Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
42 I PROVVEDIMENTI APPROVATI (SOLO 15 DEI QUALI ERANO NEL DISCORSO PROGRAMMATICO DELLA PREMIER)… SULLA LOTTA ALL’EVASIONE, I BALNEARI E LE RIFORME È TUTTO FERMO O RIMANDATO…LA DUCETTA HA PUNTATO SU PROVVEDIMENTI “BANDIERA” (RAVE, CIBI SINTETICI, CONTANTI) LONTANI DALLE REALI URGENZE DEL PAESE
Giorgia Meloni e gli alleati di Lega e Forza Italia sono alla guida del Paese da 8 mesi. Si può fare un primo bilancio. Il 25 ottobre 2022 nel discorso alla Camera per la fiducia la promessa è questa: «Intendo fare quello che devo per dare agli italiani una Nazione migliore».
Certamente l’Italia sta vivendo un periodo complesso, ma se «chi ben comincia è già a metà dell’opera», vediamo cosa sta portando a casa il governo più a destra dalla Seconda guerra mondiale. Lo facciamo con l’aiuto dei politologi Marco Improta, Francesco Marangoni e Luca Verzichelli del Centro interuniversitario di ricerca sul cambiamento politico (CIRCaP) dell’università di Siena
Il governo può andare spedito
Forte di un trionfo elettorale che porta in Parlamento 238 deputati di FdI, Lega e FI su 400, e 116 senatori su 206, il governo Meloni ha una maggioranza schiacciante che gli consente di fatto di fare un po’ quello che vuole, e infatti finora il 56,1% di quello che ha proposto al Parlamento è stato approvato. Regge il confronto solo il governo Renzi con il 63,3% nello stesso periodo di tempo.
Al 21 giugno 2023 sono ben 42 i provvedimenti approvati: 29 decreti legge, 10 disegni di legge ordinari e 3 disegni di legge delega, con una media di 5,3 iniziative legislative al mese (arrivate in Parlamento). Ha fatto meglio solo il Berlusconi II (77) e il Berlusconi IV (53). La volontà di procedere spediti porta a un massiccio ricorso ai decreti legge (prassi comune a molti governi), mentre la forte maggioranza parlamentare per ora consente un uso più limitato della fiducia, messa sul 50% dei provvedimenti, in lieve calo rispetto al recente passato
Quante e quali promesse Meloni fa? L’indicatore da utilizzare è «l’indice di densità programmatica», ossia gli impegni reali presi ogni 500 parole (esclusi quelli generici e declaratori tipo «combatteremo la povertà»). Nel suo discorso la premier elenca 21 impegni programmatici, che vuol dire 1,2 ogni 500 parole. Il livello è relativamente basso: per esempio, il Berlusconi II è a oltre 2, il Berlusconi IV a 2,4, il Gentiloni a 2,9.
Delle 42 iniziative legislative approvate, quelle che riguardano gli impegni presi nel discorso programmatico sono 15, pari al 35,7%. Le iniziative di programma realizzate nei primi 8 mesi dal Berlusconi IV sono il 55%, per il resto il dato è più o meno in continuità con gli ultimi governi. Analizziamo le 15 priorità indicate per vedere a che punto di realizzazione siamo, cioè che cosa il governo Meloni ha fatto finora di concreto.
Le misure che toccano il portafoglio
Iniziamo dalle misure che toccano il nostro borsellino. La riduzione della pressione fiscale per famiglie e imprese: approvata la legge delega dal Consiglio dei ministri il 16 marzo 2023, adesso sta seguendo il suo iter parlamentare e dà al Governo 24 mesi di tempo per emanare i decreti legislativi. Tutto dipenderà anche da come andranno le casse dello Stato.
Da gennaio 2023 sono in vigore i seguenti provvedimenti: 1) la Flat tax al 15% per gli autonomi: promessa fino a 100 mila euro di reddito, oggi si ferma a 85 mila;
2) il taglio del cuneo fiscale per i dipendenti: promesso di 5 punti, per adesso è di 4 punti per redditi fino a 25 mila euro (circa 96 euro lordi al mese) e in vigore per 6 mesi (da luglio a dicembre 2023);
3) la riduzione delle imposte sui premi di produttività dal 10 al 5% per il 2023;
4) l’esenzione dal calcolo del reddito per i fringe benefit: da 260 euro a 3.000, solo per il 2023 e solo per i dipendenti con figli a carico;
5) la tregua fiscale per consentire a cittadini e imprese in difficoltà di regolarizzare la propria posizione con il fisco: per ora siamo alla rottamazione delle cartelle esattoriali fino a 1.000 euro;
6) le misure a sostegno della natalità: Iva ridotta al 5% per i prodotti per l’infanzia e l’igiene femminile, e aumento dell’assegno unico del 50% per chi ha un solo figlio e per il primo anno di vita; dai 3 figli in su l’aumento vale fino al compimento del terzo anno di età. In quest’ultimo caso l’Isee non deve superare i 40 mila euro. L’aumento va da 25 a 87 euro al mese;
7) infine sulle misure urgenti di sostegno al settore energetico Meloni riprende, sostanzialmente, le misure proposte da Draghi.
Il decreto Cutro
Al momento per combattere l’immigrazione illegale è scattata a marzo l’abolizione di fatto della protezione speciale per i rifugiati (che rischia di aumentare il numero di clandestini), e pene fino a 30 anni di carcere per gli scafisti. Nulla di sostanziale è cambiato rispetto al vecchio «decreto flussi», che stabilisce quanti migranti ogni anno possono entrare legalmente nel nostro Paese per lavorare
Reddito di cittadinanza
La riforma, contenuta nel decreto Lavoro del 1° maggio e da convertire in legge entro 60 giorni, parte da gennaio 2024. Dal nuovo assegno di inclusione, su 1,2 milioni di nuclei familiari 400 mila saranno esclusi, e cioè i nuclei dove ci sono occupabili tra i 18 e i 59 anni e assenza di disabili e minorenni (’indennità è già limitata a 7 mesi nel 2023).
In itinere
Il disegno di legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata (ddl Calderoli), per adesso è in commissione Affari costituzionali del Senato. Il ddl Nordio sulla riduzione dei tempi dei processi, appena arrivato alla Camera, prevede tra l’altro l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio. La realizzazione di nuove infrastrutture, per adesso è limitata alla riesumazione della società Stretto di Messina spa e al riavvio delle attività di programmazione. Sul Pnrr la decisione è di accentrare tutto in una nuova «Struttura di Missione» in capo al ministro Fitto, che è rimasta una scatola vuota fino al 26 aprile, e al momento non è ancora a regime.
Promesso e ancora non fatto
Nulla di nuovo sulla lotta all’evasione fiscale. In compenso la legge di Bilancio 2023 innalza il tetto all’uso del contante, portandolo da mille a 5 mila euro. Nulla sulle clausole di salvaguardia per le concessioni di infrastrutture pubbliche: sei concessionario di un’autostrada e non fai gli investimenti dovuti? O paghi, o abbassi la tariffa, o ti ritiro la concessione. Sulle riforme istituzionali il governo sta sondando diverse opzioni, tra cui l’ipotesi di semipresidenzialismo evocata nel discorso alla Camera, ma anche l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Nulla di formale è stato stabilito.
Passi indietro
Nella bozza del 21 novembre della Legge di bilancio, salta l’obbligo per i commercianti di accettare i pagamenti con il Pos sotto i 30 euro. La versione definitiva alza la soglia a 60 euro. Il 19 dicembre il governo deve cancellare la norma dopo le critiche della Commissione europea.
Provvedimenti bandiera
Il governo Meloni si concentra su alcune iniziative non legate a urgenze né priorità programmatiche, ma piuttosto dalla valenza simbolica come: 1) la stretta sui raduni illegali in vigore da dicembre 2022 che introduce un nuovo articolo del codice penale, il 633-bis, per punire con il carcere da 3 a 6 anni chi organizza mega-raduni musicali su terreni altrui, e in cui gira anche droga; 2) il disegno di legge che sancisce il divieto di produrre e vendere alimenti e mangimi sintetici, all’esame delle commissioni Industria e Sanità del Senato; 3) il cosiddetto disegno di legge contro gli eco-attivisti che imbrattano con pittura lavabile i beni culturali: pene da 6 mesi fino a 3 anni di carcere
Cosa doveva essere fatto e non lo è
Sulle concessioni balneari invece siamo ormai ad un passo dalla procedura d’infrazione. Entro febbraio 2023 il governo doveva emanare i decreti che definiscono i criteri per le gare pubbliche. Ma ha preso tempo: se ne riparlerà l’anno prossimo.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da il “Corriere della Sera”)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
“LA CITTA’ NON MERITA DI ESSERE VINCOLATA DA CERTI PERSONAGGI MOSSI SOLO DA INTERESSI PERSONALI”
“A qualcuno hanno ucciso un sogno, a me l’hanno trasformato in un incubo”. Comincia così il J’accuse con cui il sindaco di Castelfranco Veneto, Stefano Marcon, ha rassegnato le sue dimissioni da primo cittadino.
Un post durissimo, pubblicato su Facebook, con cui Marcon punta il dito contro i suoi colleghi di giunta e la Lega, assessori che “lavorano un paio di ore alla settimana, senza scrupolo, rispetto all’indennità che prendono”. Non solo.
L’ex sindaco del Nord parla di “consiglieri che creano il gruppo misto e condizionano l’attività amministrativa rimanendo leghisti”. Insomma, un clima di sfiducia a cui Marcon non ha voluto soccombere e, per questo, nei giorni scorsi ha deciso di lasciare l’incarico depositando in Municipio le sue dimissioni.
L’ex primo cittadino della città trevigiana è solo l’ennesimo degli amministratori leghisti di Castelfranco Veneto che ha detto addio alla carriera politica, o perché sfiduciati o perché infuriati contro il partito (che in molti hanno scelto di abbandonare). “È uno sport diffuso – ammette Marcon – dileggiare i componenti di giunta per farli dimettere”. Insomma, scrive nel post, “Castelfranco Veneto non merita di essere vincolata da certi figuri che tengono sotto scacco l’amministrazione per questioni meramente personali. E neanche la provincia di Treviso”. Provincia in cui, nelle stesse ore in cui il leghista si dimetteva, è stato nominato commissario Alberto Stefani, osteggiato da Marcon, che ha scelto di dimettersi anche dall’ente.
Parole dure, a cui l’ex sindaco aggiunge un’amara conclusione in cui, ringraziando i collaboratori leali, esprime gratitudine anche “per coloro che non lo sono stati, ma solo per dovere”. Un addio che alimenta le divisioni all’interno della Lega in Veneto.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
SECHI SI È STUFATO DEL “CLAN TOLKIEN” E DELLE DUE AMAZZONI MELONIANE GIOVANNA IANNIELLO E PATRIZIA SCURTI, CHE DA SUBITO LO HANNO VISTO COME UN CORPO ESTRANEO E HANNO LAVORATO SOTTO TRACCIA PER DEPOTENZIARLO
Dopo le frizioni con lo staff di Giorgia Meloni il portavoce Mario Sechi ha deciso di lasciare Palazzo Chigi. La notizia è stata anticipata da Dagospia. L’ex direttore dell’agenzia Agi, di proprietà dell’Eni, andrà a dirigere Libero, uno dei quotidiani del gruppo che fa capo ad Antonio Angelucci, l’imprenditore della sanità e deputato prima di Forza Italia e ora della Lega.
L’attuale direttore di Libero Alessandro Sallusti è infatti destinato a tornare, con Vittorio Feltri, a Il Giornale, non appena sarà nominato il nuovo Ca dal gruppo di Angelucci che ha acquistato la testata da Paolo Berlusconi
Mario Sechi non era a Parigi, all’Eliseo, martedì scorso. Un elemento di prova, direbbe un investigatore alle prese con il nuovo caso della comunicazione targata Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Come mai il capo ufficio stampa della presidente del Consiglio, giornalista con una grande passione per la geopolitica, non era presente al bilaterale più atteso degli ultimi mesi, l’incontro della riconciliazione tra Meloni ed Emmanuel Macron?
Domanda inevasa per ore, finché le voci che si rincorrevano da giorni non si sono trasformate in un’indiscrezione del sito Dagospia. Sechi ha pronte le valigie, dopo poco più di tre mesi a Palazzo Chigi. Nulla di ufficiale, ancora. Ma dovrebbe traslocare alla direzione di Libero, quotidiano che, accanto a Il Giornale e a Il Tempo, nel nuovo polo conservatore immaginato dall’editore Antonio Angelucci – proprietario di cliniche e anche deputato iper-assenteista della Lega – rappresenterebbe l’ala meloniana.
Storia tutta italiana questa, dove il confine tra interessi privati, politica, e giornalismo sfuma facilmente verso il grigio. E dove diventa normale che da collaboratore della premier si finisca a fare il direttore. Partiamo dalla fine. Dai messaggi a cui Sechi non ha risposto, ieri. Lo cercavamo per una conferma. Da buon sardo ha taciuto. E dunque ci siamo rivolti ad altre fonti di Palazzo Chigi, che ci hanno ricostruito il livore che si respirava in quelle stanze, la diffidenza verso Sechi della cerchia più ristretta che Meloni si è portata dietro quando è stata nominata presidente del Consiglio, una specie di “clan Tolkien”, dal nome dell’autore de Il Signore degli Anelli amato da questi fedelissimi e fedelissime. Tutte cose note ai giornalisti al seguito, sia chiaro.
Bastava essere presenti a uno dei tanti viaggi internazionali della premier per capire quanto non ci sia mai stato feeling tra Sechi e le due donne che fanno da bodyguard, da sempre, a Meloni: l’eterna segretaria Patrizia Scurti, oggi capo della segreteria particolare, e la storica portavoce Giovanna Ianniello, oggi coordinatrice della comunicazione istituzionale. Entrambe siedono nell’ufficio del presidente. Il gabinetto ristretto, per intendersi. Sechi ne è rimasto fuori. Entrambe partecipano ai bilaterali con i leader – per dire, erano sedute al tavolo con il presidente cinese Xi Jinping e con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky – Sechi no.
Da quanto trapela, l’accordo era prima di provare una convivenza di tre mesi. Se fosse andata bene, si sarebbe andati avanti. Su per giù la scadenza è stata questa. E, a quanto pare, non è andata così bene.
Chi conosce il “clan Tolkien” da anni sapeva sin dall’inizio che sarebbe finita così. E infatti Sechi è arrivato depotenziato a Palazzo Chigi. Non con il ruolo formale di portavoce, bensì di capo dell’ufficio stampa. Senza la possibilità di un rapporto più diretto con la premier e spesso tenuto all’oscuro delle novità improvvise in agenda. I rapporti tesi hanno complicato il resto della quotidianità.
Sechi è stato un ammiratore di Mario Draghi e prima candidato non eletto del partito dell’ex premier Mario Monti. Entrato nella squadra dei dirigenti dell’Eni, fu mandato a dirigere l’Agi nell’estate del 2019, l’estate del Papeete e della caduta di Matteo Salvini.
Dall’agenzia di proprietà dell’azienda di Stato che per conto del governo si occupa della strategia di affrancamento dal gas russo e di firmare contratti in giro per il mondo, è finito a Palazzo Chigi e da qui ora andrà a dirigere un quotidiano di area, della destra, di proprietà di un deputato della Lega che in Parlamento non mette mai piede. I primi indizi su chi gli succederà portano a Daniele Capezzone, ex radicale, ex deputato Forza Italia, oggi collaboratore de La Verità, e per qualche ora, negli ultimi giorni, anche lui candidato alla direzione di Libero
(da il FattoQuotidiano)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
LE SUE RIVELAZIONI POTREBBERO PORTARE ALLA FINE DELL’EPOPEA PUTINIANA… INOLTRE PER IL CREMLINO FARE GUERRA ALLA WAGNER SIGNIFICA PERDERE IL CONTROLLO GEOPOLITICO DI MEZZA AFRICA, VISTO CHE LA BRIGATA HA PENETRATO IL SISTEMA POLITICO IN LIBIA, MOZAMBICO, BURKINA FASO, MALI E SUDAN, OLTRE ALLA SIRIA
Il 24 giugno è stata una giornata concitata nell’élite russa, sia a Mosca che nelle regioni. A Perm, una città negli Urali, era quasi ora di cena quando riesco a parlare con un cinquantenne imprenditore locale, che gestisce quasi tutto il mercato immobiliare. «La situazione è calma», mi dice Sergej (nome di fantasia), a differenza di quanto successe durante il tentato golpe contro Gorbaciov nel 1991 e la distruzione del Parlamento da parte di Eltsin nel 1993.
«Allora andammo tutti in piazza, oggi siamo incollati ai computer». Estremamente nazionalista, Sergej avanza la tesi che dietro il tentato golpe ci siano forze straniere. Ben presto però ammette che Prigozhin (al quale la sua azienda ha donato fondi) è un patriota e non si capacita di come possa essersi fatto irretire dai nemici della madrepatria. «Fino a qualche giorno fa ci hanno assicurato che Wagner fosse una forza positiva e adesso sembra non esserlo più. Io ci avevo creduto». La verità squarcia le menzogne del potere e confonde.
Le denunce di Prigozhin hanno un ampio seguito anche tra chi appoggia la guerra che tra chi si oppone. Quando le macchine della polizia si sono avvicinate alle unità della Wagner a Rostov- sul-don sono state accolte dalle urla «Vergogna! Vergogna! » La classe media teme che i propri figli vengano richiamati al fronte e diventino “carne da cannone”, appunto come denuncia Prigozhin, e preferisce che la guerra la facciano i miliziani della Wagner piuttosto che i loro figli, come vorrebbe Putin.
Vanno aggiunte due considerazioni: l’ex ristoratore di San Pietroburgo è una figura amatissima tra i blogger militari più violenti, tra i suoi miliziani e tra le file dell’esercito regolare, il quale non era disposto a difendere Mosca dalla marcia del 24 giugno. A differenza di Putin, vestito con giacca e cravatta, sempre più distante e paranoico, Prigozhin, in uniforme, va tra la gente, incontra le madri dei caduti, le accompagna al cimitero, dona loro soldi.
La Wagner è una multinazionale del terrore, che ha penetrato il sistema politico di diversi stati africani. Ad esempio, nella Repubblica centrafricana controlla una agenzia di stampa, una tv, concessioni minerarie e addirittura gestisce una fabbrica di liquori. Opera anche in Libia, Mozambico, Burkina Faso, Mali e Sudan, oltre alla Siria. È impossibile liquidare Wagner senza che la Russia perda il controllo geopolitico di mezza Africa. Il gruppo promuove gli interessi economici del sistema di potere putiniano.
Fonti credibili a Londra e Mosca raccontano che Prigozhin sia il depositario di molti segreti del dittatore russo: transazioni economiche illegali, denari nascosti nei paradisi fiscali (tra cui Londra), le prove che Putin ha ordinato omicidi e interferito in diverse elezioni. Le rivelazioni potrebbero portare alla fine dell’ex grigio funzionario del Kgb. Molti elementi della burocrazia ex sovietica temono l’avventurismo di Prigozhin, ma è ormai una forza che non può essere liquidata facilmente.
Col passare delle ore cresce lo scetticismo circa la versione ufficiale della soluzione della crisi, e soprattutto sul ruolo di Aleksandr Lukashenko, il presidente della Bielorussa. Può un leader malato, debole, che ha accettato sul suo territorio i missili nucleari tattici russi, diventare improvvisamente un garante credibile di un accordo che vede Wagner dissolversi e i suoi uomini entrare nei ranghi dell’esercito regolare?
E’ possibile che Putin non si sia affatto liberato dell’abbraccio mortale con Wagner e provi invece di uscire dall’angolo cercando ancora una volta di utilizzare la milizia per i suoi fini. In questo scenario sempre più dibattuto nei circoli dell’intelligence occidentale, il cuoco di San Pietroburgo si trasferirebbe in Bielorussia, da dove ricostruirebbe la sua milizia e lancerebbe un attacco congiunto all’Ucraina dal Nord, una ipotesi fino ad ora rifiutata da Lukashenko.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
I DUE HANNO COMBINATO MOLTI PASTICCI: A SHOIGU SI DEVONO LE CONVINZIONI DEL CREMLINO DI ENTRARE A KIEV IN POCHI GIORNI… GERASIMOV, IDEOLOGO DELLA “GUERRA IBRIDA”, DA GENNAIO 2023 HA IL COMANDO DIRETTO DELL’INTERA ‘OPERAZIONE’ IN UCRAINA
Quando venerdì Prigozhin aveva accusato gli alti vertici militari di aver ordinato il bombardamento dei suoi uomini, il ministero della Difesa si era affrettato a diffondere un comunicato per smentire l’accaduto. Poi però, mentre gli eventi incalzavano e sembrava quasi che i wagneriani potessero arrivare ad assalire Mosca, non si è avuta più alcuna notizia degli alti papaveri militari. Putin sabato mattina ha parlato in tv alla nazione ma i due grandi nemici di Prigozhin sono invece completamente scomparsi dalla scena politica.
E da quanto si è visto, sembra proprio che non siano nemmeno stati in grado di organizzare una adeguata mobilitazione di uomini e mezzi per fermare la colonna dei mercenari che ha percorso quasi 800 chilometri verso la capitale. Il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore Valery Gerasimov non si sono mai sentiti mentre si decideva la sorte del Paese.
Ora si dice (soprattutto lo sostengono gli amici di Prigozhin) che siano entrambi sul piede di partenza, ma non c’è la minima conferma ufficiale. Certo, potrebbero essere sostituiti, e non solo per venire incontro alle richieste avanzate a gran voce dal capo della Wagner. Non c’è dubbio che in tutti questi mesi non abbiano dato il meglio. L’unico vero successo di quest’anno è stata la conquista di Bakhmut, ottenuta [dai mercenari. Il problema è che tutti e due godono della fiducia del capo dello Stato
Shoigu, l’attuale capo della Difesa, è nel governo dal lontano 1991 è un personaggio particolare, grande collezionista di spade giapponesi e coltelli sacrificali aztechi. è astemio, cosa non proprio diffusissima in Russia. Era tra i più accesi sostenitori dell’inizio dell’«operazione» in Ucraina e a lui si devono le infondate speranze di risolvere la questione in pochi giorni con l’occupazione di Kiev e la rimozione del presidente Zelensky.
Poi, in tutti questi mesi, non si trova traccia di successi che possano essere attribuiti a sue brillanti intuizioni. Sono incominciate a circolare voci su possibili candidati alla sua poltrona. Il più accreditato è Aleksej Dyumin, governatore di Tula, ex assistente personale di Putin e, secondo un sito legato ai servizi segreti, quasi socio di Prigozhin nella Wagner: per questo avrebbe avuto un ruolo importante nel disinnescare la crisi.
Militare di carriera Gerasimov, il capo di stato maggiore, è un militare di carriera che viene dalla repubblica tartara e dai carri armati. È famoso soprattutto per aver spiegato in un suo intervento del 2013 i principi della guerra ibrida. Al generale si deve la brillante operazione grazie alla quale la Russia conquistò la Crimea nel 2014 [Anche lui è responsabile dei fallimenti iniziali delle operazioni
Da gennaio di quest’anno ha anche il comando diretto dell’intera «operazione» in Ucraina. Ma con lui alla guida al posto del generale Surovikin, le cose non sono cambiate granché.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
FAN DI HITLER, NOVE ANNI FA ANDÒ A COMBATTERE CONTRO L’ISIS IN SIRIA, DOVE SI E’ ABBANDONATO A TORTURE ED ESECUZIONI
Mentre resta ancora in sospeso il destino di Evghenij Prigozhin, c’è un nome e un volto che più di altri legato alla compagnia di milizie privata Wagner. Ed è quello di Dmitry Utkin. Ex ufficiale del Gru, amico personale di Putin, Utkin non solo è già uno dei capi e dei fondatori della Compagnia di mercenari. Ma sarebbe colui che ha guidato gli uomini del gruppo verso Mosca.
In qualità di ex ufficiale del Gru, Uktin ha un ruolo fondamentale nella nascita della Wagner. Se all’epoca Prigozhin ne è fondamentalmente il finanziatore, è a Uktin, fervente ammiratore di Adolf Hitler e del compositore Richard Wagner, che si deve ad esempio il nome stesso della compagnia. Ma anche la visione tattica di dispiegamento sul campo sembrano essere una sua prerogativa. Più esperto a livello militare di Prigozhin, Uktin è l’uomo che si occupa dell’addestramento degli uomini dell’Orchestra.
Benché Putin abbia cercato di giustificare l’invasione dell’Ucraina come una guerra di «denazificazione», lo stesso gruppo Wagner ha connotazioni politiche filonaziste. Le poche foto che circolano in rete di Uktin bastano a fugare ogni dubbio: rasato, mascella serrata e il simbolo delle SS – le milizie personali di Hitler – tatuato sulle spalle, 52 anni e un fisico e un volto che mettono paura, Uktin è il ritratto perfetto del paramilitare con tempra siberiana, terra di origine della famiglia.
Un militare crudele e spietato. Eppure in altre immagini più datate, lo si vede in abito scuro e sorriso compiaciuto a una cena di gala a Mosca dove, secondo media russi indipendenti, avrebbe ricevuto come incarico imprenditoriale quello di direttore di una società di catering) per conto di Prigozhin.
Utkin dunque è eclettico e si sa spendere bene anche se nell’animo è un militare. Figlio di un geologo di Asbest, serve fino al 2013 l’esercito russo come comandante del 700° distaccamento speciale separato delle Forze armate, gli Spetsnaz, con sede a Pskov. Poi nove anni fa la svolta: si unisce in Siria al corpo che combatte al fianco del presidente siriano Bashar al-Assad. Ed è qui che si sarebbe macchiato dei più terribili crimini, tra cui l’ordine dato ai suoi uomini di stringere d’assedio interi villaggi lasciati morire di fame.
Nel 2015, Utkin torna in Siria con i suoi mercenari. Combatte la battaglia di Palmira e la strappa all’Isis con l’obiettivo di mantenere saldo al potere il dittatore Bashar Al Assad di cui Putin è alleato. E’ la prima grande operazione della Wagner in Siria che fin qui si era limitata a operazioni sotto copertura o di vigilanza. Molti dei suoi uomini muoiono sul campo. Poi il gruppo inizia a combattere in Libia e in Africa.
Nel 2017 gli Stati Uniti applicano sanzioni al gruppo di Utkin e lo stesso fa poi l’Unione Europea che vieta l’ingresso agli affiliati, congelandone alcuni beni individuati in territorio comunitario e varie società, a dimostrazione del massiccio giro di denaro attorno all’organizzazione. La Wagner ha attirato ufficialmente l’attenzione del mondo. Nel mentre, Prigozhin da semplice finanziatore ha preso sempre di più il controllo della compagnia, soprattutto quello politico.
Fin qui Uktin, ritenuto «responsabile di gravi violazioni dei diritti umani commesse dal gruppo, che includono torture ed esecuzioni e uccisioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie», è rimasto nell’ombra. Ma ora potrebbe aprirsi un nuovo capitolo di cui Uktin potrebbe essere il protagonista.
(da Il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
DALL’INIZIO DEL CONFLITTO IN UCRAINA SONO STATE 39 LE MORTI MISTERIOSE DI PERSONAGGI CHE AVEVANO A CHE FARE CON IL PRESIDENTE RUSSO (EX FUNZIONARIO DEL KGB)… I CASI LITVINENKO, POLITKOVSKAJA, BABUROVA, NEMTSOV, I “SUICIDI” MAGANOV E ANTONOV – L’OLIGARCA SERGEJ GRISHIN, MORTO DI SETTICEMIA E IL TENTATIVO DI AVVELENAMENTO NEI CONFRONTI DI NAVALNY
In Russia, in Europa e perfino in America. Sono veramente tanti i nemici giurati di Vladimir Putin che hanno fatto una brutta fine. Incidenti inspiegabili, aggressioni, suicidi e veri e propri omicidi eccellenti. Una scia di sangue che si snoda nel tempo, dai primissimi anni Duemila a oggi. Naturalmente si tratta di episodi collegati al Cremlino del tutto casualmente, almeno fino a prova contraria. Il sito Gbnews.com ha calcolato che solo dall’inizio dell’Operazione militare speciale in Ucraina nel febbraio dell’anno scorso, siano state 39 le morti misteriose di personaggi che avevano a che fare col presidente russo.
E ora che la Procura generale ha fatto sapere che l’indagine penale contro Prigozhin non è affatto chiusa come si era detto dopo l‘accordo di sabato, molti pensano che anche il capo della Wagner farebbe bene a guardarsi le spalle.
L’ultimo caso finito sui giornali risale a tre mesi fa quando a Mosca è morto di setticemia l’oligarca Sergej Grishin, conosciuto per aver venduto al principe Harry e alla moglie Meghan la sua villa californiana. Non un personaggio famosissimo, ma pur sempre un ex banchiere che aveva criticato vivacemente l’operato del signore del Cremlino, come altri imprenditori coinvolti in strane catene di omicidi-suicidi assieme a tutta la famiglia: Vasily Melnikov, Vladislav Avayev e Sergei Protosenya.
Ben più noto e quasi indiscutibilmente legato ad apparati statali, il caso di Aleksej Navalny, il principale oppositore politico di Putin che prima di finire in galera aveva subito un clamoroso tentativo di avvelenamento in Siberia. Mentre era ad un incontro politico, personaggi che appartengono al servizio segreto dell’esercito, il Gru, contaminarono con il Novichok la sua biancheria intima.
L’altro caso clamoroso nel quale personaggi legati ai servizi segreti russi hanno fatto ricorso a materiale tossico (in questo caso radioattivo) è quello di Aleksandr Litvinenko, uno dei primissimi assassinii eccellenti, avvenuto a Londra nel 2006. Anche lui era un ex agente passato al “nemico” che continuava a dare fastidio. Due suoi ex colleghi gli propinarono una tazza di tè al polonio in un albergo di Mayfair. L’uomo morì in ospedale dopo una terribile agonia.
Molto più spesso, killer prezzolati (in Russia non si è mai scoperto chi fossero i mandanti) hanno preferito ricorrere a metodi più diretti, anche se meno sofisticati. Nello stesso autunno del 2006 la giornalista Anna Politkovskaya venne freddata a colpi di pistola mentre aspettava l’ascensore di casa sua. In realtà in precedenza qualcuno aveva tentato di avvelenarla in aereo ma la cosa non era andata a buon fine.
Sempre con colpi di arma da fuoco furono assassinati diversi esponenti di organizzazioni che si occupavano di diritti umani, come Natalia Estemirova, rapita e trucidata nel 2009, l’avvocato Stanislav Markelov e la giornalista Anastasia Baburova, freddati assieme lo stesso anno. EBoris Nemtsov , esponente di punta dell’opposizione che era stato anche vicepremier ai tempi di Eltsin al quale spararono vicino al Cremlino nel 2015.
Innumerevoli i casi di incidenti, tutti abbastanza strani. Come quello di Mikhail Lesin che era stato ministro dell’informazione con Putin e che nel 2015 fu trovato morto in una stanza di albergo a Washington. L’autopsia stabilì che aveva bevuto enormi quantità di alcool e aveva battuto violentemente la testa. Sospetta anche la morte dell’ex oligarca che prima di rompere era stato legatissimo a Putin, Boris Berezovskij. Nel 2013 fu trovato cadavere nel bagno della sua villa nel Surrey.
Le cadute sono state fatali a diversi critici del Cremlino. I più noti, forse, sono l’ex presidente della compagnia petrolifera Lukoil Ravil Maganov e il miliardario Pavel Antonov, entrambi morti l’anno scorso, dopo aver detto cose sgradite sull’Operazione militare speciale. Maganov è caduto dalla finestra di un ospedale moscovita, mentre Antonov è volato da quella di un albergo mentre si trovava in India per festeggiare il suo compleanno.
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
IN UN AUDIO DI 11 MINUTI LA SUA VERSIONE: “DOVEVAMO IMPEDIRE LA DISTRUZIONE DELLA BRIGATA”
Il capo della milizia Wagner Yevgeny Prigozhin torna a parlare dopo il week-end che ha gettato la Russia nel caos. Avvistato nelle scorse ore a Minsk – notizia non confermata al momento né dall’interessato né dal governo bielorusso – Prigozhin ricostruisce ora le ragioni, dal suo punto di vista, dell’insurrezione armata tentata nella giornata di sabato contro il suo stesso Paese.
Le autorità russe, spiega l’ex «cuoco di Putin» in un messaggio audio di 11 minuti, avevano deciso di sciogliere la Wagner il 1° luglio a seguito di «intrighi». Eppure l’avanzata militare verso Mosca che la milizia ha operato il 24 giugno «non era per rovesciare il governo del Paese», ha detto Prigozhin: ma per «esprimere una protesta».
Il vero obiettivo, dunque, era quello di «impedire la distruzione» della brigata e chiamare alle loro responsabilità «quegli individui che hanno commesso un enorme numero di errori nell’operazione militare speciale» in Ucraina. Leggi, è il riferimento implicito, il ministro della Difesa Shoigu e il capo di Stato maggiore Gerasimov.
Il comunicato
Nel comunicato audio, Prigozhin si vanta di possedere l’unità militare più esperta e pronta al combattimento dell’intera Federazione russa, operando per conto di quest’ultima non solo in Ucraina, ma anche in Africa e nei Paesi arabi. Un potenziale che, secondo il suo leader, sarebbe stato smantellato dopo la richiesta di Mosca di far firmare ai combattenti un contratto con il Ministero della Difesa rendendoli loro dipendenti dal primo luglio 2023. Il contratto, però, sarebbe stato rifiutato da parte degli stessi mercenari in quanto temono di finire sotto il controllo di personale incompetente che avrebbe limitato le loro capacità.
Nel suo racconto, Prigozhin spiega che si stavano preparando a consegnare pacificamente le loro armi e i loro mezzi al Ministero della Difesa. Nonostante non avessero mostrato alcun segno di aggressività, l’esercito russo avrebbe bombardato il loro campo uccidendo circa 33 combattenti e ferendone molti altri.
Quella che doveva essere una marcia dimostrativa venne di conseguenza trasformata in una immediata “marcia della Giustizia” con l’obiettivo di mantenere l’esistenza del gruppo e arrestare i responsabili degli errori commessi dal Ministero nel corso della cosiddetta “Operazione speciale” in Ucraina. Ci tiene comunque a precisare che nessuno dei combattenti Wagner è stato costretto a partecipare alla marcia e che tutti erano a conoscenza dell’obiettivo finale.
Prigozhin sostiene che durante la marcia non sarebbe stato ucciso alcun soldato a terra, tuttavia si rammarica di essere stati costretti ad abbattere i velivoli dell’esercito russo per difendersi dai loro attacchi.
L’avanzata si era conclusa a soli 200 km da Mosca, dove nel frattempo si erano preparati a fermare la loro avanzata. Le motivazioni dello stop sarebbero state principalmente due: evitare di versare ulteriore sangue russo e perché l’intenzione non era quella di rovesciare il regime russo, ma di compiere un atto dimostrativo di protesta. A quanto afferma, come risultato, Lukashenko avrebbe offerto di trovare delle soluzioni al fine di permettere a Wagner di proseguire le proprie attività.
La marcia, però, avrebbe dimostrato anche i gravi problemi di sicurezza presenti nella Federazione. In meno di 24 ore avevano coperto una distanza che corrispondeva a quella che dovevano percorrere le truppe russe il 24 febbraio 2022 verso Kiev. Secondo Prigozhin, se ad attaccare la capitale ucraina fosse stato il suo gruppo, anziché le impreparate truppe russe, l’intera “Operazione speciale” sarebbe durata un solo giorno.
Nel suo racconto, Prigozhin afferma che la popolazione locale sosteneva in tutto e per tutto l’avanzata del gruppo, salutandolo ed elogiandolo durante il tragitto con le bandiere e gli emblemi Wagner.
Gli stessi cittadini si sarebbero ritrovati delusi per la conclusione della marcia, in quanto «sostenevano la lotta contro la burocrazia e gli altri mali che riscontriamo oggi nel nostro Paese».
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 26th, 2023 Riccardo Fucile
LA FOTO DEL RAGAZZO SEMINCOSCIENTE STESO SU UNA COPERTA DI LANA: IL VIMINALE NON HA NULLA DA DIRE? E’ QUESTA LA CIVILTA’ PATRIOTTICA?
Un ragazzo trattenuto nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Milano, che si trova in via Corelli, avrebbe avuto un malore. Come dimostrato in un video, pubblicato su Instagram la rete di realtà Mai più lager – No ai Cpr, il giovane è stato lasciato, in stato di incoscienza, su un materasso avvolto da una coperta di lana.
Il giovane, da diversi giorni, mangia e vomita senza nessuno che lo assista. Per lui non sarebbe stato previsto alcun ricovero in ospedale: “Nel video si vede una scena di ordinario abbandono – scrivono dall’associazione – un ragazzo che dopo aver vomitato più volte è stato lasciato esanime per ore e ore steso su una coperta di lana nel cortile (le celle con questo caldo sono invivibili) senza soccorsi”.
Il caldo ha reso ancora più insopportabile la vita all’interno del Cpr. Impossibile vivere in una struttura in cui vi sono reti, sbarre e plexiglass. Quanto ripreso in questi giorni, è solo l’ultimo episodio di tanti altri. Nelle settimane precedenti erano state diffuse le immagini del cibo servito alle persone trattenute: pasti scaduti e assediati dai vermi.
A queste si aggiungono i video di ragazzi che si feriscono autonomamente per protesta, che danno fuoco ai materassi o ancora che tentano il suicidio.
“Che le cose non stiano cambiando di una virgola e anzi i CPR dal DL Cutro siano stati raddoppiati di numero ci fa solo arrabbiare ancora di più e insistere perché sempre di più circolino le informazioni, almeno le poche, “rubate”, che arrivano: questo sta cambiando, la consapevolezza sta aumentando”, scrivono dalla Rete.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »