che il russo Kharchenko fosse seduto con Savoini al tavolo del Metropol certifica che all’incontro hanno preso parte figure di primo piano del cerchio di potere di Putin. La spia russa ha viaggiato spesso con il filosofo idolo dei sovranisti, italiani e europei. Per esempio, come hanno scritto già diversi giornali internazionali, ha usato il passaporto di stato nel novembre 2016 per recarsi ad Ankara (Turchia) insieme a Dugin, tra gli ideologi dell’annessione della Crimea e della guerra contro l’Ucraina.
Pochi giorni prima avevano incontrato in Crimea un consigliere del presidente turco Erdogan. Kharchenko, inoltre, lavora per la fondazione Eurasia di Dugin. Il papà di Dugin era ufficiale del Kgb, mentre lui è stato consigliere di Sergei Naryshkin, diventato numero uno dei servizi segreti.
Dunque i rapporti tra Savoini, Dugin e Kharchenko sono nati ben prima che l’avvocato italiano Meranda entrasse in scena. Uno degli ultimi incontri tra Savoini e Dugin risale a un convegno del giugno 2019. In quell’occasione l’intellettuale putiniano ha detto di conoscere Salvini «personalmente, credo che sia il miglior leader dell’Europa nuova, è l’uomo del futuro».
Al suo fianco, nonostante il caso Metropol deflagrato, un Savoini sorridente. Nonostante tutti questi fatti, la Lega ora sostiene che Savoini sia la vittima di un grande complotto ordito da giornalisti e faccendieri. Ma la verità, come scrive il tribunale e sanno anche nel governo, è che la trattativa c’è stata. E questa operazione leghista ha un unico obiettivo: cancellare ricordi moscoviti imbarazzanti per l’attuale vicepremier Salvini. (1. continua)
(da EditorialeDomani)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 6th, 2023 Riccardo Fucile
“CI SI AVVICINA SEMPRE PIU’ A UNA GUERRA TOTALE ADDEBITABILE A MOSCA”
“È probabile che i russi abbiano fatto saltare la diga di Kakhova per meglio difendersi in vista della controffensiva ucraina. Allagando la zona in questione, hanno ottenuto due scopi: far sloggiare gli incursori ucraini che si erano stabiliti su alcune isole a sud ovest e coprire il fianco sinistro del proprio dispositivo militare in vista della possibile e forse già in atto controffensiva”.
Così il generale Luigi Chiapperini, già pianificatore nel comando Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali NATO in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale NATO su base Brigata Garibaldi in Afghanistan tra il 2012 e il 2013, attualmente membro del Centro Studi dell’Esercito e autore dei libri “Il Conflitto in Ucraina” del 2022 e “Morire per Bakhmut”, ha spiegato a Fanpage.it perché le forze russe questa notte hanno distrutto la diga della centrale idroelettrica di Kakhovka, a monte del Dnepr, nell’area di Khershon.
Generale Chiapperini, secondo lei i russi hanno distrutto la diga di Kakhovka per rallentare la controffensiva ucraina?
“La ritengo l’ipotesi più probabile anche se non è certo e non sono ancora chiare le cause. Potrebbe essere stata un’esplosione o l’effetto cumulativo di precedenti attacchi. Sin da maggio 2023 gli ucraini hanno condotto azioni preliminari alla preannunciata controffensiva che sono ancora in atto e che comprendono, tra l’altro, attività operative dimostrative e di inganno come l’occupazione delle isole sulla sponda sinistra del fiume Dnepr con azioni anfibie “riverine”, tipiche tanto per intenderci di reparti specializzati come il Reggimento Lagunari Serenissima dell’Esercito Italiano.
Con la distruzione della diga, alcune isole e la zona contesa nel bacino del Dnepr dell’oblast di Kherson, che si trovano proprio nella zona alluvionale, sono state colpite violentemente dall’impeto delle acque. Le formazioni ucraine che le avevano occupate nelle settimane scorse stanno ora cercando di evacuare le isole sotto il fuoco dei reparti russi per non rimanere isolate o annegare. Inoltre, risultano allagati alcuni piccoli centri abitati della zona (Dnepryan e Korsunka) mentre a Novaya Kakhovka l’acqua ha raggiunto la strada costiera. Tutto ciò rallenta ogni tipo di operazione”.
In che modo quanto successo stanotte vicino Kherson può influenzare i prossimi passi da parte ucraina e da parte russa?
“Gli allagamenti sistematici rappresentano uno dei metodi per interdire delle aree ad un nemico in procinto di attaccare. Durante la guerra fredda anche noi italiani prevedevamo di allagare alcune aree alluvionali dei fiumi del Nord Est per rallentare la progressione dei carri armati del Patto di Varsavia, che poi fortunatamente non abbiamo mai visto.
Pertanto, nel caso specifico della diga a Kherson, è probabile che i russi lo abbiano fatto per meglio difendersi in vista della controffensiva ucraina. Allagando la zona in questione, hanno ottenuto due scopi: far sloggiare gli incursori ucraini che come detto si erano stabiliti su alcune isole a sud ovest e coprire il fianco sinistro del proprio dispositivo militare in vista della possibile e forse già in atto controffensiva ucraina lungo una delle direttrici, e mi riferisco a quella che dall’area di Zaporizhzia potrebbe puntare verso le città del sud: Melitopol, Berdyansk e Mariupol”.
Il cancelliere tedesco Scholz ha detto che con l’attacco alla diga la guerra “ha una nuova dimensione”. È d’accordo?
“Credo che ormai da tempo sia stata raggiunta una “nuova dimensione” della guerra. Gli attacchi alcune volte indiscriminati con missili e droni a obiettivi strategici anche civili da ambo le parti ne sono la dimostrazione.
Certamente sono segnali da non sottovalutare poiché ci si avvicina sempre più a una guerra totale il cui inizio va addebitato a Mosca. Per l’Ucraina si tratta di sopravvivere. Senza l’attacco generalizzato a quasi tutta l’Ucraina del febbraio 2022 da parte dell’Armata Russa non assisteremmo oggi a tutto questo”.
Quali sono i rischi maggiori derivanti da un attacco del genere, che mette a rischio milioni di persone e fa crescere i pericoli per la centrale nucleare di Zaporizhzhia?
“Al momento sembrerebbe che non ci siano grandi pericoli per la centrale: la struttura prevede misure di sicurezza per l’approvvigionamento idrico in caso di tali disastri. Rimane il fatto che i pesanti combattimenti in corso e prevedibili nell’immediato futuro potrebbero coinvolgere anche la centrale causando incidenti che sebbene poco probabili, se dovessero verificarsi potrebbero provocare danni gravi. Non conviene a nessuno dei due contendenti”.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 6th, 2023 Riccardo Fucile
PERCHE’ LE PRETESE DEL GOVERATORE SONO ASSURDE… NOSTRO PENSIERO: CON UN CONDANNATO PER SPACCIO DI DROGA NON SI PRENDE NEANCHE UN CAFFE’, ALTRO CHE PATROCINIO
In queste ore stiamo assistendo a un dibattito surreale sulla scelta di
Francesco Rocca, e della maggioranza di destra destra alla Regione Lazio, di ritirare subito dopo averlo accordato, il patrocinio al Roma Pride che coinvolgerà il prossimo sabato nella capitale centinaia di migliaia di persone.
Il governatore dice di essersi offeso per le dichiarazioni del portavoce della manifestazione Mario Colamarino, addirittura Rocca si è “imbestialito”. Ma cosa ha detto Colamarino per farlo tanto arrabbiare? “La regione ha deciso di sottrarsi alla trappola dei pregiudizi ideologici, prendendo le distanze politiche da quanti in Parlamento vorrebbero rendere la nascita delle nostre figlie e dei nostri figli reato universale, perseguendo la gestazione per altri”.
E in effetti nella piattaforma del Pride romano è tutto scritto nero su bianco. È Rocca che non l’ha letto il documento, salvo poi arrabbiarsi quando il Partito Democratico si è sinceramente complimentato per aver concesso il patrocinio istituzionale, con un gesto decisamente in contro tendenza.
Il retroscena vuole che Rocca fosse ben contento di concederlo il patrocinio, ma che la sua maggioranza, estremamente sensibile alle istanze pro vita, sia andata su tutte le furie costringendolo alla subitanea marcia indietro.
Un indimenticabile Francesco Storace, ospite del salotto di Bruno Vespa, la leggenda vuole che rispondesse così a chi gli chiedeva di dire qualcosa di destra: “A frociiii!”. Lui nega di averlo mai detto, che sia entrato nell’immaginario collettivo vuol dire però che fosse tutto tranne che inverosimile.
Ed è proprio così: il centrodestra vorrebbe che i “froci” facessero i “froci”, che nella loro idea vorrebbe dire fare una carnevalata semi nudi, ballando musica degli anni Ottanta baciandosi tutti con tutti. Una roba disgustosa da cui tenersi alla larga, ma tutto sommata innocua.
Guai se la comunità Lgbtq osa disturbare la destra che vuole discriminarla. Così la Gpa diventa il grimaldello ideologico con cui si vuole prendere le distanze dal Roma Pride, perché non si ha il coraggio di dire che la destra destra che governa questo paese non solo non vuole fare passi avanti sui diritti civili, ma vuole tornare indietro non solo alla salute riproduttiva e all’autoderminazione delle donne.
Purtroppo per loro però la destra italiana non può pretendere di decidere anche cosa sia giusto e legittimo che si esprima al Pride, non può decidere cosa può o non può rivendicare per sé la comunità Lgbtq. Perché il Pride è un momento di visibilizzazione delle istanze politiche di una comunità che ha ancora meno diritti degli altri ed è discriminata. Non è solo una sfilata.
Quindi si preparino a vedere una carnevalata in grande stile, dove ci si bacia chi vuole con chi vuole, dove si balla e ci si spoglia quanto vuole (perché ci si sente sicuri nel farlo), perché il carnevale è da sempre questo, e lo diremo senza dilungarci sulle citazioni di Bachtin: una liberazione, il rovesciamento almeno temporaneo di un ordine opprimente, un’esplosione di libidine. E per quanto riguarda la musica, come si fa a resistere e a stare fermi quando parte: “Quanto è bello far l’amore da Trieste in giù, quanto è bello far l’amore con chi hai voglia tu?”.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 6th, 2023 Riccardo Fucile
L’INDAGINE COINVOLGE ANCHE FINCANTIERI E LEONARDO
Sono indagati dalla procura di Napoli l’ex primo ministro Massimo D’Alema e l’ex presidente del Monte dei Paschi di Siena Alessandro Profumo per la vendita di navi e aerei militari alla Colombia. Nella mattinata di oggi – martedì, 6 giugno – sono partite le perquisizioni della Digos per tutti gli indagati tra cui anche Giuseppe Gordo, ex direttore generale di Fincantieri.
La sezione reati economici della Procura di Napoli contesta agli indagati, 8 in tutto, il reato di corruzione internazionale aggravata.
La forma aggravata viene contestata, in quanto il reato sarebbe stato commesso con l’ausilio di un gruppo criminale organizzato attivo in diversi Stati, tra cui Italia, Usa, Colombia e altri Paesi. I fatti contestati risalgono a una data prossima al 27 gennaio 2022.
Si legge nelle carte della Procura: «I soggetti indagati si sono a vario titolo adoperati quali promotori dell’iniziativa economica commerciale di vendita al governo della Colombia di prodotti di aziende italiane a partecipazione pubblica Leonardo.
In particolare aerei M 346 e Fincantieri in particolare Corvette, piccoli sommergibili e allestimento cantieri navali al fine di ottenere da parte delle autorità colombiane la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi ad oggetto le descritte forniture ed il cui complessivo valore economico ammontava oltre 4 miliardi di euro».
L’intera vicenda fu raccontata in più puntate da Giacomo Amadori su La Verità nel marzo 2022. Per quello scoop non fu riconfermato dal governo Draghi al suo posto l’ad di Fincantieri, Giuseppe Bono.
Il decreto di perquisizione
Figura tra le persone coinvolte nella corruzione internazionale anche Marta Lucia Ramirez, già ministro degli Esteri e vice presidente della Colombia. A Ramirez, l’ipotesi degli inquirenti, sarebbe dovuta essere corrisposta, in maniera occulta, una parte dei 40 milioni di euro promessi per presunte agevolazioni nel conseguimento di una commissione miliardaria.
Secondo il decreto di perquisizione: «Francesco Amato ed Emanuele Caruso operavano quali consulenti per la cooperazione internazionale del ministero degli Esteri della Colombia tramite Giancarlo Mazzotta riuscivano ad avere contatti con Massimo D’Alema il quale per il curriculum di incarichi anche di rilievo internazionale, rivestiti nel tempo si poneva quale mediatore informale nei rapporti con i vertici delle società italiane, ossia Alessandro Profumo quale amministratore delegato di Leonardo e Giuseppe Giorgio quale direttore generale della divisione navi militari di Fincantieri. Tale operazione era volta a favorire e ottenere da parte delle autorità colombiane la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi ad oggetto le descritte forniture e il cui complessivo valore economico ammontava oltre 4 miliardi di euro. Per ottenere ciò offrivano e promettevano ad altre persone il corrispettivo illecito della somma di 40 milioni di euro corrispondenti al 50% della complessiva provvigione di 80 milioni di euro». A essere coinvolti, oltre a Ramirez, sono anche: «Edgardo Fierro Flores capo del gruppo di lavoro per la presentazione di opportunità in Colombia, German Monroy Ramirez e Francisco Joya Prieto delegati della commissione del Senato colombiano».
Il legale di D’Alema: «Massima collaborazione»
L’ex primo ministro D’Alema ha fornito la «massima collaborazione all’autorità giudiziaria». Lo ha riferito il suo legale, Gianluca Luongo secondo il quale «sarà dimostrata la più assoluta infondatezza dell’ipotesi di reato a suo carico». L’avvocato ha inoltre confermato che stamattina – martedì 6 giugno – è stata eseguita una perquisizione informatica, da parte della Procura di Napoli, «in merito alla vendita, poi non conclusa, di navi e aerei, da parte di Fincantieri e Leonardo, al governo colombiano», ha concluso Luongo.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 6th, 2023 Riccardo Fucile
PARTIRA’ COSI’ LA RIORGANIZZAZIONE DEL PARTITO SECONDO LA NUOVA LINEA FILO-MELONIANA DETTATA DALLA “MOGLIE” MARTA FASCINA CON LA BENEDIZIONE DI MARINA BERLUSCONI
Da ieri mattina i ministri di Forza Italia hanno iniziato a disdire i loro
appuntamenti per sabato prossimo . Cos’è stato in grado di cambiare all’improvviso le loro agende? L’invito a pranzo, ad Arcore, del presidente Silvio Berlusconi, ovviamente. Tutti sanno che la portata principale del weekend sarà la riorganizzazione del partito.
Riunione per ora ristretta ai ministri e non allargata ai capigruppo, ma «il formato è ancora provvisorio». Il punto è farla in fretta. Perché si racconta che nei corridoi della villa ad Arcore si vivano con un certo «fastidio» le voci che da giorni serpeggiano nel partito (e poi finiscono sui giornali), che vorrebbero uno stravolgimento imminente dell’organigramma di Forza Italia.
Un’operazione pensata dalla “moglie” Marta Fascina, dicono. «Esercizi di fantasia», replica Berlusconi con una nota. Ma anche per questo si è reso necessario il pranzo di sabato prossimo: dare alle truppe un segnale di presenza del leader e una linea in grado di rasserenare gli animi. Perché l’atmosfera, di fronte agli scenari ipotizzati, quasi punitivi nei confronti di chi non è allineato al nuovo corso “filo-meloniano”, ha creato un certo subbuglio.
«Ed è certamente vero che Forza Italia voglia adeguare la sua organizzazione, anche in vista delle prossime elezioni europee. Ma non è vero – sottolinea il Cav – che lo farà “con la rivoluzione” e mortificando le persone». Insomma, Berlusconi vuole che si mantenga un certo equilibrio
Poi, dice sorridendo un veterano che ha già vissuto tanti restyling di Forza Italia, «una volta ascoltati e coinvolti tutti quelli che si devono coinvolgere, sarà il presidente a prendere una decisione, come è sempre stato e come è giusto che sia». In fondo, è la famiglia Berlusconi a tenere in vita Forza Italia a suon di donazioni.
Il tema è stato affrontato anche in una delle ultime telefonate con il coordinatore Antonio Tajani, che predicava prudenza. A partire da chi è già stato indebolito e, per l’appunto, non va «mortificato», come la capogruppo in Senato Licia Ronzulli.
Le voci in Parlamento la vogliono «appesa un filo», ma dopo la nota di Berlusconi «non è detto che venga toccata. E se anche venisse rimossa da capogruppo, potrebbe sempre incassare qualcos’altro», ragionano ai piani alti del partito. Viene considerato in bilico anche l’uomo di fiducia di Ronzulli, Giuseppe Mangialavori, la cui poltrona di coordinatore in Calabria balla da due settimane.
Resta in piedi, poi, l’ipotesi dei tre nuovi coordinatori di grandi aree: uno per il Nord, uno per il Centro e uno per il Sud, (si fanno sempre i nomi di Alessandro Sorte, Stefano Benigni, Tullio Ferrante, tra i papabili). E questo nonostante lo stesso Tajani non sia entusiasta, perché è una formula che indebolirebbe la sua agibilità politica. Ma tutto, dicevamo, è ancora in aria. E alla fine, come sempre, deciderà lui.
(da Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 6th, 2023 Riccardo Fucile
69 ETTARI NELLE MONTAGNE DELLA ROMANIA, LONTANA DA FUGATTI
L’orsa Jj4 potrebbe essere trasferita in Romania. Il condizionale è d’obbligo perché sarà il Tar Trento a decidere il suo destino. Ma fra le opzioni presentate dalle diverse associazioni animaliste sembra che la più probabile sia quella del Santuario Liberarty Bear Sanctuary Z?rne?ti, un santuario di 69 ettari nelle montagne della Romania.
Era stata l’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) già dal 12 maggio a informare il Ministero dell’Ambiente sulla possibilità di trasferire Jj4, nel caso non possa essere liberata in natura, nel santuario gestito dall’associazione Millions of Friends, lega membro di Oipa International.
La proposta Oipa sarà inviata con ulteriori dettagli entro il 27 giugno, data fissata dal Tar di Trento, alla Provincia autonoma di Trento, al Ministero dell’Ambiente e al Tribunale regionale di giustizia amministrativa.
“L’importante novità sta nella circostanza che ora anche altre associazioni animaliste hanno sposato la proposta dell’Oipa. Quindi, la salvezza di Jj4 si avvicina grazie anche al supporto delle altre associazioni. Non dimentichiamo però che chiuso nel Casteller da anni c’è M49, detto anche ‘Papillon’ per i suoi tentativi di evasione, e rischia di finirci anche MJ5, se catturato. Anche quest’ultimo, come Jj4, è oggetto dei decreti di abbattimento del presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti”,
Dentro al Santuario Libearty
Nel Santuario Libearty, situato nel cuore dei Carpazi, trovano una seconda vita gli orsi bruni recuperati da circhi o zoo fatiscenti, salvati dal bracconaggio, da sequestri di chi li teneva come animali da compagnia o dalle strade dell’Albania e della Bulgaria dove vengono utilizzati come attrazioni turistiche (i famosi orsi danzanti in catena).
Creato in memoria di Maya, il Libearty Sanctuary è ora la casa di 100 orsi bruni, che finalmente possono correre liberi nella foresta , senza paura, rotolarsi nel fango, farsi un bagno nel lago e giocare tra di loro. Il Libearty è infatti riconosciuto da molti specialisti come il santuario più etico del mondo, proprio per la vastità di territorio che occupa e per le condizioni praticamente di semi-libertà in cui vivono gli orsi, salvati da condizioni di vita atroci
Ogni orso ha la sua storia, il suo passato da brividi e i suoi traumi che si porta dietro.
Come Alisa, che ha trascorso i primi sette anni della sua vita al circo, dove ha imparato il suono e la rigidità della frusta dell’addestratore. Quando non serviva più per gli spettacoli, è stata portata in uno zoo in Ucraina, dove veniva utilizzata per l’allevamento, sfornando piccoli come una macchina. I piccoli venivano venduti in fretta e lei doveva ricominciare da capo, anno dopo anno. Ad un certo punto ha cominciato a diventare cieca. A nessuno importava, quindi non è stata curata… perdendo la vista completamente. A quasi 28 anni Alisa, il 12 novembre 2020, ha sentito per la prima volta l’erba sotto le zampe nella foresta di Libearty.
C’è la storia di Bam, che è stato trovato con suo fratello Bim, nel febbraio 2016, quando avevano meno di un mese. I ranger hanno sentito il loro grido disperato, ma speravano che la madre tornasse per dar loro da mangiare. Dopo tre giorni, la madre non era ancora tornata. Forse uccisa dai cacciatori. Così i ranger portarono i piccoli al santuario, dove Bam ora è libero e grande. Purtroppo, però, soffre ancora della mancanza di sua mamma. Si riconosce facilmente perché si succhia la zampa, come un bambino orfano che sente ancora l’assenza della madre.
E c’è anche Graeme, la cui madre fu uccisa dai cacciatori e lui venne “imprigionato” con suo fratello dagli stessi carnefici della madre. Oggi finalmente è libero, rispettato e amato nella sua selvaticità.
100 storie come queste, tra dolore e rivincite, sconfitte e vittorie. E tutto nacque grazie a una promessa. La promessa che Cristina Lapis, ex giornalista di Brasov, fondatrice del santuario, fece ad un’orsa, Maya, nel lontano 1998.
Cristina e Maya si conobbero quando l’orsa era in fin di vita dentro una gabbia sporca nel cortile di un hotel, ormai denutrita da giorni. L’attivista, da quel momento, per quattro anni, percorse 60 km ogni giorno per portarle da mangiare e prendersi cura di lei. “Nel corso del tempo, siamo riusciti a migliorare la sua salute e a tirarla su di morale. Presto ha iniziato a riconoscere il suono della nostra macchina e si alzava per salutarci. Ci ha insegnato tutti i valori dell’anima e della gratitudine di un animale innocente”.
Sfortunatamente, nel 2001, Maya iniziò a mostrare nuovi segni di depressione. Aveva iniziato a mutilarsi: si masticò la zampa destra quasi fino all’osso. Nonostante tutti gli sforzi per salvarla (interventi chirurgici, cure mediche, tempo trascorso con lei, cibo adeguato, ecc.), Maya, l’11 marzo 2002 morì.
“Le parlavo continuamente, e le promettevo che un giorno sarebbe stata di nuovo libera di correre nei boschi, e le chiedevo di avere pazienza, di aspettare. Ma sembra che Maya alla fine abbia perso la fiducia nelle promesse delle persone. Dopo che ci ha lasciato, tutto quello che ho potuto fare per Maya è stato mantenere la mia promessa: costruire il Santuario che avevo promesso e assicurarmi che nessun altro orso subisse mai quello che ha passato lei. Il Santuario “Libearty” è dedicato a Maya, che risplende nella costellazione dell’Orsa Maggiore, a tutti gli orsi che oggi godono di un destino più felice, a causa delle sofferenze che ha dovuto sopportare. La MORTE di Maya in realtà significava la NASCITA del Libearty sanctuary”
E oggi, a 18 anni dalla fondazione del santuario degli orsi, questa riserva sconfinata tra i boschi della Romania, rimane un’oasi di pace tra gli spari di fucile che si sentono al di là di quei recinti, dove l’orso è ancora cacciabile. Per sport. Per gioco. Per divertimento.
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 6th, 2023 Riccardo Fucile
1,82 ARRIVANO DAL CANONE E 682 MILIONI DALLA RACCOLTA PUBBLICITARIA, PIÙ 186 MILIONI DI ALTRI RICAVI… COSTI ENORMI, CHE SI MANGIANO TUTTI I POSSIBILI UTILI… LE SPESE ALLEGRE SUGLI AFFIDI DIRETTI E I 12MILA DIPENDENTI CHE DRENANO RISORSE
Mentre i giornali sono pieni in questi giorni delle grandi manovre
sulla Rai meloniana, all’insegna del “chi lascia e di chi arriva” tra conduttori, showman e direttori vecchi e nuovi, non si parla quasi mai dei conti della tv pubblica. Come se questo fosse del tutto marginale.
Il bollettino dei bilanci della Tv di Stato sono sempre di calma piatta. Ogni anno, da decenni, o i conti chiudono in pareggio o con piccole perdite. Nessun slancio in avanti, nessuna variazione sul tema. Anche nel 2022 appena chiuso, il solito scarno comunicato del Cda, ha avvisato che i conti hanno chiuso in parità, a livello consolidato, tra entrate e uscite.
Tutto cambia, purchè nulla cambi in quella fornace pubblica in cui i costi erodono del tutto i ricavi. Gli utili non si vedono mai e così tutte le entrate vengono immancabilmente mangiate dai costi. Già i costi. Dovrebbero riscuotere un po’ più di attenzione dalla politica che gestisce l’azienda di Stato, dato che la grossa fetta degli incassi viene dal canone pagato dai cittadini.
Nell’ultimo bilancio consolidato disponibile, quello del 2021, (il 2022 non potrà che essere una fotocopia dell’anno prima) la Rai ha incassato, dall’obolo obbligatorio chiesto agli utenti, ben 1,82 miliardi, cui si sommano i 682 milioni dalla raccolta pubblicitaria più 186 milioni di altri ricavi. Di fatto le entrate sono state di 2,68 miliardi rispetto ai 2,5 miliardi del 2020.
Un incremento di 180 milioni che non è bastato a chiudere una volta tanto in utile. Tutti spesi fino all’ultimo centesimo, dato che l’ultima riga del bilancio consolidato chiude a zero. Puoi avere anche annate in cui fai più ricavi, ma i costi si adattano al millimetro a ogni variazione delle entrate.
I COSTI SI MANGIANO TUTTI I RICAVI
E così il 2022 ha chiuso a zero così come il 2021 e il 2020. A chi vanno i costi, tali da pareggiare quasi costantemente anno su anno i ricavi? Poco più di 1 miliardo sono i costi per far funzionare il pachiderma pubblico, poi c’è un altro miliardo e poco più per gli stipendi dell’esercito dei 12mila dipendenti. Sommati ammortamenti e accantonamenti obbligati ed ecco che tutti i 2,68 miliardi di ricavi si bruciano. E questo è il bilancio consolidato del gruppo.
A livello di bilancio separato della Rai le cose vanno ancora peggio: i ricavi non bastano a coprire i costi dato che sia nel 2021 che nel 2020 le perdite sono state di 30 e 20 milioni rispettivamente
La vulgata dice che la Tv di Stato ha un contratto di servizio con obblighi informativi che le Tv private non hanno e che la Rai ha un tetto all’affollamento pubblicitario. Vero, ma c’è un altro punto di vista. La Rai è poi così diversa dai canali privati? Davvero c’è un’unicità di Rai tale da assorbire così tanti costi? Basta fare il confronto più immediato che è quello con Mediaset (oggi Mfe). La Rai si finanzia con il canone per due terzi dei suoi ricavi, la Tv di Berlusconi solo con la pubblicità. Tutte e due hanno tre canali, tutte due hanno i telegiornali, entrambe hanno fiction e show di ogni genere. Davvero possono dirsi così diverse come offerta?
Certo la Rai ha gli obblighi di natura pubblica, ma basta questo a sancire una gestione aziendale così agli antipodi. Come visto la Rai chiude sistematicamente in pareggio o con piccole perdite.
IL CONFRONTO IMPARI CON MEDIASET (MFE)
Vediamo Mediaset. I ricavi totali nel 2021 sono stati di 2,9 miliardi, con un utile netto di 374 milioni. Ma dentro c’è il business spagnolo con Mediaset Espana su cui si è appena chiusa l’offerta volontaria di Mfe per comprarsi l’intero capitale.
Tolte le entrate spagnole ecco che Mediaset nell’attività in Italia fa ricavi per poco più di 2 miliardi. Su questo giro d’affari, la Tv di Berlusconi ha realizzato, in Italia, un utile operativo di 249 milioni.
L’anno scorso la Tv della Fininvest ha chiuso i conti con un utile sceso sì, ma di tutto rispetto: 217 milioni su 2,8 miliardi di fatturato. E se vogliamo limitarlo alle sole attività italiane gli utili netti sono stati di 96 milioni su poco più di 1,9 miliardi di ricavi fatti in Italia.
PER MFE I COSTI DEL PERSONALE SONO POCO PIU DI UN TERZO DI QUELLI DELLA RAI
La differenza con la Rai è sui costi del personale che se per la tv pubblica superano il miliardo per Mfe sono di soli 340 milioni. Anche i costi operativi e gli ammortamenti sono più bassi di quelli della Rai. 1,4 miliardi per Mfe contro più di 1,7 miliardi per mamma Rai. Mfe funziona con 4.800 dipendenti, di cui poco più di 3mila in Italia, contro l’esercito dei 12 mila dipendenti di via Teulada.
Pur avendo tre reti ciascuna, pur coprendo l’informazione nazionale con i tre telegiornali, pur avendo lo stesso livello di offerta di entertainment, pur avendo solo un piccolo scarto nell’audience complessiva a favore della Rai, Mediaset è gestita come un’azienda normale, mentre in Rai ciò che conta è evidentemente spendere tutte le risorse assegnate in barba a ogni modello di gestione aziendale……
LE ANOMALIE DELLE SPESE “PAZZE” SECONDO LA CORTE DEI CONTI
E poi oltre al gigantismo spesso inefficiente si cumulano sulla Rai una serie di anomalie e spese quanto meno discutibili. Ne dà conto ogni anno (inascoltata) la Corte dei Conti nel suo rapporto sui conti della tv di Stato. Vediamone solo alcune.
Solo per tenere aperte le sedi della Rai, da quelle centrali a quelle periferiche si spendono ogni anno oltre 70 milioni di euro. Valgono tanto per dare un’idea il 70% di tutti i ricavi dell’emittente La7 di Cairo. Sono, come documenta la Corte dei Conti nel suo ultimo rapporto sulla Tv pubblica sui bilanci del 2020, le spese vive.
Dagli affitti, al riscaldamento, alla manutenzione alla vigilanza. Solo per le sedi regionali si spendono 12 milioni con qualche discrasia: Firenze e Palermo da sole costano un milione a testa, rispetto alla media di 600mila euro delle altre sedi. La parte del Leone la fa il centro di produzione di Roma con ben 22 milioni l’anno. Segue il centro di produzione di Milano con quasi 7 milioni e Saxa Rubra pesa per oltre 10 milioni. Ma un peso rilevante ce l’hanno anche i costi esterni per realizzare i Tg. Oltre ai ricchi stipendi dei giornalisti che pesano per quasi 300 milioni l’anno, la realizzazione dei Tg comporta costi esterni per ben 62,5 milioni come documenta la magistratura contabile.
Con i Tg regionali che da soli pesano per 15 milioni e Rai News che costa 10 milioni, quasi quanto il Tg1. Nell’universo delle spese a go go di Mamma Rai non poteva mancare anche la faraonica quanto inutile Rai Corporation. La filiale Usa è in liquidazione da anni ma ha comportato un onere complessivo di quasi 7 milioni bruciati tra svalutazioni e deficit patrimoniale. Soldi gettati.
Ma quanto a costi la parte del Leone la fanno gli acquisti di programmi e diritti Tv e in genere i famosi contratti Rai. Nel 2020, come scrive la Corte dei Conti, il valore dei contratti stipulati dalle varie Direzioni sono ammontati a 1,77 miliardi con un incremento solo in un anno di oltre 700 milioni. A far la differenza le risorse Tv cioè i contratti di produzione lievitate a quasi 1 miliardo.
Ma il tema scivoloso è quello degli affidi diretti, cioè dei contratti svolti senza gara e senza bandi. Pesano e molto sui conti della Tv pubblica. I soli acquisti dei diritti Tv e sportivi sono in affido diretto per una cifra passata da 361 milioni nel 2019 a 1 miliardo nel 2020. Ovviamente soprattutto per i diritti sportivi. l’interlocutore è di fatto obbligato e l’affido non può che essere diretto.
Ma la pratica delle gare senza bando è diffusa anche sugli acquisti generali. Nel 2020 da quanto ha ricostruito la Corte dei Conti, l’affido diretto ha riguardato contratti per un valore di 437 milioni su 774 milioni totali. Una discrezionalità che lascia sempre margini di opacità.
(da Milano Finanza)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 6th, 2023 Riccardo Fucile
“VIOLATO LO STATO DI DIRITTO”. È UNA BORDATA AI SOGNI EUROPEI DI GIORGIA MELONI, ALLEATA DEL PARTITO DI MAGGIORANZA POLACCO, PIS
In queste settimane si fa un gran parlare, in vista delle elezioni europee del 2024, di una possibile alleanza tra Partito popolare europeo (Ppe) e Conservatori (Ecr). Del progetto che punta a costruire una “maggioranza Giorgia” al posto della “maggioranza Ursula” ha parlato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ma soprattutto ne è fautore il presidente del Ppe Manfred Weber che ha avviato un dialogo con la leader dell’Ecr: Giorgia Meloni.
Ma l’ipotesi che diventi realtà è fortemente esagerata. Per una questione numerica, ma soprattutto politica. Innanzitutto, Ppe ed Ecr sono lontani dalla maggioranza assoluta. Per tenere in piedi la Commissione servirebbe una terza gamba, quella liberale. Ma il leader di Renew, Emmanuel Macron, ha già escluso un accordo con i conservatori.
Per giunta, ci sono profonde incompatibilità politiche tra Ppe ed Ecr. La Cdu tedesca è molto più moderata e scettica rispetto alla linea Weber Ma soprattutto c’è l’ostacolo polacco: nel gruppo di Meloni c’è il PiS, il partito di destra al governo in Polonia, che proprio ieri si è visto bocciare dalla Corte di giustizia Ue la riforma della giustizia per violazione dello stato di diritto.
Per giunta nel Ppe c’è il partito di opposizione in Polonia, guidato da Donald Tusk, reduce da una gran manifestazione che punta a scalzare il premier Mateusz Morawiecki (alleato di Meloni) alle elezioni di novembre: difficile vederli nemici in autunno in Polonia e alleati in primavera in Europa. Ciò che può accadere è che qualche partito conservatore entri nel Ppe, come nel caso del premier ceco Petr Fiala, che già governa con partiti moderati. E’ complicato che un salto del genere possa farlo Meloni . Urge un piano B.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 6th, 2023 Riccardo Fucile
IL DL FINANZIATO CON I TAGLI AL REDDITO DI CITTADINANZA E ALTRI TAGLI AL SOCIALE
“In passato interventi di emergenza da 2 miliardi di euro non so se si
erano visti”. Così il 23 maggio, dopo la disastrosa alluvione in Emilia-Romagna, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni gonfiava il petto d’orgoglio nel presentare alla stampa il decreto per gli aiuti post-emergenza.
“Nella situazione attuale trovare 2 miliardi in qualche giorno non è una cosa facile. Penso vada dato atto a tutto il governo di essersi dedicato a questa emergenza con il massimo della concentrazione, della disponibilità e della operatività possibile”, spiegava la premier a reti unificate.
Due giorni dopo, durante la visita in Emilia-Romagna della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la premier parlava di uno stanziamento di “2 miliardi e 200 milioni per affrontare l’emergenza”, cifra ribadita il 28 maggio in un’intervista al Messaggero. Peccato che, alla prova dei numeri, quegli annunci si siano rivelati in gran parte falsi.
A smentire la prosopopea ufficiale ci ha pensato Pagella Politica. La testata online ha analizzato il decreto legge pubblicato il 1º giugno in Gazzetta Ufficiale e mette nero su bianco che “c’è mezzo miliardo di euro in meno” della somma promessa.
Ma non basta: “Le risorse sono state recuperate tagliando varie voci. Gli annunci del governo Meloni sugli aiuti per l’Emilia-Romagna non sono stati rispettati dai fatti”.
Negli 11 articoli su 23 che prevedono oneri per lo Stato, la spesa totale si ferma a 1,6 miliardi: 620 milioni per la cassa integrazione emergenziale in deroga, fino a un massimo di 90 giornate nel 2023 (circa 300 mila beneficiari, compresi occupati a termine e stagionali).
Ma della cifra, 400 milioni sono stati stornati dal Fondo di integrazione salariale per i lavoratori in caso di riduzione dell’attività, 50 milioni riducendo il Fondo sociale per occupazione e formazione e 150 milioni dai risparmi ottenuti con il taglio del Reddito di cittadinanza.
Per sostenere le imprese esportatrici il governo ha stanziato sino a 300 milioni prelevandoli da Simest, la società per l’internazionalizzazione delle aziende. Poco più di 250 milioni sosterranno i redditi dei lavoratori autonomi, dal primo maggio al 31 agosto, con un’indennità una tantum di 500 euro per ciascun periodo di sospensione del lavoro, non superiore alle due settimane e fino a 3mila euro.
Il governo ha anche rifinanziato con 200 milioni il Fondo per le emergenze nazionali con ricavi da estrazioni aggiuntive di Lotto e Superenalotto.
Le coperture per entrambe queste due misure provengono per 404 milioni ripristinando il contributo di solidarietà temporaneo che le aziende energetiche devono versare sugli extraprofitti.
Quasi 130 milioni sono stati invece recuperati tagliando le risorse per il “bonus sociale” sulle bollette del gas per le famiglie a basso reddito. Il Fondo dedicato agli interventi di tutela e di ricostruzione del patrimonio culturale danneggiato dalle alluvioni sarà finanziato con un rincaro di 1 euro dal 15 giugno al 15 settembre dei biglietti di ingresso dei musei statali.
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »