Giugno 13th, 2023 Riccardo Fucile
A SORPRESA, È ARRIVATO IL VIA LIBERA ALLE NOMINE DECISE DALLA FASCINA E I RONZULLIANI AFFILANO LE ARMI, ANCHE PERCHÉ AVEVANO AVUTO RASSICURAZIONE CHE LE NOMINE SAREBBERO STATE CONGELATE
Forza Italia va avanti sulle nomine. Alla vigilia dei funerali di Silvio Berlusconi, il comitato di presidenza si riunisce e ratifica – nell’imbarazzo della minoranza – le designazioni fatte nelle scorse settimane, oggetto di scontro fra le diverse anime del partito.
Sulla carta, è poco più di un atto dovuto, ma la vicenda – per la tempistica e per le modalità in cui si è svolta – alimenta il malessere.
Succede che Alfredo Messina, il tesoriere di Fi, convochi l’organismo di gestione del partito, lunedì pomeriggio, con una doppia mail. Nella prima c’è l’approvazione del rendiconto, procedura da espletare con urgenza, ma nella seconda ci sono i commissariamenti che premiano l’area di Marta Fascina, la consorte del Cavaliere.
All’interno del pacchetto la conferma delle nomine che hanno accompagnato il ribaltone di marzo, con l’ex capogruppo silurato Alessandro Cattaneo spostato nel ruolo di vicecoordinatore, e con gli incarichi al settore elettorale e al tesseramento di Tullio Ferrante e Alessandro Battilocchio (uomini vicini a Fascina e Tajani). Ma ci sono pure i commissariamenti nelle città, fra cui Pavia, patria di Cattaneo che contro questa decisione ha fatto ricorso ai probiviri.
Una parte di Forza Italia, ieri, ha contestato silenziosamente la scelta di procedere con la ratifica dei commissari, atto politico che striderebbe con il clima di lutto che ha spinto tra l’altro le Camere a uno stop alle votazioni in Aula per una settimana e un partito avversario come il Pd a rinviare la propria direzione.
E in questo senso ieri ci sarebbe stata una rassicurazione che le nomine sarebbero state congelate, o comunque rinviate ad altro momento. E invece oggi, nel nome della continuità e della volontà del presidente Berlusconi, il coordinatore Antonio Tajani ha messo all’ordine del giorno un argomento ritenuto divisivo: il via libera è arrivato senza alcun intervento, perché nessuno aveva intenzione di fomentare polemiche, ma nel silenzio ufficiale diversi componenti del comitato di presidenza hanno espresso perplessità sulla decisione presa.
(da La Repubblica)
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Giugno 13th, 2023 Riccardo Fucile
L’ARTICOLO DELL’AGENZIA UNIAN: “DALL’INIZIO DELLA GUERRA HA CONTINUATO A GIUSTIFICARE L’AGGRESSORE”… RADIO SVOBODA: “PUTIN HA PERSO UN AMICO, UN POLITICO CHE NON CONOSCEVA LA VERGOGNA”
«L’amico del dittatore Vladimir Putin». Con queste parole, l’agenzia di stampa ucraina Unian ricorda Silvio Berlusconi. «Dopo l’inizio dell’aggressione da parte di Mosca e l’introduzione delle prime sanzioni dell’Occidente, Berlusconi ha giustificato l’azione dell’aggressore, sottolineando che la Russia “non poteva far altro che proteggere i cittadini ucraini di origine russa, che considera fratelli”», si legge sul sito dell’agenzia stampa.
Nell’articolo viene inoltre ricordata la visita del Cav. in Crimea. «Nel settembre 2015 Berlusconi ha visitato per diversi giorni la Penisola occupata dalla Russia. Qui, in particolare ha avuto un incontro con Putin. In risposta, l’Ucraina gli ha vietato di entrare nel Paese per tre anni».
E poi ancora: «Nel 2022, quando la Russia ha lanciato una sanguinosa guerra su vasta scala non provocata, Berlusconi ha continuato a giustificare l’aggressore, sottolineando che Mosca avrebbe voluto solo sostituire il governo di Volodymyr Zelensky con persone perbene», si legge.
L’agenzia di stampa ricorda infine «l’ultimo anno della sua vita», quando Berlusconi «gravemente malato, in dichiarazioni pubbliche ha incoraggiato l’Ucraina a negoziare con l’aggressore. E le fughe di notizie delle registrazioni audio alla fine hanno mostrato che Berlusconi considerava Zelensky il responsabile dell’invasione russa ed era scontento del sostegno dell’Italia a Kiev”, conclude l’articolo.
(da agenzie)
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Giugno 13th, 2023 Riccardo Fucile
“OGNI MOSSA, DAL DISCORSO DI ONNA AL PREDELLINO, VENIVA DECISA MOLTO PRIMA E TESTATA CON ALCUNE PERSONE, POI CON ALTRE. A SCALFIRE LA FIDUCIA IN LUI FU LA SECONDA LETTERA DELLA MOGLIE VERONICA: LA FRASE SULLE ‘VERGINI CHE SI OFFRONO AL DRAGO’ LO HA DANNEGGIATO SOPRATTUTTO PER IL VOTO DELLE DONNE”
«Berlusconi aveva il costante bisogno di capire cosa accadesse nel mondo reale», lontano dalla vita ricca e privilegiata che conduceva. «Cercava una connessione e la trovava nei nostri racconti», dice Alessandra Ghisleri, la sondaggista che più ha collaborato con l’ex presidente del Consiglio. Fin dal 1999, quando aveva solo 27 anni.
“Berlusconi ha dato vita al sogno americano, che è diventato un sogno italiano».
Il self-made man?
«Ha messo su aziende, ha dato lavoro, ha vinto scommesse importanti. Ha portato un numero uno come Mike Bongiorno all’intrattenimento, un altro come Enrico Mentana all’informazione. Per tante persone ha rappresentato la possibilità di crederci».
E ha costruito un racconto di sé che va dal pianobar sulle navi da crociera all’impero immobiliare e televisivo.
«Nelle elezioni del 2001, che consacrarono il suo successo politico, mandò nelle case degli italiani un libro con la sua storia. Voleva scegliere come essere raccontato».
Studiava i sondaggi personalmente?
«Certo. E mi richiamava se la grafica non era bella, se c’era un carattere che non gli piaceva. Tutti di dimensione 18, per il vezzo di non portare gli occhiali. Un giorno mi rimandò indietro un report con scritto di suo pugno quale sua fotografia dovesse esserci, quando ne testavamo la popolarità».
Vanità?
«Perfezionismo. In tutto. Anche nella strategia politica. Ogni mossa, dal discorso di Onna al predellino, veniva decisa molto prima e testata con alcune persone, poi con altre. Ascoltava tutti e alla fine decideva».
Spesso sembrava voler sedurre anche gli avversari.
«Dopo il discorso di Onna, quando mise il fazzoletto dei partigiani, lo chiamai, era in elicottero con Bonaiuti. Gli dissi che aveva il 75 per cento di indice di fiducia. Ci fu un momento di silenzio».
E poi?
«Chiese: “Quell’altro 25 per cento che non mi ama, perché? Quando fece il predellino mi spiegò, dalla macchina, le sue ragioni: doveva tenere unita una situazione che si stava sfarinando». «Nonostante tutto quel che accadeva la fiducia non veniva scalfita. A farlo, più di tutto, è stata la seconda lettera della moglie Veronica».
Più dei processi?
«Assolutamente. Mi chiamò nella notte dicendomi che dovevamo capire come gestire la situazione».
Perché il colpo veniva dall’interno?
«Perché veniva dalla famiglia. Berlusconi era un uomo con 17 nipoti, ha sempre messo al centro della narrazione il valore della famiglia».
La frase sulle «vergini che si offrono al drago» lo ha danneggiato più di ogni altra cosa?
«Sì, soprattutto per il voto delle donne, che era sempre stato un suo punto di forza».
Glielo disse?
«Certo. Lo sapeva perfettamente. Ma sentiva anche una grandissima responsabilità. A novembre 2012 decise di ricandidarsi perché il partito era in calo. Nonostante tutto, senza lui a fare da traino, sarebbe stato spacciato».
(da la Stampa)
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Giugno 13th, 2023 Riccardo Fucile
ELIO VITO, EX DEPUTATO FORZISTA, NON CREDE ALLA SUCCESSIONE: “FORZA ITALIA È SEMPRE STATA SOLO BERLUSCONI. GLI ELETTORI SONO IN GRAN PARTE GIÀ ANDATI VIA. I PARLAMENTARI E I DIRIGENTI ANDRANNO DA MELONI, DA SALVINI E DA RENZI”
“Non ci sarà più Forza Italia, muore con Silvio. È un fatto scontato”. Gianfranco Micciché, storico plenipotenziario del partito azzurro in Sicilia, non ha dubbi. E a poche ore dal decesso di Silvio Berlusconi dà la risposta più cinica alla domanda che in molti si stanno già facendo: “Il nostro non è un partito da congresso per sapere chi prende la direzione. Assisteremo alla lite su chi è proprietario del simbolo, a chi non lo è. Già so come andrà a finire. Ma ora non voglio pensarci”, dice all’AdnKronos l’ex deputato, ministro, viceministro, sottosegretario e presidente dell’Assemblea regionale siciliana.
L’accenno alla lite sul simbolo è un riferimento alla “missione” di Marta Fascina, deputata e moglie di B., che secondo i retroscena puntava (e chissà se ce l’ha fatta) a farsi riconoscere la titolarità del logo con atto notarile. Statuto alla mano, la titolarità dell’uso dell’emblema apparterrebbe al tesoriere del partito pro tempore, ovvero Alfredo Messina, ex manager Fininvest, che attualmente riveste la carica di commissario-amministratore nazionale.
Fascina punta a un ruolo centrale negli equilibri futuri nel partito, tanto che negli ultimi giorni ha tentato un blitz per sostituire i coordinatori regionali a lei sgraditi, sventato all’ultimo momento da Antonio Tajani. Proprio il ministro degli Esteri ed ex presidente del Parlamento europeo, attuale coordinatore azzurro, è accreditato come il più probabile candidato alla successione – o quantomeno alla reggenza – con l’appoggio di Fascina e della primogenita Marina.
E non è un caso nelle dichiarazioni post-mortem lanci subito una scommessa sul futuro: “Abbiamo il dovere, come Forza Italia, di andare avanti, seppur feriti. Lo faremo ancora sotto la sua guida morale e spirituale e continueremo a lavorare nel solco delle sue indicazioni”, dice.
“Continueremo a lavorare tutti insieme, il progetto di Berlusconi è un progetto che va al di là della sua vita terrena, un progetto che noi lavoreremo per realizzare”, promette. Ma il timore è quello di un fuggi-fuggi generale verso Fratelli d’Italia, la Lega o anche Italia viva: Matteo Renzi sta già alla finestra e non ha perso un attimo per posizionarsi, parlando del defunto Silvio come “un fuoriclasse in tutto quello che ha fatto, capace di innovare in modo straordinario”.
A non credere in una successione è anche Elio Vito, deputato azzurro per otto legislature e a lungo fidato colonnello dell’uomo di Arcore, prima di uscire da Forza Italia nell’estate 2022: “Forza Italia è sempre stata solo Berlusconi e ha sempre fatto, inevitabilmente, quello che Berlusconi ha voluto”, ha detto a ilfattoquotidiano.it nei giorni del ricovero al San Raffaele dell’aprile scorso.
“Gli elettori sono in gran parte già andati via. I parlamentari e i dirigenti, che pensano solo a sè stessi, andranno da Meloni, da Salvini e da Renzi”, vaticinava. Il leader della Lega e ministro delle Infrastrutture, intervistato dal Tg1, ammette che nel centrodestra la vita “sicuramente sarà più difficile, perché (Berlusconi, ndr) riusciva a mettere d’accordo tutti, a tenere in sintonia tutti, ad avere un pensiero per tutti”. Al Tg5 il presidente del Senato Ignazio La Russa riassume: “C’è una Italia prima di Berlusconi e una dopo Berlusconi. Così come c’è una Italia fino a ieri ed una da domani”.
E alla domanda su eventuali ripercussioni sull’alleanza di governo risponde: “Le verificheremo più avanti, ma secondo me non ci saranno”. Intanto è stata confermata la riunione del Comitato di presidenza di Forza Italia in programma per martedì alle 13: all’ordine del giorno c’è l’approvazione del rendiconto dell’esercizio 2022. Al resto si penserà dopo.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 13th, 2023 Riccardo Fucile
QUESTA VOLTA, È GUERRA APERTA: IL GOVERNO DI MOSCA HA ANNUNCIATO CHE TUTTI I GRUPPI DI VOLONTARI CHE COMBATTONO IN UCRAINA DOVRANNO FIRMARE UN CONTRATTO CON IL CREMLINO. PRIGOZHIN SI È OPPOSTO, E CONTINUA A SPARARE A ZERO CONTRO L’ESERCITO REGOLARE E I SUOI VERTICI
Sono già sette i paesini in cui è stata ammainata la bandiera russa. È un piccolo antipasto di una controffensiva ancora agli albori, ma nel frattempo Mosca ha un altro bel guaio da risolvere: l’ennesimo schiaffo ricevuto dal capo della Wagner, Evgenij Prigozhin, che si è rifiutato di firmare il “Contratto” con cui il ministro della Difesa Shoigu tentava di rimetterlo sui binari dell’obbedienza.
Era il piatto freddo della vendetta, dopo la raffica di insulti ricevuti. Un documento di regole precise imposto alle formazioni «volontarie» che, come ha spiegato il generale Viktor Sobolev, non potranno più partecipare all’Operazione militare speciale se non lo firmeranno. Ieri è arrivata la firma dei ceceni di Kadyrov, il rivale numero uno di Prigozhin. Ma non erano i ceceni l’obiettivo di Sergei Shoigu. Era chiaramente l’ex cuoco di Putin.
Per settimane Shoigu e il capo di Stato maggiore, Valery Gerasimov, avevano dovuto ingoiare i suoi rospi mentre la Wagner faceva il lavoro sporco a Bakhmut, conquistandola in un bagno di sangue. E ora che ne ha consegnato al Cremlino le chiavi, affidandone il controllo alle Forze armate russe, a Shoigu dev’essere sembrato il momento adatto per mettergli la mordacchia.
«Gli ordini di Shoigu si applicano ai dipendenti del suo ministero, la Wagner non firmerà alcun contratto con Shoigu», un «debosciato», lo ha gelato Prigozhin, che «non può gestire formazioni militari. Cosa ci può succedere? Non ci daranno armi e munizioni? Vedremo: quando sentiranno i tuoni, verranno di corsa a chiederci aiuto».
Un altro rospo nel piatto, insomma. Vedremo se anche stavolta Shoigu sarà costretto a ingoiarlo. «Chiamiamo le cose con il loro nome: è un ammutinamento», dice su Telegram il colonnello “Strelkov”, l’ex comandante del Fsb Igor Girkin che nel 2014 guidò la prima fase della secessione del Donbass. Ma il potere di Prigozhin e della sua Wagner è sempre più sorprendente.
Lui lo usa sfacciatamente infiammando le divisioni interne alla prima cerchia dei fedelissimi di Putin, come quella tra Shoigu e Gerasimov da una parte, e il generale Sergey Surovikin dall’altra. Oggi è relegato in seconda fila, ed è con lui che il capo della Wagner dice di collaborare.
(da La Repubblica)
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Giugno 13th, 2023 Riccardo Fucile
MATTIA FELTRI: “HA MANCATO IN PIENO LA RIVOLUZIONE DIGITALE. LE SUE TRE RETI VIVONO DI VECCHIE GLORIE, UN PUBBLICO INCANUTITO, È ARRIVATO PER ULTIMO E HA FALLITO CON LA PAY TV, LE PIATTAFORME DI STREAMING COME NETFLIX E PRIME SONO IL PANE QUOTIDIANO DEI RAGAZZI
Diventa lui l’artefice e il totem del bipolarismo. Non soltanto la destra ma pure la sinistra vive in simbiosi con Berlusconi: la destra esiste in quanto berlusconiana, la sinistra in quanto antiberlusconiana. La storia della Seconda repubblica (al netto della magistratura) è tutta qui.
Oggi la politica è per intero figlia di Berlusconi. Si vive di sondaggi, per l’evoluzione digitale si vive di like e di follower, si vive di videoclip magari sotto forma di diretta Facebook o monologo per Instagram e TikTok, si vive di battutario, di motteggio, di réclame, la scandalosa Forza Italia ha generato Fratelli d’Italia e Italia Viva e cinque stelle e rinnovamenti e cose così, che vogliono dire tutto e niente. Ma nessuno sa andare oltre Berlusconi: si pigliano gli strumenti nuovi per replicare un insegnamento vecchio.
Vale per la Rai, che ha rincorso per lustri Fininvest e poi Mediaset e oggi si è pienamente canalecinquizzata, pienamente commercializzata, e non ha un’idea per il dopo. Vale per il calcio che dopo le magnificenze degli anni Ottanta e Novanta è rimasto lì a rimirarsi, non ha compiuto un passo in più, osserva senza uno squillo le crapule inglesi, spagnole, francesi e tedesche. Anche in questo siamo rimasti tutti berlusconiani: nemmeno lui da vent’anni ne indovinava più una.
Ha mancato in pieno la rivoluzione digitale. Le sue tre reti vivono di vecchie glorie (i Bellissimi di Retequattro, le Iene, Striscia la notizia, Maria De Filippi) per un pubblico incanutito, è arrivato per ultimo e ha fallito con la pay tv, le piattaforme di streaming come Netflix e Prime sono il pane quotidiano dei ragazzi di oggi quanto Italia Uno era il pane quotidiano dei ragazzi quando i ragazzi eravamo noi. Usava i social come per il messaggio in vhs con la calza di nylon sull’obiettivo.
Con il Milan ha vissuto un lungo e lento declino (lungo e lento è stato il declino suo e lungo e lento è il declino del suo impero televisivo), fatto di acquisti sbagliati, campionati da comprimario, soprattutto di disponibilità economiche non più allineate alle sue ambizioni, e il finale da patron del Monza è stata una berlusconata minore, squadra portata per la prima volta in serie A, l’unico orizzonte in cui il sole calante poteva ancora fugacemente baciarlo in fronte.
Un Berlusconi da sei e mezzo, diciamo, ancora ricco, ancora protagonista, ancora con un ruolo politico, ma niente più di uno straordinario gestore del suo crepuscolo. E infatti non gli restava che celebrare le date, le ricorrenze, il bel tempo che fu, i trionfi ormai dell’altro secolo. Disposto a stare a ruota di questi ragazzacci fintamente deferenti, le Meloni e i Salvini che lo hanno strapazzato con le sue stesse armi giusto un po’ adattate allo smartphone, e infatti il suo scandaloso putinismo non era antiatlantismo ma nostalgia, o più probabilmente autoreclusione nel passato in cui Putin e Bush si scambiavano un segno di pace, e lui era il sommo sacerdote.
Berlusconi è stato un uomo che ha cambiato il mondo e, quando non ha più saputo cambiarlo, si è rifiutato di cambiare col mondo. Ha preferito restare sul trono circondato dalla mitologia di sé stesso, da una finzione allucinata in cui tutti recitavano perché lui ancora si sentisse inarrivabile e immortale. Niente di più respingente, niente di più affascinante di questa lunga vita tutta fuori dall’ordinario.
Mattia Feltri
(da “la Stampa”)
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Giugno 13th, 2023 Riccardo Fucile
“LA SUA SCOMPARSA SOLLEVA INTERROGATIVI SULLA DIVISIONE DEL POTERE ALL’INTERNO DELLA COALIZIONE DI DESTRA E SUL FUTURO DI ‘FORZA ITALIA’”
“La morte di Silvio Berlusconi, che arriva mesi dopo la rivelazione della sua leucemia, solleva interrogativi sulla divisione del potere all’interno della coalizione di destra di Giorgia Meloni e sul futuro del suo partito Forza Italia, data la mancanza di un chiaro successore”.
È quanto sostiene il Financial Times, in un articolo in prima pagina, il cui titolo mette l’accento sul fatto che la sua scomparsa apre una serie di interrogativi per la coalizione di governo. Il giornale economico evidenzia che il Cavaliere “è stato attivo nella politica italiana anche verso la fine della vita, svolgendo un ruolo di primo piano nella crisi che ha fatto cadere il governo di Mario Draghi lo scorso anno, prima di contribuire alla formazione della coalizione di governo di Giorgia Meloni”.
Per quanto concerne invece le sorti di Forza Italia, il Financial Times cita l’opinione del politologo Giovanni Orsina secondo cui “il partito non può sopravvivere alla fine di Berlusconi”. Il giornale dedica anche metà della quarta pagina al necrologio dell’uomo che ha dominato la vita politica dagli anni ’90, intitolandolo ‘Il magnate dei media che ha ricoperto il ruolo di premier in Italia è stato funestato dagli scandali’.
(da agenzie)
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Giugno 13th, 2023 Riccardo Fucile
SU RAI1 VESPA NON VA OLTRE IL 10.5% DI SHARE MENTRE L’ADDIO A RETI UNIFICATE DI MEDIASET RACIMOLA L’8.3% SU CANALE5, IL 2.3% SU ITALIA1 E IL 3.5% SU RETE4… EXPLOIT DI “REPORT” CHE FA L’8.1% DI SHARE (E NON PARLA DI BERLUSCONI)
La scomparsa di Silvio Berlusconi avvenuta ieri, lunedì 12 giugno 2023, ha causato uno stravolgimento dei palinsesti televisivi, non soltanto dei canali Mediaset ma anche di quelli della Rai e di La7.
In prima serata, Canale5, Italia1 e Rete4 hanno trasmesso a reti unificate uno speciale del Tg5 dal titolo “Addio a Silvio Berlusconi”, mentre su Rai1 è andato in onda uno Speciale Porta a Porta con Bruno Vespa, “Silvio Berlusconi- L’Uomo che ha cambiato l’Italia”, e su La7 uno speciale di Enrico Mentana dal titolo “I mille volti di Silvio Berlusconi”.
Su Rai1 in studio con Vespa, reduce dal suo discusso forum in Masseria, erano presenti Massimo D’Alema, Matteo Renzi, Antonio Polito, Pierferdinando Casini, Augusto Minzolini, Paolo Barelli e Ignazio La Russa, mentre da Mentana erano ospiti Paolo Mieli e l’editore di La7 (e del Corriere della Sera) nonché ex collaboratore di Berlusconi alla Fininvest, Urbano Cairo.
Ma, dal punto di vista dei dati Auditel, il vero exploit in prime time è stato quello di Report su Rai3. Il programma condotto da Sigfrido Ranucci, che non ha toccato l’argomento della morte di Berlusconi, ha infatti totalizzato l’8.1% di share con una media di 1.424.000 spettatori, secondo in valori assoluti solo allo speciale di Vespa su Rai1 che non è andato oltre il 10.5% con 1.835.000 individui all’ascolto.
Lo Speciale Tg5 su Canale5 ha segnato 1.250.000 spettatori con l’8.3% (su Italia1 il 2.3%, su Rete4 il 3.5%), mentre lo speciale di Mentana è arrivato al 5.8% con 667.000 teste, battuto in valori assoluti dal film Baywatch su Tv8, che ne ha totalizzati 804.000.
(da Dagoreport)
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Giugno 13th, 2023 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEL POLITOLOGO MARCO TARCHI
Tracciare un bilancio del ruolo che Silvio Berlusconi ha esercitato nelle vicende della destra italiana non è un compito così semplice come potrebbe apparire a prima vista. Per molti di coloro che si sono cimentati in questo compito, la sua funzione essenziale si può ridurre all’insolito aggettivo “sdoganatore”, che richiama le conseguenze dell’esternazione a favore della candidatura di Gianfranco Fini a sindaco di Roma, nel dicembre 1993, con cui si aprì un fulmineo processo di riammissione nell’area della legittimità governativa di un partito che, per le sue connotazioni neofasciste, ne era stato escluso sin dalla nascita.
E non c’è dubbio che l’apertura al Msi, compiuta all’unico scopo di non lasciare da parte nemmeno uno dei voti necessari a sbarrare la strada al successo del fronte progressista nelle successive elezioni legislative – le prime svolte con un sistema prevalentemente maggioritario, che obbligava a costituire coalizioni quanto più larghe possibile –, è stato uno degli aspetti salienti dell’azione politica berlusconiana.
Che è ben lungi, però, dall’esaurire l’inventario dell’eredità, controversa e ingombrante, che il cavaliere ha lasciato al campo su cui non ha mai smesso di cercare di esercitare la sua egemonia.
SUPERARE IL TABÙ
A Berlusconi la destra italiana infatti deve, prima di tutto, la rivelazione della propria esistenza – e consistenza – all’opinione pubblica di un paese che era stato abituato, dal 1948, a considerarsi politicamente diviso esclusivamente in sinistra e centro, pilastri del “bipolarismo imperfetto” descritto da Giorgio Galli.
Fino al suo ingresso sulla scena, alla parola destra si accompagnava, nel senso comune, un’immagine di obsolescenza e marginalità, che tutt’al più rimandava alla stagione dei Cavour, dei Bettino Ricasoli e dei Quintino Sella, oppure evocava la nostalgia per pagine ormai chiuse della storia nazionale, come la monarchia e il fascismo.
L’effetto respingente del vocabolo era così temuto che non solo la Democrazia cristiana evitava di farne uso, ma persino i liberali se ne tenevano a debita distanza, rifiutando ogni connubio con monarchici e missini, unici ospiti di quello sgradito ghetto.
Grazie a quel tabù, la Dc aveva potuto incassare ad ogni tornata elettorale i dividendi della paura del comunismo diffusa in larghi strati della popolazione senza scalfire la propria immagine di “forza di centro che guarda a sinistra”, per dirla con il lessico inaugurato da Alcide De Gasperi.
Quello status quo, che neppure il terrorismo brigatista e il compromesso storico avevano scalzato, subì però l’improvviso scossone di Tangentopoli, che fece della forzata esclusione del Msi dai benefici del sottogoverno una patente di estraneità ai circuiti della corruzione e consentì al partito della Fiamma di eleggere sindaci in molti comuni e contendere il successo al cartello progressista in metropoli come Napoli e Roma.
Il patron di Fininvest e Publitalia fu lesto a capire come stavano mettendosi le cose. Dc e Psi, verso cui si erano in precedenza indirizzati i suoi favori di moderato angustiato dal “pericolo rosso”, erano ormai avviati sul viale del tramonto e per battere le sinistre occorreva abbattere lo steccato dell’arco costituzionale e fare dei neofascisti dei partecipanti a pieno titolo al gioco del potere.
PARTNER INDOCILI
La mossa aveva un mero carattere tattico e opportunistico, ma gettava le basi di un bipolarismo di nuovo conio, che metteva ai margini del sistema quel centro che lo aveva sino ad allora dominato. Il puzzle si poteva comporre solo sottraendo all’ex Dc l’ala conservatrice e addomesticando la Lega di Umberto Bossi, che con “i fascisti” non era mai tenero.
L’espediente della coalizione a due facce – con i missini al sud e con i leghisti al nord – riuscì, almeno all’inizio, nell’azzardata scommessa, anche se la rapida defezione della componente padana obbligò per alcuni anni Berlusconi a uscire dai panni del mediatore fra alleati che si guardavano in cagnesco e, pur rafforzando la sua figura di padre-padrone della coalizione, gli impose una convivenza non sempre facile con partner indocili e, soprattutto nel caso di Fini, ambiziosi e desiderosi di succedergli nel ruolo di leader. Come le cose siano andate su questo versante, è cosa nota.
LA SEDUZIONE
Lo spostamento a destra del Polo delle libertà e dei suoi succedanei non fu subìto passivamente da Berlusconi, come molti suoi avversari hanno sostenuto. Vero è che all’inizio la sua posizione non era abbastanza forte da consentirgli di imporre al Msi quella profonda revisione ideologica che gli avrebbe fatto comodo per guadagnare credito a livello internazionale e sbiadire quell’immagine di cavaliere nero che i media ostili si affrettarono a proiettare.
Tuttavia, il repentino traghettamento nell’area di governo spinse gli alleati a un sia pur improvvisato e parziale maquillage, con tanto di cambio di nome, destinato a rafforzare progressivamente un processo di accettazione dei principi democratici che peraltro da tempo aveva messo radici nel ceto parlamentare missino.
E negli anni successivi Berlusconi, che già nel 1976 aveva finanziato la scissione di Democrazia nazionale con cento milioni di lire (poi recuperati), tentò in più modi di suscitare una conversione moderata dei talvolta imbarazzanti compagni di viaggio.
Ci provò in ambito culturale, lanciando una rivista (Ideazione) diretta proprio da un ex missino, Domenico Mennitti, e inviando in missione in un convegno organizzato in comune la pattuglia dei “professori di Forza Italia”, Lucio Colletti e Saverio Vertone in testa, ma senza successo. Ritentò con una provocazione di taglio più politico, distribuendo a migliaia di partecipanti a un’assemblea organizzativa di Alleanza nazionale Il libro nero del comunismo appena sfornato dalla “sua” Mondadori, per sbarrare la strada al tentativo di Fini di entrare in dialogo diretto con Massimo D’Alema sulle questioni della riforma istituzionale.
E continuò a farlo con un lavorio costante di attrazione e seduzione di singoli esponenti del partito alleato e rivale, finalizzato ad aprire la strada alla fagocitazione di An nel Popolo delle libertà: trappola in cui Fini non avrebbe voluto cadere, ma che i suoi “colonnelli” finirono per fargli digerire sotto la velata minaccia di passare dalla parte dell’uomo di Arcore.
L’ADDOMESTICATORE
Chi accusa Berlusconi di avere, con l’apertura al Msi, delegittimato i fondamenti antifascisti della Repubblica e aperto la strada ad una “banalizzazione” dell’esperienza mussoliniana funzionale a una sua successiva e surrettizia rivalutazione, sottovaluta questo lato della vicenda, che per oltre 15 anni ha portato alla compressione degli umori ribellistici e anti-sistemici da sempre presenti nella base missina.
Una destra abituata ai toni tribunizi di Giorgio Almirante, nel momento della massima popolarità del pool Mani pulite, si era spinta ad assediare simbolicamente il parlamento plaudendo all’opera igienica dei magistrati milanesi, e rischiava di fare da coagulo dei sentimenti di vendetta anti-casta dilaganti nella società civile.
A loro l’imprenditore milanese che amava dichiararsi “prestato alla politica” impose il linguaggio assai meno drammatico di un populismo qualunquista, fatto di ammiccamenti ai pregi e ai vizi dell’uomo della strada, di difesa della routine piccolo-borghese dall’insicurezza e dall’invidia dei comunisti e non certo dei sogni di un assalto al quartier generale dell’intellighenzia di sinistra che qualche impaziente seguace del “gramscismo di destra” si ostinava a coltivare.
Oltre, e forse più, che come sdoganatore e catalizzatore, Silvio Berlusconi andrebbe dunque forse considerato come l’addomesticatore di un’area politica che, anche per suo merito o colpa, non si è mai potuta dare, fino a quando la sua figura ne ha dominato la scena, un’identità in positivo, un profilo ideologico-culturale coerente, un progetto che andasse oltre il rifiuto di ciò che, di volta in volta, la sinistra proponeva.
Non è un caso che solo quando la fulminea ascesa dello spread e la defezione finiana lo hanno obbligato a cedere il timone del governo a Mario Monti, destinandolo al declino, alcuni dei tratti dell’identità profonda della destra italiana che la sua leadership aveva offuscato, se non addirittura neutralizzato, siano ritornati a galla, sia pure in modo frammentario e con gli adeguamenti che il contesto dell’epoca impone, fino al nuovo governo guidato da Giorgia Meloni .
È un evidente indizio che per la destra l’ora del dopo-Berlusconi è definitivamente suonata.
Marco Tarchi
(da editorialedomani)
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