Giugno 14th, 2023 Riccardo Fucile
INTERVISTA ALL’ESPERTO DI GUERRE IAN MATVEEV: “L’OPERAZIONE MASSICCIA CI SARA’ A FINE GIUGNO”
“Non è una passeggiata”, dice a Fanpage.it Ian Matveev, esperto di guerre. Le perdite ucraine di uomini e mezzi in questa prima fase “appaiono superiori alla norma”. Ma sono il prezzo da pagare per porre le basi di un’operazione su vasta scala. Che dovrà avvenire, “entro le prossime due settimane”. Altrimenti, “la controffensiva sarà da considerarsi fallita”.
Secondo l’analista, la Russia potrebbe aver problemi di munizionamento, soprattutto missilistico, perché “è in grado di produrre solo un terzo di quel che viene utilizzato nella guerra”. Ma più passa il tempo più la sua produzione si adeguerà. Intanto, i militari di Mosca hanno migliorato affiatamento e comunicazioni. Come dimostrano i combattimenti nel settore di Vrenivka.
Sei o sette villaggi liberati, un’area complessiva di oltre 90 chilometri quadrati sottratta al nemico, la cui prima linea è stata sfondata, un altro generale russo ucciso: questi i risultati rivendicati da Kyiv. Non sembra però tutto facile come nella controffensiva di fine estate dello scorso anno, culminata con la riconquista di Kherson. Quanto sta costando quest’operazione agli ucraini?
Сerto che non è una passeggiata. L’esercito russo non è crollato al primo assalto. Ma per capire quale sia realmente il prezzo pagato dalle forze armate ucraine per questa controffensiva dovremo aspettare. Non siamo ancora alla fase più intensa dei combattimenti. Solo allora sarà possibile valutare le perdite.
Sì però qualche valutazione parziale la si può fare. Fonti militari hanno detto al settimanale The Economist che le perdite di uomini e mezzi sono ingenti. Almeno 16 blindati americani Bradley sono stati messi fuori uso. È circa il 15% di quelli utilizzati. Normale?
No. Il 15% è tanto. Sono perdite maggiori di quanto prevedibile in un’operazione del genere. Ma, ripeto, è presto per far valutazioni in merito. In questa fase si cerca lo sfondamento delle linee difensive russe. Le perdite sono più alte. Nelle prossime fasi, in teoria, dovrebbero essere minori. E la situazione potrebbe così bilanciarsi.
Gli americani hanno già assicurato il rapido rimpiazzo dei Bradley colpiti, secondo diversi media tra cui The Voice of America. Se il ritmo con cui i blindati vengono neutralizzati non cambia, i rimpiazzi potrebbero rivelarsi insufficienti?
Impossibile dirlo ora. Ma si deve sottolineare una cosa: le perdite di blindati sono state documentate in un solo settore del fronte. Si riferiscono a un attacco fallito nella zona di Robotino e Mala Tokmachka, nel sud. I filmati che mostrano i Bradley e i carri armati Leopard immobilizzati arrivano tutti da lì. In altre aree le perdite probabilmente sono minime. Sennò verrebbero propagandate in modo analogo da parte russa.
Rispetto alla controffensiva di nove mesi fa i russi hanno una maggior volontà di combattere? Una catena di comando meno caotica?§
Al livello del comando supremo non è cambiato niente. Ma è migliorata di parecchio la comunicazione e l’affiatamento tra i reparti al fronte. Ed è questo, più di ogni altra cosa, che conta in battaglia. Si tratta di un miglioramento fisiologico più che indotto da cambiamenti nella linea di comando: i soldati sono insieme ormai da lungo tempo. E questo li rende più fiduciosi e quindi più efficaci.
Quindi la capacità di resistenza dei russi e la loro efficacia sotto il fuoco è aumentata. Gli ucraini stavolta saranno respinti?
Vedremo. Ma le forze armate di Kyiv devono cercare di sparigliare, di non far capire dove attaccheranno davvero, di mettere l’esercito russo in situazioni nuove, di generare confusione. In modo che le interazioni createsi in tutti questi mesi di posizionamento difensivo possano saltare.
Dove gli ucraini non hanno “sparigliato” è nel settore di Vrenivka, dove almeno fino a poche ore fa era in corso una sanguinosa battaglia. Secondo fonti russe e indipendenti reperibili su Telegram l’esercito di Mosca avrebbe riconquistato il villaggio di Makarivka, preso nei giorni scorsi dagli ucraini. Perché si combatte con tanto accanimento proprio lì?
Una somma di fattori. L’esercito ucraino va avanti dove riesce. Quell’area è lontana dai principali punti di rifornimento di Mariupol e Melitopol e dal forte concentramento di truppe a Vuhledar. Forse i comandanti di Kyiv l’hanno considerato facilmente espugnabile.
Proprio Mariupol potrebbe essere uno dei principali obiettivi di questa controffensiva, dicono molti osservatori. Concorda?
Sarebbe un colpo terribile, per la Russia, perdere Mariupol. Non come perdere la Crimea, certo. Ma terribile. Le forze armate russe hanno priorità politiche. Per la propaganda sarebbe proprio un disastro. Difenderanno quella città a denti stretti.
Mariupol è importante per le linee di rifornimento russe. Ma su quanti rifornimenti può davvero contare l’esercito di Mosca? Nonostante il raddoppio degli effettivi in nove mesi ha solo preso Bakhmut. Non significa che è a corto di munizioni? E di missili e quant’altro?
Secondo il Cremlino i depositi sono strapieni. Secondo il consenso degli analisti, però, la produzione russa è in grado di rimpiazzare solo un terzo dei mezzi e delle munizioni consumate. Basta comparare le immagini che arrivano dal fronte: gli armamenti ucraini sono nuovi di zecca, quelli russi tutt’altro. Certo, nella sostanziale pausa degli ultimi mesi è stato possibile accumulare diversi tipi di munizionamento. Per un po’ non ci sarà alcuna penuria. Soprattutto sul fronte di Zaporizhzhia, più rifornito. Né ci saranno mai problemi per le munizioni delle armi leggere. Ma se parliamo dei missili da crociera, per esempio, la cosa cambia. La Russia non è in grado di produrre al ritmo della guerra, in questo settore. Infatti usa sempre più i droni iraniani e sempre meno i Kalibr. Altro settore critico, quello aereo. Le bombe ci sono. Mancano i piloti addestrati. I cacciabombardieri volano col misurino. E se si avvicinano troppo ai bersagli rischiano grosso.
Al momento, quante delle forze a disposizione sta impiegando l’Ucraina in questa operazione?
Si sta operando a una terzo della capacità. Rimangono riserve significative. Per ora si attacca a piccoli gruppi. A livello di battaglione. È molto chiaro anche nei video che abbiamo potuto osservare.
E perché si attacca a piccoli gruppi?
Si vogliono testare le posizioni russe, siamo ancora in una fase di ricognizione, anche se la battaglia è iniziata. E si cerca di far consumare ai russi il maggior numero di munizioni possibile. La grande offensiva arriverà quando una parte significativa delle scorte russe sarà stata esaurita.
Quando ci sarà, questo cambio di marcia?
Tra un paio di settimane. È il tempo che serve per sviluppare appieno l’attacco. Se non basterà, se si arriverà a una situazione di stallo, allora potremo dire che la controffensiva è fallita.
Alcuni osservatori sostengono che la vera grande controffensiva Kyiv la lancerà soltanto quando avrà finalmente gli F16. Che garantirebbero una copertura aerea al momento quasi assente. E quindi il successo.
Ma gli F16 arriveranno a novembre: pessime condizioni del terreno, per una controffensiva. E poi l’Ucraina deve fare in fretta. Il fattore tempo gioca a favore del colosso russo, che può aumentare la sua produzione bellica fino a rendere la sua supremazia teorica una realtà insostenibile per l’Ucraina. Certo, la copertura aerea farebbe comodo. Ma la guerra non funziona così. Non sempre ti permette di scegliere i tempi ideali, per le tue operazioni.
Un’ultima domanda: il ministero della Difesa russo ha chiesto all’esercito privato Wagner di fare un contratto con il governo. Il patron della Wagner Yevgeny Prigozhin ha immediatamente e per l’ennesima volta mandato al diavolo — è un eufemismo — il ministro Sergei Shoigu. Che giochi si stanno facendo, a Mosca?
Giochi a favore dei media, in questo caso. Prigozhin vuole autopromuoversi. Forse pensa alla politica, forse solo agli affari. Ma non è un vero conflitto, quello in corso: il ministero della Difesa e Prigozhin sono già legati da una miriade di contratti. I soldi di Prigozhin e quindi il finanziamento della Wagner dipendono in buona parte dal ministero stesso. E anche gli armamenti del gruppo militare arrivano soprattutto dal governo. Prigozhin — pur continuando a mandare al diavolo Shoigu su Telegram — si metterà d’accordo, magari per qualche contratto che esaudisca la volontà del governo di centralizzare pur lasciando di fatto indipendenza alla Wagner. Che potrà di nuove essere utilizzata contro l’Ucraina. Forse sul fronte di Zaporizhzia. Ma che al momento, dopo la conquista di Bakhmut è ferma. Cosa che al momento fa di Prigozhin un’anatra zoppa
(da Fanpage)
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Giugno 14th, 2023 Riccardo Fucile
LE MODIFICHE PREVISTE E LE CRITICHE ALLA RIFORMA DA PARTE DEI MAGISTRATI
Abuso d’ufficio cancellato, traffico d’influenze ridotto ai minimi termini, limiti alla pubblicazione delle intercettazioni (e alla possibilità di citarle negli atti), inappellabilità delle sentenze di proscioglimento per una serie di reati. E soprattutto un depotenziamento delle misure cautelari a tutto vantaggio dei colletti bianchi.
Ecco la “(contro)riforma Berlusconi” della giustizia penale, il pacchetto di norme “garantiste” presentato – dopo mesi di annunci – dal Guardasigilli Carlo Nordio e dedicato dal governo al fondatore di Forza Italia appena scomparso. Come da anticipazioni, la bozza del disegno di legge in otto articoli è arrivata sul tavolo del pre-Consiglio dei ministri, la riunione tecnica di mercoledì mattina che ha anticipato il Cdm, in programma giovedì alle 18. Su RaiNews24 il viceministro azzurro di via Arenula, Francesco Paolo Sisto, ex avvocato di Berlusconi, dice che la riforma “è stata studiata e calibrata nel tempo, con la diretta partecipazione” dell’uomo di Arcore, che “ha subito tanto, troppo, a causa della giustizia” (sic).
Misure cautelari
Il testo prevede che quando il pm chiede la custodia cautelare in carcere (ma non le misure più lievi) a decidere sarà l’ufficio del giudice per le indagini preliminari in un’inedita “composizione collegiale“, cioè con tre magistrati invece di uno solo. La novità però non entrerà in vigore subito – perché avrebbe messo in crisi l’organico già carente – ma soltanto tra due anni. Prima di disporre qualsiasi misura, soprattutto, servirà procedere all’interrogatorio dell’indagato, notificandogli l’invito “almeno cinque giorni prima di quello fissato per la comparizione, salvo che, per ragioni d’urgenza, il giudice ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il tempo necessario per comparire”.
La previsione non vale se sussistono le esigenze cautelari del pericolo di fuga o di inquinamento delle prove, o anche quella di reiterazione dei reati più gravi (mafia, terrorismo, violenze sessuali, stalking) o “commessi con l’uso di armi o con altri mezzi di violenza personale”. In sostanza, quindi, la nuova garanzia vale quasi solo per i reati dei colletti bianchi: per arrestare un presunto corrotto o tangentista (che magari nemmeno sapeva di essere indagato) bisognerà “avvertirlo” con un anticipo di almeno cinque giorni, con i rischi che si possono immaginare. Nella relazione al ddl, Nordio giustifica la scelta così: “Da un lato si evita l’effetto dirompente sulla vita delle persone di un intervento cautelare adottato senza possibilità di difesa preventiva, dall’altro si mette il giudice nelle condizioni di poter avere un’interlocuzione, e anche un contatto diretto, con l’indagato prima dell’adozione della misura”.
Abuso d’ufficio
L’articolo 323 del codice penale è “abrogato” tout court: non sarà più punibile il pubblico ufficiale che, violando la legge, “intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”. Se il testo diventerà legge, l’Italia diventerà l’unico Paese del mondo sviluppato in cui questa condotta non costituisce reato. Una vittoria di Nordio e dei berlusconiani, che hanno insistito sulla cancellazione per tutelare – a loro dire – gli amministratori locali dalla famigerata “paura della firma“. Lega e Fratelli d’Italia, invece, avrebbero preferito un ulteriore ridimensionamento della fattispecie, che dopo la riforma del 2020 si applica già in casi limitatissimi. Il governo ha scelto di ignorare gli avvertimenti degli addetti ai lavori, che – ascoltati in audizione sulle proposte di legge depositate sullo stesso tema alla Camera – avevano avvertito come l’eliminazione dell’abuso d’ufficio ci avrebbe posto in contrasto con gli impegni internazionali sottoscritti con l’Onu e l’Unione europea. E non è un caso che, nella relazione, il ministro lasci la porta aperta a un passo indietro: “Resta ferma la possibilità di valutare in prospettiva futura specifici interventi additivi volti a sanzionare, con formulazioni circoscritte e precise, condotte meritevoli di pena in forza di eventuali indicazioni di matrice euro-unitaria che dovessero sopravvenire”.
Traffico di influenze illecite
L’ambito di applicazione della fattispecie, introdotta nel 2012 dalla legge Severino, viene fortemente limitato: per essere punibile, d’ora in poi, il mediatore dovrà sfruttare “intenzionalmente” le relazioni con il pubblico ufficiale, che inoltre dovranno essere “esistenti” e non più anche solo “asserite“, cioè millantate. Viene dunque depenalizzata la condotta prevista dal vecchio reato di “millantato credito“, punito con la reclusione da uno a cinque anni e assorbito nel traffico di influenze con la legge Spazzacorrotti. L’utilità data o promessa, poi, dovrà essere “economica“: non basterà più uno scambio di favori non monetizzabile. Infine, e soprattutto, la condotta sarà punibile solo se il versamento avrà lo scopo di “remunerare” il pubblico ufficiale “in relazione all’esercizio delle sue funzioni, ovvero per realizzare un’altra mediazione illecita”: finora, invece, bastava che l’utilità costituisse il “prezzo” della mediazione, cioè la ricompensa per il mediatore, anche senza essere diretta al destinatario finale. In conseguenza di queste modifiche restrittive, la pena minima viene leggermente alzata: si passa da un anno a un anno e sei mesi. La pena massima invece resta di quattro anni e sei mesi.
Intercettazioni e avviso di garanzia
Il divieto di pubblicazione anche parziale, attualmente previsto solo per i nastri non acquisiti al procedimento, si estende a qualsiasi dialogo che non sia stato “riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento”. Non potranno più essere pubblicate, quindi, nemmeno le conversazioni citate nelle richieste di misure cautelari del pubblico ministero. Proprio nelle richieste del pm non potranno più essere citati “i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione”. I nastri “che riguardano soggetti diversi dalle parti“, qualunque cosa voglia dire, non potranno più essere acquisiti dal giudice nell’udienza stralcio, “sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza”. Diventa vietata anche la pubblicazione dell’avviso di garanzia, che dovrà contenere una “descrizione sommaria del fatto”, oggi non prevista.
Divieto di impugnazione
Il ddl vieta al pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento (assoluzione, non luogo a procedere, non doversi procedere) per i reati per cui è prevista la citazione diretta a giudizio (senza l’udienza preliminare): si tratta di tutte le fattispecie punite con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, ma non solo. Nell’elenco sono comprese ad esempio anche la falsa testimonianza, la violenza o minaccia a pubblico ufficiale, la ricettazione o la truffa, che nelle ipotesi aggravate prevedono pene più alte. Su questa norma potrebbe avere qualcosa da dire la Corte costituzionale: l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione da parte dell’accusa (in quel caso per tutti i reati) era infatti già prevista dalla legge Pecorella del 2006, approvata sotto il terzo governo Berlusconi e dichiarata illegittima dalla Consulta per violazione del principio di eguaglianza tra le parti del processo
L’Anm: “Modifiche non vanno nella direzione giusta”
La bozza “non ha ambizioni importanti, sistematiche, ma contiene modifiche che, a mio giudizio, non vanno nella direzione giusta“, dice all’Ansa il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia. Tra le maggiori “criticità” Santalucia cita “l’eliminazione dell’abuso d’ufficio, il giudice collegiale per la custodia cautelare in carcere e la limitazione dei poteri di appello del pm contro le sentenza di proscioglimento”. Mentre la “limitazione alla pubblicazione di alcune conversazioni crea un’ulteriore tensione tra il diritto dell’informazione e i diritti dell’imputato”, avverte. “L’eliminazione dell’abuso d’ufficio crea un vuoto di tutela che non riesco a spiegarmi. Che poi i processi siano pochi non vuol dire che i reati non ci siano. Sul giudice collegiale vedo un’insostenibilità organizzativa soprattutto negli uffici di piccole dimensioni”, nota il magistrato (va ricordato che il giudice che decide sull’applicazione di una misura cautelare diventa incompatibile su tutto il prosieguo del procedimento). Il divieto di appello per il pm è invece “una limitazione unilaterale del potere della parte pubblica, non bilanciata, come la Corte costituzionale ha detto sia necessario, da una concorrente limitazione del potere di impugnazione delle parti private”, con un’”alterazione dell’equilibrio significativa”, nota il presidente dell’Associazione.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 14th, 2023 Riccardo Fucile
NEL GIORNO DEI FUNERALI MOLTI UTENTI SOCIAL PROTESTANO CONTRO LA “BEATIFICAZIONE” DEL CAVALIERE
Nel giorno dei funerali del Cavaliere sui social va in scena la contro-narrazione del mito berlusconiano. Mentre i riflettori sono puntati su piazza Duomo, dove si svolgono le esequie dell’ex premier, chi si oppone alle solenni celebrazioni dà sfogo al proprio malcontento sui social. Su Twitter i primi due hashtag in tendenza sono #Silvio Berlusconi e #luttonazionale: contenitori di elgi sì, ma soprattutto di critiche a quella che polemicamente viene definita “una beatificazione”.
È soprattutto attrverso il secondo che gli utenti contestano la scelta del governo. Quella, appunto, di proclamare il lutto nazionale. “Non in mio nome”, campeggia sulla bacheca di molti. Altrettanti pubblicano foto che ritraggono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il riferimento è alle ombre di Berlusconi nei rapporti con Cosa nostra. È altro lato del Paese, quello mal digerisce il racconto odierno che viene fatto del Cav. Una signora si è presentata in piazza Duomo indossando una maglietta con la scritta “Io non sono in lutto”. Subito è scattata la contestazione dei supporters berlusconiani a cui ha risposto così: “Perché dovrei andarmene? Io stavo in silenzio a leggere il mio libro”, la replica della signora, che ai cronisti spiega di “non condividere il lutto nazionale, che non è stato concesso neanche a persone che sono morte e hanno dato la loro vita per lo stato italiano”. Davanti a Montecitorio, sede della Camera, una giovane ha esposto un cartello con la scritta “Non il mio lutto”. Interpellata da giornalisti, ha spiegato così la motivazione del gesto: “Non è una questione di rispetto, se la comunità di Silvio Berlusconi avesse sofferto internamente non ci sarebbe stato nessun dissenso, ma farlo diventare lutto nazionale significa estenderlo ad una comunità politica che da Berlusconi è stata calpestata fino all’ultimo momento”.
Ma c’è anche chi, sui social, se la prende con le politiche portate avanti dal leader defunto durante gli anni di governo: “ADI non parteciperà al #luttonazionale di domani”. Il motivo: “La Riforma Gelmini, approvata dal governo #Berlusconi ter, ha dato il via a quella precarizzazione del lavoro di ricerca che viviamo tutt’oggi sulla nostra pelle”, scrive l’account dell’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca.§
Non mancano le manifestazioni di solidarietà a Tomaso Montanari. L’hashtag del rettore dell’Università per stranieri di Siena è in tendenza da quando, ieri, ha annunciato che non avrebbe esposto la bandiera a mezz’asta come prevede il protocollo. “Se sono stato, al contrario, costretto a farlo è a causa della inaudita decisione del governo Meloni di indire tre giorni di lutto nazionale, nei quali le bandiere sugli edifici pubblici dovrebbero essere poste a mezz’asta”, ha scritto Montanari in un post su Facebook.
E ancora: “Di fronte a questa indicazione del potere esecutivo – spiega – il rettore di una università pubblica deve fare necessariamente una scelta: accettarla o respingerla”. Freddo il commento dell’ex presidente del Senato Pietro Grasso: “Il lutto nazionale per la morte di Berlusconi? Si tratta di una decisione del governo in carica, una decisione politica. Non ho altro da aggiungere”, dice all’Adnkronos
In mattinata un gruppo di attiviste del gruppo trasfemminista ‘Non una di meno’ ha manifestato davanti all’Altare della patria, a Roma, esponendo uno striscione con scritto: “Oggi non siamo in lutto, siamo in lotta”. Indecente – secondo le attiviste – che il lutto nazionale venga proclamato per una personalità “che ha causato danni incalcolabili”.
(da agenzie)
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Giugno 14th, 2023 Riccardo Fucile
I SINDACATI: “IL LAVORO VA PAGATO”
Il Comune di Genova “ha indetto un bando per selezionare giovani artisti e gruppi musicali per esibirsi nell’ambito della rassegna Mal Music nella sala verde del museo di archeologia ligure di Villa Pallavicini a Pegli prevista per la fine di luglio-inizio agosto, il tutto a titolo gratuito.
A detta del sindaco Bucci si tratterebbe di un’opportunità per promuoversi, ma in realtà lavorare gratis senza la copertura delle spese e senza attrezzatura di alcun tipo, se non un palco vuoto privo di service musicale, assumendosi anche le responsabilità di quello che potrebbe accadere durante lo svolgimento della performance, non è lavoro ma sfruttamento. Il lavoro va pagato”.
Lo scrivono in una nota la Camera del Lavoro e il sindacato lavoratori comunicazione della Cgil di Genova.
Non è il primo caso a Genova di polemiche per l’utilizzo di professionisti non pagati o sottopagati.
Era già successo qualche mese fa in occasione di un bando del Museo del Mare quando era uscito un bando per un “volontario da valorizzare”: attraverso sei mesi di lavoro non retribuito per quattro ore al giorno, quattro giorni alla settimana. Ma non un volontario qualsiasi, uno con una buona conoscenza dei temi legati alla migrazione italiana dal diciannovesimo al ventunesimo secolo, “capacità di ricerca relativamente alle fonti sul ruolo di Genova e del suo porto nei percorsi migratori dei secoli XIX – XX”, conoscenza della videoscrittura, del programma Excel e strumenti per la comunicazione via email e la condivisione di materiali on line; capacità di sintesi ed elaborazione contenuti per i social media, buone capacità comunicative e relazionali e, non ultimo, un’ottima conoscenza della lingua inglese: “preferibilmente madrelingua o comunque perfettamente bilingue”. Per altro aveva suscitato critiche anche la ricerca del Comune di Genova per volontari da utilizzare per la Ocean Race.
Ora tocca ai musicisti l’offera di lavorare gratis.
(da La Repubblica)
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Giugno 14th, 2023 Riccardo Fucile
I CAMBIAMENTI CLIMATICI STANNO RENDENDO GLI EVENTI METEO ESTREMI SPEMRE PIU’ FREQUENTI
«Gli eventi meteo estremi sono diventati la nuova normalità?». A porsi la domanda questa volta è l’Agenzia europea per l’ambiente, che oggi ha pubblicato un nuovo data-set sulle prospettive per la prossima estate. Lo scenario che si prospetta è preoccupante per quasi tutte le aree del Vecchio Continente: al Sud, si registra il rischio di ondate di calore ancora più forti e lunghe degli ultimi anni; al Nord, cresce il rischio di inondazioni. Nell’Europa meridionale, e quindi anche in Italia, l’Agenzia europea stima che potrebbero esserci più di 60 giorni durante i quali le condizioni meteo «sono pericolose per la salute umana». La Penisola Iberica, poi, sperimenterà «un marcato aumento del numero di giorni con un elevato pericolo di incendio». Per attutire l’urto di tutti questi fenomeni, l’Eea suggerisce di puntare sui piani di adattamento ai cambiamenti climatici, sia a livello nazionale che locale. Gli interventi spaziano dall’aumento di spazi verdi e blu (alberi e acqua), che nelle città possono ridurre l’effetto «isola di calore», all’ammodernamento del sistema agricolo, tramite una revisione delle colture piantate e dei sistemi di irrigazione.
I costi della siccità
Brutte notizie anche per quanto riguarda la siccità. Dopo l’emergenza registrata lo scorso anno, anche per la prossima estate la situazione «non fa ben sperare», scrive l’Agenzia, complice un inverno eccezionalmente secco. Dal 2018, aggiunge la nota dell’Eea, più di metà dell’Europa è stata colpita da condizioni di estrema siccità, con tutte le conseguenze del caso: sia sulla salute umana che sull’economia. Le proiezioni climatiche a lungo termine indicano infatti che l’Italia e gli altri Paesi del Sud Europa diventeranno sempre più secchi e aridi. La perdita economica collegata alla siccità in questo momento è stimata in 9 miliardi all’anno. Una cifra che potrebbe salire a 25 miliardi annui in caso di riscaldamento globale a 1,5°C, a 31 miliardi a 2°C di riscaldamento e a 45 miliardi a 3°C.
Il rischio di malattie
Insieme all’aumento degli eventi estremi, un’estate sempre più calda porta con sé anche un’altra conseguenza negativa: l’aumento delle malattie sensibili al clima. «Un clima più caldo – spiega la nota dell’Agenzia europea per l’ambiente – significa che sia le specie endemiche che quelle invasive possono diffondersi più a nord o essere presenti ad altitudini più elevate rispetto al passato». Per quanto riguarda l’Europa occidentale, si prevede un aumento sempre più consistente della popolazione di zanzare tigre, che possono diffondere la febbre dengue, e di zanzare Anopheles, che potrebbero far riemergere la malaria.
(da agenzie)
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Giugno 14th, 2023 Riccardo Fucile
E INTANTO APPARE SEMPRE PIÙ INARRESTABILE LA FUGA DI STUDENTI E LAVORATORI DAL SUD: UN GIOVANE LAUREATO SU DUE VA VIA DA CASA MENTRE DAL NORD VA ALL’ESTERO SOLO IL 5% DEI RAGAZZI
La laurea paga, ma non abbastanza. Aiuta a trovare lavoro, ma gli stipendi lo scorso anno sono aumentati soltanto in termini nominali.
A causa dell’inflazione hanno perso tra il 4 e il 5 per cento in termini di potere d’acquisto, interrompendo la crescita lenta che aveva caratterizzato gli ultimi anni. Si conferma il paradosso tutto italiano di un Paese dove ci sono pochi laureati (siamo penultimi in Europa con appena il 29 per cento di giovani «dottori», Francia e Spagna riescono a portare al diploma un giovane su due), ma il vantaggio relativo del titolo di studio è minore che altrove.
È questa la fotografia scattata dal «XXV Rapporto AlmaLaurea sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati», che ha analizzato i dati dei giovani che hanno terminato il loro percorso di studi in oltre settanta atenei. L’indagine evidenzia un altro fenomeno che ormai sembra inarrestabile: la fuga degli studenti e futuri lavoratori dal Sud
Dopo la battuta d’arresto dovuta alla pandemia e alla possibilità di seguire i corsi a distanza, quella che eufemisticamente si chiama la «mobilità per motivi di studio» ha ripreso a drenare giovani dalle regioni meridionali: quasi uno studente su tre (28,6 per cento) fa le valigie. In dieci anni la percentuale è salita di oltre il 20 per cento (era il 23,2 nel 2013). La mobilità per motivi di lavoro è anche più pronunciata: se ne va uno su tre (33,3%) tra i laureati di primo livello e uno su due (47,5%) di quelli con diploma di laurea magistrale, con un incremento del 2 per cento rispetto al 2021.
Dalle regioni del Nord parte invece soltanto tra il 5 e il 6 per cento dei giovani laureati, più della metà dei quali diretti all’estero.
Stanno cambiando anche le aspettative nei confronti del lavoro. Emerge in particolare una nuova attenzione a trovare il giusto equilibrio fra lavoro e vita privata: aumenta la disponibilità a lavorare in smart working (40,5 per cento nel 2022) e si dà più importanza al tempo libero, alla flessibilità dell’orario e all’autonomia.
Aumentano i tassi di occupazione. A un anno dal conseguimento del titolo lavora il 75,4 per cento dei laureati triennali e il 77,1 dei magistrali; a cinque anni dal diploma, rispettivamente il 92,1 e l’88,7 per cento. Aumentano anche i contratti a tempo indeterminato. Calano invece gli stipendi in termini reali. La retribuzione mensile netta a un anno dal titolo è pari in media a 1.332 euro per i laureati di primo livello e a 1.366 euro per quelli di secondo livello (meno 4 e meno 5 per cento, rispettivamente). A cinque anni dal titolo, diventa 1.635 euro per i laureati triennali e 1.697 euro per i magistrali (meno 2,4 e meno 3,3 per cento rispetto al 2021).
Chi lavora al Nord percepisce in media 101 euro mensili netti in più di chi lavora al Sud. Ma è soprattutto tra i laureati che hanno deciso di lavorare all’estero che il vantaggio aumenta sensibilmente: oltre 600 euro netti mensili in più rispetto a chi lavora nel Mezzogiorno.
(da agenzie)
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Giugno 14th, 2023 Riccardo Fucile
NEL 2000 DIECI REGIONI ITALIANE ERANO TRA LE PRIME 50 PER PIL E NESSUNA TRA LE ULTIME 50… NEL 2021 TRA LE PRIME 50 NE SONO RIMASTE 4 E TRA LE ULTIME SE TROVANO 4
Le regioni italiane meno sviluppate, ovvero tutto il Sud Italia con l’eccezione dell’Abruzzo, possono “essere considerate tutte insieme come l’area più vasta e popolosa di arretratezza economica dell’Europa occidentale”. E la politica di coesione dell’Ue non ha scalfito il divario che le separa dalle aree più ricche dell’Unione. Che la Penisola abbia speso poco e male i fondi ottenuti da Bruxelles per lo sviluppo del Mezzogiorno era cosa nota, ma ora l’Istat ha passato in rassegna le conseguenze. Il focus presentato martedì si intitola non a caso “vent’anni di mancata convergenza”: ne emerge che, nonostante la principale politica di investimento dell’Unione europea, negli ultimi vent’anni “non si è verificato il processo di convergenza” e le regioni meno sviluppate “hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei Paesi dell’Ue 27″.
La conclusione dell’analisi peraltro non riguarda solo il Mezzogiorno: è “l’intero sistema Paese Italia che si è contraddistinto per un processo di progressivo allontanamento dal dato medio europeo”. Nel 2000 c’erano dieci regioni italiane fra le prime 50 per pil pro capite a parità di potere d’acquisto e nessuna fra le ultime 50. Nel 2021 fra le prime 50 ne sono rimaste solo quattro (Provincia autonoma di Bolzano/Bozen, Lombardia, Provincia autonoma di Trento e Valle d’Aosta), mentre fra le ultime 50 ora se ne trovano altrettante: Puglia, Campania, Sicilia e Calabria. Il divario crescente in termini di reddito fra le regioni italiane economicamente meno avanzate e l’Ue a 27 è spiegato interamente dal tasso di occupazione, inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali. Soltanto nel corso dell’ultimo ciclo di programmazione 2014-2020 è diventata determinante anche la produttività del lavoro inferiore alla media Ue27 di 9 punti percentuali
Le previsioni per il futuro sono pessime: le tendenze demografiche, in particolare nel Mezzogiorno, “fanno presupporre che invecchiamento e spopolamento possano in futuro contribuire ad ampliare i divari in termini di reddito con il resto d’Europa”. Nel 2030 Molise, Sardegna, Calabria, Basilicata e Sicilia perderanno oltre il 10% della loro popolazione in età lavorativa, secondo le previsioni dell’Istat. “In assenza di interventi sull’occupazione e sulla produttività, la forbice con l’Ue, nel 2030, è destinata ad allargarsi pressoché ovunque in Italia e in particolare nelle regioni del Mezzogiorno”, è la previsione dell’istituto. In particolare l’Abruzzo potrebbe finire nel 2030 tra le regioni europee meno sviluppate, quelle con un Pil pro capite inferiore al 75% della media Ue. Liguria, Toscana e Piemonte finirebbero tra le regioni in transizione (che sono quelle con un Pil pro capite compreso fra il 75 e il 100% di quello europeo) e anche il Lazio sarebbe a rischio declassamento in questa categoria.
Insieme all’Italia anche le economie regionali di Grecia, Francia e Spagna sono risultate particolarmente penalizzate, colpite da “perdite di posti di lavoro, stagnazione dei salari e contrazione delle quote di mercato a causa della concorrenza a basso costo che si è vieppiù spostata in settori tecnologicamente più avanzati“. È andata in modo ben diverso nell‘Europa orientale dove “diverse regioni hanno visto crescere in modo sostenuto il proprio Pil pro capite”, convergendo con quelle che partivano da livelli di reddito più alti.
Per descrivere le aree che nel 2000 non rientravano né fra quelle a minor reddito né economicamente avanzate l’istituto di statistica parla di “trappola dello sviluppo”: queste regioni hanno visto il loro Pil pro capite a parità di potere di acquisto crescere molto meno rispetto al dato medio europeo. In quei territori vive il 72% della popolazione portoghese, il 61% della popolazione greca, il 49% della popolazione spagnola e poco meno di un terzo della popolazione italiana. Il 68% della popolazione italiana, il 71% della popolazione francese, il 67% della popolazione tedesca e oltre il 90% di quella austriaca e olandese risiedono invece in aree “economicamente mature” che hanno realizzato tassi di crescita del pil pro capite modesti ma partivano da livelli alti. Nessuna regione italiana fa parte dei gruppi delle “super star“, quelle economicamente avanzate e capaci anche di realizzare tassi di crescita del Pil pro capite a parità di potere di acquisto superiori alla media Ue, e di quelle “in convergenza“. “Interessante osservare”, commenta Istat, “come emerga da questi dati l’incapacità del modello di crescita economica mediterraneo di esprimere delle “super stars” ma forse anche delle regioni convergenti”.
L’unica possibilità di invertire la rotta? Puntare sull’occupazione, e in particolare quella femminile. Se al trend demografico previsto si accompagnasse anche un incremento dell’occupazione tale da portare le nostre regioni al tasso europeo, il livello di Pil pro capite si innalzerebbe pressoché in tutte le regioni, al punto che nel 2030, nessuna regione rientrerebbe più tra le “meno sviluppate” e si amplierebbe, la platea di quelle “in transizione”, segno di ripresa del processo di convergenza.
“L’aumento della base occupazionale e per esempio la base occupazionale femminile, che è particolarmente carente nel Mezzogiorno, potrebbe essere il driver su cui orientare tutte le risorse disponibili”, ha osservato il direttore centrale per le statistiche Ambientali e Territoriali, Sandro Cruciani.
(da Il fatto Quotidiano)
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Giugno 14th, 2023 Riccardo Fucile
CON LA CARTA DEGLI ACQUISTI MENO SOLDI, UNA TANTUM E CRITERI ESTRANEI A MISURARE LA POVERTA’
Il governo prova a nascondere il disastro sociale provocato dal taglio del Reddito di cittadinanza con la nuova Carta alimentare.
Il cortocircuito avverrà tra meno di venti giorni, nel mese di luglio. Allorquando 350 mila persone saranno private del Reddito da 500 euro al mese in media, mentre 1,3 milioni di famiglie riceveranno la Poste Pay caricata con 382,5 euro una tantum, da spendere per fare la spesa.
La coincidenza non è casuale. L’esecutivo vuole cambiare la narrazione della povertà, scansare l’accusa di punire i più deboli. Ma lo fa pasticciando sugli aiuti: togliendo a chi ha un Isee fino a 9.360 euro e dando a chi ha un Isee fino a 15.000 euro. Ed escludendo ancora una volta chi non ha figli o li ha grandi, persino i genitori single di minori. Perché le platee, quella di chi perde il Reddito e di chi riceve la Carta sono diverse, non si incontrano.
Il taglio del Reddito e la nuova Carta
La storia ha due anime che la incarnano. Da un lato il ministero del Lavoro guidato da Marina Calderone, autrice della riforma del Reddito inserita nel decreto Lavoro in discussione al Senato. Dall’altro il ministero dell’Agricoltura guidato da Francesco Lollobrigida, plenipotenziario di FdI, a cui spetta distribuire il fondo da 500 milioni inserito nella prima legge di bilancio del governo per “l’acquisto di beni alimentari di prima necessità” ai “soggetti con Isee non superiore ai 15.000 euro”.
Ebbene, il governo taglia il Reddito di cittadinanza, come promesso in campagna elettorale, a 436 mila famiglie, corrispondenti a 615 mila persone: 350 mila persone da luglio e altre 265 mila da gennaio (tra l’altro questi 265 mila ora sono considerati “non occupabili” perché in carico ai servizi sociali, da gennaio saranno “occupabili”).
I 350 mila di luglio possono richiedere da settembre, dopo due mesi senza assegno, un’indennità da 350 euro al mese – il “Supporto per la formazione e il lavoro” – se seguono un corso di formazione, solo per la durata del corso e non ripetibile. Il governo stima che lo faranno in 175 mila, la metà degli esclusi di luglio. Una previsione ottimistica, perché dovranno trovarsi i corsi da soli, visto lo stallo del sistema delle politiche attive.
La bomba sociale è dietro l’angolo. Di qui l’idea di posticipare l’avvio dell’operazione “Carta per la spesa alimentare“. Doveva arrivare entro due mesi dalla manovra di dicembre, partirà non a caso a luglio per tamponare, a livello di comunicazione, l’effetto del taglio del Reddito. Ma la scelta della platea – dettagliata in un decreto del ministero dell’Agricoltura del 18 aprile, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 12 maggio – lascia perplessi. Non solo per il livello Isee, quasi il doppio dei poveri del Reddito. Ma per le categorie escluse ed incluse.
Chi è escluso e chi incluso nella Carta
Sono fuori ovviamente i percettori di Reddito, di Naspi, di Cassa integrazione. A precisa domanda di Bruno Vespa al Forum in Masseria – “I percettori del Reddito avranno la Carta?” – il ministro Lollobrigida ha risposto che “stiamo ancora facendo i conti con il ministero dell’Economia“, quando il suo decreto di aprile li esclude in modo categorico all’articolo 2. Ma la parte peggiore viene dopo. All’articolo 4 sui beneficiari della Carta, “in ordine di priorità decrescente”.
Prima le famiglie con tre componenti, di cui almeno un under 14. Poi le famiglie con tre componenti di cui almeno un under 18. Infine le famiglie con tre componenti senza limiti di età.
Semmai dovessero avanzare risorse, andrebbero anche a chi è fuori da queste categorie: single, single con un figlio, coppie senza figli o con figli maggiori. Eventualità quasi impossibile perché Inps ha già individuato i nominativi e spedito le liste ai Comuni.
Nessuno o quasi dei fuoriusciti dal Reddito avrà la Carta, perché chi lo perde è un adulto tra 18 e 59 anni senza figli minori o disabili.
Criteri non selettivi e distorsivi
C’è di più. Le liste fatte da Inps sono compilate in modo da distribuire 1,3 milioni di tessere in 8 mila Comuni in base a criteri, fissati dal decreto di Lollobrigida, che poco hanno a che vedere con la povertà e tutt’altro che selettivi perché il 70% di chi presenta l’Isee sta sotto ai 15 mila euro: 5,6 milioni di famiglie con 15 milioni di persone.
I criteri sono anzi distorsivi, basati sulla popolazione residente e sulla differenza tra il reddito medio locale e quello nazionale. In questo modo, ci saranno famiglie con Isee a 15.000 euro con la Carta e famiglie con Isee a 7.000 senza, a seconda se vivono in un posto più o meno ricco e popoloso.
Entro giugno i sindaci spediranno una lettera ai beneficiari – che non dovranno neanche fare domanda – per invitarli a ritirare la Carta alle Poste a luglio. Nel mese in cui altri dovranno restituirla.
(da la Repubblica)
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Giugno 14th, 2023 Riccardo Fucile
IL RUBLO HA PERSO IL 34% DEL SUO VALORE RISPETTO AL DOLLARO RENDENDO LE IMPORTAZIONI PIÙ COSTOSE, L’INFLAZIONE POTREBBE FARE UN ULTERIORE BALZO IN AVANTI AL 6.5% ENTRO LA FINE DELL’ANNO E LA BANCA CENTRALE RUSSA HA GIÀ AUMENTATO I TASSI DI INTERESSE
Se le campagne di disinformazione tengono a freno il popolo russo dal mettere in piedi una rivoluzione per far crollare Putin, è improbabile che le élite imprenditoriali del paese decidano di soffrire ancora a lungo.
Il rublo ha ora perso il 34% del suo valore rispetto al dollaro statunitense dal suo picco poco più di un anno fa, rendendo le importazioni sempre più costose.
Fino a ora l’economia russa è stata in grado di sfidare i profeti di sventura, ma la situazione sul fronte interno si sta surriscaldando.
L’invasione dell’Ucraina e la conseguente raffica di sanzioni imposte contro la Russia hanno gettato l’economia russa in subbuglio. Subito dopo l’inizio della guerra, la banca centrale russa è stata costretta a più che raddoppiare il tasso di interesse durante la notte dal 9,5% al 20%, in un ultimo disperato tentativo di salvare il rublo che aveva perso il 40% del suo valore rispetto al dollaro USA.
Nel corso dell’anno successivo, i politici hanno gradualmente riportato il tasso al 7,5%.
A gennaio, il Fondo monetario internazionale (FMI) ha aggiornato la sua previsione per la crescita economica della Russia nel 2023 dallo 0,3% allo 0,7%. L’agenzia finanziaria delle Nazioni Unite con sede a Washington ha suggerito, tuttavia, che la spesa militare ha sostenuto artificialmente questa cifra e che l’economia è in realtà molto più debole.
La Banca di Russia, nel frattempo, prevede una crescita del due per cento quest’anno e che l’economia tornerà alla sua forma prebellica entro la fine del 2024. Ma il dubbio che non possa succedere si sta insinuando, tanto che si è ritornato a parlare di aumento dei tassi. Senza contare il dato sull’inflazione che ha subìto un brusco balzo, con le previsioni di continuare ad aumentare raggiungendo il 4,5-6,5% entro la fine del 2023.
I dati mostrano che la forza lavoro russa è ridotta al lumicino da quando c’è stata la chiamata alle armi di 300mila uomini: secondo uno studio recente 1,3 milioni di giovani lavoratori hanno lasciato il lavoro solo lo scorso anno in quella che è stata definita una “massiccia fuga di cervelli”.
In questo scenario, è improbabile che i magnati dei media, i baroni del petrolio e gli oligarchi dell’industria che compongono l’élite al potere in Russia se ne stiano a guardare se l’economia dovesse crollare completamente. Man mano che i loro flussi di entrate si esauriscono, gli esperti affermano che probabilmente si rivolteranno l’uno contro l’altro e la cerchia ristretta di Putin si sgretolerà dall’interno.
Dall’annessione della Crimea nel 2014 ad oggi, la sola UE ha sanzionato 1.473 persone e 207 entità commerciali , tra cui lo stesso Putin, il capo del gruppo mercenario Wagner, Yevgeny Prigozhin, e un certo numero di importanti uomini d’affari russi. L’UE sostiene che finora sono stati congelati beni per un totale di 21,5 miliardi di euro.
(da La Repubblica)
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